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Messaggi del 05/12/2015

Mario Dell'Arco, Poesie

Tempio de Diana

Er fume der capretto a l’inquilino,
er coscio ar sacerdote
che sgnommera er latino.
Finché Diana-Selena-Ecate ha detto
basta. Rossetto ar labbro,
nero all’occhio, la vesta
a un parmo sur ginocchio.
A l’osteria
magna pe Diana, magna pe Selena,
magna p’Ecate: a gotto
a gotto er barilozzo de trebbiano
allaga er gargarozzo.
Un bosco de castagni - e je s’affaccia
la voja de la caccia.
Ma gnente frecce, gnente giavellotto.
Ganassa rosa, l’occhio che sbarbaja
lei se sdraia sull’erba
e aspetta ar passo er primo giovinotto.

Mario Dell'Arco



Via Piè de Marmo

Ito in pensione, er Piede
è finito a l’imbocco d’una via.
Gnente Giove e Nerone, gnente Iside.
Piede de Giulio Cesere e je preme
de batte sur serciato de l’Aurelia
er primo passo - e de combatte er Gallo.
Costretto all’ozzio in cima ar piedistallo
er marmo pario freme.



Ponte de ferro

Io de qua, tu dellà
a fronte a fronte. C’era
c’è sempre un ponte
e cammino sull’acqua incontro a te.
Tu nun sei morta - e vale
sempre l’appuntamento.
T’aspetto puntuale
a l’imbocco der ponte
stretto in mano er calore der baiocco.

Mario Dell'Arco



Un filo d’erba in bocca

Er filo d’erba
accarezza er profilo d’una guja
e er granito diventa scorza d’arbero.
Spunta la prima rama
fresca de guazza - e chiama
l’ibis der geroglifico. Un invito
ar vento - e fiocca a foja a foja er verde.
Un filo d’erba in bocca.

Mario Dell'Arco



Sette regazzini

Tutti presenti : Rùzzica, Fischietto,
Sbuciafratte, Frittella,
Farfanicchio, Roscetto, Cuccumella.
"Che famo ?". "Li pirati".
"Senza nave ?". "Appiedati".
L’aria odora de maggio
e li pirati vanno all’arrembaggio.
Er maestro, un ometto
stràbbico, fa lezzione
chiuso a lucchetto in un palamidone.
Un occhio fissa er libbro
un occhio gira intorno :
"Sette assenti in un giorno".
Vorta paggina, poi :
"Li sette re de Roma..." e pensa a noi.
Ita a picco la nave
e li sette pirati chiusi a chiave
chi a studio chi in ufficio chi a bottega
e nessuno fa sega.
Er celo adesso cià un colore tetro :
l’hanno messo in castigo sotto vetro.

Mario Dell'Arco



Un arbero, una colonna

C’era a piazza Colonna un arberone.
San Pavolo sguinzaja lo spadone
e giù li rami, giù
fino all’urtima fronna.
Mezzo cionco in un bagno de sudore
s’ariposa lassù da lo strapazzo.
Un ber gusto der cazzo
cavà da un tronco d’arbero,
tonna scorpita eterna una colonna.

Mario Dell'Arco



Un'ondata de stelle

Un’ondata de stelle, spighe d’oro
nate in celo - e ar lavoro
er farcetto d’argento de la luna.
In cima ar Palatino,
in mano er borsalino,
aspetto sempre che ne casca una.

Mario Dell'Arco



Un rettangolo de prato

Ho sforbiciato ar Pincio
dua per uno un rettangolo de prato.
Guasi una bara a celo aperto. Intinto
a ortiche, intinto
a cardi, ner viavai de le staggioni
me sarvo, finto morto,
da li rompicojoni.

Mario Dell'Arco



Er faro der Giannicolo

Chi vo la luce bianco-gijo, chi
verde-ellera, chi rosso-garofolo.
Un pipinaro
de gente addosso ar faro
divisa da un colore.
Però la luce è sempre tricolore.

