Recensione “I leoni di Sicilia. La saga dei Florio” di Stefania Auci

«Gli altri sono gli altri e fanno quello che vogliono. Noi siamo i Florio.»

Uno schifazzo lambito dal mare che separa la Calabria dalla Sicilia; la voglia di ricominciare, la fiducia di avere qualcosa di più dalla vita.
Paolo e Ignazio Florio sono commercianti di spezie, ma approdano a Palermo animati dalla speranza di cambiare la propria esistenza. Una nuova terra, una nuova città schiva a diffidente con quelli che etichetta come portarobbe, poco più che facchini ai loro occhi. Un posto che Giuseppina, moglie di Paolo, non ama, un luogo dove sente di non poter mettere radici.

Così inizia la saga, la leggenda, la storia dei Florio: una famiglia che parte dal nulla, che lavora e suda per conquistarsi un posto in quella città che appare come una donna che seduce e respinge al tempo stesso.

“Palermo, schiava padrona, che pare vendersi a tutti, ma che appartiene solo a se stessa.”

 

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“I leoni di Sicilia. La saga dei Florio” di Stefania Auci

Personaggi forti e intensi come le spezie da cui tutto comincia: così appaiono Ignazio e suo nipote Vincenzo ne “I leoni di Sicilia” di Stefania Auci.

Prudente e schivo il primo, che accantona gli impulsi del cuore per prendersi cura di un nipote che cresce come fosse un figlio e una cognata che ama segretamente.
Determinato e ambizioso sarà invece Vincenzo, figlio di Paolo, che cresce alimentando una nera rabbia nel cuore per non essere mai all’altezza di gente orgogliosa e conservatrice. Nulla sembra inarrivabile per chi vuole un riscatto che nessuno sembra disposto a dargli.

“E allora capisce che esistono amori che non potano questo nome, ma che sono altrettanto forti, altrettanto degni di essere vissuti, per quanto dolorosi.”

Una famiglia quella dei Florio che sa imporsi cavalcando le giuste correnti che interessano, tanto nella politica quanto nel commercio, la Sicilia, ma anche l’Europa dell’ottocento. L’accento storico non è mai, fra queste pagine, una lezione pedante e priva di interesse, ma dà spessore ai fatti e alle scelte di Casa Florio, li giustifica e spesso li spiega.

Una storia intessuta fra gli affari e gli affetti di uomini che hanno sacrificato la loro esistenza per il prestigio di un nome. Il tutto intrecciato all’amore impossibile di due cognati e quello scandaloso di Vincenzo e Giulia, la donna che sarà al fianco del “leone” dei Florio, accettando le ingiurie di chi la vede come una mantenuta.

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Targa Florio

Pagine che rievocano gli odori delle spezie, il gusto particolare del Marsala, il dolce sapore del tonno sott’olio. Il regno dei Florio, il loro intuito verso qualcosa che li ha resi grandi e che Stefania Auci ci restituisce con un’attenta analisi.

Un libro intenso, passionale; uno sguardo verso un passato che ha segnato l’ascesa di una famiglia ma anche della Sicilia. Una ricostruzione coinvolgente che emoziona in ogni sua pagina, che parla di voglia di cambiare, di ambizione ma anche di un amore che assume altri nomi ma che resta forte e indomabile nel tempo.

Il quadro storico che fa da cornice a queste pagine è quello di una terra da sempre predata e conquistata, ma che ha un’identità così particolare e forte da non accettare più di non avere una voce propria.

“I leoni di Sicilia” parla di spezie, commercio, ambizione e potere. Ma anche di legami che si sentono dentro le ossa e che l’autrice abilmente riesce a trasmetterli al lettore. Perché la Sicilia deve tanto ai Florio, e i Florio altrettanto alla Sicilia.

“I Viceré” di Federico De Roberto

“La storia è una monotona ripetizione; gli uomini sono stati, sono e saranno sempre gli stessi.”


La morte della principessa Teresa apre la questione dell’eredità nella nobile famiglia siciliana conosciuta come i Viceré. Un testamento che spoglia dell’intero patrimonio la legittima successione del maggiore, il principe Giacomo, rendendolo coerede con il conte Raimondo, prediletto dalla madre. Non solo: altri lasciti agli altri cinque figli che creano tumulto in una famiglia già smembrata dall’autorità materna fin troppo severa con tutti.

