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Messaggi del 09/09/2015

 

Alfredo Bini, ritratto del produttore che scoprì Pasolini da cinecittànews

Post n°12559 pubblicato il 09 Settembre 2015 da Ladridicinema
 

Stefano Stefanutto Rosa09/09/2015
VENEZIA. “Fellini mi ha detto che non sono un regista, è meglio che smetta e ma un grande poeta e scrittore”, così un Pasolini molto depresso sul set del suo esordioAccattone, dopo aver visionato il materiale girato insieme a Fellini che con la sua Federiz si ritira dal progetto inizialmente sostenuto. Sciolta la troupe, la produzione del film si ferma per qualche settimana, ricorda Bernardo Bertolucci all’epoca aiuto regista di Pasolini. E’ allora che entra in campo Alfredo Bini (1926-2010) che, convinto del talento di Pasolini, produrrà alcuni dei suoi primi film sino aEdipo re del 1967.

Un produttore, come ci racconta il documentario Alfredo Bini, ospite inatteso di Simone Isola (Venezia Classici), che grazie al suo coraggio e anticonformismo ha contribuito a una stagione importante del nostro cinema. La sua sfida sta tutta in quel commento quando ritira, dalle mani di Amedeo Nazzari, il Nastro d’Argento come produttore per Edipo re: “Da sempre sono convinto che il pubblico possa accettare cose di qualità e decretarne il successo commerciale, a differenza di quegli esercenti e distributori abituati a puntare solo al prodotto banale”.
Alfredo Bini, ospite inatteso - prodotto da Kimertafilm, Axelotil Film e Luce Cinecittà che lo distribuisce - ripercorre la vicenda professionale e umana del produttore, a partire da quel giorno del 2001, quando in un motel di Montalto di Castro si presenta Bini ormai anziano, in difficoltà finanziarie e senza casa, e chiede ospitalità per qualche giorno. Vi rimarrà fino alla fine, perché il proprietario Giuseppe Simonelli, scoprendo man mano il suo passato, decide di ospitarlo e di offrirgli un alloggio dove portare le sceneggiature, i suoi appunti, le foto, insomma tutti i suoi ricordi.
Tra i due s’instaura un rapporto quasi padre e figlio, e oggi Simonelli è diventato il custode di una memoria importante, a cominciare da quel diario di cui Valerio Mastandrea legge alcuni brani nel film.
“L’idea è di mettere a disposizione di tutti questo archivio di Bini creando una fondazione e una struttura che lo ospiti, con il coinvolgimento  del Comune di Montalto di Castro”, spiega Simonelli .

Bini, produttore di oltre 50 titoli, muove i primi passi con due pellicole importanti di Mauro Bolognini, Il bell’Antonio e La viaccia. La separazione da Pasolini di cui produrrà anche - Mamma Roma, l’episodio diRop.Go.Pa.G.Il Vangelo secondo MatteoComizi d’amoreUccellacci e uccellini - è appena motivata a distanza di tempo: “Sentivo odore di morte”. Da quel momento il suo declino è rapido e si consuma in un quindicennio scarso  che lo vede impegnato in film minori o non riusciti, talvolta di genere erotico e esotico, ma ci sono anche due film di Bresson e Buñuel.
A raccontarci tutto questo sono le voci di: Claudia Cardinale, Gianni Bisiach, Giuseppe Simonelli, Bernardo Bertolucci, Giuliano Montaldo, Ugo Gregoretti, Don Backy, Bruno Torri, Piero Tosi, Enrico Lucherini, Manolo Bolognini, Rino Barillari.

Il regista Isola ha conosciuto Bini pochi mesi prima della sua scomparsa e si è fatto l’idea di un “simpatico guascone, dalla personalità autoritaria ma venata di fragilità”. Un uomo che sfuggiva alla etichette politiche. “Nel suo percorso c’era anche l’adesione alla Repubblica sociale di Salò, ma era una delle tante esperienze vissute da una persona che amava il rischio e della quale non si vantava - dice Isola - spesso presentato come un uomo di destra era invece un anarchico, un anticonformista, una figura fuori del coro. Di lui ammiro quell’amore per il rischio, al di là del calcolo imprenditoriale, nella sua storia di produttore”. Una vicenda che non può non interessare il regista esordiente che finora è stato produttore di film tra cui Non essere cattivodi Claudio Caligari.

