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« Arrevuoto ha fatto il pienoTorraccia in festa »

Questo buio feroce

Post n°484 pubblicato il 16 Maggio 2008 da kiblyn

Questo buio feroce

Ritorna Pippo Delbono
con la sua corte di personaggi border-line ed è subito teatro. Un
teatro speciale, costruito sulla diversità e sulla malattia. Un teatro
di corpi fuori misura nell'eccesso e nel difetto, tenuti insieme da una
specie di impudica tenerezza, che si dichiara fin dall'inizio negando
la parola, la poesia, ma sostituendole immediatamente con un altro
linguaggio, un'altra poesia.

Anche questa volta il regista ci
parla della vita, quella vita del tutto aleatoria che si coniuga con la
malattia per presto sconfinare nella morte. Del resto sono proprio
malattia e morte le fonti ispiratrici di Delbono, che parte da un libro
di Harold Brodkey - Questo buio feroce
-, che dà il titolo allo spettacolo: il racconto di un viaggio verso la
fine certa di una morte per Aids, un desiderio di finire, di
sciogliersi dentro l'abbraccio cosmico della natura. Per Delbono una
fine che non è una fine quanto piuttosto un cambiamento di status
all'interno di quell'andare on the road che è la vita.

Che merita comunque di essere vissuta alla propria maniera, My way,
come dice una celeberrima canzone cantata da un seminudo uomo di
assoluta magrezza: uno dei momenti più emozionanti dello spettacolo,
che visualizza a ben guadare il senso stesso del teatro secondo
Delbono, fra disperazione e ironia, amore per la vita e capacità di
deriderla prendendola contropiede, provocando un sorriso proprio quando
sembrerebbe trionfare il sentimento, addirittura la lacrima.

Questo buio feroce
è una danza, una processione di uomini vestiti da donna in equilibrio
precario su tacchi vertiginosi di scarpe rosso lacca, di damine e
arlecchini mortuari di una Venezia sfatta e morente. Un gioco fra il
maschile e il femminile, fra due che vorrebbero essere uno solo,
rappresentato da attori non attori: un microcefalo sordomuto, un
ragazzo down, barboni senza memoria, ragazzi e ragazze altissimi,
troppo piccoli, grassi o troppo magri, ognuno con una sua storia. Una
storia non storia, costruita sull'opposizione continua fra nero e
bianco. Il bianco di un ospedale, simbolo di morte e malattia, il nero
di un corteo di maschere mortuarie dalle bocche rosso fuoco spalancate
in un ghigno irridente. Il costume multicolore di Arlecchino; la
metafisica estraneità di Bobò; l'eleganza di una festa alla Barry
Lindon subito "sconciata" dalla trasgressiva apparizione di un corpo
raccontato per esagerazione; la ricerca di qualcosa che non c'è.

Talvolta
il flusso continuo delle immagini e della musica si arresta
all'improvviso, magari per lasciare spazio al racconto di una ragazza
con microfono che "recita" le inserzioni erotiche per cuori solitari,
non importa se dilatate, ricostruite, spersonalizzate dalle
sovrapposizioni sonore oppure per imbandire una virtuale ultima cena.
Le immagini passano, prendono forza, si cancellano mentre i corpi si
sfiorano per subito allontanarsi e solo in rari momenti riescono a
trovare un linguaggio condiviso. Fino al bellissimo finale, scandito
dalla voce di Charles Aznavour alla ricerca ,come si dice, di "uno
squarcio di sole dietro l'oscurità delle nostre nuvole".


di Maria GraziaGregori

 

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Commenti al Post:
fadotoscana
fadotoscana il 22/05/08 alle 12:00 via WEB
Belli gli spettacoli di Pippo del Bono...!!Speriamo lo porti dalle mie parti...un saluto Fadotoscana
 
dvd742002
dvd742002 il 25/05/08 alle 02:57 via WEB
non lo conosco e vado a rimediare. ciao e apresto anche nel mio blog. mas.
 
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No te conoce el toro ni la higuera,
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No te conoce el niño ni la tarde
porque te has muerto para siempre.

No te conoce el lomo de la piedra,
ni el raso negro donde te destrozas.
No te conoce tu recuerdo mudo
porque te has muerto para siempre.

El Otoño vendrá con caracolas,
uva de niebla y montes agrupados,
pero nadie querrá mirar tus ojos
porque te has muerto para siempre.

Porque te has muerto para siempre,
como todos los muertos de la Tierra,
como todos los muertos que se olvidan
en un montón de perros apagados.

No te conoce nadie. No. Pero yo te canto.
Yo canto para luego tu perfil y tu gracia.
La madurez insigne de tu conocimiento.
Tu apetencia de muerte y el gusto de su boca.
La tristeza que tuvo tu valiente alegría.

Tardará mucho tiempo en nacer, si es que nace,
un andaluz tan claro, tan rico de aventura.
Yo canto su elegancia con palabras que gimen
y recuerdo una brisa triste por los olivos.

Di

Federico García Lorca
 

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