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Il diavolo nei dettagli

Post n°460 pubblicato il 13 Novembre 2016 da lab79

 

 

 

(Ne parlo anche se dopo un paio di giorni ne ho già la nausea. Come al solito quando parlo di cose serie, sarò lungo e noioso, quindi siete liberi di ripassare un altro giorno. Chissà che non mi metta a parlare di internet e gattini.)

 

Il tema dei prossimi mesi sarà, come ogni volta ogni quattro anni, la presidenza degli Stati Uniti.  E non c'è da sorprendersi: l'influenza delle decisioni prese da chi siede su quello scranno toccano tutti noi, inutile illudersi del contrario. Non è una questione di provincialismo, quanto di connessioni. Gli Stati Uniti sono e restano la nazione con più interessi investiti nel resto del mondo, ragione per cui si interessano del resto del mondo e al resto del mondo fanno presente, in modo più o meno pressante, questi interessi.

La vittoria del candidato repubblicano arriva si a sorpresa, ma non così tanto a sorpresa come fanno capire ora i media. Dato che abbiamo la memoria corta, basta tornare ad alcuni giorni prima del voto: tre giorni prima del voto circolavano cifre su sondaggi on-line che davano alla candidata democratica poco più del 3% di vantaggio. Che non è molto, se consideriamo un fisiologico margine di errore e l'esiguo campione utilizzato rispetto ad una massa votante che già non è certa al momento dei sondaggi. Dettagli, ma il diavolo si trova proprio lì, seduto sulle apparentemente scomode seggiole dei dettagli.  L'imprecisione dei sondaggi elettorali è legata al fatto che la maggior parte degli elementi che si utilizzano per fare i calcoli sono varianti, sui cui volumi vanno fatte a loro volta le dovute previsioni. Come non è possibile sapere con certezza chi vincerà, così non è possibile sapere quante persone andranno a votare, e se voteranno alla stessa maniera di chi, simile per ceto economico e sociale, è stato scelto per fare parte del campione. Alla stessa maniera non è possibile sapere se chi ha partecipato ha dichiarato il vero, e se tutte le persone a lui paragonabili (e di cui lui è idealmente una rappresentanza) voteranno alla sua stessa maniera.

Le proiezioni sono infatti una generalizzazione: se estrapolo un campione dalla totalità, e lo sottopongo ad un determinato trattamento, è probabile che il risultato ottenuto sia ripetibile anche per quella parte del totale su cui non ho lavorato. E' un metodo scientifico: se prendo una rana e la butto nel lago, la rana nuoterà. Posso dunque immaginare che tutte le rane che abitano nel bosco, se buttate nel lago, nuoteranno. A patto che siano tutte rane. Cosa che non si può dire del popolo degli Stati Uniti. Orwellianamente, il popolo degli Stati Uniti  è composto da tanti animali diversi con diversi interessi, diversa natura e diversa capacità di reazione agli eventi.

Questo però spiega l'incongruenza delle previsioni con i risultati, non i risultati stessi.

La vittoria repubblicana è, questa volta, figlia del populismo. Che non è detto con intento denigratorio: il populismo ha una lunga storia, specialmente negli Stati Uniti. Dove per populismo si intende il promettere di concedere a chi vota la legittimità delle proprie paure, e dei propri desideri. Non per forza di cose di soddisfarli. E' un po' come consolare l'amico quando questi scopre di non passare più dalla porta. Lui si arrabbia, si indigna. Tu gli batti la mano sulla spalla e ripeti: hai ragione, ti capisco. Ma la verità è che probabilmente tu sai che in fondo l'amico se le merita le propaggini sulla testa, ma sai anche che non è il momento per dirglielo. E' arrabbiato e sconsolato. Va confortato e consolato, perché tu sei un amico. Ci sarà tempo, poi, per spiegargli i suoi errori.

Nel caso delle elezioni, ci sono di mezzo interessi maggiori di quello di tenerti buono l'amico cornuto. Il potere di per sé, e la pressione della propulsione economica che finanzia le candidature possono forzare, e forzano, la direzione della visione del mondo dei candidati. Quest'ultimo elemento è quello che ha impedito il ripetersi dell'esperimento della prima elezione di Barack Obama: Secondo presidente eletto direttamente dal seggio del senato, senza passare dalla precedente presidenza, vicepresidenza o almeno dalla poltrona di governatore di qualche stato. (Il primo è stato JFK).  Il segreto è stato proprio la sua palese diversità: nero, giovane, apparentemente estraneo al politichese. E quasi in contrasto: eloquente e dal linguaggio forbito, istruito e capace di trasmettere una sensazione di efficienza tipica dei nuovi guru delle industrie informatiche. Un misto di visionarietà e capacità tecnica. Insomma, risultava difficile dargli dell'incompetente. Piaceva, infatti, in larga parte ai giovani e a chi vantava titoli di studio, cosa che lui aveva capito tanto da cercare i suoi finanziamenti proprio lì, in quella sacca che si fidava di lui. Guadagnandosi, per questo gesto, sia fondi consistenti che ulteriore fiducia.  L'unico candidato che offrisse un profilo in qualche modo simile (In maniera diversa, ma anche lui "alternativo") era Bernie Sanders, affossato forse dall'uso della parola "Socialismo" in un dibattito che, seppure già infuocato, non sembrava ancora possibile diventasse così sregolato. Nonché dai consolidati appoggi dalla navigata ma controversa (e non proprio limpidissima) Hillary Clinton.

