Come ho tolto il pannolino alle mie bimbe

In questo caso devo ringraziare anche mia madre, che mi ha suggerito fin dalla prima figlia come iniziare, in aggiunta al ricordo di come faceva lei con mia sorella, che è una di quelle immagini che servono proprio ad imparare e poi simulare quando diventiamo a nostra volta genitori.

Sostanzialmente con tutte e tre le bambine, appena loro stesse hanno iniziato a stare sedute senza vacillare, ho iniziato a proporre il vasino ad ogni cambio di pannolino. Proprio perché ci imitano quando li mettiamo a tavola con noi verso i 6 mesi, acquisendo capacità nel prendersi il cibo da soli, scegliendolo e capendo pian piano che quella è l’ora dei pasti, allo stesso modo ho pensato che proporre il vasino di punto in bianco a 2 anni o più potrebbe essere traumatico o spaventoso (“cos’è sto coso mai visto?” potrebbero chiedersi).

Invece far prendere confidenza con vasino e più avanti, verso i 12/18 mesi, con riduttore e wc fin da piccolissimi, partendo dal semplice stare seduti con un gioco in mano (magari un piccolo libro che li attrae particolarmente e che viene lasciato appositamente in bagno per quella occasione) passando alla pipì fatta per caso perché scappava o hanno sentito freddo, può far cominciare tutto con semplicità, senza paure, senza imposizioni.

E poi c’è la componente psicologica: io le ho sempre lodate (senza arrivare al regalo materiale vero e proprio) quando facevano, anche per caso, la pipì nel vasino o quando trovavo il pannolino asciutto… e poi tanti baci e abbracci confortanti, mentre, quando più avanti eravamo in fase di “spannolinamento”, in caso di pozza sul pavimento facevo finta di nulla, rassicurandole che non fosse accaduto nulla di grave ed incentivandole a ricordarsi di chiamare.

Ed è andata proprio così: Sophia ogni mattina faceva tutti i suoi bisogni quasi come un orologio e lo stesso praticamente dopo ogni nanna e molte altre volte, finché verso i 2 anni decisi di toglierle il pannolino completamente, guardando l’orologio la portavamo al bagno (ovviamente era d’accordo anche mia madre che la teneva quando lavoravo) ogni ora/ora e mezza, pochissimi incidenti di percorso, tempo qualche giorno iniziò lei a chiamare quando le scappava la pipì.

Di notte aspettai ancora un paio di mesi, per giugno le avevo tolto anche quello perché ormai aveva capito e il suo corpo era maturato in quel senso.

Con Elettra fu addirittura più semplice se vogliamo: già verso l’anno quando aveva iniziato a camminare, veniva da me facendomi vedere che stava spingendo per fare pupù, perché utilizzando i pannolini lavabili, che al contrario degli U&G non lasciano molto spazio tra culetto e pannolino, aveva intuito che era più pratico farla comodamente sul vasino!

Verso i 19 mesi, colsi l’occasione di un week end lungo per il ponte dell’8 Dicembre e, nonostante un paio di giorni trascorsi da amici, da cui mi portai qualche cambio in più, al rientro al lavoro la riportai da mia madre senza pannolino: stesso sistema, controllare l’ora e tenere un gioco interessante in bagno… così interessante che avevo il problema contrario, cioè farla alzare dal vasino e portarla via!

Di notte con Elettra continuai a lasciare i lavabili e a tratti anche gli U&G perché poppava ancora molto al seno e non riusciva a controllare la tenuta, oltre a dormire sempre prona, bagnando quindi il pannolino solo dalla stessa parte e causando fuoriuscite su tutto l’addome e nel lettino (o addosso a me!).

Nonostante siano sorelle, Diamante si comportò ancora diversamente: non per merito suo, ma perché natura vuole, lei ha smesso di bagnare il pannolino di notte già prima dell’anno di età (sebbene anche lei ciucciasse ancora molto!), quindi al mattino tutta contenta faceva la sua pipì nel vasino, mentre per il resto della giornata sia io che mia madre abbiamo continuato come per le sorelle a sedercela ad ogni cambio (ogni 3 ore circa), finché molto prima di loro, a 17 mesi, ha iniziato da sola a chiamare “pipì!” (e pensare che fino a 15 giorni prima la vedevo molto più indietro della sorella Elettra in questo senso! Bambini che ci stupiscono…).

