Creato da illustre il 28/09/2007

...l'altra verità

la verità sugli alimenti e l'ambiente

 

 

Gli orrori della produzione di uova

Post n°110 pubblicato il 28 Aprile 2010 da illustre
 

 
 
 

Il pianto degli agnelli e il dolore del mondo

Post n°109 pubblicato il 02 Aprile 2010 da illustre
 

Il pianto degli agnelli e il dolore del mondo

La Pasqua si avvicina. Gli scaffali dei supermercati sono un trionfo di uova di cioccolata di ogni dimensione, di colombe con tutte le possibili varianti — con uvetta, senza uvetta, ricoperte di cioccolata, con lo zabaione — per accontentare i gusti più stravaganti. Da qualche anno poi, alle più tradizionali colombe, si sono affiancati dolci a forma di campane e di agnelli, anche questi in svariate versioni. Per chi vive in campagna, e ha lo sguardo abituato ad osservare ciò che succede nella realtà circostante, la Pasqua è quel momento in cui le gemme sui rami iniziano a ingrossarsi e i peschi e gli albicocchi, spesso temerariamente, schiudono i loro fiori. Le prime lucertole si svegliano e il loro fruscio si sente in prossimità dei muretti mentre le uova dei rospi, avvolte a migliaia da una lunga collana gelatinosa, ondeggiano tra le piante dei laghetti. Nel sottobosco spuntano le primule, le violette, i crochi, le pervinche e il mesto pigolio invernale degli uccelli si trasforma nella grande sinfonia che prelude al corteggiamento.

Il periodo che precede la Pasqua è il periodo in cui la vita si muove nuovamente verso la sua pienezza e, con questa sua forza oggi così poco compresa, spinge anche noi a rinnovarci, ad abbracciare con una nuova visione lo scorrere incerto della vita. Anche molti animali partecipano a questo rinnovamento. La maggior parte dei capretti e degli agnelli nascono con la luna piena di febbraio e, dopo i primi giorni di timidezza trascorsi zampettando dietro l'ombra rassicurante della madre, si lanciano in corse scatenate con i coetanei del gregge. Chi non ha mai visto gli agnellini giocare, non avrà mai un'immagine chiara della gioia che può pervadere la vita. Si inseguono in gruppi, sterzano, cambiano direzione, saltellano sulle zampe anteriori e posteriori, se c'è un punto più alto nel pascolo, una roccia, un tronco abbattuto, un fontanile, fanno a gara a saltarvi sopra e questo per loro è il massimo divertimento, e poi di nuovo riprendono a rincorrersi, ogni tanto si affrontano e si caricano a testate, simulando l'età adulta. Poi le madri li richiamano, e allora è tutto un correre, un raggiungere con misteriosa abilità, tra la folla del gregge, la propria genitrice, uno spingere con testa, un vibrare di codine soddisfatte. Sul pascolo scende allora il tenero silenzio della poppata. Ma poi un giorno, poco prima della Pasqua, mentre gli agnellini pan di spagna sorridono invitanti sui banchi dei supermercati, nelle campagne arrivano i furgoni e caricano i piccoli delle pecore e delle capre. La gioia se ne va dai pascoli e subentrano gli strazianti belati delle madri che per tre giorni corrono incredule da un lato all'altro chiamando a gran voce le loro creature con le mammelle gonfie di latte. Poi, dopo tanta agitazione, sulle campagne scende il silenzio e i pascoli tornano ad essere delle distese brulle in cui i corvi zampettano tra le madri svuotate dal dolore. Intanto gli agnellini, avvolti nel cellophan, sono arrivati nei banconi dei supermercati: interi, a pezzi, o solo la testa, che pare sia una prelibatezza. Non posso non sussultare quando vedo, schiacciati dalla pellicola, quegli occhi opachi e quei dentini che già strappavano la prima erba.