Mario Dell'Arco



La Barcaccia

Come in prima matina
je dà er bongiorno l’ape barberina
la Barcaccia s’abbuffa
de miele.
Un bocconcino
de sole barberino
scorpito a poppa - e se l’aggusta auffa.
Ma senza vele e senza
remi, addio spasseggiata.
Vecchia grassa intronata
da trecentanni e passa
smagna a piazza de Spagna.

Mario Dell'Arco



Busti ar Pincio

Sboccia dall’erba in pieno sole, ignuda
e cruda - o fa bisboccia
su un ciuffo de mortella
la stàtuva.
Ma ar Pincio
è terra poverella
e sboccia all’ombra giusto
la miseria d’un busto.

Mario Dell'Arco



La colonna de l'Immacolata

Mosè, Ezzecchielle, Davide, Isaìa :
quattro gorilla a guardia de Maria.
E lei s’addorme sbronza de turchino
la chioma sur cuscino d’una nuvola.
L’otto dicembre intorno alla Colonna
un fricantò de gente. Scatta fòri
er pompiere, se fionna
su la scala cor mazzo de li fiori
e va a rompe li sogni a la Madonna.

Mario Dell'Arco



Er Purcin de la Minerva

Ciuco, moscio, avvilito - e sur groppone
la soma de granito.
La probboscide aspetta appennolone
sempre un boccone, er primo.
Fortunato er turista che lo sgrancia
e se lo porta in Francia
o in Inghilterra come
un souvenir de Rome.

Mario Dell'Arco



Piove

Piove su un mozzicone d’acquedotto
e l’acqua a brija sciorta
le corre un’artra vorta sur groppone.
Piove addosso a Pasquino
e scancellata a vista
l’urtima pasquinata
contro Giovanni-Pavolo turista.

Piove su la Colonna
Antonina. San Pavolo
fracico fino all’osso
mulinella er palosso. Porcoggiove!
E fionna in celo moccoli.

Uno sgrullone d’acqua
sgrulla la guja : piomba
su la piazza la croce,
la stella, la colomba, Eolo perfino
cor ponentino in bocca. Ma s’è mosso
Bettino e li rimpiazza
cor garofolo rosso.

A la Rotonna lo sgrullone affonna
fino all’urtima goccia
ner bucio de la cuppola - e er barbone
in vita sua se fa la prima doccia.

Un carosello d’acqua
torno torno a Castello
e fiele in bocca a san Micchele arcangelo.
Porcaputtana,
la durlindana
nun entra più ner fodero.

Una pianara a via
de le Quattro Funtane, a la Longara,
ar Tritone, a Ripetta:
mo da Taja, ch’è rosso a Basta (o no ?)
ogni paggina frutta una barchetta
e offro a tutta Roma una poesia.

Mario Dell'Arco

 
 
 

Cesare Crescenzi

Post n°2330 pubblicato il 05 Dicembre 2015 da valerio.sampieri
 

Cesare Crescenzi

Testamento

I

Lasso p’eredi mij li poveretti
Che stanno come me fra li dolori,
Je lascio quer che ció: quattro straccetti
Le scarpe, li cappelli e li tortori.

Si trovate li poveri sonetti.
Lassateli ammuffi a li tiratori;
che godino li sorci e l’antri insetti
Le mi’ fatiche, er tempo e li sudori.

Si quarcuno se smove a compassione,
De li vecchi che lasso fra le pene,
Faccia venne pe’ ’n sordo a ’no strillone

Li libri de sonetti ch’ho stampato:
La carta serve, e Dio darà der bene,
Chi co’ ’n sòrdo li vecchi avrà aiutato!

II

E tu, Ninetta mia, quanno vierai
A vedemme giù morto, viecce sola;
Quer viso santo nu’ lo scordo mai,
E sippure so’ morto me consola!

