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Gli uomini nei cieli di Magritte (1)

Post n°209 pubblicato il 24 Febbraio 2013 da lab79
 

Avevo scritto questo racconto per un concorso, alla fine di dicembre. Dal momento che ho ora la certezza di non aver vinto alcunché, sono libero di pubblicarlo come più mi aggrada. Ora, la versione che sto per postare è quella "completa", quindi priva dei tagli cui l'ho sottoposta prima di inviarla al concorso, che mi chiedeva di restare entro un dato limite di battute. La versione breve funzionava, credo, abbastanza bene, nonostante alcuni palesi errori dovuti proprio alle sforbiciate frettolose dettate dall'inesperienza mia. Ciononostante, ho deciso di postare qui la versione più lunga, un po' perché credo che funzioni abbastanza bene anche questa, e dopotutto questo spazio è mio, e me lo gestisco io come preferisco!

Ecco, ora che vi ho annoiato abbastanza con l'introduzione, vado ad annoiarvi con il racconto!

 

Gli uomini nei cieli di Magritte

Il cielo è quello limpido di settembre, che non accenna ancora a diventare autunno, ma che nemmeno è più estate. Nel letto le lenzuola aggrovigliate ancora ai piedi, nella finestra il riflesso del sole contro le vetrate della città, sulla pelle il tepore della sua pelle, nella lingua il suo sapore. Nulla si muove, tranne la città intera che vive serena come se non fossero amanti, bensì ingranaggi sani delle meccaniche divine che misurano l'esistenza economica del mondo. Non lo sono. Hanno troppi inganni a coprire le tracce delle loro esistenze, troppe zone d'ombra sotto le quali nascondersi e sparire per qualche ora. Quelle che bastano per dare sfogo al capriccio di appartenersi a vicenda, come se non appartenessero a nessun altro. Non al matrimonio opaco in cui consumano la più accettabile rappresentazione sociale di sé, non ai figli isterici e incomprensibili - corollario obbligato di una vita realizzata - né tanto meno all'altro con cui hanno generato tali mostri, e al quale hanno promesso davanti a dio e al proprio onore di dare una vita dignitosa e piena, di cui non doversi vergognare davanti agli amici. E' la consapevolezza dell'assurdità di un tale fardello ad alleggerire le loro coscienze da ogni senso di colpa. Nessun cittadino sensato può pretendere da se stesso di rendere felice qualcun altro. A ragion veduta, le condizioni nel contratto di matrimonio sono inattuabili, cosa che basterebbe per renderlo nullo davanti a qualsiasi tribunale della terra.

Lo sanno bene, loro due.

Troppe le ore spese a redigere contratti per non sapere che esistono sempre scappatoie agli obblighi stabiliti, e qualora queste scappatoie non siano sufficientemente camuffate, ci sarà sempre la possibilità di negoziare condizioni migliori. Un continuo riavvicinarsi e allontanarsi delle parti in causa , alla ricerca della giusta distanza e del costo minore. E non c'è strumento migliore per misurare il mondo di quello che già hanno in mano, e che scandisce il ritmo delle loro giornate e dà significato alle loro vite: il loro lavoro.

Gli alti monoliti di cristallo lì a fianco sono la sede di queste vite. La sorgente da cui sgorgano le soddisfazioni più pure che hanno. Il loro denaro e il prestigio che ne deriva,  il ruolo che occupano nella società e il potere che ne consegue. Le torri a cui guarda il mondo, con ammirata invidia dei suoi abitanti operosi e affaccendati, sono il riflesso migliore che riescono a immaginare di se stessi. Imponenti, ed indecifrabili. Due alieni le cui spalle sovrastano il mondo intorno, e che impassibili ne regolano la vita economica, che è come dire che decidono della vita e della morte delle persone.


All'ombra dei colossi consumano le loro esistenze. Si svegliano all'alba ed il pensiero è già là: l'ufficio scintillante alla luce del mattino, l'agenda affollata, la segretaria affaccendata, il telefono che squilla, gli appuntamenti a catena. L'intima soddisfazione di essere il meccanismo centrale di quell'orologio che non si ferma, che non si inceppa. Preciso e perfetto come quello di un dio, ed essi stessi incarnazione della generosità di questo dio che premia chi si è arricchito, e dunque ha meritato. E' all'ombra di queste ali che ora si svegliano in un letto sfatto, nella finestra il riflesso del sole contro le vetrate della città, sulla pelle il tepore della sua pelle, nella lingua il suo sapore. 

 

 

 
 
 
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