Quel che colpisce della vita di Bini è l’inesorabile e veloce declino nel mondo del cinema. Le ragioni si mescolano: difficoltà economiche legate alla censura, i mutamenti del mercato, la separazione dalla moglie Rosanna Schiaffino. L’ultimo film prodotto è Banana Republic (1979), mentre Bini si lancia in progetti cinematografici che rimarranno sulla carta, dalla vita di Guglielmo Marconi all’Inferno con Vittorio Gassman nel ruolo di Dante e la regia di Orson Welles. Accarezzerà anche l’idea, coinvolgendo l’architetto Vittorio Gregotti, di realizzare il Palazzo Italia a Pechino.
“Di sicuro Bini era un uomo generoso, non aveva il senso della proprietà, il denaro non era l’obiettivo principale ma uno strumento”, conclude Simonelli.

 
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Laurie Anderson: il mio haiku sulla morte

Post n°12558 pubblicato il 09 Settembre 2015 da Ladridicinema
 

Andrea Guglielmino09/09/2015
E' senza dubbio una delle principali animatrici della scena d'avanguardia newyorchese.
I suoi lavori spaziano dalla musica alle performance multimediali passando per il teatro, le installazioni museali e la spoken poetry. Non è nuova dunque al racconto per immagini, a cui torna con poetica potenza in Heart of a dog, in concorso a Venezia 72. Il film, una serie di sequenze di varia origine (da immagini di taglio documentaristico a vecchi filmini familiari in super 8 e perfino una breve sequenza di rudimentale animazione) con sopra la voce narrante dell’autrice, parte da esperienze personali: la morte, a breve periodo di distanza, di sua madre e della sua cagnolina Lolabelle, che lei amava come una figlia. Di qui parte una parabola che affronta con filosofia temi fondamentali dell’esistenza, amore e morte, linguaggio e politica, con un risultato sorprendentemente coeso e affascinante. 

Partiamo dalla musica, come ha scelto il commento musicale del film? 

Beh, inizialmente mi concentravo solo sulle immagini, ma poi mi sono detta, dopotutto sono una musicista. Per cui osservando il film sul mio computer ho iniziato a comporre col violino delle parti orchestrali, in totale libertà, senza beat di accompagnamento. Poi ci sono delle canzoni, che parlano d’amore, creando un’atmosfera nostalgica e fluida. In fondo si tratta di quello che cerco di esprimere nella pellicola. 

Come nasce l’idea di fare un film? 

La proposta è arrivata da Artè. Mi hanno chiesto di fare un film come se fosse un saggio personale e proprio da quello sono partita, da storie che mi erano capitate. E’ stato un processo entusiasmante, perché alla fine non è una cosa che parla di me ma di come si raccontano storie. Sono usciti dei simboli forti, il dualismo, la divisione tra i mondi, come se tutto fosse visto da un vetro o da una lastra di ghiaccio. Come un mondo dopo la morte. Ho cercato attorno a me delle immagini che evocassero l’arte bizantina, con l’oro e la luce tipica del periodo. E’ il mondo dopo la morte. 

In una parte della pellicola parla del fenomeno misterioso della ‘morte in culla’, attribuendola a dei sogni della fase pre-natale...

Ho trovato questa teoria per caso, facendo ricerca sui sogni. E’ incredibile quanto poco sia affrontato il tema del sognare, che è quello che facciamo per la maggior parte del tempo. Ci sono varie teorie, mi affascina l’idea che il sogno possa essere come uno screen saver, che avviene per evitare che il cervello si fermi. In questo caso il tutto era legato anche al tema della memoria quindi si legava perfettamente con il mio percorso. 

Che metodo ha usato per costruirlo? 

Si chiama NSA, è un modo per raccogliere dati e trasformarli in storie. Il principio è quello che utilizzano gli store online come Amazon. Compri un libro e il sistema sa già cos’altro ti potrebbe piacere, e quali altri acquisti consigliarti. Ho cercato di capire come le persone si guardano intorno e come guardavano me. 

E sua madre? Ho inserito nel film il discorso che ha fatto sul letto di morte...

Era una persona molto formale e dunque mentre il suo cervello andava spegnendosi ringraziava tutti. Era come se volesse dire, davanti a un microfono: “grazie per aver partecipato a questa serata”. Poi ha iniziato a parlare di animali che vedeva radunati sul soffitto, e iniziava a parlare loro, con grande tenerezza. Dopodiché tornava in sé e continuava il suo discorso. Questa cosa mi ha colpita perché era proprio come vedere il suo linguaggio sgretolarsi pian piano, ed è stato molto forte anche perché lei è la persona che ha insegnato il linguaggio a me. E lo vedevo man mano andare in pezzi. 

