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Le parole degli sconfitti

Post n°431 pubblicato il 07 Giugno 2016 da lab79

Per probabile inclinazione naturale, rifuggo spesso dal cantar le lodi dei vincitori. Insomma, che basti loro la vittoria ed i suoi allori ad allietare il momento. Non sentiranno di certo la mancanza dei miei complimenti. A rileggermi, giungo alla stessa conclusione a cui chi mi legge è forse giunto da tempo: sono le parole di uno snob, un finto originale. Un bastian contrario.

Forse è vero.

Ma forse c'è di vero che nel mio accostarmi ai perdenti c'è identificazione. Chi di voi ha praticato sport agonistici, intuirà più velocemente quello di cui parlo. Il principio per il quale "Il secondo è il Primo degli sconfitti" ha lasciato solchi profondi, senza che neanche me ne accorgessi, dentro di me. Perché per essere sconfitti, non basta la sconfitta. Deve essere memorabile, e deve essere raggiunta con ostinazione ed esercizio. Sudore e sangue. Dolore, e umiliazione. Vergogna, ma mai e poi mai rassegnazione. Essere perdenti significa fare proprie le parole di Samuel Beckett: Ho provato, ho fallito. Non importa, riproverò. Fallirò meglio.  Significa accettare che c'è qualcuno che merita la gloria, e quel qualcuno non siamo noi. Che c'è qualcuno che merita l'applauso, e che dovrà affrontare la menomazione che ne consegue: diventare sordi e ciechi alle intenzioni di chi ci loda, incapaci di distinguere la gioia dall'invidia nelle strette di mano, nelle pacche sulle spalle, negli amici nuovi che si avvicinano, negli amici vecchi che ritornano cambiati. Essere sconfitti significa avere gli occhi limpidi, forse perché lavati dalle lacrime piante quando si spengono le luci della ribalta, per poter finalmente vedere il mondo nei suoi colori più veri. Essere sconfitti significa conoscere la propria forza, e sapere che in realtà non basta, non è mai bastata, né basterà mai.

Significa essere in grado di dire parole di una purezza assoluta, anche se nessuno le ascolterà:

Ali, Frazier & Foreman we were 1 guy. A part of me slipped away, "The greatest piece"

(Alì, Frazier e Foreman eravamo una persona sola. Una parte di mè è scivolata via. La più grande.)
George Foreman, il giorno della morte di Muhammed Alì

 
 
 
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