#6#


Vidi quelle rose nella vetrina di quel fiorista in centro. Erano rosso vermiglio. Come le tue labbra. Mi chiesi se potesse risultare “strano” che una donna regalasse dei fiori ad un uomo. Mi avevi invitato a cena a casa tua e volevo sorprenderti. Portarti una bottiglia di vino o dei dolci mi sembrava banale e scontato. Poi sicuramente ci avevi già pensato tu, non lasciavi mai niente al caso: il menù, la musica, l’atmosfera.Tutto era calcolato nei minimi dettagli. La commessa mi chiese se erano per mia madre. “No”, risposi “sono per una persona speciale.” Lei sorrise. Non sono sicura avesse capito. Ma non m’importava. Già mi immaginavo il mazzo che campeggiava sul tavolo del salone, tu che sorseggiavi il caffè del mattino e te lo rimiravi appoggiato alla cucina, vestito di tutto punto per andare in ufficio, con un sorriso beato sulle labbra. Ti pensai per tutto il tragitto in macchina, con le rose sul sedile accanto come un muto (e profumato) passeggero. Quando arrivai davanti alla tua porta e mi hai aperto, avevi lo stupore stampato sul viso. Lo sentivo nell’aria, anche dietro a quel mazzo di rose rosse dietro cui mi nascondevo.

 

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#5#

“Sai di inferno e zucchero filato”, mi dicesti un giorno.

Io sorrisi sapendo benissimo cosa intendevi.

Non ero mai stata una Donna facile, una di quelle che compri con due paroline dolci o qualche complimento buttato là, giusto per far colpo.

Io voglio di più. Voglio vedere quanto realmente sei in grado di metterti in gioco per me.

Vederti con il “fiatone” e  poi dire “ne è valsa la pena”.

Ma ti sei fermato poco dopo la linea di partenza.

Eri così “dolce”, mentre cercavi di giustificare le tue assenze, io cosi “falsa”, da far finta di crederci.

E abbiamo finito per guardare in due direzioni diverse.

Tu, verso una facile conquista.

Io, verso me stessa.

Finalmente.

 

 

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#4#

Lo sapevamo di non essere come gli altri.
Forse perché la vita era stata poco generosa con entrambi, e avevamo quella fame di leggerezza che ci divorava nel profondo.
Ci eravamo riconosciuti fin dal primo sguardo: io ti guardai e risi, tu finsi di essere offeso. Ma durò un istante.
Quando ti diedi il mio numero, lo salvasti con il mio nome, dopo una settimana l’avevi già cambiato con “smorfiosa”, il tuo era sempre rimasto “stronzetto”, come a sancire che noi non eravamo noiosamente uguali agli altri, che vanno in giro mano nella mano a chiamarsi “amore”, in un loop anonimo e continuo.
Eravamo diversi. In tutto.
Poche smancerie e mai in pubblico.
Perché dovevamo essere solo io e te.

Agli altri non doveva importare ciò che eravamo l’uno per l’altro.

Bastava che lo sapessimo noi di essere speciali e felici.

 

 

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