Imprigionando Albertine

Proprio perché l’avevo vista come un uccello misterioso, poi come una grande attrice della spiaggia, desiderata, forse ottenuta, Albertine mi era parsa meravigliosa. Una volta ridotto in cattività, nella mia casa, l’uccello che una sera avevo visto avanzare a passi misurati lungo la diga, circondato dalla congregazione delle altre fanciulle che sembravano tanti gabbiani venuti chissà da dove, Albertine aveva perduto tutti i suoi colori, via via che gli altri perdevano ogni speranza di possesso su di lei. A poco a poco, aveva perduto la sua bellezza. Ci volevano passeggiate come questa, nel corso delle quali la immaginavo abbordata, in mia assenza, da qualche donna o da qualche giovanotto, perché io la rivedessi nello splendore della spiaggia, anche se la mia gelosia era su un altro piano rispetto al declino dei piaceri della immaginazione. Ma a dispetto di questi bruschi soprassalti per cui, desiderandola altri, ridiventava bella ai miei occhi, potevo benissimo dividere la sua convivenza con me in due periodi: il primo durante il quale era ancora, sebbene ogni giorno di meno, l’inafferrabile attrice della spiaggia; il secondo in cui, trasformata in grigia prigioniera, ridotta al suo smorto se-stessa, le occorrevano di questi lampi, che mi restituivano il ricordo del passato, per recuperare un po’ di colori.

Marcel Proust, La Prigioniera

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Imprigionando Albertineultima modifica: 2022-08-26T12:42:40+02:00da ellen_blue

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