E i lettore inizia a conoscere i vari membri di una famiglia nobile, fiera di esserlo, consapevole di occupare un posto importante nella società antecedente all’Unità d’Italia. I due fratelli Angiolina e Ludovico, destinati alla vite ecclesiastica facendo credere loro, fin da giovani, che tale destino è il più auspicabile, ma di fatto è solo un espediente per non dover creare e disporre la dote per loro. Poi c’è Chiara, contraria al matrimonio, ma poi innamoratissima, fino all’esagerazioni, verso il marito, oppure Lucrezia, testarda nel voler sposare un facoltoso giovane senza sangue nobile nelle vene, che poi si pente della propria scelta; sullo sfondo Ferdinando, chiamato dalla madre “Babbeo”, dedito a ogni capriccio la mente gli possa suggerire nella sua isolata casa di campagna.

Poi le macchinazioni del primogenito Giacomo, per riprendersi con gli inganni ciò che è suo di diritto, così maltrattato dalla madre tanto da non rendersi conto del ripetersi di tali errori nemmeno con suo figlio Consalvo. I divertimenti di Raimondo, infine, la sua superficialità ai danni dei sentimenti di chi lo ama, la sua fredda voglia di essere sempre del partito contrario a chi vuole solo aiutarlo per il suo bene.

101909917_311296596541808_3052397042102960128_nI Viceré” di Federico De Roberto è un romanzo che parla al lettore delle vicissitudini, più o meno serie, di una grande e antica famiglia, ma non solo. Pone l’accento sulla questione politica della Sicilia di metà ottocento, del Risorgimento, con la caduta dei Borboni a favore dei Savoia, intrecciando gli eventi noti con quelli degli Uzeda. Una famiglia nobile, con radici spagnole, con un alto senso di sé che contagia tutti.

Stravaganti e impopolari, amati e criticati, i Viceré affrontano i cambiamenti politici di pari passo con quelli familiari. Ed è Consalvo, la nuova generazione, il ragazzo che fa valere la democrazia solo per mascherare la sua voglia di primeggiare, che riassume bene i tratti degli Uzeda:

 “Ma la storia della nostra famiglia è piena di simili conversioni repentine, di simili ostinazioni nel bene e nel male.”

È il racconto di una famiglia orgogliosa che si interfaccia attraverso i suoi membri, da una generazione all’altra, che ci mostra il passaggio spesso più polito che reale verso una nuova realtà dinastica senza dimenticare il forte attaccamento alla “roba”, ai testamenti, alla superbia che si nasconde dietro a un casato.

A parte alcune espressioni un po’ obsolete per il lettore moderno, “I Viceré” ha la forza di incantare il lettore attraverso i suoi protagonisti e le loro sorti. Colpisce le tradizioni legate alle famiglie che raccoglievano il patrimonio per un unico erede, destinando gli altri figli a scelte imposte, come la chiesa o una vita priva di affetti di una famiglia propria.

Un libro maestoso, un racconto che non si dimentica di nessuno, che non crea né eroi né cattivi, perché l’uomo può essere entrambe le cose, ma spesso di lascia solo guidare dal proprio interesse.

“Volevo una quarantadue” di Tiziana Irosa

“Maledetta Cenerentola e tutte le sue colleghe! Per fortuna adesso ci sono le fiabe moderne, dove le principesse si salvano da sole e i principi azzurri sono esseri goffi e buffi, più vicini alla realtà.”


Allegra è una trentacinquenne dalle origini siciliane che vive a Bergamo. È circondata da amici e familiari affettuosi. Una giovane donna, insomma, come molte altre e come tante alle prese con il dramma che affligge un po’ tutte: perdere peso. Potrebbe puntare sulla sua intelligenza, la sua allegria e ironia, e sulle altre doti che la rendono speciale, ma lei, guardandosi allo specchio vede solo “un volto da bambola con il corpo da foca”. È un chiodo fisso, un traguardo per accettarsi e sentirsi bene con se stessa. Diete, corsi di fitness, rinunce e sacrifici che non portano a niente, fino a quando qualcosa la spinge a fare sul serio.
Un’email mandata all’indirizzo di posta sbagliata le fa conoscere telematicamente Richard, un giovane uomo che da subito si mostra interessato a lei. Inizia fra i due un carteggio divertente, volto a conoscersi e a farsi conoscere dietro allo schermo di un display perché Allegra teme di essere troppo grassa, troppo poco attraente per piacergli. Questo le dà la spinta giusta per perdere peso e riconciliarsi con se stessa, anche se sembra che il destino abbia in serbo per lei qualcun altro. Infatti, mentre attente il misterioso Richard per conoscerlo di persona, ecco incontrare Killian durante una festa: un uomo affascinante, determinato a entrare fra le sue grazie. Cosa è giusto fare? Seguire il filo che conduce al misterioso destinatario delle sue email o dare una chance a qualcuno che è presente, fisicamente, nella sua vita? E se il Fato si diverte a mischiare le carte in tavola, l’amore può mettere tutto al posto giusto.

