Drôle de Belgique

Il cielo sopra Bruxelles

 

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"Ho sempre avuto un interesse per le farfalle e altre fugaci e caduche meraviglie, mentre non mi sono mai riuscite relazioni durature, solide e, per cosi' dire, sicure".

Hermann Hesse

 

 

Le 10 cose di Bruxelles che mi fanno uscire dai gangheri: cap 10 EPILOGO

Post n°72 pubblicato il 07 Ottobre 2012 da arianna680
 

La decima cosa è … nel sottotitolo del blog: il cielo sopra Bruxelles.

L’ho messa per ultima in ordine di importanza, ma anche perché è difficile parlarne. Come si può affrontare un argomento così trito e scontato come il tempo atmosferico? Eppure è impossibile ignorarla, e tra le 10 cose che ti fanno sclerare quando vivi a Bruxelles, c’è anche questa: il clima atlantico,il  freddo umido, la nebbiolina deprimente, il grigiore meteo- esistenziale .

Ma cosa c’è da dire del tempo belga che già non si sappia?

Si può dire che sembra di essere a Londra, purtroppo senza essere a Londra.

Che nell’arco di un giorno trovi i tutti i cambiamenti che a Milano hai nell’arco di un mese.

Che l’anno scorso “l’estate è venuta di giovedì”.

Che piove sempre, ma è una pioggerellina talmente poco seria che non hai nemmeno voglia di aprire l’ombrello: Camilleri la definisce “assuppa viddranu”, perché non  è abbastanza forte da convincere il contadino a smettere di lavorare, cosicché questi rimane nel campo, ma alla sera si ritrova, com’è logico, completamente bagnato.

Che comunque l’uso dell’ombrello è inutile, perché all’acqua si associa quasi sempre un vento forza 9; fuori dalla metropolitana, dopo una giornata di pioggia, sembra di trovarsi davanti a un remake  di un quadro di Dalì: “Donne con teste floreali che trovano la pelle di ombrelli morti sull’asfalto”. Sono sicura che ai dipendenti della Commissione Europea, oltre ai numerosi benefit, rimborsi, gratifiche, premi e sconti, danno anche uno speciale indennizzo per gli ombrelli triturati.

Precisiamo: a me non danno  fastidio la pioggia o l’umido di per sé: il problema è che, essendo , oltre che tecnolesa,  un po’ ciecata e intollerante alle lenti a contatto, con le gocce di pioggia sugli occhiali viaggio come una macchina senza tergicristalli. Poi ho i capelli (tanti) che, alla faccia di Ouidad e delle sue meravigliose invenzioni, sentono l’umido a bestia e, nei giorni di pioggia, mi fanno assomigliare a lei.

Comunque, a dispetto dei luoghi comuni, a Bruxelles esistono anche le mezze stagioni. Soprattutto le mezze stagioni.

 

 

 

 

 
 
 

Look into my eyes, look into my eyes...

Post n°71 pubblicato il 24 Settembre 2012 da arianna680
 

Non l’ho mai detto, ma in Belgio, oltre al lavoro di surveillante de bus alla Scuola Europea, ne ho svolto uno molto più insolito: insegnante di italiano in una scuola di lingue. Perché insolito? Perché usava il metodo dell’AUTOIPNOSI.

L’idea mi è venuta copiando il protagonista di “Uccelli da gabbia e da voliera”, che va in America, fa il cameriere, poi si stufa, riempie il curriculum di cazzate e s’improvvisa insegnante di italiano.

Lo so, non è corretto, ma se la vita ti dà solo limoni, fai la limonata.

L’unica scuola che mi ha chiamato è stata proprio quella a cui non avrei mai pensato. In realtà il lavoro era molto semplice, addirittura meccanico: consisteva nel dire delle frasi un po’ di volte all’allievo in stato di autoipnosi, e controllare che le ripetesse bene.  

Ma il momento più sensazionale è stato quello della mia iniziazione: con la giustificazione “devi sperimentare cosa si prova, se no non puoi capire”, HANNO IPNOTIZZATO ANCHE ME.

Fantastico.

In una stanza buia e ovattata, un donnone biondo dalla voce sussurrante e baritonale mi spiega i perché  e i percome dell’ipnosi, poi mi svela che con alcuni riesce meglio e con altri no; dipende dal carattere. “Lei come si ritiene?”. “Insomma …”, dico, un po’ scettica. Allora mi fa appoggiare le mani sulle tempie e i gomiti sul tavolo. Conta fino a tre, e io … pluf, giù come una bambola di pezza.

Che carattere … The iron lady, proprio.

Mi fa stendere sul materassino per terra; coperta, perché avrò freddo.

“E adesso pensi a un momento della sua vita in cui si è sentita vincente, un momento di successo, di trionfo …”

Momento vincente? Fatto.

“Adesso pensi ad un momento in cui si è sentita davvero felice …”

Momento felice? Fatto.

Fatto?

Oh, ma … ma che cavolo c’entra …

Boh.

Okay, fatto.

“E ora rilassi i piedi. I suoi piedi sono sempre più pesanti, sempre più pesanti, sempre più pesanti …. Ora rilassi le gambe. Le sue gambe sono sempre più pesanti, sempre più pesanti ….”