Ha usato anche delle immagini in super 8… 

Mi ha incoraggiata il produttore. Le ho trovate e ho chiesto ai miei fratelli se potevo usarle. Inizialmente erano perplessi ma comunque mi hanno dato il permesso, mi hanno detto che non ne sarebbero stati infastiditi. C’era questo lago ghiacciato vicino casa nostra dove andavamo a pattinare e un giorno vi siamo sprofondati dentro. Nel film ci sono molti elementi di questo tipo. 

Fa molto riferimento anche alla filosofia, a Wittgenstein, a Kierkegaard… 

Wittgenstein l’ho studiato a scuola, più come artista che come filosofo, con le teorie sulla sensualità dell’arte e sull’inadeguatezza del linguaggio a esprimerla. Alle volte per esprimere il concetto di libertà è meglio dipingere una tela blu enorme piuttosto che fare mille discorsi. Il filosofo più importante però è stato il mio maestro Zen, mi ha insegnato la differenza tra ‘sentirsi tristi’ ed ‘essere tristi’ e l’importanza dell’amore. Tutto gira attorno all’amore, anche il suicidio. Può essere un gesto di ricerca d’amore e libertà. E’ un filosofo hardcore. 

Parla anche dell’11 settembre e delle sue conseguenze… 

Soprattutto di come si sia venuta a creare una società basata sulla sorveglianza continua, che ha reso la paura sfocata, non so dire molto altro su questo argomento. Nel film non c’è un eroe di cui sposare il punto di vista, per questo è impegnativo. Vediamo con gli occhi del narratore o con quelli di un cane, ma il punto di vista principale è il vostro. Non c’è un significato particolare dietro, ho affrontato la pellicola come se fosse un Haiku, badando solo a mantenere l’intensità di quello che raccontavo. E’ come se fosse un radiodramma. I personaggi non li vedete, vi vengono solo descritti. 

Nel film compare anche il suo compagno Lou Reed, scomparso nel 2013...

Sì, recita la parte di un dottore, è stato divertente avere a disposizione un’ala di ospedale e fingerci medici senza sapere nulla di medicina. Lo spirito di Lou è molto presente nel film, volevo fare qualcosa che fosse un omaggio ma anche rispecchiasse una parte della sua personalità perché volevo riflettere sulla sua energia.


Come si affronta il tema della morte negli USA? 

E’ un tabù enorme. Escono centinaia di film pieni di morti ma nessuno parla veramente del processo del morire, tendono a tenerlo molto controllato. L’idea è che mentre si muore si debba sentire il meno possibile, essere meno coscienti possibile. Nel film parlo del mio veterinario che voleva sopprimere il mio cane, spiegandomi che era per non farlo soffrire, ma per me questo approccio è aberrante. Mi sono affidata invece spesso al ‘Libro Tibetano dei morti’, una lettura per me fondamentale. 

La pellicola è piena di simbolismi che rimandano alla dualità... 

E’ una metafora di sdoppiamento, apparenza e significato. E il mondo dall’altra parte, come dicevamo prima. Non volevo inserirla nel film ma ci è arrivata. L’idea occidentale della bellezza implica che le cose si somiglino. Non so bene perché ma mi sono ritrovata alla NASA a parlare di questa cosa con degli scienziati e ho capito che noi artisti e loro non siamo così diversi. Entrambi facciamo una cosa e poi ci diciamo: cos’è, esattamente?

 
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Film nelle sale da oggi e da domani

Post n°12557 pubblicato il 09 Settembre 2015 da Ladridicinema
 

 
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Box Office, la marcia dei Minions è inarrestabile