Viemme a da’ ’n bacio, vie’, tu ce lo sai
Che l’animo nu’ more e ar celo vola;
Viemme a da’ ’n bacio solo, sentirai
Ridatte ’n bacio e l’urtima parola!

Pija da capo ar letto la crocetta,
E posela sur core addolorato,
Assieme a la Madonna benedetta!

Porteme poi ’na rosa e la gaggia,
Com’io quaggiù t’ho sempre arigalato,
Li più sciccosi fiori de poesia!

Note di Valerio Cruciani:
In Marforio I, 11 - 24-25 Giugno 1902. Coppia di sonetti, schema: ABAB ABAB CDC EDE. Parte I, vs. 3 ció probabile refuso per ciò. Vs. 4 tortori, bastoni, randelli (Chiappini, op. cit.). Vs. 5 il punto è probabilmente un refuso. Vs. 6 ammuffi anziché ammuffì, probabile refuso. Tiratori, cassetti, voce importata dal Piemonte (Chiappini, op. cit.). Vs. 11 sordo cfr. vs. 14 sòrdo. Parte II, vs. 14 poesia trisillabo.

Cesare Crescenzi

 

All’ospedale

I

«Er braccio po’ guarì!... ma la ferita
ar petto è fonna... e me fanto male!...
co’ tutto che me l’hanno ricucita,
me pare da sentimmece er pugnale.

Famme er piacere a Gi’, si vedi Ghita,
nu’ j’annisconne gnente, e tal’e quale,
dije che sto in pericolo de vita:
j’ho da parlà, che vienghi all’ospedale!

Dije, ch’er sangue ’n testa in un momento
m’intesi aribollì!... che j’ho menato
a quer bojaccia vile... e nu’ me pento

si pe’ difenne a lei so’ massacrato:
dije che venghi!... morirò contento
se prima de spirà lei m’ha baciato!»

Cesare Crescenzi

II

«’Mbè nu’ me dichi gnente de Biacetto?
l’hai visto? come sta?... ma tira via
leveme da ’ste pene... che t’ha detto?...»
«Nun ce sta più speranza, Ghita mia,

pe’ la ferita grave che ciá ’n petto:
lui dice che sarà quer che sia,
ma te vo’ arivedè quer poveretto!...
te prega d’annà subbito in corsia»

«Guardeme!... parla!... dimme ’na parola
vedi che te sto accanto?... parla Biacio,
qui c’è Ghituccia tua che te consola!...»

Er povero malato guardò fisso
l’innamorata sua, je dette ’n bacio
e poi spirò strignenno er crocifisso!

Cesare Crescenzi

III

«Biacio!... Biacio!... Madonna me se more!
Biacetto mio risponni!... m’hai parlato?...
... pe’ carità sarvatelo dottore!...»
«Ma che je posso fa s’è già spirato!...»

- «No!... no!... no!... che je sbatte forte er core,
... vedete che me guarda?!... m’ha baciato!...
la fronte è fredda!... gronna de sudore!...
... è finito!... me l’hanno assassinato!...»

Coll’occhi sopra ar morto stette muta,
rimase còrca addosso ar letticciolo
poi scivolò per tera!... era svenuta!

Verso sera, coperto c’un lenzolo,
Biacetto stava lungo ’nde la bara,
e Ghita, pòra Ghita!... a la Longara!...

Fiore de spino
Si nun sia mai me venghi fra le mano,
Ce vojo fa la zuppa drento ar vino!

Fioretto raro
Tu mi hai mannato in celo er mi tesoro
Io te manno all’Inferno paro, paro!

Fior d’ogni fiore
Me vojo fa passà ’ste pene amare
Si t’arivo a caccià de fori er core!

Fior de granato,
E quanno ’sto lavoro avrò finito
Io volerò da te, Biacio adorato!...

Fior de gaggia
Te manna mille baci Ghita tua!...
M’ariccommanno a voi, Madonna mia!
 
