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Questo blog non è una testata giornalistica, esso viene aggiornato senza alcuna periodicità stabilita. Ai sensi della legge n° 62 del 7 marzo 2001 e non è un prodotto editoriale.
Messaggi di Dicembre 2014
l'ultima buona notizia di questo 2014 avaro come tutti gli altri Questa foto segna la fine della carriera di Álvaro Múnera come torero "matador". Il ragazzo crollò pieno di rimorso nella metà della corrida quando si rese conto che il toro si rifiutava di lottare per la sua vita. Alvaro si è trasformato in un avversario accanito delle corride di tori. Múnera ricorda quel momento:.. Ed improvvisamente, guardai il toro... Aveva l'innocenza che tutti gli animali hanno nei suoi occhi, ed egli mi guardò, sentendo dentro di me un: Perché? Era come un grido di giustizia in fondo a me, e sentii (guardate sopra), lo descriverei come ..una connessione, perché se uno si confessa, e si aspetta di essere perdonato... (silenzio, lacrime contenute) mi sentii come la peggiore merda nella terra... Questa foto mostra il collasso del torero Álvaro Múnera, rendendosi conto dell'ingiustizia verso l'animale proprio in mezzo alla sua ultima lite. A partire da questo giorno in poi si trasformò in un grande oppositore delle corride di tori. |
Post n°752 pubblicato il 20 Dicembre 2014 da nonna.fra
Che la chiesa produceva porno si sapeva già, adesso che investe in armi e droga, cos'è una associazione a delinquere? Crac ordine Francescani, investimenti in società legate a traffici di droga e armi
Il ministro generale ha annunciato la bancarotta, parlando di operazioni finanziarie sbagliate. Sotto accusa i movimenti di cassa verso aziende assai discusse e alcune operazioni immobiliari discutibili. E Papa Francesco ritorna ad attaccare i preti affaristi
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Post n°751 pubblicato il 19 Dicembre 2014 da nonna.fra
Hai il Malocchio? Svelata l’antica formula per eliminarlo. “Strega” 94enne avverte: “Ecco come capire che ce l’hai e come venirne fuori”. Guarda il video
C’è chi ci crede e chi no. Fatto sta che invidia, gelosia, rabbia fanno si che forze negative possano spostarsi da un individuo a un altro. Ma come capire se energie malevoli ci hanno colpito? I sintomi sono semplice, spiega una donna di 94 siciliana che ha appreso la tecnica per riconoscere e eliminare il malocchio da una sua ava. ANTICA FORMULA PER ELIMINARLOPrima di pronunciare l’orazione del malocchio si recita la preghiera Cattolica del Credo.Poi viene recitata la formula del malocchio:“In nome di lu patri, di lu figghiu e di lu spiritu santuTi parru cu prutesta occhi bruttuTi scunciuru pi patti di Dio e di Maria e di la Santissima Trinità, si ……… (si dice il nome della persona a cui si sta togliendo il malocchio) avi u malocchio a mari mi sinni va.Scunciuru la ‘nvidia, scunciuru lu mummuru, scunciuru lu malocchio, scunciuru li malilingue, scunciuru la jettattura, scunciuru la mavaria, io ti scunciuru pi patti di Dio e di Maria e di la Santissima Trinità, si ……. avi u malocchio a mari mi sinni va.Cincu foru chi ti vittunu, quattru foru chi ti ducchiaru, tri foru chi ti luvaruU Patri, u figghiu, u Spiritu Santu e la Santissima Trinità, si ……. avi u malocchio a mari mi sinni va.Fora malocchio intra Maria, fora malocchio intra Maria, fora malocchio intra Maria, fora malocchio intra Maria.”
