#9#

L’asfalto scivolava veloce sotto l’auto. Era quasi l’imbrunire ed ero stanca di guidare. Ci voleva una pausa, e decisi di fermarmi all’autogrill. Imboccai l’uscita rallentando e parcheggiai di fronte al bar. Scesi e con il telecomando chiusi la macchina e la capote. Di fianco alla mia auto, c’era un ragazzo seduto in macchina con il cellulare in mano. Guardò l’auto e poi me, che stavo salendo le scale. Entrai. Ordinai un panino e una bottiglietta di acqua frizzante. Uscii. L’aria si era fatta più fresca. Aprii l’auto e la capote. Mi sedetti al volante. Di fianco Il tizio era ancora al cellulare e sentivo l’ultima canzone di Mengoni che si diffondeva nell’abitacolo a volume non troppo alto. Accesi la radio e cercai la stazione. La trovai quasi subito. “Ma stasera corri forte e ti vedo appena e per raggiungerti dovrò lasciarti andare”, cantava. “Bella, vero?” Feci cenno di si, mentre mangiavo il panino. Alzò il volume. Io lo seguii. Poi ridemmo. Sembrava un concerto.  E anche se ti ho cercato come un’illusione perfetta, vengo verso di te questa notte vorrei fosse eterna.” Il testo scivolava con  un ritmo veloce e ipnotico. Bevvi un sorso d’acqua. Ascoltai tutta la canzone e poi misi in moto. Il panino non lo finii tutto e lo lasciai sul sedile a fianco. Il tizio mi guardò “scappi già?” Gli sorrisi e feci retromarcia. Lasciai il parcheggio immettendomi nel flusso veloce dell’autostrada. Volevo raggiungere il mare prima che fosse buio. E di nuovo corsia di sorpasso. Ma l’autostrada era quasi deserta. Poi all’improvviso gli abbaglianti chiesero strada. Accellerai. Stessa scena.  Mollai l’accelleratore e cambiai corsia. La macchina si accostò. Lo riconobbi.  Era il tizio dell’autogrill. Mi fece il segno del telefono e con le mani indicò dei numeri. Le digitai sul display dell’auto. Due squilli. Rispose. E nel frattempo aveva accellerato. Io cambiai corsia e mi misi dietro di lui. Bella voce. Chiusi la capote per sentirla meglio. “Ma quanto corri?” Mi chiese ridendo. “Troppo poco” gli risposi. E ridemmo insieme. Ci presentammo. Volle sapere dove andavo. “Al mare” gli risposi. “Peccato, io uscirò prima.” Parlammo per tutto il tragitto, e non smettemmo nemmeno quando lui uscì dall’autostrada. “Non correre troppo”, mi disse “si sta facendo buio”, “tranquillo, ora non serve più.” Parlammo ancora fino a quando lui non arrivò a destinazione. Ci salutammo e lui mi disse “ho il tuo numero”, “e io il tuo”. Silenzio. “Buona serata” tono basso e dolce.  “Anche a te”. Chiusi la conversazione per non sentire troppo la mancanza di quel diversivo. Venti minuti dopo arrivai al mare. Parcheggiai. Era buio. Ma scesi lo stesso in spiaggia. Tolsi le scarpe. La sabbia era fredda sotto i piedi. Inspirai a pieni polmoni. Ero arrivata. Ora dovevo solo pensare a me. Stavo quasi per lasciare la spiaggia, quando sentii una voce alle mie spalle. “È pericoloso stare qui da sola.” Riconobbi la voce. Mi girai e sorrisi. “Ma come hai fatto?” Gli chiesi stupita. “Facile. Ho la macchina più veloce della tua. E ho chiesto in giro se avevano visto una macchina nera, sportiva, con una fanciulla a bordo.” Scossi la testa. E Mengoni canta ancora nella mia testa “e per raggiungerti dovrò lasciarti andare.”

Ha ragione.

Come sempre.

 

 

#8#

Chi ha asserito che,  quando ci si sente depressi, bisogna farsi un bel regalo, ha detto una grande verità. Fu ciò che feci quando quello stronzo del mio ex mi lasciò per una cavallona bionda sua collega di lavoro. Dopo le prime settimane di dolore  e sgomento, decisi di farmi un regalo. Ma niente diamanti. Troppo scontato. Un’auto. “Nera. Sportiva. Cabrio. Superaccessoriata. Interni blu”. Fu quello che gli dissi al venditore quel sabato pomeriggio. Lui spalancò gli occhi. Probabilmente gli sembrava strano che una donna potesse fare una richiesta simile. Ma fui irremovibile. E due settimane dopo andai a ritirarla. Passai la mano sulla carrozzeria lucente. Lui parlava e io nemmeno ascoltavo. Al sole di giugno era uno spettacolo. Mi disse “mi raccomando stia attenta, è piuttosto veloce”, con quel sorrisino ebete a cui ricambiai con un arrogante “è proprio quello che voglio.” Poi salii in macchina. Feci scendere la capote, allacciai la cintura e mi diressi verso la casa dello stronzo. Citofonai, scese al volo. Io ero seduta in macchina, con una gamba fuori. Aveva l’aria scocciata, poi guardò l’auto. “È tua?” Tono indagatore e vagamente sorpreso. “Certo” risposi con aria di sufficienza. Presi le chiavi di casa e gliele lanciai senza scomodarmi a scendere. Rimbalzarono sul suo petto e caddero sull’asfalto. Risi scuotendo la testa. Feci manovra, lasciandomelo alle spalle e lo salutai con il braccio alzato guardandolo dallo specchietto.  Mi diressi verso l’autostrada. Volevo andare al mare. Pigiai sull’acceleratore. Eh si. Era piuttosto veloce. E sorrisi. Occhiali da sole e musica a tutto volume. In corsia di sorpasso. Libera. E i lampeggianti per farmi strada. E quelli che sorpassavo che mi guardavano, mentre io giravo appena lo sguardo. E le chitarre elettriche che mi rimbombavano dentro, caricandomi di adrenalina.

Libera.

 

Continua