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Acquario

Post n°174 pubblicato il 14 Ottobre 2012 da lab79
 

L'alba sulla terra dell'uomo. (Altitudine 8000 circa, sul cielo dell'Africa)

Come i pesci rossi, ho visitato per qualche giorno una terra meravigliosa, chiuso in una boccia di vetro.  Impossibilitato a trattenermi dal guardare attraverso il vetro il mondo intorno, attratto dalle sue luci, dai suoi colori, i suoi odori. Non mi vanterò mai  di averci viaggiato, perchè viaggiare è un'altra cosa. Questa è stata una visita, e in quanto tale era possibile esimere il proprio cuore dal guardarsi intorno, per godersi in pace la vista di quanto ci era stato preparato: una spiaggia bianca, una camera pulita, lenzuola linde, acqua calda, aria condizionata, accoglienza folckloristica ma accomodante, per non farci sentire troppo lontano da casa. I banalissimi privilegi dei turisti. L'acquario di casa trasportato altrove. Semplicemente.

Eppure la tentazione di guardare fuori dalla cornice gentilmente offerta era troppa. La voglia di porsi domande, di cercare risposte magari banali, dettate dai propri pregiudizi. Cattive risposte, ma pur sempre un inizio. Quella non era una cartolina. Era un luogo bellissimo, vero. Tanto che io l'ho visto con i miei occhi, più ancora di quanto queste foto non vi possano testimoniare. Ma non era tutto lì. Ai confini dei muri bianchi che ci davano sicurezza, c'era la gente. Quella vera. Magari rumorosa, fastidiosa, sgradevole allo sguardo. Era viva, e aveva una storia, che a malapena ci siamo fatti spiegare, distratti come eravamo dalle nostre fotocamere, dai nostri commentini divertiti, appena infastiditi dal caldo e intenti ad agitare la mano per cacciare via le mosche e i bambini scalzi. Una storia che poteva gettare i semi di un dolore, se il nostro animo fosse ancora terra fertile per i sentimenti umani. Invece ci siamo seduti spazientiti sul marciapiede a fumare, impassibili come le pietre schiave che ci fissavano e che non potevano parlare: avevano troppe catene per potersi dire libere di disprezzarci.

Eppure non è stato tutto lì.

In quella terra lontana (Non sono mai stato tanto lontano dal luogo  in cui sono nato) ho ritrovato i profumi di casa. Ma di una casa ancestrale, antica come il buio profondo di un salone innondato dalla luce dell'equatore che entra a viva forza dalla porta aperta sulla strada. Ho rivisto i colori del mondo esposto alla luce vera, quella che dallo zenit costringe le ombre a rifugiarsi ai piedi dei propri protetti. Ho risentito i profumi dei mercati, la puzza del pesce fresco e il ronzio delle mosche, e assaggiato frutti che avevo dimenticato. Ho sentito sulla pelle la brezza fresca che viene dal mare e che confonde le voci con gli odori, i colori con i sapori, e l'animo degli uomini con quello della terra sporca su cui camminano a piedi scalzi. Mi sono stancato tra le vie confuse di una cittadina da niente, i cui bambini ci guardavano come si guardano i piccioni nelle piazze: un misto di curiosa impazienza della nostra ignoranza. Mi sono ubriacato di luce, di profumo di mare e vento, della dolce acqua delle noci di cocco, e di rhum. Ho trotterellato come un bambino tra i tavoli di legno dei mercanti, incurante dell'idea balzana che in fondo ero un turista, e che poteva risultare pericoloso. Non lo è mai stato, in nessun modo, per fortuna e a dispetto delle ragionevoli raccomandazioni delle nostre guide.

 

I nostri pensieri si sono dilatati quando è arrivata la sera. Tanto si era allargato l'orizzonte del nostro cuore che solo allora eravamo pronti per aprire gli occhi, e guardare un po' più lontano. E' stato allora che abbiamo pesato la dignitosa povertà della gente, magnanima ed equa ma sepolta sotto la polvere delle nostre scarpe sportive, per nostra gloria e per la soddisfazione dei nostri capricci da uomini ricchi. Abbiamo stretto tra le dita la sabbia bianca mentre gli uomini raccoglievano il loro sostentamento tra le alghe nella marea bassa, incuranti della nostra invadenza, forse colmi dell'accondiscendenza che si concede ai bambini viziati. Ci siamo guardati intorno, intristiti dal modo cieco in cui camminiamo sulla terra, la svuotiamo dei suoi tesori, per poi abbandonarla. Navighiamo sul mare a bordo di un acquario trasparente, come una medusa colossale, avvelenando il mare, il cielo e la terra dei nostri veleni e dei nostri avanzi, costringendo il mondo a convertirsi alla nostra pochezza. E non di rado, abbiamo il coraggio di chiamarla civiltà

Abbiamo lasciato quel pianeta colmi di gratitudine, per i momenti leggeri e per il sole che ci ha regalato. Grati dei dubbi che ci ha concesso di portare a casa, custoditi nei nostri cuori. E con la promessa che, dopotutto, non siamo più esattamente quelli di prima.

Asante sana. (Grazie mille, in lingua Swahili)

 

 

 

 

 
 
 
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