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Mens Insana

ciarlatano, venditore di sogni, mercante di nuvole

 

 

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Perchè Scalda...

Post n°48 pubblicato il 10 Gennaio 2007 da foglienere

Scalda è il soprannome che ormai mi porto addosso, nasce tutto dal personaggio che ho interpretato per anni in spettacoli in piazza di rievocazioni medievali, vi lascio un inizio di storia (come mio solito mai conclusa) che avevo usato per definire bene il mio personaggio. (oggi sono pigro, quindi mi accontento di un copia/incolla...)

Un'altra tranquilla giornata è finita, come sempre sono seduto all'osteria del
Barone Fosco... si Barone di zotici! Anke se devo ammetter ke per il
cibo e per il vino è un vero signor, poke osterie hanno del vino si
buono. V'è poi da dir in veritade ch'a dar nomea "Al Cinghiale
Infoiato" allo locale suo, non dà ke assai poco lustro alla nobilitade
sua.

Son qui assai presto e lo local non risuona del cianciar dei molti
ospiti, delli gridi per ancora vino o ancora una porzione di bon verro
salvego, odesi solamente lo passar di straccio della sorella del Fosco,
alla qual deo ammetter già ve feci qualke pensiero dallo dì ke pria la
vidi. Ma poi assai fui distratto e de altre madonne godetti la
presenza.

Lo nome mio è Gio Batta della Quercia... No quello era il nome
dello amico mio, ero assai giovine al tempo e lo nobile padre mio me
facea studiar di lettere e di latino, de diritto e di scrimia. Ma con
Gio Batta, me ne fuggivo dalle lezioni de lo maestro Iacopo per correr
sullo fiume ghiacciato nello 'nverno e scivolar assai, fino a ke le
mani non venian rosse dentro li guanti e le gambe parean delle pietre,
e nell'estate si correva per li campi a cercar li persichi più dolci e
se giocava a colpir le vacke co' la frombola. Lo ritorno era sempre lo
medesimo con lo padre mio ke de bastonate facea gran dono e me ripetea
de metter su senno ke un uno giorno avaria governato le terre di Bon
Colle. Ecco adunque lo nome mio, Romualdo de Bon Colle, ma niuno ne ha
ormai notizia, Romualdo non è più de questo mondo, quel ke ne rimane
altri non è cha Scaldaletti, un ribaldo ke di molti letti femminini
fecit suo giaciglio e de morale ne sa abbastanza da contraddir li frati
quando ve l'accusano de no averla.

Lo vino speziato scivola allegro nella gola più volte, ma nello
bicchiere appar rosso come il sangue, quanto sangue scorse dinnanzi li
occhi miei... Con Gio Batta si partì alla crociata, per liberar lo
Santo Sepolcro dalli infedeli, assaie fu lo nostro onor e lo gaudio nel
partir scudieri allo servizio de due nobili cavalieri ke l'impresa
avean già dipinto como gloriosa. Ma li barbari mori, assai più
agguerriti furon ke quanto se pensaa e perlunghi dì ve furon pugne et
scontri, finchè uno de li più grandi mori, ke io penso neppur Golia sia
si grande, e ke solo in otto cavalieri ne vennero a capo sicchè di
tante ferite era coperto ch'io credea non potesse esservi tanto sangue
ne manco in un bue, eppur cinque di quelli mandò al paradiso e con uno
colpo della grande scimitarra sua, ke occorrea due omeni solo per
sollevarla, una grande striscia rossa disegnò sullo giaco dello amico
mio Giobatta. Più non vidi e non udii, al tocco ero insensibile e assai
vagai e assai dormii ch'io non sapea si eran passate giorni oppur anni.
Per lande desolate trascinai lo passo mio, sicchè uno mattino li occhi
miei se aprirono su uno giardino, ke mai più vidi uguale. Me ritrovai
desteso alli piedi de uno omo ke parea deambular decapitato, vestito
solo de uno par di brake, ma quando voltossi me dimandò s'io volessi
desinare e la bocca sua era dove li omeni hanno l'ombelico e li occhi
soi eran ove le donne hanno le poppe, et stavasi in mezzo uno grosso
naso e me parlava lo latino delli preti. Alla risposta mea ke de fame
soffrivo assai con un grosso riso ke parea dividerlo in due parti se
diresse verso uno grosso albero di cui molti e grossi frutti pendeano,
staccossene uno e accese uno fokerello. Aprisse dunque lo frutto e
maraviglia mia estrasse di esso uno agnello ke parea aver cinque mesi o
poco meno, eppur esso mi disse ke le bestiole ke v'eran sulla pianta
eran destinati allo desinar, mentre mostrommi assai gusci aperti e
dissemi ke solo li agnelli ke eran dall'albero caduti poke settimane
orsono se sarebbero alzati in piedi da soli, e continuò a parlarmi
delli alberi delli capretti e dei caprioli, delli liofanti ke nascono
da uno semino piccolo come la senapa, ma ke guardarlo di vicino se
vedono già in picciolo le grosse orecchie e lo lungo naso e li denti
ricurvi ke kiaman zanne e la piccola coda. E siffatto seme va piantato
in primavera e annaffiato con assai acqua et uno poco de vino ogni
giorno. Stetti poco tempo in quel giardino eppure fui lontano per molto
tempo, ma assai meraviglie vidi, v'eran li sciapodi, omeni con un solo
piede ma grande come i due ke hanno quelli con due gambe e assai
saltava e correva ke uno cavallo allo galoppo non lo avrebbe raggiunto,
e v'eran piccoli satiri con le gambe caprine e li zoccoli fessi, v'eran
angioletti con le ali de li tutti i colri ke giocavan alla guerra con
delli piccoli demonietti neri come la notte e con alette come di
pipistrello e assai eran dispettosi e molesti quanto li angioli era
buoni e generosi. V'eran animali de ogni sorta et forma v'eran alberi
ke assai se sognano: Ve crescean peschi con lo nocciolo di rubino, mele
con li semini di onice e pere con le buccie de oro puro, liane de
argento...