Post n°12556 pubblicato il 09 Settembre 2015 da Ladridicinema
 

Box Office Italia
In Italia la marcia dei Minions pare inarrestabile e il film ha già superato i 2 milioni di spettatori, i 15 milioni d'incasso e ha grandi chances di oltrepassare la soglia dei 20 milioni, che in Italia pareva appannaggio quest'anno del solo Zalone. Effettivamente, vedere un secondo weekend con quasi 5 milioni incassati non capitava da tempo; a questo punto una chiusura tra i 20 e i 22 è più che probabile. Tra le new entry della settimana la spunta Città di carta, che ottiene un notevolissimo 1.2 milioni di euro. Il fatto che la protagonista, la modella Cara Delevingne, sia apparsa durante l'estate su qualsiasi magazine esistente, dovrebbe aver inciso parecchio sulla performance del film. Resiste sul podio Tom Cruise, oramai prossimo a passare i 5 milioni di euro, mentre dietro c'è un filotto di new entry: Southpaw - L'ultima sfida (non male con oltre mezzo milione), Sinister 2 (ottima media per sala), Operazione U.N.C.L.E. (molto deludente) e Un'occasione da Dio (mediocre). Da segnalare l'ottima performance di Taxi Teheran, che resiste al nono posto e ha già incassato oltre 300mila euro. La prossima settimana arrivano tre flop americani: Fantastic 4 - I fantastici quattroSelf/less e No Escape - Colpo di stato in aggiunta a Dove eravamo rimasti e all'italiano Sangue del mio sangue

Box Office USA
La pochezza del box office settembrino americano è perfettamente incarnata dalla top ten di questa settimana: a War Room, in salita rispetto all'esordio della settimana scorsa, bastano 9.3 milioni per ottenere la vetta. Perde il primo posto ma continua a macinare incassi eccelsi Straight Outta Compton, arrivato a 147 milioni. Risibili gli incassi delle nuove entrate: la spunta A Walk in the Woods, che parte con 8.4 milioni mentre va male The Transporter Legacy, che incassa 7 milioni con una media per sala orribile. Sorprende il film animato messicano Un gallo con muchos huevos che raccoglie 3.4 milioni con appena 400 cinema a propria disposizione (la media per sala è la migliore della top ten). Si rivede anche Inside Out, grazie all'ultimo boost in termini di schermi a disposizione, che raccoglie altri 3.4 milioni e arriva allo spettacolare totale di 348 milioni (20 in più dei Minions). Salutano la top ten Ant-Man (173 in casa, 383 in totale) e Minions (328 milioni in casa, 1 miliardo e 42 milioni worldwide). La prossima settimana arrivano The Visit (il nuovo di M. Night Shyamalan), il dramma 90 Minutes in Heaven e il thriller The Perfect Guy

 
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Caligari c'è (ma fuori concorso) da cinecittànews

Post n°12555 pubblicato il 09 Settembre 2015 da Ladridicinema
 

Cristiana Paternò07/09/2015
VENEZIA Non essere cattivo avrebbe dovuto essere in concorso alla 72ma Mostra? Chi ha condiviso con Claudio Caligari questo travagliato progetto, segnato indelebilmente dalla morte dell'autore, lo pensa: Valerio Mastandrea, produttore e anima del film senza mai comparire davanti alla macchina da presa, lo dice, sia pure in maniera sfumata - "peccato non farlo giudicare a una giuria internazionale, peccato anche per gli attori" - mentreEmanuel Bevilacqua, amico e stretto collaboratore del regista scomparso a 67 anni per un tumore alla gola, esprime con una certa durezza un rimpianto che aleggia nell'aria: "Sono amareggiato da questa decisione perché so quello che ci ha messo dentro Claudio, che veniva sul set anche se gli restavano pochi giorni di vita". Infine il coproduttore Pietro Valsecchi, che anche lui l'avrebbe voluto in concorso, dà in conferenza stampa una risposta diplomatica: "Ho chiesto ad Alberto Barbera perché il fuori concorso: mi ha parlato di un film straordinario, ma ha spiegato che la morte dell'autore avrebbe potuto creare imbarazzo alla giuria, che poteva sentirsi quasi in dovere di dare un premio". 

In fondo poi l'importante è che Non essere cattivo sia qui e da domani, 8 settembre in sala con la Good Films. "Claudio c'è", come dice Mastandrea. E ci sono con lui tutti i suoi collaboratori e anche la mamma, Adelina Ponti, novantenne, che ne ricorda la dolcezza assoluta e si commuove. "Siamo tutti emozionati - aggiunge Mastandrea - stasera ci si romperanno le acque". 

Terza e ultima parte di un'ideale trilogia del cineasta di Arona, autore ultraindipendente che in trent'anni ha girato solo tre film (Amore tossico nell'83, L'odore della notte nel '98 e questo, che rimarrà il suo ultimo), è un romanzo popolare ambientato nella Ostia di metà anni '90 e racconta l'amicizia per la vita e per la morte di Vittorio e Cesare. Due ventenni che trascorrono le notti tra sballo, macchine potenti, spaccio e malavita di piccolo cabotaggio e disprezzano chi si buca perché loro preferiscono le droghe chimiche, le pasticche dai nomi pittoreschi, o la coca. Per Caligari che ha passato l'esistenza a osservare il mondo dei tossici, quello è un momento epocale, il momento del passaggio, la fine di un'epoca. 