Cesare Crescenzi

IV

Co’ ’na vocetta chiara e co’ passione,
Ghituccia aripeteva ’sti stornelli,
mentre che je brillava un lagrimone
su quell’occhi turchini, tanto belli!...

Doppo detta ’gni giorno l’orazione,
cantanno e ricantanno sempre quelli,
s’annava a mette a sede in un cantone,
coprennose de rose li capelli.

Guardava in mezzo ar celo l’ore e l’ore,
e cantanno, baciava n’abitino
che teneva anniscosto accanto ar core.

Poi come avesse visto er pòro Biacio,
stava alegra, e facenno un bell’inchino,
j’offriva ’n fiore e je tirava ’n bacio!

Note di Valerio Cruciani:
In Marforio I, 19 - 22-23 Luglio 1902. Quattro sonetti e una serie di stornelli. Parte I, schema ABAB ABAB CDC DCD; vs. 5 Ghita, dimin. di Margerita (Chiappini, op, cit.). Vs. 8 vienghi cfr. venghi al vs. 13. Vs. 9 ersangue probabile refuso per er sangue. Vs. 10 aribollì probabile refuso per aribbollì. Parte II, schema: ABAB ABAB CDC EDE; vs. 5 ciá probabile refuso per cià. Vs. 6 ipometro, a meno che non leggiamo lui con dieresi. Parte III, schema: ABAB ABAB CDC DEE; Vs. 4 fa anziché fà. Vs. 14 Longara, vicino al carcere di Regina Coeli, sulla via della Lungara, c’era un manicomio chiamato di S. Maria della Pietà, detto anche dei pazzarelli. Chi vi portasse una persona per il ricovero, riceveva in regalo cento uova fresche (Delli, op. cit., pp. 543-544). Parte IV, gli stornelli hanno il tradizionale schema AbA, con assonanza al vs. 2 e rima tra 1 e 3: sono composti di tre versi, dei quali il primo è un quinario e gli altri due endecasillabi. Vs. 5 mi anziché m’ e mi anziché mi’. Parte IV, schema: ABAB ABAB CDC EDE.

Cesare Crescenzi

 
 
 

La madre de le Sante

La madre de le Sante

Chi vvò cchiede la monna a Ccaterina,
pe ffasse intenne da la ggente dotta
je toccherebbe a ddí vvurva, vaccina, (1)
e ddà ggiú (2) co la cunna (3) e cco la potta.

Ma nnoantri fijjacci de miggnotta
dìmo (4) scella, (5) patacca, passerina,
fessa, spacco, fissura, bbuscia, grotta,
fregna, fica, sciavatta, chitarrina,

sorca, vaschetta, fodero, frittella,
ciscia, sporta, perucca, varpelosa,
chiavica, gattarola, finestrella,

fischiarola, quer-fatto, quela-cosa,
urinale, fracoscio, ciumachella,
la-gabbia-der-pipino, e la-bbrodosa.

E ssi vvòi la scimosa, (6)
chi la chiama vergogna, e cchi nnatura,
chi cciufèca, tajjola, (7) e ssepportura.

Roma, 6 dicembre 1832

Note:
1 Vagina.
2 Dar giù, cioè: «seguitare».
3 Cunno.
4 Diciamo.
5 Cella.
6 Cimosa: lembo rozzo di drappi: sta per «giunta, un-di-più».
7 Tagliuola.

Giuseppe Gioachino Belli
Roma, 6 dicembre 1832
(Sonetto 560)

 
 
 

Pane, mozzichi e baci

Post n°2328 pubblicato il 05 Dicembre 2015 da valerio.sampieri
 

Pane, mozzichi e baci

Finiti Pane, fava, pecorino,
er vino e li biscotti ar cioccolato,
appena se sdraiassimo sur prato
sbucò tra l’erba l’urtimo panino.