Camminare a 15 mesi e mezzo e togliere il pannolino a 17 ha quasi dell’incredibile, ma ho colto la palla al balzo e in una settimana era senza, anche lei con pochissimi incidenti di percorso.

Durante la notte, solo per evitare la rara eventualità che si/mi bagnasse, le ho lasciato un pannolino lavabile ancora qualche mese, ma credo di averlo tolto sempre asciutto, finché mi sono decisa a fidarmi e a lasciarla finalmente libera.

Ricordiamoci comunque che l’enuresi notturna è soggettiva, nonché ereditaria e assolutamente normale fino a 5/6 anni (in alcuni casi anche oltre), quindi non è detto che togliere il pannolino di giorno sia sinonimo di maturazione completa renale, vescicale e ormonale, tali da poterlo togliere anche di notte.

E anche stavolta spero di avervi dato qualche consiglio pratico utile.

Capelli ricci fai da te!

Avevo circa 11 anni quando chiesi per la prima volta a mia madre di farmi fare un sostegno ai capelli (la cosiddetta permanente) per averli mossi. Se ci penso adesso mi viene la pelle d’oca, tanto si sentiva all’epoca l’odore di ammoniaca nell’aria, quando li lavavo…

Ma non c’era niente da fare, ero fissata con i capelli ricci, forse perché mia madre e mia sorella hanno questa fortuna e a me invece la natura non ha regalato neanche una mezza onda.

Poi una sera, forse proprio mentre chiedevo a mia madre di inventarsi qualcosa per farmi qualche boccolo, salì la vicina di casa e mi svelò il segreto…

Basta procurarsi uno o più stracci di circa 50×50 cm, tagliarlo a strisce alte 4 dita e lunghe come il tessuto stesso (io per comodità ho sempre usato un telo di cotone/lino ricavato da vecchie lenzuola perché basta inciderlo e poi strappare), ricavando almeno una quindicina di strisce e armarsi di qualche minuto di pazienza.

Più la chioma è folta e più si vogliono ricci piccoli e fitti e più strisce serviranno (a me invece per esempio ne bastano 5/6).

Si parte prendendo una ciocca di capelli, la si tampona con una mano semplicemente umida, si arrotola la fettuccia di stoffa partendo dal fondo come fosse un bigodino e poi una volta arrivati al cuoio capelluto si legano le estremità facendo un semplice nodo, non troppo stretto per poterlo slegare facilmente.

Immagine 028a
Cresima di Sophia, boccoli sempre fatti in casa!

 

 

 

 

 

 

Una volta completata l’operazione su tutta la testa, si inumidiscono ancora un po’ le “corna” ottenute con le dita umide e si va a dormire: non è affatto scomodo, non è come avere in testa i bigodini!

Sono necessarie parecchie ore affinché i capelli asciugando prendano bene  la piega, quindi è necessario doverlo fare da sera a mattina, o da mattina a sera, se ad esempio volete avere i boccoli appena fatti, belli corposi e gonfi il sabato sera.

Non fatelo mai con i capelli completamente bagnati dopo la doccia, perché non asciugheranno e non prenderanno alcuna forma. Invece se in casa avete un casco da parrucchiera potrete usarlo per accelerare l’operazione di asciugatura e messa in piega, anche se consiglio di non utilizzarlo di frequente perché i capelli ne risentono.

Soprattutto se avete capelli molto lisci e scivolosi, durante la fase di preparazione potete inumidire le ciocche con schiuma per capelli o lacca, puri o con le mani umide, per ottenere ricci più definiti e per un effetto che dura più a lungo e se alla base avete ancora qualche residuo di sostegno fatto in precedenza, il risultato finale sarà certamente ottimizzato.