 
L'altro giorno mi ha chiamato un'amica che lavora vicino al mattatoio. 
«Mi sono messa i tappi, ma non serve a niente. Vengono scaricati ogni giorno, a centinaia, e urlano con voci da bambini, disperate, rauche, in preda al terrore, ma, a parte me,nessuno sembra farci caso. In fondo ogni anno è così. È la vita, è la tradizione, è Pasqua e questo è il rumore della Pasqua». Già, perché la Pasqua è soprattutto un pranzo tradizionale, una mangiata di quelle che si fanno di rado, con l'abbacchio trionfante in mezzo alla tavola, un abbacchio ridotto a prelibatezza culinaria, a segno di una cultura gastronomica mai tradita, spogliato da ogni valenza che superi il tratto gastrointestinale. Ma in quei belati, in quelle urla, in quella vita che è pura innocenza, non è forse celata la domanda più profonda sul senso dell'esistere? Perché la morte irrompe e devasta, senza guardare in faccia nessuno. Nella nostra società così asettica e così impregnata di onnipotenza, lo dimentichiamo un po' troppo spesso, ma dimenticare l'ingombrante presenza della morte vuol dire abdicare, fin da principio, al senso della vita. Quando la morte scende su uno dei miei animali, gli altri fanno dei lunghi giri per non avvicinarsi al corpo, per non guardarlo e, per qualche giorno, il loro comportamento cambia, diventa stranamente assente, come se qualcosa, al loro interno, all'improvviso avesse cominciato a vibrare in modo diverso. La contemplazione della morte non può non provocare un profondo senso di timore, timore per quell'occhio brillante che improvvisamente diventa opaco, per quel vivo tepore che si trasforma in fredda rigidità. È per questa ragione che tutte le culture dell'uomo hanno sviluppato dei rituali di macellazione per rendere questo passaggio meno temibile — temibile per l'animale, ma temibile soprattutto per noi, temibile per la potenza evocativa racchiusa nel sangue che scorre.


Ma in una società come la nostra, totalmente profana, in cui nulla è più sacro e gli unici timori concessi sono legati alla materia, la catena di morte del macello non è che una realtà tra le altre. Le urla degli agnelli sono un rumore di fondo, uno dei mille rumori che frastornano i nostri giorni. E forse non sapere ascoltare questo lamento è il non saper ascoltare tutti i lamenti — i lamenti delle vittime delle guerre, dei malati, dei bambini torturati, uccisi, delle persone seviziate, abbandonate, dei perseguitati, di tutte quelle voci che invano gridano verso il cielo. È anche il non saper ascoltare il nostro lamento, di persone sazie, annoiate, risentite, incapaci di vedere altro orizzonte oltre quello del nostro minuscolo ego, incapaci di interrogarci, di affrontare le grandi domande e di accettare il timore che, da esse, inevitabilmente deriva. Sdraiati sul comodo divano della teodicea, continuiamo a ripetere che Dio non può esistere perché permette il male degli innocenti e questo assunto ci placa, ci quieta, ci mette dalla parte della ragione, proteggendoci dall'insonnia delle notti e dall'angoscia straziante del dolore del mondo. Quanti orrori — e quanti errori — derivano da quest'immagine di Dio onnipotente, da quest'idea di un Dio con la barba, seduto su una nuvola, parente stretto di Zeus, con i fulmini in mano, pronto a scagliarli sugli empi della terra. L'onnipotenza di questa società ipertecnologica, non deriva forse proprio da questo? Dio non è onnipotente, come ci aveva promesso, e dunque diventa nostro compito assumerci l'onnipotenza, raddrizzare le cose storte in cose dritte, creare il paradiso in terra, un paradiso in cui la giustizia finalmente trionfa, grazie alle nostre leggi. Il paradiso in terra però, come già abbondantemente ci hanno mostrato le tragedie del Novecento, ben presto si trasforma nel suo opposto perché, quando l'uomo crede di agire unicamente secondo i principi assoluti della ragione, sta già srotolando un reticolato e prepara potenti luci al neon per illuminare ogni angolo della prigione.