Con questo va evidenziato che a vincere le elezioni è stato Donald Trump e nessun altro. Non il partito repubblicano, in una crisi di forza che va avanti dai tempi del secondo mandato di Bush Jr. Già allora i venti populisti che rispondevano al nome di Tea Party ne scompigliavano i capelli, tanto da costringerli a presentare come candidata alla vicepresidenza una tale Sarah Palin, governatrice dell'Alaska e forse non meno controversa di Trump. Il partito democratico ne esce forse ancora più sconfitto: incapace di credere nel ripetersi dell'anomalia Obama, soggiogato al potere dei nuovi establishment che sembrano essersi slegati dalla tradizionale fedeltà al partito repubblicano e per nascondersi questa verità, affidatosi all'influenza della dinastia Clinton e al labile sogno di portare per la prima volta una donna alla presidenza, sacrificando un candidato che seppur più radicale di quanto siano abituati, abbastanza outsider e "underdog" da combattere una campagna segnata dal radicale populismo di Trump. Insomma, forse questa battaglia andava combattuta tra i due populismi che ormai hanno sostituito gli ideali dei maggiori partiti.

Ora, se la domanda è "Cosa farà il presidente Trump?" la risposta molto probabilmente è: niente di tutto quello di cui ha farneticato. Non sarà una rivelazione né una sorpresa per chi lo ha votato. Nessuno si aspetterà davvero espulsioni di immigrati in massa, costruzioni faraoniche lungo sconfinate frontiere, violente repressioni di chi lo ha contestato e contrastato. Probabilmente lavorerà per affievolire o spegnere l'energia propulsiva che otto anni di presidenza democratica hanno imposto al paese, in nome di un neo-reaganesimo approssimativo e ideologico, che in fondo non è mai davvero sparito dal cuore (e specialmente dalle menti) degli Usa. Forse la vera novità sarà un'insolita (per gli Usa moderni) autarchia e tendenza all'isolazionismo, con al massimo qualche sortita di maggior vigore nel "cortile di casa", altrimenti chiamato America Latina. In ambito economico, un neo-liberismo non tanto diverso da quello che ha portato alla grande crisi del 2007, i cui semi vengono ancora insegnati nelle università americane come se il grande crack finanziario dei mutui subprime non fosse mai avvenuto.

A conclusione di questo papiro, ci tengo a dire che ho delle opinioni mie personali, che però mi tengo per me. Non differiscono tanto da queste premesse, ma ci sono una serie di sensazioni e timori che prendono forma e che viaggiano sotto pelle, sotto forma di presagi che nulla a che fare con quel minimo di razionalità con cui cerco di vivere tutti i giorni, e che per questo vi risparmio.

 

 

 

 

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Commenti al Post:
Stolen_words
Stolen_words il 13/11/16 alle 12:03 via WEB
ho letto con interesse e con sincerità dico che si, ho le mie opinioni personali ma sono quelle di una persona qualunque che non s'intende di politica ,la segue poco e quel poco attraverso i vari tg , insomma poco di tutto. A pelle la sua elezione mi sembra più un'atto di ribellione , e mi fa paura. spero davvero che Il signor Trump faccia davvero quello che pensi tu ma dietro di lui, chi c'è? Buona Domenica
 
 
lab79
lab79 il 15/11/16 alle 05:24 via WEB
Inizialmente volevo scrivere proprio di questo, ma mi sono reso conto che dovevo comunque scrivere questa premessa. E' venuta più lunga delle mie intenzioni (non scrivo mai molto, e soprattutto la mia scrittura nel blog è troppo pesante per lunghi testi) quindi non ho voluto insistere. Ma sto macinando anch'io un po' di impressioni, legate al significato di "populismo"...
 
sols.kjaer
sols.kjaer il 14/11/16 alle 11:09 via WEB
Donald Trump fa parte di un'altro mondo, il suo piano di governò sarà prevalentemente di una politica antica,"Investimenti" Spendere per far si che i soldi girino, e la tipica politica del passato del resto Trump fa parte del passato, quando lui e diventato ricco grazie alle politiche di governi dove la "Spesa" era fondamentale. Lui da costruttore ha fatto soldi con le costruzioni. In Giappone per muovere l'economia, distruggono e ricostruiscono. Anche il fascismo italiano per vincere la depressione mondiale del 1929 iniziò un piano di investimenti che ancora oggi e un record, questo portò il PIL al 7% (ancora oggi e un record) Trump fa parte di quel mondo antico, dove il lavoro lo si crea con il lavoro e non con la finanza. Per questo Trump non capisce un fico secco di politica, lui vive in un altro mondo. Priviet
 
 
lab79
lab79 il 15/11/16 alle 05:35 via WEB
Sia l'esempio giapponese (distruzione e ricostruzione legate a manutenzione di infrastrutture molto sollecitate dal punto di vista sismico, ad esempio) che quello fascista (uno stato socialista, in cui lo stato si faceva carico di tutto: scelta obbligata per un paese quasi esclusivamente agricolo, nonché scelta ideologica per un partito che proprio della contestazione alla "plutocrazia" capitalista faceva bandiera) sono esempi piuttosto lontani dal liberismo che guida l'economia americana, e in particolar modo il partito repubblicano. Difficile immaginare un presidente americano che costringe lo stato a investire: piuttosto lavora nella detassazione e deregolazione di ampi settori industriali ed economici, nella convinzione che siano poi i privati ad occuparsi dell'investimento di capitali, soprattutto se hanno certezza di aver a che fare con poche norme e bassi livelli di tassazione del capital gain. Le incertezze dei mercati sono più legati ai dubbi sulle future decisioni nei confronti dei mercati esteri, nella possibilità e convenienza di delocalizzare larghe fette della produzione industriale, cosa che permette alle aziende margini di profitto enormi.
 
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