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Rendere il mondo un posto migliore

Post n°487 pubblicato il 24 Marzo 2017 da lab79

Sono tre giorni che piove, inninterrottamente. Le persone abbassano lo sguardo per non mettere i piedi nelle pozzanghere, e con l'ombrello aperto e leggermente inclinato in avanti, sbattono le une contro le altre senza chiedere scusa. I rumori si confondono, tutti adagiati sul mormorìo leggero delle gocce di pioggia contro il selciato. Le ore scorrono come le ruote delle macchine contro l'asfalto bagnato, il verde delle foglie che sono sopravvissute all'inverno è più intenso; le altre hanno ancora da nascere. Questa è la primavera, per il momento.

Oh, certo: lo so cosa succede nel mondo.

Non lontano in quel che non sarà più Europa, un uomo dentro un'automobile si è fatto spazio tra le notizie in prima pagina. Altrove, un mare e un deserto più in là, migliaia di persone vengono sbranate da bestie quiete, che ruggiscono una volta sola e par che divorino la terra, tali i crateri che lasciano al loro passaggio. Nessuno pare accorgersi delle loro grida.

Il mondo è così semplice, visto da così lontano. E così terrificante invece, quando è vicino.

Contro il viso delle persone sotto la conca dell'ombrello si riflette lo schermo che li unisce al mondo intero, e che li separa da me. Io il mondo che succede lo vedo dai loro occhi: il terrore e i suoi terroristi, le bombe e i suoi bombaroli, la corruzione e suoi corrotti, la politica e i suoi politicanti. L'indignazione trasforma i loro volti, quindi condividono con i propri simili questa indignazione, e la consapevolezza di pensarla come gli altri edi averlo fatto sapere al mondo li rende migliori. Hanno compiuto il loro dovere, e di questo sono fieri. Non è diverso da quel che sto facendo io ora.

Intanto i minuti passano, attendiamo che aprano il cancello dell'asilo, a cui affidiamo la cura dei nostri figli. Appena scatta la serratura i nonni passano per primi, spintonando via le mamme cariche di ombrelli, borse, impermeabili, chiavi della macchina parcheggiata in doppia fila. Aspetto, mi intrufolo nella fila e chiudo l'ombrello. Una volta all'interno i bambini corrono felici ad abbracciare le loro mamme, qualche papà, i nonni il più delle volte. Mio figlio non fa eccezione. Ci abbracciamo e salutiamo i bambini che ancora restano, che qualcuno ha da pazientare un po' di pù. Volente o nolente, ad ognuno tocca una parte di sacrificio. Il rito della vestizione è tra i più drammatici: nonni confusi cercano di capire come allacciare scarpette improbabili ai piedi di bambini che spiegano inascoltati che non c'è bisogno, perché sanno farlo da se; mamme trafelate rivestono di strati sempre più pesanti pargoli accaldati, che fuori piove e ti prendi un malanno e smettila di protestare che non ho tempo, e i cuccioli d'uomo si voltano a destra e sinistra cercando di salutare gli amici. Mio figlio si veste e con la mano libera cerca di mostrare il suo libro preferito ai suoi compagni, che resistono agli strattoni dei genitori che li portano via, e le loro vocine svaniscono verso l'uscita. 

Piove. Io per lui ho portato il cestino della merenda, il suo ombrello colorato e il mio color antracite. Stivali per la pioggia rossi, per lui, scarpe impermeabili per me. Abbiamo un piano. 

E la gente che si incontra fuori dalle scuole con i bambini per mano discute dell'orrore che ormai ci circonda, della pioggia che non smette, degli stranieri che ormai sono troppi: "Se fosse per me!" "Se ci fosse ancora lui!" "Se decidessi io!". E mentre le scuole si svuotano e i bambini vengono caricati accaldati e trafelati nelle macchine parcheggiate, che altrimenti il raffreddore, la febbre, il mal di gola, io e mio figlio ci guardiamo intorno alla ricerca delle pozzanghere migliori, e l'uno nelle mani dell'altro saltiamo dentro a piedi uniti cercando di passare dall'altra parte, nel mondo riflesso inverso dentro l'acqua, canticchiando di gocce di pioggia che cadono ininterrotte sulle nostre teste.