Et, ohilmè qual sventura, uno giorno de lontano vidi qulla bestia
ke ognuno sogna de acchiappar, lo unicorno. De maestade sembravasi
ammantato, era si bianco ke la neve parea carbone si vi fosse posta
vicino, lo corno brillava de mille colori e parea si puntuto a affilato
ke spada non saria mai e si bello e lucente ke una stella parea discesa
sulla fronte sua. Non fu altro pensiero ke de por mano su si fatato
animale ke ne manco uno momento passò ke mi trovai sanza fiato a correr
sull'orme di tal prodigio. Tanto corsi e tanto arrancai dietro esso ke
non pochi soli tramontarono e levarono e tal fiackezza mi colse ke
caddi stravolto in un sonno di moltissimi e confusi sogni.

Ecco ke l'ostaria s'affolla e più e più omeni vi s'assettano,
qualcuno me saluda, per lo più ki m'ha vinto ai dadi le sere or sono,
altri me inviano uno cenno per far saper ke son giunti e altri me
guardan de traverso ke le mogli sue credon state siano in mea
compagnia, cosa di cui io ho certezza e loro non ancora, ma tengo li
ferro ben affilati. Non v'è alcuno ke non me noma Scaldaletti, alcuni
omeni tuttora illusi credon sia solo uno nome, le femmine sanno ke l'è
vero. Un altro sorso de vino e la zenzero e cannello si mesciano in
bocca al ricordo dello sapore della sabbia ke molta ne ingoiai pria de
giunger alla Città Santa. Quivi la trovai divisa e in guerra tra li
cristiani e li mori. Io riparai in uno de li grandi monasteri ke ve
l'attorniano e fui ospite dello abate Nonmiblasmate Sivoipiace. Ello di
grandi onori me fece onor e mostrommi assai de le reliquie ce in barba
alli 'nfedeli avea salvato dalla cittade, e gran mostra me fece delle
due teste di San Giovanni Battista una de quando ancora giovinetto de
poco avea passato le dodici estati, dodici como gli apostoli, mentre
l'altra era quella ke lo Antipa Erode fece divsa dallo collo suo,
dippoi mostrommi più ampolle con lo suono delle campane del Tempio Re
Salomone, una con alquanti delli Rai della Cometa, mostrommi un dente
della croce, la mascella della morte di San Lazzaro, una delle chiavi
di San Pietro, ben tre piume dello arcangelo Gabriello et infine tre
dita dello Santo Spirito ke como se dice tre è lo numero perfettissimo.
Non erano molti giorni ch'io era ospite dell'abate ke uno gruppo de
mori entro nello monastero e gran carneficina ne fece,io cercaa de
salvar quanti più omeni potes e credo ke alcuno gratia me deva ancora
per aver salva la vita. Eppur fuine preso e fatto prigioniero ma assai
mane tagliai ke non v'era uomo ke me potesse legar per trascinarme via,
così vel segui per le molte punte de spada ke me stavano appresso.

"Ehi Scalda tutto solo stasera?" Madonna Isabella una mia,...
amica. Lei se occupa del bene delli uomini e de renderli felici, certo
non tutti, solo quelli ke hanno uno po' di denaro nella saccoccia, o
quelli come me ke danaro non habendo, compensano. Eppur niuno ha di ke
dire, financo le altre donne tacciono e la trattano come donna
importante, in fondo lo fratel suo è mercante de li più danarosi.

"è ancora presto per abbandonar lo desco, gradisce uno goccio de
buon vino speziato? Sa ke'l Fosco nostro è lo migliore quan se tratta
dello desinare! Signori leviamo il bicchier in onor al nostro Fosco!"
Tutta la stanza se riempie de uno boato ke par uno delli nuovi
archibugi abbia appena esploso, si ben io non goda de bona riputaçion,
ad onorar lo vino dell'oste son tutti assai presti.

Isabella me guarda mentre sorseggia lo vino e assai de li clienti
guardano lei, me son presti como lepri a volgerlo oltre quando
incrosano il mio.

"Ordunque mio Scaldaletti finchè non vien si tardi ke sia ora de
trovar giaciglio e compagnia, me lasciaste a quando foste catturato e
non proseguiste dicendo de vostra liberaçion nè di come giungeste
insino qui"

Scalda

P.S. Troverete alcuni passi simili al Baudolino di Umberto Eco... mmmm... in realtà abbiamo attinto alle medesime fonti...
P.P.S. Gli altri personaggi della storia sono tutti dei cari amici e compagni di avventure, l'intenzione era di creare un racconto in cui inserirli tutti, purtroppo anche qui è rimasto incompleto...

 
 
 
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Sono The Crow, il corvo del cimitero di Pére Lachaise. E tu sarai un angelo, un giorno. La tua anima camminerà nella notte per giocare ancora con il Mondo...
Ti aspetterò, ragazza.

Jessica
 

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