Traduzione:“Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo Ti parlo con disprezzo occhio bruttoTi scaccio in nome di Dio e di Maria e della Santissima Trinità, se …..ha il malocchio che vada a finire in mare.Scaccio l’invidia, scaccio i mormorii, scaccio il malocchio, scaccio le malelingue, scaccio la jettatura, scaccio la mavaria, io ti scaccio in nome di Dio e di Maria e della Santissima Trinità, se …..ha il malocchio che vada a finire in mare.Cinque sono stati che ti hanno visto, quattro sono stati quelli che t hanno adocchiato, tre sono stati quelli che ti hanno scacciato. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo e la Santissima Trinità, se …..ha il malocchio che vada a finire in mare.Fuori il malocchio dentro Maria, fuori il malocchio dentro Maria, fuori il malocchio dentro Maria, fuori il malocchio dentro Maria.”Mentre si pronuncia l’ultima frase si lasciano cadere dal dito mignolo 4 gocce di olio a forma di croce, dentro un piatto riempito d’acqua.Se le gocce di olio si allargano significa che c’era il malocchio, se le gocce restano ferme non c’era nessuna jettatura.Una volta finita l’orazione, in presenza di malocchio, il piatto viene lasciato a riposare per un paio d’ore, di modo che l’olio di possa allargare del tutto nel piatto, poi il contenuto viene buttato nello scarico in modo che possa finire in mare e disperdersi. http://www.retenews24.it/rtn24/societa/malocchio-svelata-lantica-formula-per-eliminarlo-strega-94enne-avverte-come-capire-ce-lhai-come-venirne-fuori-guarda-vide/ |
Addio a Virna Lisi, talento e bellezza travolgente del cinema italiano La grande attrice si è spenta a 78 anni. Fece impazzire anche Hollywood al quale lei girò le spalle per non spogliarsi sul set
13:48 - Lutto nel mondo del cinema. A 78 anni si è spenta l'attrice Virna Lisi. Nata ad Ancona nel 1936, in carriera ha vinto 6 Nastri d'argento e 2 David di Donatello, avendo successo anche a Hollywood. Non si era mai ripresa dal dolore per la perdita del marito Franco Pesci, morto nel settembre del 2013, dopo 53 anni di matrimonio.
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Post n°749 pubblicato il 17 Dicembre 2014 da nonna.fra
Reportage: in Ecuador la città dei bimbi suicidi
Sono bambini, ma vivono da soli, abbandonati dai genitori all’ombra del vulcano Chimborazo. Aspettano i soldi che le madri e i padri costretti ad emigrare mandano loro, ma troppo spesso la solitudine ha il sopravvento e decidono di farla finita prima di aver compiuto diciott’anni. E’ questo l’agghiacciante reportage di Filippo Fiorini che ha visitato un villaggio a Chunchi, sulle Ande dell’Ecuador, dove la solitudine e la morte sono il pane quotidiano di ragazzini di fatto orfani. Un reportage che inizia con la constatazione che in città è difficile trovare del veleno per topi. Ne hanno ristretto la vendita da quando si è scoperto che era diventato il prodotto più usato dai bambini per togliersi la vita. Eppure i suicidi continuano: dal 2012 ad oggi, hanno deciso di farla finita 60 bambini. Un numero altissimo, che moltiplica per sei la media nazionale. Questo ritmo, che stabilisce uno dei primati (tristi) mondiali, è calato solo a partire dal 2014, quando le autorità hanno attivato un sistema di contenimento. Il male di vivere - Fiorini racconta su La Stampa che a Chunchi i posti più frequentati dai giovani sono la piazza e i bar. Poi, viene la sala computer con la banda larga e Skype. Cristian Calle, che la gestisce come parte del Centro d’ Assistenza al Migrante, spiega che i circa 300 ragazzi che segue, vengono per videochiamare i genitori e sentirsi dire: “Ti voglio bene”, “fai il bravo” e “l’ anno prossimo potrai venire qui anche tu”. Tuttavia, quel 10% dei 13 mila abitanti di Chunchi che è partito per l’America, l’Europa o altri paesi emergenti, lavora oggi senza permesso di soggiorno, non pianifica alcun rientro in patria, e nemmeno può permettersi di far viaggiare i figli. E così il 51% dei suoi bambini cresce senza madre e padre, se va bene nei campi coi nonni, altrimenti, da soli. E da soli cercano di farcela, lavorando e convivendo con la morte. Come quella di Maria, nove anni, che l’ha fatta finita con la polvere da sparo. Come quella di José, che