Forse il pianto delle migliaia di agnelli immolati per routine consumistica in questi giorni non è che il pianto di tutti i milioni di vite innocenti che ogni giorno in modi diversi, da che mondo è mondo, vengono stritolate dal male. E quel pianto che si alza verso il cielo senza ottenere risposta, ci suggerisce forse che il passaggio, la vera liberazione — la vera Pasqua — è proprio questa. Sapere che Dio non è onnipotente, ma, come Agnello, condivide la stessa nostra disperata fragilità. E solo su quest'idea — sull'idea che condividiamo la fragilità, che le tue lacrime sono le mie e le Sue sono le nostre — si può immaginare un mondo che non scricchioli più sotto il delirio dell'onnipotenza ma che si incammini nella costruzione di una vera umanità.

Susanna Tamaro
28 marzo 2010

dal corriere della sera


 
 
 

Dalla parte delle mucche

Post n°108 pubblicato il 03 Marzo 2010 da illustre
 

Jonathan Safran Foer Dalla parte delle mucche

Un libro tra inchiesta e riflessione filosofica "Vi racconto cosa vuol dire mangiare gli animali" 
 
Se niente importa, il nuovo libro di Jonathan Safran Foer, esce oggi 25 Febbraio. Stavolta non si tratta di un romanzo, ma di un ibrido capace di comprendere il racconto autobiografico e l’inchiesta giornalistica, la riflessione filosofica e la testimonianza. Ed è un ibrido che parla a ciascuno di noi, invitandoci a interrogarci sulle nostre scelte alimentari. A partire dal sottotitolo: Perché mangiamo gli animali?

Mr. Foer, che cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?
«Credo che molti di noi non si pongano il problema di ciò che arriva in tavola. Non che non gliene importi. Preferiscono non farlo. Io ho capito di volerlo fare dopo la nascita di mio figlio. E più approfondivo le mie ricerche, più mi rendevo conto che ciò che stavo scrivendo aveva sì a che fare col dolore e la sofferenza degli animali, ma anche con altre cose: la qualità dell’acqua che beviamo e dell’aria che respiriamo, gli antibiotici che assumiamo senza saperlo, il riscaldamento globale, la fame nel mondo. Mangiare animali significa toccare tutte queste questioni. Che riguardano ciascuno di noi, e il futuro dei nostri figli».

Dopo aver letto il suo libro, l’attrice Natalie Portman, vegetariana da vent’anni, è diventata un’attivista vegana, rifiutando anche uova e latte. Lei invece è stato criticato per non averlo fatto. Se l’aspettava? 
«Io e la mia famiglia facciamo la spesa biologica nei mercati dei contadini e sappiamo da dove proviene ciò che mangiamo, ma diventare vegetariani è una decisione molto complicata. Posso capire che qualcuno sia rimasto deluso perché non ho fatto una scelta ancora più radicale, ma non credo serva a qualcosa dire: noi vegani siamo dalla parte della ragione, tutti gli altri no. Penso invece sia utile far riflettere la gente sul fatto che occorre ridurre i consumi. Sia per tutelare la nostra salute, sia per i danni che il nostro stile di vita arreca alla biosfera, e nel caso della carne anche per via delle sofferenze che arrechiamo agli animali. Ma non è una questione di identità. Si tratta delle scelte che facciamo ogni giorno. Noi abbiamo la possibilità di scegliere ogni volta che entriamo in un supermercato o al ristorante. Il problema a monte è che non sappiamo che cosa avviene nell’industria zootecnica».

Lei si è introdotto nottetempo negli allevamenti e ha visto che cosa sono oggi le fattorie americane. Ha denunciato non solo le terribili condizioni in cui vengono allevati gli animali e la crudeltà con cui li si uccide, ma anche il pericolo che deriva alla nostra salute a causa dei farmaci somministrati e delle spaventose condizioni igieniche. Quali sono state le reazioni dell’industria zootecnica del suo Paese?
«La cosa interessante è che non c’è stata alcuna reazione. Io mi aspettavo che dicessero: ehi, un momento, le cose non stanno come le hai raccontate. Oppure: guarda che ti sei sbagliato, dovevi informarti meglio. Invece, niente. Questo mi fa pensare che non abbiano argomenti, oppure che proprio non vogliano aprire un dibattito, perché farlo porterebbe la gente a non mangiare più carne».