Al contrario vi suggerisco di evitare il lavoro o non aspettarvi una lunga tenuta del capello mosso in caso di giornate piovose ed umide, perché il capello tenderà subito ad ammosciarsi.

Che dire, ho sposato la filosofia del “bebè a costo zero” e non posso che seguire lo stesso stile di vita per una “mamma a costo zero”, soprattutto se il risultato è a mio parere eccezionale e mi permette anche di guadagnare tempo, quando è già abbastanza difficile far conciliare i bisogni e gli impegni di 5 componenti!

Fatemi sapere come vi siete trovate con questo nuovo modo di farvi il look da sole… e naturalmente alle vostre fanciulle!

27067347_10204669800141809_538504558667966440_n

Come nascono le mie fasce porta bebè… e il loro nome

Come ho già accennato nel mio presente articolo “Mi sono reinventata” non è stato facile trovare il tessuto a trama diagonale e l’investimento iniziale per le fasce porta bebè non è stato nemmeno dei più irrisori, per le mie tasche insomma.

Vorrei però spiegare, soprattutto dopo che qualcuno mi ha detto che le fasce non le faccio io, come nasce davvero una fascia porta bebè artigianale, quale lavoro c’è dietro a quello che sembra solo un lungo pezzo di stoffa.

Intanto mi sono arrivati rotoli da 11 metri, grossi e pesanti con cui ho praticamente invaso la cucina. Man mano che ho potuto in termini di tempo, li ho srotolati e lavati a 30/40°, con detersivo ecologico e senza ammorbidente, tenendo presente che in lavatrice ce ne sono stati non più di 2 per volta (ne avevo 16!).

Poi ho steso il tessuto, che nel frattempo si è ristretto di circa un 8% e una volta asciutto mi sono fatta aiutare a piegarlo per fare una pila ordinata.

C’è anche da dire che già in precedenza avevo fatto un po’ di calcoli per capire quanti metri di stoffa ordinare, in quanto, in base alla misura e poi al successivo restringimento del cotone, dovevo capire se ci sarebbe stato dello spreco o se sarei riuscita a sfruttare al meglio tutta la metratura: ho deciso per gli 11 metri per colore perché dopo il lavaggio sarebbero rimasti circa 10 metri e 20 centimetri, con cui posso fare 2 taglie 6 oppure una 7 e una 5 e così via.

Si arriva quindi al momento del taglio in base alla misura della fascia che si vuole realizzare, abbastanza semplice e veloce, con le 2 estremità in diagonale, per aiutarsi poi a legare meglio la fascia.

Lunghissimo invece il lavoro di imbastitura a mano, girando l’orlo 2 volte, affinché risulti bello anche il rovescio della fascia (in quanto è bello anche il colore al rovescio!).

Infine si passa alla macchina da cucire, con filo del colore necessario e cucitura anche delle etichette.

Se poi ci scappa anche un ricamo? Ebbene, intanto devo cercare un disegno che mi colpisca e finora ho cercato solo soggetti che rappresentassero una coppia come madre-figlio o qualcosa di significativo per me, perché la fascia crea essenzialmente un duo che si ama e poi magari ci sta bene anche una scritta che sottolinei questo legame. Dopo di che il disegno deve essere ricalcato sulla carta velina con apposito pennarello e poi stirato sulla fascia, per avere la traccia da seguire con il filo.

La fase di ricamo è piuttosto lunga, si parla anche di 10 ore di lavoro, a seconda del soggetto e/o della difficoltà (che si traduce in quante sono le parti più piccole e la quantità dei colori da alternare) e infatti diciamo che nel vendere poi la fascia questa parte di lavoro non viene mai del tutto ripagata, ma mi appaga l’anima farlo e sapere che sarà solo per quella mamma e quel bambino, un pezzo unico mai più riprodotto (ho deciso questa filosofia al momento della realizzazione del sito).

22491967_1959218124403793_3864861583958400296_n

Terminato il ricamo la fascia deve essere nuovamente lavata per cancellare la base del disegno e poi naturalmente stirata.