si è fermato a sei, bevendo con l’ acqua ragia. La storia di Lourdes Vizñay è una delle più note perché quando l’hanno trovata con una corda al collo e il suo compagno di classe Fernando Flores l’ha raccontata in un libro. “Tempi Disperati” narra che il giorno del suo 17° compleanno, Lourdes ha tentato di farsi un regalo, perché si era resa conto che nemmeno quella volta sua madre sarebbe tornata per farle gli auguri di persona, come invece aveva promesso. Così, quando il bottegaio l’ ha beccata a rubare il vestito dalla vetrina e l’ ha chiamata “scarto”, come si dice in paese ai figli lasciati lì dagli emigrati, si è vergognata tanto che è andata a casa e si è uccisa. |
Post n°748 pubblicato il 16 Dicembre 2014 da nonna.fra
L'articolo e un pò lungo ma vale la pena leggerlo per cercare di capire il dramma di queste donne Nell'ospedale in cui sono recluse le mamme-killer: «Non è scontato che una madre ami suo figlio»
C’è chi ha annegato il proprio bambino durante il bagnetto perché rifiutava il latte materno. Chi lo ha strangolato perché in lui vedeva il colpevole delle proprie frustrazioni. Chi ha accoltellato la figlia perché il marito abusava di lei. A Castiglione delle Stiviere, a pochi chilometri dal lago di Garda, si trova l’unico reparto femminile dei sei Ospedali psichiatrici giudiziari italiani. Gli Opg, quelli che in base all’ennesima proroga del governo dovrebbero chiudere entro aprile 2015. O almeno era l’unica ala femminile fino allo scorso settembre, quando, nonstante il progetto di chiusura, anche nell’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto, Messina, hanno destinato alle donne un reparto da 12 posti. Nella struttura mantovana, la sola in Italia in cui le cure mediche prevalgono sulla reclusione di chi affetto da disturbi mentali ha commesso un reato, sette delle 77 donne presenti sono le cosiddette “madri assassine”. “Madri Medea” che hanno ucciso i propri figli in preda a gravi patologie mentali, dalla depressione alla psicosi, dai disturbi della personalità alla schizofrenia, fino ai disturbi paranoidi. Per essere rinchiuse tra le mura di Castiglione ci devono essere tre condizioni: che siano state dichiarate totalmente incapaci di intendere e di volere e giudicate socialmente pericolose, e che sia stato stabilito un nesso causale tra la malattia e il reato. Diverso è invece il destino di chi ha ucciso con lucidità: in quel caso si aprono le porte del carcere. Da qui, a Castiglione, sono passate tante donne accusate di figlicidio. Compresa quella Annamaria Franzoni, la madre di Cogne, che nella struttura mantovana è solo passata per poco tempo per poi essere ritenuta capace di intendere e di volere e condannata in via definitiva per l’omicidio del figlio Samuele. Da poco ha varcato le porte di Castiglione anche Daniela Falcone, 43 anni, di Rovito, in provincia di Cosenza, che il 1 marzo scorso ha accoltellato il figlio di 11 anni, e poi ha trascorso la notte tra le montagne, in auto, accanto al corpo del suo bambino. C’è pure Edlira Dobrushi, di origini albanesi, che lo scorso marzo a Lecco ha ucciso le tre figlie di 14, 10 e 3 anni. E a Castiglione, se ritenuta colpevole e incapace di intendere e di volere al momento dell’assassinio, potrebbe finire Veronica Panarello, la mamma di Santa Croce Camerina, in provincia di Ragusa, indagata per la morte del figlio Loris. E anche Natalia Sotnikova, la 39enne russa che a Bordighera, Imperia, si è gettata in mare con il figlio di dieci mesi nel marsupio facendolo morire annegato. «Delle sette madri colpevoli di figlicidio presenti nella nostra struttura cinque sono straniere», racconta Andrea Pinotti, direttore dell’Opg. «È un dato di cui dobbiamo tener conto. Sono filippine, est europee, sudamericane, donne ben inserite, ma che forse vivevano un malessere legato a una situazione culturale diversa da quella di partenza». A questo si aggiungono poi le patologie. Le diagnosi sono diverse. «Non c’è una malattia specifica per chi ha ucciso il proprio figlio», spiega Cristina Benazzi, dirigente medico dell’Opg. «Tra le nostre pazienti ci sono casi di patologie dello spettro psicotico, disturbi della personalità, patologie dell’umore, stati depressivi. Ogni caso è un caso a sé».