Ancora qualche minuto e il parcheggio è vuoto, le voci svanite, e siamo soli. Respiro l'aria carica di umidità, e dopo tante voci e tante parole sentite di passaggio, mi chiedo se sto facendo la cosa giusta per lui. Se lo sto proteggendo come si deve, se gli sto insegnando quel che deve sapere: di chi fidarsi e di chi no, che cosa e a chi credere, e a chi e che cosa invece no. Lui mi tira piano per la manica della giacca con la mano libera dall'ombrello, e chiede:

-"Che cos'è?"

Ha tre anni e mezzo, mi piego alla sua altezza per guardarlo meglio in viso, e chiedo a mia volta:

-"Che cosa?"

-"Quello"

E con il dito indica per terra, vicino ai nostri piedi.

"Quello è un lombrico" gli spiego. Ci pensa un attimo e mi chiede ancora: "Non è un bruco?" "No, i bruchi stanno sugli alberi e mangiano le foglie, finché non diventano farfalle. Questo è un lombrico: vivono sotto la terra, ed escono quando sentono la pioggia." Ci pensa ancora un attimo, e sorride. "Posso toccarlo?" Lo guardo negli occhi, e gli faccio segno di aspettare. Tengo l'ombrello tra la spalla e la guancia, e con la punta delle dita raccolgo il lombrico da terra e glielo poso sul palmo della mano. Lui lo fissa: un po' disgustato e un po' divertito, lo tiene sul palmo della mano in silenzio. Io non gli do altre spiegazioni; aspetto la sua reazione, che non tarda ad arrivare. "Mi piace!" dice ridacchiando, e nei suoi occhi vedo la meraviglia per un mondo che io invece dimentico di insegnargli a temere, e che lui infatti non teme, e per il quale nutre una curiosità ancora semplice, fatta non tanto di "perché" le cose sono come sono, bensi di "cosa" sono le cose, e di come si chiamano.

E per un momento guardo questo momento da lontano: io e lui da soli sotto la pioggia, tra gli alberi di un parcheggio costellato di pozzanghere. Un uomo adulto accovacciato, un bambino con un lombrico in mano. 

Gli poso la mano libera sulla testa. Lui sorride. "Lasciamolo tornare di nuovo a terra, senza fargli male" gli dico. E lui con un gesto delicato lo posa su un ciuffo di erba bagnata, e mentre saliamo in macchina e lui mangia la sua merenda (tranquilli, gli ho pulito le mani!), io guido pensando, chissà perché, che ora il mondo sia un posto un pochino migliore.

 

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Ricevuto in data 28/03/17 @ 23:33
A proposito di politica... Ci sarebbe qualcosa da mangiare?? Shot: Milano

 
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lascrivana
lascrivana il 25/03/17 alle 04:53 via WEB
Ricordo che da piccola mio padre mi diceva, che se il lombrico usciva fuori dalla terra bagnata,l'indomani avrebbe piovuto, se invece usciva asciutto e impolverato, che l'indomani ci sarebbe stato vento. Ho sempre amato camminare sotto la pioggia. Da noi si va a caccia di lumache, e deve necessariamente piovere,
 
 
lab79
lab79 il 29/03/17 alle 12:44 via WEB
Mi sono ritrovato solo, con lui, in un mondo che pioveva e si rifugiava all'asciutto davanti alla tv. Gli spiegavo cos'è un lombrico, cosa diventa un bruco. Che cos'è la pioggia, e come ci si sente a saltarci dentro. E mi è sorto il dubbio che tutto questo non serva a niente: che perdo tempo a spiegargli un mondo che non esiste, perché la verità è che il nostro mondo passa attraverso lo schermo di un televisore.
 
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