Dopo il rilassamento a pezzetti dall’alluce alla cotenna, complice il caldo, il buio, la fame e il sonno (eravamo tra le 11 e le 14), ho creduto di capire abbastanza bene cosa provavano gli allievi: quello stato di rincoglionimento tra la veglia e il sonno, quella sottile linea di confine in cui i pensieri sono confusi e le immagini oniriche, quel momento che di solito dura qualche secondo, in cui a volte fai in tempo a pensare:  “Ecco, è arrivato, finalmente”. E poi non pensi più, perché sei già di là.

A volte, quando non riesco a dormire, provo a ricreare le condizioni indicate da Odette.

E, quando arriva il momento di pensare a qualcosa di bello, vorrei sapere perché, il ricordo felice che riaffiora è sempre il solito.

 

 

 
 
 

Balle coi lupi

Post n°70 pubblicato il 19 Settembre 2012 da arianna680
 
Foto di arianna680

Philippe, il simpatico professore del corso di francese che ho frequentato in Belgio, aveva l’abitudine di raccontarci dei fatti di cronaca come spunto per la conversazione. Il più delle volte erano storielle da settimana enigmistica, guarda caso belghe. Il tapino, però, naif come tutti i belgi, non si è accorto che in questo modo ha contribuito a ridicolizzare ulteriormente la sua nazione e a convincermi una volta di più, se ce ne fosse stato bisogno, della rincalcataggine e meschinità dei suoi compatrioti.

Tralasciando il caso del métro fantôme (treno senza nessuno alla guida, perché il conducente era sceso per i fatti suoi) e quello dell’aragosta soccorsa all’ospedale Saint Jean per asfissia, quello che mi ricordo meglio (perché ho visto un brandello del film) è questo:

Una scrittrice belga, Misha Defonseca, scrive un romanzo autobiografico, “Sopravvivere coi lupi”, in cui una bambina ebrea di 4 anni, rimasta orfana a causa delle persecuzioni naziste, attraversa tutta l’Europa a seguito di un branco di lupi. Al di là del valore letterario, di cui non ho idea perché non l’ho letto, è ovvio che il grande interesse di questo libro sta nel fatto che è una storia VERA.

Dunque, il libro ha successo, e finisce per attirare le attenzioni di Hollywood. La scrittrice, da tempo trasferitasi negli Stati Uniti, cede i diritti per la realizzazione di un film. E quando quest’ultimo è pronto, colpo di scena: un giornalista vede una foto dell’autrice negli anni settanta, in cui mostra delle gambe assolutamente prive di cicatrici. Insospettito dalla discordanza con la biografia, fa delle indagini e, dopo una ricerca in Europa, riesce a scovare una testimone, parente alla lontana, che smentisce in pieno il libro: ma quali lupi, la bambina ha vissuto per anni con una zia.

Messa alle strette, alla fine madame Defonseca crolla. “Sì, è vero, ho mentito, ma non potevo farne a meno. Ho vissuto anni terribili, mi chiamavano “la figlia del traditore” [suo padre era accusato di collaborazionismo con i nazisti]. Dovevo sfuggire alla realtà e me ne sono inventata una parallela. Per me non è una bugia, è la MIA realtà e io ci credo”.

Ma… tenere un diario come tutti, no? Era proprio necessario raccontarlo al mondo intero e vendere i diritti d’autore per un film?

Mah.

Comunque, qualche piccola bugia l’ho detta anch’io. Ho vissuto anni terribili, non ho mai avuto la casa e il camper della Barbie, e mi sono dovuta creare una vita parallela.

In realtà non sono mai stata a Bruxelles.

Non sono sposata e non ho figli.

Abito a Vizzolo Predabissi e mi chiamo Ugo.

Perdonatemi se potete.

 
 
 

Non poteva finire cosi'

Post n°69 pubblicato il 19 Settembre 2012 da arianna680
 
Tag: No tag

Va bene, sono tornata in Italia. Va bene, non ho più niente da scrivere. Ma tenere il blog bloccato per un anno e passa con quello stupido post in bella vista, no, ecco, non lo sopportavo più. L’idea sarebbe stata di continuare ancora un  po’ a scrivere due o tre cosette del Belgio (ho ancora qualche sassolino nella scarpa) e poi aprire un altro blog. Avevo già pronto il titolo: desperate housewife, o qualcosa di simile, perché tanto sapevo che quello sarebbe stato il mio futuro. E invece, sorpresa, appena messo piede a Milano, non ti vado a trovare un lavoro? Un lavoro anche piuttosto impegnativo, che mi ha tolto il tempo e la voglia di scrivere. Ma non di leggere, perché i miei amici, più o meno, li ho seguiti tutti, anche senza apparire e commentare.

Quindi, adesso ci riprovo. A tener fede al mio proposito, dico.

Vado con le appendici di Drôle de Belgique.

 
 
 

Supermercato belga vs supermercato italiano (bis)

Post n°68 pubblicato il 03 Aprile 2011 da arianna680
 
Tag: No tag

I commessi belgi sono degli assi in matematica…

supermercato belga

 

supermercato belga"

 

…e sono molto accoglienti con gli stranieri…

negozio belga"

 

mentre da noi, nel profondo nord, usano un italiano impeccabile:

supermercato italiano"

 

e, mentre posso comunicare con soddisfazione di aver trovato una discreta varietà di birre belghe a Milano, una curiosità: qualcuno ha mai assaggiato questo vino??

 
 
 
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Un blog di: arianna680
Data di creazione: 21/12/2009
 

« VOTRE FRIGO EST PLUS REMPLI QUE VOTRE VIE ! »

(su un marciapiede di Bruxelles)

 

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