Eppure spesso, dopo un evento tragico, si sentono vicini di casa e conoscenti giurare che quella mamma fosse una “mamma speciale” (come dicono in tanti nel caso di Veronica Panarello, la cui colpevolezza però è ancora tutta da decidere) o semplicemente “normale”. «A volte c’è la consapevolezza precedente di queste patologie, a volte no», spiega Pinotti. «Alcune delle pazienti in realtà erano già seguite da psichiatri, ma non sempre si riesce a evitare il peggio. Pensiamo di essere onnipotenti, ma in realtà non lo siamo». Non sempre c’entra la famosa depressione post partum. «I figlicidi fanno parte della storia dell’uomo», spiega Pinotti. Nella maggior parte dei casi sono donne «che quando i figli diventano più grandi e autonomi mostrano una incapacità al distacco dai propri bambini, oppure donne che vivono male il fatto che il proprio bambino sia diverso da loro. Difficilmente l’infanticidio appartiene alla sfera della depressione post partum. Sono coinvolti molto di più aspetti dell’identità della persona. Non si accetta ad esempio che un figlio possa crescere e sciogliere il nucleo familiare, o che il figlio possa crescere diversamente da come la madre avrebbe voluto». E poi «non è così scontato che una madre debba amare il proprio figlio. Ci sono figli non amati: un figlio non voluto non è amato, un figlio che ha alterato la qualità della propria vita può non essere amato». Uccidere quello che si è creato, allora, significa «cancellare, togliere, eliminare un problema. Far finta che non esista. Ricominciare, ripartendo da zero, anche se poi non è così». Ma ci sono anche madri che «uccidono ciò che hanno messo al mondo per punire loro stesse», o quelle che uccidono i figli vittime di violenze da parte dell’altro genitore «perché entrano in competizione con i figli stessi, colpevoli delle attenzioni del marito».
In base ai fascicoli di nove madri assassine internate a Castiglione delle Stiviere tra il 1999 e il 2009, in tre casi è stato ucciso il figlio più grande, mentre in quattro casi è stato ucciso il secondogenito. In un caso la madre aveva ucciso entrambi i figli, in un altro caso c’è stato il tentativo di omicidio dell’unico figlio. La seconda gravidanza viene descritta dalle donne come indesiderata o problematica, al contrario della prima, raccontata come desiderata da entrambi i genitori. Le motivazioni degli omicidi riportate nelle perizie psichiatriche sono: “L’essere più vicini a Dio”; “Il bambino soffriva troppo”; “Senso di inadeguatezza al ruolo di madre”, “Le figlie femmine non danno problemi mentre i maschi sì”; “Non volevamo una seconda gravidanza”; “Non gli volevo bene”; “Non riuscivo ad andare avanti”. «La gravidanza rappresenta una fase psicologicamente complessa nella vita della donna», scrivono gli psichiatri Nadia Chizzola e Luigi Benevelli. «Oltre alle trasformazioni sul piano biologico, la maternità implica nuovi equilibri riguardo all’identità di coppia e sociale, nonché una ridefinizione dell’identità individuale. Ogni gravidanza mette in discussione gli equilibri precedenti e porta con sé il pericolo di uno scompenso, configurandosi come una fase di potenziale vulnerabilità». Nell’Ospedale psichiatrico giudiziario queste donne sono sottoposte a «percorsi farmaceutici e psicoterapici», spiega Pinotti, «percorsi di riappropriazione della propria identità e della propria personalità. E poi viene la parte più difficile: l’elaborazione di quello che hanno fatto». Che è talmente forte che alcune donne «negano a loro stesse di essere state capaci di uccidere i propri figli». Così la rielaborazione, a volte, «non si porta del tutto a compimento. È un dramma così forte che arrivare a una piena consapevolezza potrebbe portare a rischi di suicidio, e spesso si preferisce arrivare solo a un certo livello del recupero per evitare ulteriore violenza su loro stesse». Durante la giornata c’è chi lavora al bar dell’Opg, chi fa le pulizie e sparecchia, ci sono laboratori di falegnameria e tipografia. E alcuni gruppi «frequentano associazioni esterne all’Opg con progetti ben definiti», spiega la dottoressa Benazzi. Nelle ore di pausa, qualcuna cammina su e giù sul prato verde del giardino all’esterno, altre fumano in cerchio attorno ai posacenere.
