Creato da roby.floyd il 31/01/2014
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« La FedeImpressioni di settembre »

'Na sera 'e... giugno

Post n°115 pubblicato il 27 Luglio 2014 da roby.floyd

Ai primi di giugno del mese scorso mi son recato a casa di mia madre.
Dopo aver cenato sono andato in sala da pranzo ove avevo poggiato il borsone che avevo portato con me e lo sguardo è andato verso il pianoforte; si, c'è un pianoforte a muro, a casa di mia madre in sala, è lo strumento che ha segnato la mia infanzia, la mia adolescenza, la mia gioventù.
Sono anni ed anni che non lo suono e da allora, tutte le volte che incrociavo lo sguardo lo percepivo sempre come un mobile, qual parte integrante della sala, completa indifferenza e nulla più.
Ma quella sera lo sguardo rimane incollato a quello strumento... lo fisso.
Sopra, adagiato ad esso, campeggia ancora la lampada ed il metronomo, li tolgo, insieme ad un portafoto e qualche oggetto ed apro e guardo l'interno, vedo le corde, i martelletti e sento ancora il profumo del legno.
Chiudo e rimetto gli oggetti che c'erano al loro posto.
Mi reco in camera e ravanando trovo una decina di libri, superstiti, i primi praticamente, per le esercitazioni e per il solfeggio, hanno più di trent'anni, un pò ingialliti, li spulcio, sorrido e li porto con me  in sala.
Poi prendo la chiave, lo apro, tolgo il panno che lo copriva scoprendo la tastiera, ho regolato la sgabello, ho respirato profondamente ed ho incominciato a suonare il pianoforte.
Certo, affermare che l'ho suonato è un'esagerazione, ho lasciato andare le dita sui tasti, senza nemmeno chiudere gli occhi, senza neppure guardare i tasti.
Pura percezione...come se fosse la cosa più naturale del mondo ed allo stesso tempo, la più aliena.
Sarà che sono la persona dai sentimenti contrastanti.
La fuga e la dimora, il mare e il cielo.
L'eterno essere qui ed al medesimo tempo lontano.
Forse è per questo che mi piace il pianoforte... perchè è una doppia fuga, e non intendo la " Fuga " nel senso tecnico-musicale come quelle famose di Bach.
Intendo una doppia fuga emotiva.
Psicologica.
Esistenziale.
Ci sono due mani che si inseguono e non si capisce dove poi vanno a finire, ma contemporaneamente, insieme, producono qualcosa che vale molto di più delle fughe solitarie.
Ecco, un pianoforte potrebbe essere le due facce di una persona... due contrasti, due persone, non so se mi capite, un pianoforte potrebbe essere la metafora di molte cose.
Ad un certo punto mi fermo un attimo di suonarlo lo guardo, lo fisso di nuovo nella sua interezza e mi par che lui guardi me, chiedendomi che intenzioni abbia.
In fondo, io sono un traditore, pentito, ma sempre un traditore.
L'ho suonato con tanto amore da quando avevo 9 anni.
Ricordo il giorno in cui il piano arrivò a casa mia, io stavo in piedi sulla soglia di casa, eccitato, ricordo le facce affaticate degli operai che lo trasportavano...
E così, una sera di giugno, ho lasciato andare le mie dita, di nuovo, sui tasti, a distanza di anni, come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se lo avessi inseguito tutta la vita, tutta la mia vita ingarbugliata vita senza pace, senza mai trovarlo.
Cerco di sentire come rendono i pedali, per vedere se è ancora accordato.... (sorrido), dopo più di vent'anni....
Inutile dire che ho perso la tecnica che avevo, ma il senso delle sfumature è rimasto.
Rovisto ancora tra i libri che avevo preso e trovo anche tre spartiti: un 'Notturno' di Chopin e 'Consolazione nr. 3 e 4' di Liszt; questi ultimi li scarto a priori, qui non c'è nulla da consolare!
E scelgo Chopin.
Apro lo spartito e lo appoggio sul leggio; e guardo, osservo... parla una lingua che conosco,  ma che non riesco ad esprimere e non so perchè la mente va al pensiero di mio figlio, forse perchè anche lui, forse sa parlare, ma non sa esprimersi, o sono io che non lo capisco?
Maledetti gli adulti che non capiscono.
Ed incomincio a suonare soltanto con la mano destra.... va!
Poi, sulle ali dell'entusiasmo aggiungo la sinistra, ma incontro subito difficoltà, metterle insieme è impossibile e mi faccio bastare la melodia della mano destra, quindi vado a caccia di sfumature: accelero, rallento, indugio, cambio le dita di esecuzione così come segnate sulla partitura, insomma, cerco ogni sfumatura per le mie dita incerte, il senso estetico, il senso emotivo.
Il gesto tecnico, la capacità, hanno un senso se possono procedere in una direzione, se c'è un qualche cosa di magico in cui rispecchiarsi.

Il resto è stato un lungo viaggio ad inseguire.... perchè fuggire è un pò, sempre, anche inseguire...

Riprovo, lentamente e senza ansia e, senza noia; provo il pezzo una mano alla volta e mi sembra facile, lo riprovo aumentando la velocità e sembra ancora gestibile, lo provo con entrambe le mani e mi perdo.
Come se il meccanismo si inceppasse.
Pazienza, ricomincio da capo, come un allenato a cadere.
Nel frattempo mi accorgo che sono rimaste le sensazioni tattili e vibratili, il suono vellutato dei bassi e la pesata dei tasti.
Anche se sono davanti agli " 88 tasti " dopo tanti anni, ma solo per giocare, ricordo il rapporto fisico con questo strumento: l'altezza dello sgabello, la posizione delle braccia , della schiena e delle dita, il gioco di pressione sui tasti, il tenere gli occhi sullo spartito, il tempo tenuto col piede....
Gli apparteneva il mio corpo più che la mia anima inquieta, complessa e contraddittoria.
Ma vado avanti con l'esercitarmi cercando di limare le incertezze.
Riprovo: si,sol,fa,sol,fa,mi... Mi fermo e guardo la tastiera incredulo e confuso come se realizzassi soltanto in quel momento quello che sta succedendo.
Sono io che produco quelle note.
Mi sento vivo,mi sembra di avere sempre suonato, sono alla prima vera lezione di pianoforte della mia vita ed è come se avessi suonato... scusate, ma non riesco a spiegarlo perchè non lo comprendo, forse, nemmeno io.
Ad un certo punto si semiapre delicatamente  la porta della sala: è mia madre, mi abbozza un sorriso... e in un attimo mi viene alla mente... mia madre, sempre in quel modo di aprire la porta mentre mi esercitavo, sempre indiscreta, ma più giovane, per dirmi che la cena era pronta oppure per avvisarmi che erano le 2, oppure le 3 (di notte) e che l'indomani dovevo andare a scuola.
Niente paura, anche se suonavo di notte, al piano mettevo il " silenziatore ", non disturbavo nessuno, che consiste in una leva, generalmente posta sulla destra dello strumento collegato all'interno della cassa acustica, il quale innesta una striscia di panno portandosi a ridosso delle corde, in modo che i martelletti, azionati dai tasti, battono su questo panno, ancor prima che sulle corde, attutendo il suono sensibilmente.
E ritornando al sorriso di mia madre sulla soglia della porta, mi fermo, la guardo, anch'io abbozzo un sorriso e gli dico: " Si, domani ci dobbiamo alzare presto ".

Quella sera di giugno è stata bellissima.

 

 

Si,sol,fa,sol,fa,mi....   Fryderyk Chopin, Notturno nr. 2 Op. 9

 
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