Ha incontrato anche imprenditori nel settore dell’allevamento intensivo e semplici lavoratori. Qualcuno le ha detto che l’industria ha capito che per fare profitto gli animali malati sono più redditizi. Altri, che tornando alle fattorie rurali non si potrà mai sfamare un mondo con 10 miliardi di persone. 
«Dal suo punto di vista, l’industria ha ragione. Ma non prende in considerazione che si possa mangiare meno carne, oppure qualcos’altro. Gli americani mangiano il doppio di proteine rispetto agli europei. Negli ultimi decenni il consumo di polli è aumentato del 150%. Ribadisco: noi consumiamo troppo».

Lei cita Derrida, che riguardo alla violenza su scala mondiale esercitata sugli animali dice: «Gli uomini fanno tutto ciò che possono per nascondere questa crudeltà». E ricorda Henry Ford, che imparò a montare le auto vedendo come nei mattatoi si smontavano le mucche.
«La questione centrale è che un animale non è un’auto: noi non mangiamo auto, e non le facciamo mangiare ai nostri figli. E la tragedia è che si pensa all’industria alimentare come se fosse una qualsiasi altra impresa capitalista. Invece non è così. Basti pensare a quanto precocemente oggi le ragazzine arrivano alla pubertà: con la carne assumono ormoni. Una delle persone che ho intervistato mi ha detto: “Usiamo i nostri figli come cavie”. È vero».

Lei cita anche Orwell, «Tutti gli animali sono eguali, ma alcuni sono più eguali degli altri», e pone una domanda scomoda: che scusa possiamo avere per risparmiare i cani e mangiare gli altri animali?
«In realtà non c’è alcuna vera ragione per risparmiare i cani e mangiare le mucche, o viceversa, se pensiamo a quanto accade altrove. Si tratta di decisioni arbitrarie. Tra un cane e un maiale non c’è molta differenza. I maiali sono affettuosi, giocherelloni e molto intelligenti».

Nel libro un’attivista per i diritti degli animali dice che entrando in un capannone di quelli dove sono stipati a strati decine di migliaia di polli si è vergognata di essere una persona. Le è capitato, mentre scriveva questo libro?
«Da parte mia non penso di poter dire a nessuno: ehi, tu, devi vergognarti. Ma ho scelto di essere me stesso, e di non dare i miei soldi a chi pratica l’allevamento intensivo. Un giorno potrò raccontarlo a mio figlio. Tutti noi abbiamo questa possibilità: scegliere di raccontare certe storie ai nostri figli anziché altre. I libri per bambini sono pieni di animali, e i bambini prima o poi chiedono sempre ai genitori: perché li mangiamo?».

"Se niente importa"
Jonathan Safran Foer è nato a Washington nel 1977 e vive a Brooklyn con la moglie (la scrittrice Nicole Krauss) e il figlio Sasha.
Si è rivelato nel 2002 con il romanzo Ogni cosa è illuminata, seguito tre anni dopo da Molto forte, incredibilmente vicino. Il suo saggio Se niente importa (Guanda) esce il 25 febbraio. L’autore lo presenterà a Roma il 3 marzo (Auditorium, ore 21, con Irene Bignardi) e a Milano il 4 marzo (Libreria Feltrinelli di Piazza Piemonte, ore 18,30, con Wlodek Goldkorn e Ranieri Polese).

GIUSEPPE CULICCHIA 

www.lastampa.it

 
 
 

L'Italia che non mangia la carne

Post n°107 pubblicato il 22 Febbraio 2010 da illustre
 

L'Italia che non mangia la carne, siamo i più vegetariani d'Europa

Sei milioni di persone, inclusi i vegani che rifiutano anche latte e uova

Una dieta che è una scelta di vita: "Ma non ci sentiamo superiori agli altri"




Colpa di un frigorifero troppo illuminato. "Ho visto le bistecche rosse, il prosciutto, il pollo... Prima erano solo "prodotti" comprati al supermercato. Quel giorno ho capito che il frigo era pieno di animali, uccisi e fatti a pezzi per diventare il mio cibo quotidiano. Sono passati venticinque anni. Da allora sono vegetariano". Quasi un colpo di fulmine, per Franco Castorina, coordinatore nazionale della Società vegetariana di Genova.