Le misure di sicurezza per le donne matricide di solito prevedono dieci anni di reclusione nell’Opg, tra riabilitazione e recupero. «Ma per le donne solitamente le revoche arrivano molto prima con il riesame anticipato della pericolosità sociale delle donne», spiega Andrea Pinotti. «Poche trascorrono effettivamente qui i dieci anni. È più facile riuscire a riportare nel territorio d’origine un paziente di questo tipo anziché altri tipi di pazienti». Ma cosa succede ai familiari all’esterno? Ai mariti e agli altri figli rimasti oltre le sbarre di Castiglione delle Stiviere? «In genere i rapporti tendono a sfaldarsi», racconta Pinotti. «Solo in pochi casi i mariti sono disponibili a perdonare, a rimettere assieme i cocci dopo l’assassinio del proprio figlio». Alcuni però ritornano nelle case che hanno lasciato dopo l’assassinio, le stesse case dove avevano vissuto insieme a quei figli che loro stesse hanno «cancellato». Ad aspettarle ci sono i mariti e gli altri figli. «Dopo un’analisi approfondita fatta dal medico che segue il paziente per capire cosa è rimasto di quanto ha determinato l’agito», spiega la psichiatra dell’Opg Mariagrazia Missora, «si può richiedere la collaborazione dell’assistente sociale e la cura di altri colleghi fuori che già hanno seguito il caso, in modo da poter effettuare un ritorno e garantire continuità. Molto spesso è un passaggio per gradi, spesso si passa da un contesto meno restrittivo dell’Opg, tipo una comunità, senza ritornare direttamente in famiglia». È successo di recente a una delle madri Medea affetta da stati depressivi, che a Castiglione delle Stiviere ha trascorso quattro anni dopo aver assassinato suo figlio neonato. «È rientrata nel nucleo familiare più di un anno fa con attorno una rete di protezione», racconta la dottoressa Missora. «Ha una bambina di dieci anni che già le faceva visita quando lei era qui a Castiglione. Sia lei sia il marito rimasti a casa frequentavano una psicologa. E ora la rete familiare e la rete sociale del paese l’hanno perdonata». http://www.linkiesta.it/madri-assassine-opg-castiglione-stiviere |
POVERO CONIGLIETTO IMPAURITO E CODARDO "In quel momento, tra morire e tuffarmi, ho preferito andare sulla scialuppa". Non contento, ha poi aggiunto: "C'è voluto coraggio, ma sono pronto a prendermi la mia quota di responsabilità". Altra giornata di interrogatorio a Grosseto per Francesco Schettino, a processo per il naufragio della Costa Concordia. E altra "perla" dell'ex comndante, che forse mai come oggi con la frase pronunciata in aula ha tenuto fede al soprannome che i media gli affibbiarono nei giorni successivi al disastro del Giglio: capitan codardo. "In quel momento, tra morire e tuffarmi, ho preferito andare sulla scialuppa". Non contento, ha poi aggiunto: "C'è voluto coraggio, ma sono pronto a prendermi la mia quota di responsabilità". A un certo punto però Schettino si è commosso e ha abbassato la testa, quando ha ricordato le fasi del definitivo ribaltamento della Concordia: "Purtroppo c'erano persone rimaste incastrate tra i terrazzini. Sono momenti indimenticati". Per l'imputato, però, le sue azioni non furono dettate dalla paurai: "Servì avere coraggio a stare sotto la Costa Concordia che stava ribaltando", perché "tranne le scialuppe e l'equipaggio della Concordia, nel mare del Giglio non ho visto altre scialuppe, imbarcazioni che fossero venute sotto la nave che stava abbattendo". |
Morte di Loris, la madre di Veronica: "Vi dico io perché lo ha ucciso..."