"Volevo una quarantadue" di Tiziana Irosa

“Volevo una quarantadue” di Tiziana Irosa

Questo romanzo è una ventata di buonumore e freschezza. Quella di Allegra potrebbe essere la vita di tutte noi, a prescindere da quale sia il nostro obiettivo. Fra le pagine di questo libro c’è la voglia di affrontare con sarcasmo e spirito la vita quotidiana di chi non è né un’eroina né un modello da seguire. La protagonista è una di noi, insomma, con tutti i difetti che ci trasciniamo dietro. Una storia piacevole dove si ritrovano le situazioni alla Bridget Jones e si possono leggere email come nel ben libro di Cecilia Ahern “Scrivimi ancora”.
Molto interessante lo scambio epistolare tramite email fra Allegra e Richard. In un’epoca in cui il primo approccio avviene con i social questo non appare strano, ma diventa particolare quando si leggono i messaggi che si scambiano al solo scopo di conoscersi. Oggi si va di fretta, non si ricorda più la bellezza di leggere una lettera che impiegava anche settimane prima di giungere a destinazione. Nello scambio di email fra Allegra e Richard c’è la stessa magia che io ricordo quando ancora si usava la carta e l’inchiostro per comunicare con chi stava lontano.

“Tutte le donne sono sempre in dieta.”

L’autrice, Tiziana Irosa, attraverso una scrittura ironica e incalzante, racconta la fragilità della maggior parte delle donne. Sono poche coloro che sono soddisfatte di quello che vedono allo specchio: c’è chi vorrebbe i capelli lisci, chi un naso meno appariscente, chi lotta con i chili di troppo. La nostra società, in maniera subdola, impone standard estetici che rendono insicure anche persone che, come Allegra, sono già splendide così. Vogliamo tutti qualcosa che ci metta in pace con la nostra parte più intima, quella che vuole farsi accettare prima di accettarsi. Chi ha stabilito che magro è bello, che le bionde sono stupide, che l’altezza è mezza bellezza? Sempre noi, ma siamo sordi alla verità che dovremmo fare nostra: bisogna amarsi di più, con i difetti annessi.

“Perché la felicità è dentro di noi, bisogna cercarla in mezzo al mucchio di cose accatastate nella soffitta del nostro cervello.”

Troverete il libro, sia in formato cartaceo che ebook, su Amazon:
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“Volevo i pantaloni” di Lara Cardella

“E, in un certo senso, questo è il lato umano della mia gente: sicuramente non hai la libertà di agire, ma non hai neppure la libertà e il diritto di crepare da solo.”


Sicilia. Anna, appena quindicenne, sembra essere fuori dal coro rispetto alle sue coetanee, che sognano il principe azzurro. Lei vuole i pantaloni, e non solo nel senso astratto che può avere questo desiderio. Vorrebbe davvero indossare quel capo di abbigliamento di prerogativa prettamente maschile o al più delle “puttane”.

La sua non è una vita semplice.
Vive in un contesto, non solo familiare, dove la donna non ha molta libertà, dove ogni mossa è studiata dal vicinato per essere argomento di pettegolezzo, dove ogni passo falso ti disonora. Anna non gode di nessuna considerazione nella propria famiglia e perde quel poco che ha quando, decisa a voler trasgredire per arrivare ai tanto agognati pantaloni, inizia a frequentare Angelina. Una scelta che le farà perdere l’ultimo rimasuglio di libertà di cui dispone e che la porterà a dover affrontare un vecchio timore che a che fare con uno zio e la sua dubbia moralità.

"Volevo i pantaloni" di Lara Cardella

“Volevo i pantaloni” di Lara Cardella

Volevo i pantaloni“, di Lara Cardella, è un libro che ho conosciuto solo dopo aver visto, anni fa, il film interpretato da Giulia Fossà, per la regia di Maurizio Ponzi. Ero giovanissima all’epoca, ma mi colpì la storia che c’era dietro a quel desiderio che io non capivo, perché indossavo i pantaloni come tante altre coetanee senza vederci nulla di straordinario. Ci sono voluti anni per capire davvero bene il significato della storia, quel bisogno di essere uguali agli uomini a partire dalle cose semplice.
Tutto il racconto della Cardella è incentrata sul divario che c’è fra le donne e gli uomini nel suo paese, dove basta essere il primogenito, maschio per giunta, per usufruire di privilegi che gli altri fratelli non avranno mai.
Una mentalità non solo da imputare a certi luoghi e a certe epoche, perché la si ritrovava ovunque fino a vent’anni fa nei piccoli centri, dove tutti conoscono tutti, dove l’onore si misura attraverso le chiacchiere che la gente ti tira addosso.