"S’era anniscosto...""Buttelo!""E’ peccato!"
"Ma è asciutto, e nun c’è più nemmeno er vino!"
"Mejo, giocamo ar Picchenicchettino"
"E che robb’è?" "E’ un esame..." "Mai provato."

"Si è vero ch’io te piaccio e tu me piaci
rivie’ appetito: ma ce vò l’esame...
è un gioco fatto a mozzichetti e baci."

"Attaco io...mò te...Dai! Forza! Ancora"
Finito er pane ce venì ‘na fame
che Picchenicchettassimo tre ore.

Aldo Fabrizi

 

 
 
 

Li conzijji de mamma

Li conzijji (1) de mamma

Vedi l’appiggionante (2) c’ha ggiudizzio
come s’è ffatta presto le sscioccajje? (3)
E ttu, ccojjona, (4) hai quer mazzato (5) vizzio
d’avé scrupolo inzino de le pajje! (6)

Io nun te vojjo fà ccattiv’uffizzio,
ma indove trovi de dà ssotto, (7) dajje. (8)
Si (9) un galantomo ricco vô un zervizzio,
nun je lo fà ttirà cco le tenajje.

T’avessi (10) da costà cquarche ffatica,
vorebbe dí: (11) mma ttu méttete (12) in voga,
eppoi chi rroppe paga: è storia antica.

Quanno poi vederai troppa magoga (13)
tiella su e ddàlla a mmollica a mollica. (1)4
Chi nun z’ajjuta, fijja mia, s’affoga. (1)5

Roma, 14 settembre 1830 - De Pepp’er tosto

Note:
1 Consigli.
2 Compigionale della medesima casa.
3 «Scioccaglie».
4 Stolta.
5 Mazzato, quasi «malnato, maledetto».
6 Delle paglie, dei nonnulla.
7 Dar sotto: approfittarsi alacremente dell’occasione.
8 Dagli.
9 Se.
10 Ti avesse.
11 Vorrei pur dire, vorrei pur darti ragione.
12 Mettiti.
13 Affollamento, bisbiglio.
14 Dàlla con parsimonia.
15 Proverbio.

Giuseppe Gioachino Belli
Roma, 14 settembre 1830 - De Pepp’er tosto
(Sonetto 56)

 
 
 

Er processo Fadda

Post n°2326 pubblicato il 05 Dicembre 2015 da valerio.sampieri
 

Er processo Fadda
(Dialigo fra Toto e su' padre)

Eh Toto mio, te piace? - A me pe' gnente:
che c'è dentro a 'sta gabbia? -I diputati.
Tata, so' veri 'sti gendarmì armati?
Si. - E quello co' quer tubbo? - E'. 'r presidente.

E questi a manimanca? -So' ingiuriati
Che dicheno? - Fa mosca - E nun se sente...
qui avanti c'è l'orchestra? -No. - E 'sta gente?
So tutti mozzorecchi d'avvocati.

A tata, che saranno quele dua?
So' du' mignotte e a prova - E quer paino?
Un boja -A tà, ch'à fatto? - Ah certa bua...

Ha incoronato un orno e l'à scannato,
nu' lo vedi, porcaccio San Lumino!
che puzza un mijo lontano d'ammazzato?

Il 6 ottobre 1878 il capitano Giovanni Fadda venne ucciso dal cavalerizzo Pietro Cardinali per mandato della moglie dela Fadda e amante dell'omicida, Raffaella Saraceni. Il processo di corte d'assise, tenutosi in Roma dal 20 settembre al 21 ottobre 1879 nell'aula dei Filippini ( L'attuale sala Borromini alla Chiesa Nuova,) suscitò enorme curiosità. Tra la folla che assistette allo svolgimento del processo erano numerosissime le signore e le signorine della buona socità romana: ciò mosse lo sdegno di Carducci che le ricordò con amaro sarcasmo in una nota poesia dell'ottobre 1879, A proposito del processo Fadda.

Giggi Zanazzo
8 ottobre 1897

 
 
 
 
 

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