Resta in carcere, Veronica Panarello, accusata dell'omicidio del piccoloLoris Stival. Abbandonata dalla sua famiglia, che l'ha scaricata, chiede diandare al funerale di suo figlio, ma difficilmente sarà accontentata. In una vicenda dell'orrore, ora, ad aggiungere un particolare inquietante è la madre della presunta omicida. Altre parole con cui anche la famiglia, nei fatti, conferma di essere certa della colpevolezza della donna. Carmela Anguzza, madre di Veronica, spiega: "Io ho l'impressione che l'abbia ucciso perché Loris assomigliava a me. Così tanto mi odia questa disgraziata...". Un'idea, dunque, su quello che potrebbe essere stato il movente. Dubbi in famiglia - Già, perché la vita di Veronica è segnata dalla rottura del rapporto con la madre, con la quale non parlava da anni. Un odio viscerale, secondo gli inquirenti. E, come detto, le parole della madre sembrano testimoniare, ancora una volta, che i primi a non credere a Veronica sono i famigliari. Ieri, sabato 13 settembre, sono emerse anchele intercettazioni del nonno paterno di Loris, che in procura a Ragusa, col padre del ragazzino ucciso, commentava: "Non sapeva dove buttarlo. Lo aveva in macchina. Quella putt...". Parole riferite al cadavere di Loris, che il nonno ipotizzava fosse nella macchina della donna in quei sei minuti "di troppo" attorno al mulino che contro di lei pesano come un macigno. http://www.liberoquotidiano.it/news/italia/11732674/Morte-di-Loris--la-madre.html |
MORTO IL FRATELLO DI MANGO: STRONCATO ANCHE
martedì 9 dicembre 2014 POTENZA - Giovanni Mango, fratello di Pino, il cantante morto a Policoro (Matera) nella notte fra domenica e ieri - è morto stamani a Lagonegro (Potenza), forse anche lui per un infarto. Giovanni Mango aveva 75 anni ed era un muratore. Secondo quanto si è appreso, l'uomo si è sentito male all'interno della villa del fratello, proprio durante la veglia funebre: è stato soccorso da alcuni operatori dell'associazione «Humanitas» ed è stato trasportato all'ospedale di Lagonegro dove è morto poco dopo. I soccorritori hanno provato a rianimare Giovanni Mango nella casa del fratello. Le sue condizioni sono apparse subito gravi ed è stato trasferito al pronto soccorso dell'ospedale di Lagonegro, dove è morto. il video del malore di Mango se volete vederlo http://www.leggo.it/NEWS/ITALIA/mango_morto_fratello_cantante_ |
Mango e morto, e morto a 60 anni mentre cantava la sua canzone più famosa ORO in un concerto a POLICORO, infarto dicono , l'ultima parola che ha detto prima di accasciarsi a terra e stata "" SCUSATE ""
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Vi siete mai chiesti cosa vuol dire LIKE ? Io si e sono andata a cercare la traduzione e sapete una cosa ? Ancora non lo sò perchè non c'è, LIKE vuol dire tutto e niente, per esempio, vedi una foto e non sai cosa dire ma vuoi lasciare un commento? scrivi LIKE e hai risolto il problema ,chi legge trova la traduzione come più gli garba. Leggi sotto e capirai Traduzioni di like
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Post n°741 pubblicato il 01 Dicembre 2014 da nonna.fra
Il paracetamolo è contenuto in molti farmaci antinfluenzali, eccone alcuni: Tachipirina, Efferalgan, Zerinol, Vicks Medinait, Actigrip e Tachifluidec. Medicinali, il paracetamolo primo nemico del fegato