A parlare per lui è ancora una volta Valerio Mastandrea, che era arrivato a fare un appello a Martin Scorsese per trovare i finanziamenti per questo progetto quando riusciva a chiuderlo. "Claudio voleva rappresentare una storia piccola di amicizia, un'amicizia immensa in un contesto sociale che lentamente ti stritola. Le latitudini che Claudio esplorava erano sempre le stesse e qui mostra come si può corrompere questo mondo borgataro, attraverso nuove droghe accessibili a tutti e l'illusione che il lavoro sia il fondamento della società". E' Vittorio, tra i due, quello che inizia a pensare a un cambiamento di vita, anche perché influenzato da Linda, una madre single di cui si innamora all'istante quando la conosce, mentre Cesare, che intanto frequenta la ex di Vittorio, Viviana, proprio non ce la fa a mettersi in riga, troppo forte per lui il miraggio del guadagno facile, della possibilità di svoltare con un pacco di cocaina da vendere. "Con il lavoro finisce l'era pasoliniana - dice ancora Mastandrea - e il candore di quei personaggi indagati da Pier Paolo. Difficile dire chi ha vinto e chi ha perso tra Cesare e Vittorio. L'unica cosa certa è che nessuno ha pareggiato, perché nell'universo di Claudio il pareggio non esiste".

Per gli sceneggiatori Giordano Meacci e Francesca Serafini, è stato immediato calarsi in questo progetto: "Quando ci parlò per la prima volta di questa storia ce ne siamo innamorati subito, a partire dal titolo. Con Claudio parlavamo di cinema e dei suoi miti, Scorsese, Visconti, Pasolini e Ferreri. Fra cento anni, quando si vorrà capire l'Italia, bisognerà cercare delle risposte nell'arte e nella letteratura e in film così, che raccontano un punto di inizio della contemporaneità". E considerano Non essere cattivo come un perfetto impasto di cinema di genere e d'autore. Ritmo veloce e atmosfere notturne, recitazione verista, che rimanda alle esperienze di Caligari con i non attori e quattro interpreti notevolissimi: Luca Marinelli, Alessandro Borghi, Roberta Mattei e Silvia D'Amico. Racconta quest'ultima: "Ci ha scelto guardandoci negli occhi, cercava persone con una sensibilità simile alla sua e una consapevolezza reale di quello che dovevamo raccontare". Mentre per Roberta Mattei "Caligari resta un punto di riferimento per chi è cresciuto con Pasolini e De Andrè, per chi si rivolge verso gli esclusi, per chi viene dalla periferia". Certo, ci sono stati dieci anni di porte sbattute in faccia, un film che proprio non si riusciva a fare e che poi ha messo insieme Kimerafilm, Rai Cinema, Taodue, Leone Film Group, con il contributo del MiBACT. "Ma ormai è tardi per recriminare - dice ancora Mastandrea - Claudio ha fatto tre film che sono pochissimi ma che resteranno per sempre e poi ci sono cinque copioni dentro al cassetto che tireremo fuori, troveremo le persone giuste per portare avanti la sua idea di cinema". E quel titolo, Non essere cattivo? "E' l'undicesimo comandamento, ma in certi ambienti non puoi non essere cattivo anche se ci provi". 

 
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Yann Arthus-Bertrand: giro del mondo alla scoperta dell'uomo

Post n°12554 pubblicato il 09 Settembre 2015 da Ladridicinema
 

Andrea Guglielmino08/09/2015
Il documentarista a Venezia con il film evento di quasi quattro ore Human, che sarà lanciato in tutto il mondo il 12 settembre, in contemporanea alla Mostra e alle Nazioni Unite
A vederlo ci sarò anche Ban Ki-moon. Inoltre, il film sarà pochi giorni dopo disponibile in versione ridotta suYoutube grazie a Google, partner del progetto e attraverso un "kit" di visione a disposizione di associazioni, scuole, istituzioni culturali. Tutto gratuitamente, per scelta, essendo il film finanziato da due Fondazioni no-profit - laFondation Bettencourt Schueller e la Fondation GoodPlanet

Dopo Home, il film inchiesta sullo stato del pianeta visto da più di 600 milioni di persone, il regista – fotografo, cineasta, ambientalista, narratore e maestro delle riprese aeree – firma con la nuova pellicola, della durata di quasi quattro ore, dichiaratamente impegnata sul versante della salvaguardia dell'ambiente e di quanti ci vivono, un ritratto delicato e affettuoso di chi siamo, oggi, come società, come collettività, come individui, affidato a tre voci: le parole degli uomini (con centinaia di interviste realizzate in tutto il mondo), la testimonianza della terra, la forza della musica. Abbiamo parlato con il regista per analizzare meglio alcuni aspetti di questo interessante progetto. 

