Critical review: Impulsi sinestetici liberi GRAND TOUR
Di Barbara Augenti Impulsi sinestetici liberi Grand Tour di Francesco Cervelli Olio su cartone 50×70; in Sala 6 Serie “Versus” di Francesco Cervelli (1993), Olio su tela.
Grand Tour. La scala che rende possibile la continuità dell’esistenza in un’ascesa discendente è la progressiva, ineluttabile evasione dalla realtà ma anche un elevamento verso l’altrove, un’apertura verso l’onnipotenza del sogno in quel gioco disinteressato del pensiero che André Breton sosteneva liquidasse definitivamente tutti gli altri meccanismi. E così, il Grand Tour di Francesco Cervelli è -proprio come esprime il titolo della sua opera – un’immersione di durata indefinita, destinata a perfezionare il sapere con una partenza ed un arrivo nel medesimo luogo. Ed ecco perché è impossibile da evitare l’associazione con Persefone ed i suoi esili dal mondo e dagli inferi, perché questo viaggio che si descrive con la stessa severa, seppure tenue, evanescenza di un Magritte, nell’accostare rigorose austerità a luminosità impalpabili come polvere di sogni caduti direttamente dal banchetto della mente e dello spirito, nella sua staticità in movimento e nel dinamismo amaramente immobile è un passaggio in atto. Ed è un passaggio accompagnato dalle note di uno scroscio di cascate emotive dai toni freddamente lievi e dolcemente gelidi, solidificati. Quest’opera narra l’instancabile transito da un piano all’altro dell’esistenza, cadenzato dalla voce della fuga e dal calore di un rifugio ripiegato in noi stessi, con la fredda luce estraniante d’una angoscia già caduta e con il raccoglimento di toni pastellati di levità giovane, innamorata della speranza del proprio futuro. L’elemento acqua, poi, è una presenza protettiva, diffusa e pervadente dell’intero contesto, quasi una chiave d’accesso inaspettata e costante che consente di sovvertire le logiche fisiche dello spazio e del tempo, avvertendosi nelle sue mutabili forme come dominio ancestrale e profetico che regge l’esistenza tutta. E se il viaggio di Cervelli in questo “Gran Tour” dovesse essere introdotto da un suo personale Virgilio potrebbe, forse, avere la voce di un Pascoli che si sente finalmente liberato dall’affanno dei viventi nella prospettiva di una vita nuova, serenamente indefinita ed appena visibile, seppure comunque certa. Proprio come lo specchio celeste d’acqua – forse lago, forse portale o magari entrambi – che sussurra defilato, in primissimo piano nella scena, come una fede pacata e solo in parte evidenziata; ma che, in definitiva, non ci racconta altro se non l’ultimo sogno dell’uomo.
BARBARA AUGENTI
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