Il paracetamolo è il farmaco più utilizzato, per curare un leggero mal di testa, un semplice raffreddore, febbre o dolori di varia natura. Ma si possono correre gravi rischi. Un sovradosaggio di paracetamolo infatti è la principale causa di insufficienza epatica acuta in Occidente, che registra un quinto di tutte le morti per overdose accidentale di paracetamolo-correlati. L’allarme arriva da uno studio di Chicago presentato a Boston nel corso del congresso dell’Associazione americana per lo studio delle malattie epatiche (American Association for the Study of Liver Diseases – AASLD). L’uso quindi non intenzionale di assumere oppioidi con paracetamolo con altri analgesici contenenti sempre questo farmaco provoca una epatotossicità, una epatite tossica, fenomeno purtroppo sempre più recente e spesso motivo di ritiro dal commercio di medicinali. Inoltre una overdose da paracetamolo e’ difficile da riconoscere. E’ fondamentale quindi che il paziente sia sempre più consapevole dei rischi causati da mix di farmaci ma per questo è necessario – suggerisce lo studio – una maggiore chiarezza nelle etichette degli stessi medicinali abolendo le abbreviazioni dei farmaci, nel caso del paracetamolo la sigla APAP o ACET e stabilire un costante confronto con il proprio farmacista per un aiuto sempre più chiaro. Lo studio ha reclutato 249 pazienti al momento della dimissione da un reparto di emergenza a Chicago o in una farmacia ambulatoriale in Atlanta. Per 4 giorni i partecipanti hanno tenuto un diario su tutti i farmaci assunti, compresi quelli da banco (OTC), senza prescrizione medica. Il 10,8% dei pazienti ha riferito di assumere lo stesso giorno piu’ medicinali contenenti paracetamolo. La maggioranza di questi, il 74,1% ha assunto paracetamolo insieme agli analgesici. L’1,6% ha inoltre superato la dose consigliata giornaliera di paracetamolo (4 grammi). E nell’87,3% delle prescrizioni, il paracetamolo è indicato solo con la sua sigla, APAP o ACET. Il paracetamolo è contenuto in molti farmaci antinfluenzali, eccone alcuni: Tachipirina, Efferalgan, Zerinol, Vicks Medinait, Actigrip e Tachifluidec.
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Post n°740 pubblicato il 01 Dicembre 2014 da nonna.fra
Gli sconvolgenti risultati dell’autopsia confermano la drammatica fine del bimbo. Sequestrata l’auto del cacciatore che l’ha trovato, ma l’uomo non è indagato Il corpo del piccolo Andrea Loris è stato trovato in un canalone dietro un canneto isolato. Questo ha fatto pensare a un ritrovamento troppo fortunato. Ma il cacciatore non è indagato FRANCESCO GRIGNETTI INVIATO A SANTA CROCE CAMERINA Cominciano a vederci più chiaro, gli investigatori alle prese con il mistero della morte del piccolo Andrea Loris Stival. E quel che vedono, li inorridisce. I risultati dell’autopsia sono sconvolgenti. Il piccolo Andrea Loris è stato violentato e ucciso. Una morte violenta dovuta a un colpo terribile al cranio. E quindi la procura della Repubblica ha avviato un’indagine per omicidio volontario. Al momento l’indagine è contro ignoti, ma ciò non significa che chi indaga brancoli nel buio.
Nessuna telecamera Il procuratore capo Carmelo Petralia e il sostituto Marco Rota stanno lavorando a tempo pieno. Sanno che il tempo è cruciale. Misurano le notizie. Sperano anche nel colpo di fortuna: qualche telecamera tra le oltre trenta del paese, a visionarle con pazienza, può regalare un’immagine importante. Si cerca il bimbo in un’auto. Loris infatti è morto per mano di qualcuno che conosceva bene. Così bene da fidarsi di lui, marinare la scuola, e andare via assieme. Su questo aspetto in famiglia sono categorici: Andrea Loris era un bambino introverso, non si sarebbe mai allontanato con uno sconosciuto. Ma finora le telecamere sono state avare. Il bimbo non si vede mai.