Che effetto le fa essere a Venezia ? 

Amo questa città. Ho realizzato un foto set e vorrei riprenderla vista dall’altro, ma sorvolare la laguna è vietato. Mi trasferirei qui ma mia moglie pensa che sia troppo umido. Ad ogni modo avevo realizzato per Human alcune interviste qui, ma purtroppo le immagini non erano buone e ho dovuto scartarle, sostituendole con immagini d’archivio.   

Come nasce il progetto di Human

Sono un appassionato di elicotteri. Una volta ho avuto un guasto e mi sono dovuto fermare presso una famiglia che praticava agricoltura di sussistenza, ovvero non per vendere i prodotti ma semplicemente per nutrirsi con essi. Il capofamiglia mi ha raccontato molte cose, guardandomi negli occhi: le sue paure, la malattia, le condizioni climatiche, mi ha molto toccato. Così ho pensato che come quell’uomo mi raccontava la sua storia anche tutti gli omini che vedevo dall’alto sorvolandoli ne avrebbero avuto una da raccontare. Mi ha ispirato molto anche The tree of Life di Malick. Ho pensato, se lo fa lui, lo posso fare anch’io. 

Come ha fatto a convincere qualcuno a produrlo? 

Sapevo che non si trattava di un progetto commerciale, non volevo nemmeno che lo diventasse. E calcoli che ho usato solo l’uno per mille di quello che ho girato. Mi sono messo alla ricerca di un mecenate e l’ho trovato nella Fondazione. In sala lo abbiamo dato agli esercenti per il minimo, sappiamo che lo proietteranno in 540 sale. Nei paesi in cui non c’è la sala, mandiamo il Blu-ray gratis, per garantire la massima diffusione. E’ un film che deve girare e generare discussione. E poi France TV lo trasmetterà nell’arco di una notte, dalle 20.30 di sera alle quattro del mattino. Sarà diffuso su Youtube grazie all'accordo con Google e sto cercando di mostrarlo al papa, ho un appuntamento in Vaticano per i primi di dicembre. 

Ci sono delle letture che l’hanno ispirata, magari di taglio antropologico? 

Non leggo romanzi ma piuttosto biografie. A ispirarmi è il presente: la guerra, Gaza, la Siria, la malattia, il fatto che la ricchezza sia concentrata in pratica nelle mani di una novantina di persone. I cambiamenti climatici e quelli tecnologici. Finanzio un orfanotrofio in Africa e con Internet i bambini potrebbero dirti quanto costa comprare un panino qui al Lido. Non c’è da stupirsi se i rifugiati siriani contattano le loro famiglie usando uno smartphone. Nessuno può dire esattamente come sarà il mondo tra dieci anni. 

Come ha realizzato il film da un punto di vista tecnico? Ha usato droni? 

No, il drone è troppo incerto e io sono ossessionato dalla precisione dell’inquadratura. Ho scoperto piuttosto il Cineflex, un teleobiettivo estremamente stabile che non vibra per niente e permette di avvicinarsi molto. E naturalmente l’elicottero. Il drone l’ho provato a Chernobyl ma non funzionava quindi ho scartato anche quelle riprese. 

Qual è il messaggio del film? 

L’obiettivo dell’essere umano è migliorare, tutti possiamo fare qualcosa. E’ facile avere successo nella vita professionale, quello che è difficile è relazionarsi alla famiglia e alle persone che ti stanno intorno. Lo dice anche un bambino, per strada, a fine film. “Tutti hanno una missione, sta a me scoprire qual è la mia”. Credo che il film sia riuscito molto bene ma bisogna restare umili. Mi sono stupito in Francia delle reazioni dei critici, che sono noti per il loro cinismo. Invece a fine pellicola restavano muti, qualcuno aveva voglia di telefonare alla famiglia. Ora il film è vostro, fatene buon uso, fate il passaparola.

 
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