Jupien

Devo confessare che Jupien, così di primo acchito, non m’era piaciuto granché. A vederlo da vicino, annullando del tutto l’effetto che le gote paffute e il colorito florido avrebbero altrimenti prodotto, i suoi occhi straripanti d’uno sguardo compassionevole, sconsolato e sognante facevano pensare che fosse molto malato, o che di recente l’avesse colpito un grave lutto. Non solo non era affatto così, ma a sentirlo parlare – con perfetta proprietà, d’altronde – risultava piuttosto freddo e beffardo. Da tale disaccordo fra il suo sguardo e la sua parola emergeva qualcosa di falso ch’era tutt’altro che simpatico, e di cui sembrava ch’egli stesso provasse imbarazzo, come un invitato in giacchetta a una serata dove tutti sono in abito da società, o come qualcuno che dovendo rispondere a un’Altezza non sappia esattamente in che modo le si debba rivolgere e aggiri la difficoltà riducendo pressoché a zero il proprio dire. È un semplice paragone: l’eloquio di Jupien era, al contrario, incantevole. In corrispondenza, forse, con quell’inondazione del viso da parte degli occhi (alla quale, conoscendolo, non si prestava più attenzione), gli scopersi ben presto un’intelligenza rara e fra le più naturalmente letterarie che mi sia stato dato conoscere, nel senso che, probabilmente senza cultura, egli possedeva o aveva assimilato, col solo ausilio di pochi libri scorsi frettolosamente, le più ingegnose risorse della lingua. Le persone più dotate ch’io avessi conosciute erano morte giovanissime. Così, ero convinto che la vita di Jupien sarebbe finita presto. C’erano in lui bontà e pietà, i sentimenti più delicati, più generosi.

M. Proust, La parte di Guermantes I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Jupien - R

David Richardson, Jupien

Jupienultima modifica: 2021-10-18T17:28:21+02:00da ellen_blue

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