L’algor-etica del Vaticano abbraccia Microsoft e Ibm

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   A fine febbraio, in Vaticano, il direttore generale della Fao, Qu Dongyu, il ministro per l’innovazione tecnologica, Paola Pisano, il presidente di Microsoft, Brad Smith e il vicepresidente di Ibm, John Kelly III hanno firmato un documento dal titolo Rome Call for AI Ethics. Presente anche il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, ma non Papa Francesco che quindi non ha firmato il documento né ha delegato il Segretario di Stato. Ha invece apposto la sua firma monsignor Vincenzo Paglia, dal 2016 presidente della Pontificia accademia per la vita, il quale ha spiegato che il concordato sull’algor-etica è “un primo tentativo nel formulare un insieme di criteri con comuni riferimenti di valore da estendersi a istituzioni pubbliche, Ong, industrie e gruppi”.

   Da tempo preoccupato dal rapporto impari tra chi crea sistemi di AI e destinatari, Papa Francesco dice: “Dalle tracce digitali disseminate in Internet, gli algoritmi estraggono dati che consentono di controllare abitudini mentali e relazionali, per fini commerciali o politici, spesso a nostra insaputa. Questa asimmetria, per cui alcuni pochi sanno tutto di noi, mentre noi non sappiamo nulla di loro, intorpidisce il pensiero critico e l’esercizio consapevole della libertà. Le disuguaglianze si amplificano a dismisura, la conoscenza e la ricchezza si accumulano in poche mani, con gravi rischi per le società democratiche”.

   Ora, siamo proprio certi che questo documento sia eticamente ineccepibile? Alcuni dei firmatari inducono a pensare il contrario.

Le Sardine non esistono. I fondatori raccontano

   Le Sardine non esistono (Einaudi Stile libero) è un libro scritto dai quattro giovani che hanno dato vita all’avventura socio-politica di piazza che ha avuto inizio il 14 novembre a Bologna, per contrastare Matteo Salvini. Intervistati da la Lettura (Domenica 8 marzo 2020), Andrea Garreffa, Giulia Trappoloni e Mattia Santori (assente per altri impegni Roberto Morotti) hanno espresso il proprio punto di vista su varie questioni; il più interessante, a mio parere, è stato Mattia Santori che a proposito della verità ha detto:

  “Il fatto è che la verità non fa notizia in un mercato dei media che vive di suggestioni. Forse a volte bisogna trovare compromessi, usare semplificazioni per arrivare alla verità. Mi pare però che in alcuni ambienti mediatici, per come è impostato il dibattito, sia davvero impossibile riportarla a galla. Quanto al web, serve soprattutto ad attirare l’attenzione: bisogna poi, una volta agganciato il pubblico, far seguire un approfondimento reale e un’informazione corretta. È un po’ quello che abbiamo fatto con lo slogan dateci venti minuti della vostra vita per cambiare cinque anni del vostro futuro. Era un paradosso, come quando l’allenatore di basket, alla fine di ogni time-out, dice ai suoi giocatori che quello è il momento decisivo. Noi prima abbiamo chiesto venti minuti, poi sei ore il 19 gennaio, quindi abbiamo proposto contenuti più complessi. Tre restano i punti fermi: l’empatia tra i corpi nello spazio pubblico, che porta a scoprire la verità; la creatività e la gratuità, alternative al modello capitalistico, al consumismo e alle manipolazioni del potere; una politica che risponda al populismo valorizzando le regole democratiche, ma presentandosi in forme nuove per coinvolgere coloro che si sentono esclusi”.

   Dicevo di aver trovato interessante l’intervento di Santori, e non lo nego. Ma lo trovo interessante alla stregua di un compito in classe di uno studente di quinta liceo. E soprattutto, se tanta gente si è entusiasmata per questo gruppo di ragazzi che non hanno la minima idea di quello che sarà il loro futuro, vuol dire che siamo proprio messi male.

Coronavirus e privacy

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   L’epidemiologia, stando alla definizione che ne dà la Treccani, è  una “scienza medica che studia, a fini soprattutto preventivi, l’entità e le vie della diffusione delle malattie (spec. di quelle infettive), mirando a individuare le condizioni organiche, ambientali, demografiche e sociali che possono favorire o contrastare il loro sviluppo”. Va da sé che questa, come ogni disciplina che si rispetti, ha bisogno di raccogliere dati che, come spiega il fisico Alessandro Vespignani tra gli esperti più quotati nel campo delle predizioni scientifiche, danno poi vita ai modelli predittivi. Ma per quanto riguarda il Covid-19 chiarisce che: “Al momento le nostre previsioni sono basate sulla rete di mobilità e non sulla trasmissibilità interumana. Stiamo utilizzando modelli di “situational awarness”, che proiettano il loro stato dopo la modificazione di alcune variabili (ad esempio le strategie attuate dalle autorità cinesi). In questo modo è possibile stimare un numero di casi fino a dieci volte maggiore rispetto alle stime ufficiali, ma non si tratta ancora di previsioni. Sapremo proiettarci verso il futuro solamente fra qualche giorno, quando disporremo di dati più certi ed i numeri statistici saranno sufficientemente solidi da essere inseriti in algoritmi predittivi. Anche i social sono sul tavolo”.

   Possiamo forse trasalire, dirci sconcertati nel sapere che siamo sotto una lente di ingrandimento? Certo che no, non in questo caso, ma c’è chi ha fatto notare che la Cina, a causa dell’epidemia da cui è stata colpita tanto duramente, ha intensificato l’attività di sorveglianza sulla popolazione attraverso l’uso di droni per verificare l’uso delle mascherine e ha preso accordi con i colossi della tecnologia e delle telecomunicazioni per monitorare gli spostamenti dei cittadini e dire loro quanto stare in quarantena. La domanda è: a emergenza finita, le autorità cinesi rinunceranno a raccogliere dati indiscriminatamente o continueranno a farlo col pretesto di essere pronti quando si presenterà una nuova epidemia? E noi, sebbene figli di un background culturale completamente diverso, potremo dirci certi che non ci sarà un grande fratello che, a nostra insaputa, veglierà su di noi per proteggerci da un qualsivoglia emulo del coronavirus?