Questo romanzo, parzialmente biografico, affronta temi delicati come l’adolescenza, l’amore, la famiglia, ma esplora anche altri argomenti di cui in passato si cercava di sorvolare, accettati come normalità. Anna, la protagonista, ci racconta la violenza fra le mura domestiche, la mancata libertà delle donne, i taciti consensi su situazioni sessuali che oggi nessuno accetterebbe. Il tutto affrontato con la semplicità di una mente intelligente che non abusa di descrizioni inutili, che fa parlare la storia attraverso la verità che sta dietro alla finzione.

Perché portare i pantaloni è un’ideale a cui non tutte le donne non sono giunte, perse fra le violenze di una mentalità maschilista che le voleva mute e obbedienti.

Da leggere assolutamente.

“Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa

WhatsApp Image 2019-10-17 at 11.57.54“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.”

È il 1860, siamo nella bella Sicilia che accoglie, seppur non unanime, lo sbarco dei famosi “mille” guidati da Garibaldi. Questo è il clima con cui si apre uno dei libri divenuti capolavori nello scenario della letteratura italiana: “Il Gattopardo“, di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

Protagonista indiscusso di queste pagine, don Fabrizio, principe di Salina, l’ultimo fiero baluardo della casata di cui il Gattopardo è il simbolo. Un animale fiero, bellissimo, regale, destinato a essere travolto dall’ondata di modernità che l’unità porta con sé, nella scia di cambiamenti che devono avvenire, come profetizza l’amato nipote Tancredi, affinché nulla cambi.

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Stemma di famiglia dei Tomasi

“Noi fummo i gattopardi, i leoni. Chi ci sostituirà saranno gli sciacalli, le iene. E tutti quanti, gattopardi, leoni, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra.”

E don Fabrizio si piega al nuovo regime per conservare ciò che è, uomo di mondo amante della matematica e delle stelle, amante di ciò che è radicato nelle viscere di quella terra che tanto dominatori stanno portando via alla sua gente. Protagonista, ma anche spettatore della vita altrui, del nascere della relazione fra suo nipote e la bella Angelica: un’unione passionale, ma giusta, che unisce ciò che è tradizione e ciò che è modernità. Sullo sfondo, personaggi minori, ma non meno importanti. Come padre Pirrone, la coscienza religiosa, per certi versi, del principe; l’ingenua moglie Maria Stella, quasi chiusa in un mondo effimero che ruota intorno al marito; e infine Concetta, la figlia che incarna il vero carattere dei Salina, colei che pur amando Tancredi sarà messa da parte sia dalle scelte passionali del giovane sia dai calcoli del padre.

Un libro, questo, che racconta una coralità vista dagli occhi di un principe che non vorrebbe vivere proprio in quegli anni di cambiamento, che vorrebbe che nulla cambiasse ma che si deve piegare per sopravvivere. Don Fabrizio è il cuore del libro, il suo sguardo si posa su ciò che umile e ciò che è nobile con lo stesso amore, con la stessa forza. È lui l’ultimo vero Gattopardo e ne è amaramente consapevole:

“Il significato di un casato nobile è tutto nelle tradizioni, nei ricordi vitali; e lui era l’ultimo a possedere dei ricordi inconsueti, distinti da quelli delle altre famiglie”

Giuseppe Tomasi di Lampedusa ci regala uno scorcio di Sicilia sublime, intatta, vera. Una Terra che vorrebbe dormire, dice il principe Fabrizio, un popolo fiero che pensa di essere simile agli Dei. I personaggi che popolano o si affacciano fra queste pagine sono lontani dall’essere perfetti, dall’essere esempi di virtù. Il lettore però li può ammirare, può scorgere nelle imperfezioni delle persone vere, gli ultimi attori di un mondo che sta cambiando.

Nel 1963 Luchino Visconti ci regalerà il film tratto dal libro, con attori come Burt Lancaster, Claudia Cardinale e Alain Delon: un lavoro superbo, che ha fatto sognare intere generazioni.Locandina-il-gattopardo

Un libro, quindi, che parla della guerra ma vista da lontano, che glorifica anche l’amore opportunista ai danni di quello genuino; un racconto che mette l’accento su questioni legate all’appartenenza a una terra fiera e bella qual è la Sicilia. Pagine che parlano anche del rimpianto, delle scelte sbagliate che cambiano le esistenze: tutto sotto lo stemma araldico di un felino che, regale, guarda il mondo con la stessa fierezza che aveva reso grandi i Salina.