Luciana Baroni, medico di Mestre e fondatrice della Società scientifica di nutrizione vegetariana si è invece allontanata da fiorentine di manzo e grigliate di pesce il giorno in cui ha compiuto quarant'anni. "Ci pensavo anche prima, alle sofferenze degli animali. Ma non riuscivo a decidermi. Poi ho pensato di farmi un regalo di compleanno: nutrirmi senza provocare sofferenze. E ho scoperto che così si vive anche meglio".

Si fa presto a dire "vegetariani". In questa galassia ci sono infatti i "latto-ovo-vegetariani" che escludono carne, pesce, molluschi e crostacei ma si cibano di latte, uova e qualunque tipo di vegetale. Ci sono i "latto-vegetariani" che evitano anche le uova e derivati. Infine ci sono i vegani che assieme a carne e pesce rinunciano anche a latte e uova. Sei milioni - secondo un'indagine Ac Nielsen rielaborata dall'Eurispes - che in questo 2010 dovrebbero diventare sette milioni (i primi in Europa, secondo le stime dell'Unione vegetariana europea). Fra loro, il 10 per cento sono vegani.

"Nella nostra società di nutrizione - dice Luciana Baroni - siamo in 400, quasi tutti professionisti. Cerchiamo di spiegare cosa sia davvero il vegetarismo e come una dieta a base di cibi vegetali rappresenti uno dei più efficaci e piacevoli mezzi per restare sani. Non ci sentiamo missionari, non vogliamo convertire quelli che noi chiamiamo gli onnivori. Siamo però a disposizione di chi cerca un'alimentazione più salubre".

Da qualche anno la dottoressa è anche vegana. "All'inizio pensavo che la sofferenza fosse solo negli allevamenti, con gli animali ingrassati a forza, i trasporti, la macellazione... Poi ho smesso di bere latte e mangiare formaggi perché alla mucca viene portato via il vitello per portare il latte al caseificio. Anche nelle uova ci sono dolore e sofferenza. Il polli da uova sono diversi da quelli da carne e i pulcini maschi che ovviamente non possono fare uova vengono buttati in un macina carne e diventano cibo per altri animali".

Le associazioni di vegetariani sono diverse (tre le principali, a Milano, Mestre e Genova) ma il messaggio è comune: "Il vegetariano non rinuncia ma sceglie. Il vegetariano è felice". "Oggi  -  racconta Luciana Baroni  -  mi sono preparata pasta con i broccoli e porri poi pane con tahin, una salsa di semi di sesamo. Se diventi vegetariano, non perdi gli amici. Quelli che vengono a cena da me alla fine mi chiedono le ricette. Se vado a casa d'altri li avverto della mia scelta e un risotto o una pasta riescono a prepararmeli". Felice anche il genovese Francesco Castorina. "Oggi mi sono cucinato pasta integrale con minestrone e hamburger di lenticchie. Il cibo è importante, nel nostro messaggio. Non a caso, le nostre conferenze sono brevi  - massimo mezz'ora  -  e sono sempre seguite da cene, cuore dei corsi di cucina pratica e teorica. Tante le domande che ci vengono poste. Una dieta vegetariana è pericolosa? Si può vivere senza carne? La nostra dieta  -  rispondiamo  -  è pericolosa se fatta male, come del resto la dieta degli onnivori. Si sopravvive? Gran parte degli indiani da secoli non si cibano di carne. Il ferro e il calcio? Basta scegliere le verdure e i legumi giusti".