Caccia allo zainetto L’ipotesi dell’incidente è stata scartata fin da subito per una serie di motivi. Il principale: è scomparso lo zainetto che il bambino aveva sulle spalle quando la madre l’ha accompagnato a scuola e l’ha salutato come accadeva ogni mattina. Dov’è ora lo zainetto con dentro i quaderni, le penne, le due merendine che la mamma aveva amorevolmente infilato tra i libri? Nel canalone dove è stato trovato il corpo di quel cucciolo d’uomo, lo zainetto non c’è. La magistratura ha dato ordine a polizia e carabinieri di fare il possibile e anche l’impossibile per trovarlo. Lo zainetto può diventare la chiave per risolvere il mistero. Si potrebbe trovare un’impronta che non dovrebbe esserci, una traccia genetica, un segno lasciato dall’assassino. È divenuto così importante, lo zainetto, che i rifiuti di Santa Croce Camerina per qualche giorno non verranno portati in discarica. Prima i cassonetti dovranno essere vagliati. È un mistero atroce, in verità, la scomparsa di un bimbo che avrebbe dovuto fare appena pochi passi, dalla portiera di un’auto al cancello della scuola, e che invece non varca il portone e se ne va da tutt’altra parte. Dove? Con chi? Perché? Nel frattempo si procede alla vecchia maniera, bussando porta a porta, interrogando commercianti, contadini, passanti. Ci sono molti che pensavano di aver visto qualcosa, ma quando poi si entra nel dettaglio di quella certa felpa o quel certo colore di pantaloni, le certezze di colpo vacillano.
Sequestrata l’auto del cacciatore Gli investigatori hanno voluto riascoltare anche il cacciatore che ha scoperto il cadavere di Andrea Loris. Avvolgono e riavvolgono il film del suo racconto. C’è qualcosa che non li convince. A qualcuno pare che sia stato troppo fortunato, quel ritrovamento in un canneto come mille altri, quando si era all’imbrunire, in un luogo pochissimo frequentato. Sia chiaro: il signor Orazio Fidone è un testimone e non un indagato. È un fatto, però, che sulla sua macchina, sequestrata, si stanno facendo accertamenti.
Qualcuno ce l’ha portato Proprio lì dove è stato trovato il corpo, un anziano di 87 anni, Peppino Caggia, un ex carabiniere, proprietario del vecchio mulino che dà il nome alla zona, è solito passare le sue mattinate a zappare l’orto. Da due giorni non si dà pace: era stato in campagna anche sabato mattina, tra le 8 e le 11, quando Andrea Loris era già scomparso, ma non ha visto né sentito nulla. Se Andrea Loris è arrivato fino a quel canalone di cemento, di sicuro non ci è arrivato da solo. Sono quasi tre chilometri dalla scuola. E poi la strada è pericolosa, è una provinciale dove le auto corrono. E nessuno l’ha visto. In conclusione, qualcuno ce l’ha portato, molto probabilmente in auto, e l’ha buttato giù. Loris probabilmente era già morto. Il referto dei medici legali parla di graffi sul corpo e dice che il cranio è gravemente danneggiato. Alla base del canalone ci sono tracce di sangue, ma non abbastanza copiose. Tutto lascia pensare che Loris sia stato ucciso altrove e che l’omicida si sia disfatto del cadavere al mulino vecchio. D’altra parte, l’autopsia ha chiarito che il bambino è morto quasi subito dopo essere scomparso. Chi ha provveduto a disfarsi del corpo probabilmente sapeva che il carabiniere in pensione a una certa ora rientra in paese. Tanti piccoli tasselli per comporre un puzzle: questo è il lavoro degli investigatori. |
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