La confezione non è sempre richiesta, a chi la vuole però preparo un pacchetto con scatola e fiocco in lana, allegando all’interno la stampa delle istruzioni di lavaggio e di sicurezza, più la prima legatura da fare alla nascita (anche se non è l’unica), cioè il triplo sostegno.

Poi ci sono i nomi che ho dato alle fasce: al momento dell’ordine di disegni e colori alla tessitura, ho pensato che come tutte le più note ditte produttrici dovevo dare un nome ad ogni linea e così ho avuto l’idea di associarle ad un nome di donna (perché la fascia è femmina) nonché  personaggio di fantasia di film o cartoni animati, visto il mio amore per il fantasy.

Così, in base al disegno che riportano, sono nate Pearl (la bambina del libro/film “la lettera scarlatta”), Coral (la mamma di Nemo), Ariel (la sirenetta), Minou (la gattina degli Aristogatti) e Morla (la tartaruga de “la storia infinita”) e a breve ci sarà un nuovo arrivo… ma non vi voglio ancora svelare come si chiamerà, altrimenti capirete anche quale sarà il disegno del tessuto…

20170302_154625

Dopo tutto ciò forse avrete capito che in fin dei conti non posseggo una tessitura (che bello sarebbe!) ma le fasce le faccio io… che ne dite? Ci metto testa, cuore, ho sempre qualcosa che mi frulla in testa… direi che è una cosa che mi appassiona davvero tanto.

Venite a trovare i miei lavori sul mio sito www.fascebebeelfadelphia.com e ricordatevi quanto amore e tempo ci va per farvi avvolgere da una fascia di Elfa Delphia!

Lode ai genitori dei bambini che vanno a scuola

Oggi ero stranamente in anticipo, portando Elettra a scuola, grazie a Diamante che ultimamente si sta svegliando con me alle 6.40 e non fa storie per vestirsi o altro. Ho trovato il tempo (5 minuti eh… ma per me è tutto grasso che cola!) di parcheggiare, scendere dalla macchina, entrare al volo in cartoleria per dei fogli con i buchi a quadretti grandi (perché per “rendere tutto più semplice” alla maestra non vano bene i quadretti piccoli che Elettra aveva già) e di accompagnare Elettra davanti a scuola… e davanti a scuola ho osservato e pensato.

Come si può non lodare quei genitori che tutte le mattine parcheggiano anche sugli alberi pur di scendere per accompagnare i figli davanti al portone, o attraversano la strada con 2 zaini a spalle e 2 bambini di prima elementare per mano, che sennò dovrebbero portare una cartella più grande di loro.

Come si può non lodare chi deve chiedere permessi o trovare soluzioni alternative costose e fuori mano quando ci sono scioperi o i bambini stanno male.

E poi ci sono quelle mamme e quei papà che hanno anche un piccolino da portare all’asilo e come me fanno il giro del mondo per portare prima uno e poi l’altro e devono trafficare con il seggiolino della macchina per farlo salire e scendere, magari con il freddo e sotto la pioggia, con l’ombrello che vola via e lo zaino del più grande che si bagna.

Senza contare chi fa i turni, papà al mattino e mamma al pomeriggio, perché non ha nessuno che recuperi i figli a scuola e quindi non si vedono mai, a malapena si dicono due parole prima di dormire, eppure magari di figli ne hanno fatti anche più di uno.

Poi c’è chi come me fa fare tutti i compiti nel fine settimana, perché la sera con il dopo-scuola si arriva alle 17.30/18.00 o anche più tardi. E i bambini sono stanchi, hanno bisogno di staccare, di giocare, non di rimettersi subito sui libri (al limite solo ripassare), ma in ogni caso anche così se ne vanno intere mattine del weed end o anche tutto il sabato per avere l’intera domenica libera.

Lode a chi ha scelto di stare a casa dal lavoro per seguire i bambini perché non ha aiuti e poi fa sacrifici di ogni genere per la loro felicità e magari non può permettersi di mangiare la pizza al ristorante neanche una volta al mese.

Lode a quei genitori che, nonostante lavorino, riescono a trovare il tempo di star dietro al dopo-scuola: contabilità, organizzazione delle feste di Halloween o di Carnevale, pagamenti, merende fatte in casa, pulizie.

Come si può non lodare quelle mamme che la sera tornano dal turno delle 22 e, come faceva la mia, mettono ancora sul fuoco l’arrosto per domani (che poi qualche volta si è bruciato e ha affumicato la casa perché mia madre si addormentava stremata sul divano), per dare il pranzo al figlio che va alle scuole medie, o al marito che torna dal lavoro e poi stirano o controllano lo zaino dei piccoli, ci infilano la merenda, l’asciugamano pulito, preparano il cambio di vestiti per  l’indomani per tutti e poi finalmente, chissà a che ora, vanno a letto.

Sono vite dure, vite sempre di corsa, sempre con qualcosa in mente da fare o che mannaggia abbiamo dimenticato di fare, sono notti con tanti risvegli, serate col mal di testa, giornate lunghe e piene e senza sosta… ma ne vale certamente la pena, per loro, per i loro sorrisi, per le loro aspettative, per la loro voglia di fare, per la loro vivacità e voracità a tavola, per i nostri piccoli grandi bambini.

Buona vita cari genitori, siate orgogliosi di voi.

E le borse con i vecchi jeans?

Da tempo lo volevo fare… adesso che ho la macchina da cucire mi sono lanciata.

Non è difficile, ci vuole un po’ di fantasia, qualche jeans che non si indossa più, delle stoffe nuove o sempre di riciclo per effettuare fodera e decorazioni varie e via libera alla creatività.

Ci sono anche diversi video su youtube che possono aiutare a dare un input per iniziare la creazione, partendo dalla vita o dalle gambe dei pantaloni, usando un solo paio o di più per prendere colorazioni diverse.

Partendo dalla vita si tagliano le gambe, si scuce il cavallo e poi si cuce una parte sull’altra per non avere il rigonfiamento, poi nel triangolo che resta tra le gambe si aggiunge un pezzo di jeans o di altra stoffa a piacere, sia davanti che dietro.

Si cuce il fondo, si fa un manico lungo o 2 corti e poi si fodera a piacere: io ho scelto di cucire la fodera a mano con un punto largo e con filo da ricamo che è molto robusto, in modo da non far vedere alcuna cucitura all’esterno della borsa e di arricchire a piacere con calzini che diventano tasche, tasche interne, fiori di stoffa, pizzi, bottoni, tessuto delle fasce porta bebè a mio piacimento.

25443200_1995435327448739_5587443981318792500_n

La cosa che più mi diverte è che non ho mai un vero progetto già in testa, parto da un jeans, scelgo una stoffa che ho già acquistato in precedenza che si abbini bene per la fodera e altri particolari e poi parto a tagliare e cucire e man mano che procedo mi vengono in mente i dettagli da aggiungere, le varianti sulla forma, sulla chiusura, le decorazioni, per cui ogni volta il risultato finale è una sorpresa anche per me ed è è ovviamente un pezzo unico nel suo genere.

Questa passione per il cucito non so sinceramente come sia saltata fuori, visto che in passato anche un solo calzino da rammendare vagava per la casa mesi e mesi prima di essere… gettato via! Diciamo che la possibilità di creare e dar spazio alla mia fantasia è molto più soddisfacente di un buco in un calzino e credo che la mia nonna sarebbe stata molto fiera di me. Spesso mentre taglio e cucio sento il suono delle sue parole nelle orecchie, come a correggermi quando sto per fare una piccola imperfezione, come a darmi le dritte giuste per ottenere un lavoro più curato e più carino.

Buttatevi anche voi nel cucito creativo… essere artigiani è dare un valore aggiunto alle cose create, lo diceva Francesco D’Assisi:

Chi lavora con le mani è un operaio, chi lavora con le mani e la testa è un artigiano, chi lavora con le mani, la testa e il cuore è un artista.