Ravioli di tofu, polpette di piselli, biscotti d'orzo... "Certo, ci vuole più tempo che cuocere una bistecca. Ma basta guardare meno tv e il tempo si trova. Essere vegetariano vuol dire fare una scelta di vita ma non ci sentiamo superiori agli altri. Una signora genovese (ha 85 anni ed è vegetariana da 70) dice però che se si può essere vegetariani senza essere buoni (Hitler era vegetariano, ndr) non ci può essere bontà senza vegetarismo. In passato tanti ci guardavano in modo strano, ora qualcosa sta cambiando. Qui a Genova, ad esempio, ci hanno chiamato a fare conferenze al festival della Scienza. Vuol dire che ci prendono sul serio".
Non si pagano quote, per entrare nella Società genovese. Basta iscriversi al sito. "Con la scelta vegetariana si diventa anche amici. Alla fine di marzo organizzeremo a Claviere la prima settimana bianca vegetariana, con cucina vegana. Anch'io ho fatto questa scelta, quando ho scoperto che latte e formaggi mi facevano gonfiare le mani".

Tutti uniti per la propria salute e per la salute del mondo. Vegetariani e vegani, nel loro materiale informativo, raccontano che "per produrre un solo chilo di carne servono dai 7 ai 16 chili di soia o altri legumi, 15.500 litri di acqua pulita e 323 metri quadri di pascolo". Il chilo di carne viene mangiato da chi se lo può permettere mentre i poveri del mondo debbono rinunciare ai legumi. Per dimostrare che la dieta senza carne e pesce non debilita si citano i nomi di atleti che hanno fatto stupire il mondo: da Carl Lewis a Martina Navratilova, da Paavo Nurmi a Edwin Moses.

"Mentre per una dieta vegetariana non ci sono problemi  -  dice il professor Vincenzino Siani, docente di Ecologia della nutrizione all'università di Tor Vergata  -  qualche dubbio esiste per la dieta vegana. Le proteine si trovano anche in cereali e legumi ma la vitamina B12 nei vegetali non è presente  -  se non in piccola parte in certe alghe  -  e chi anche rinuncia a latte e uova ne resta privo. Per questo i vegani debbono assumere questa vitamina in pillole e questo è il loro tallone d'Achille. Io sono vegetariano ma non vegano. Non ci si può giustificare dicendo che l'uomo per secoli ha mangiato solo vegetali ed è riuscito a sopravvivere. Chi mangiava erbe, foglie e verdure in passato mangiava anche gli insetti che c'erano in mezzo e pezzetti di terra. La nostra igiene ha cambiato il modo di assumere i vegetali, non più "arricchiti" come in passato".

Il dieci per cento di vegani sembra però in aumento. "Chi da onnivoro diventa vegetariano, nei primi tempi, rinunciando a carne e pesce, si butta sul formaggio e a volte eccede. Crede che a fargli male sia il formaggio e invece è solo l'eccesso di tale cibo. E allora rinuncia. Io continuo ad assumere latte e derivati, sia pure in piccola quantità. Mi sembrerebbe assurdo ricorrere a pillole".

A Verona, nel giugno scorso, è stato aperto il primo ambulatorio pediatrico vegetariano d'Italia. "I vegetariani  -  racconta il professor Leonardo Pinelli, diabetologo e nutrizionista pediatrico  -  vogliono che anche i loro figli seguano la loro scelta e non sanno a chi rivolgersi. I pediatri non sono preparati e si arrabbiano. "Cosa, non vuol dare la carne a suo figlio?"". L'ambulatorio è pubblico e gratuito, organizzato dalla Asl e dall'università. "Noi sappiamo che la dieta vegetariana fa bene. Sappiamo che il 40% delle malattie, dal diabete al colesterolo all'ipertensione, possono essere affrontate con una dieta vegetale. Ma non abbiamo dati italiani, statistiche e ricerche arrivano quasi tutte dagli Stati Uniti. Noi vogliamo studiare i "nostri" genitori e i "nostri" bambini. Vengono da noi papà e mamme cui non bastano le informazioni prese in Internet o nel negozio macrobiotico. Vengono a chiedere, ad esempio, cosa fare per lo slattamento ai sei mesi, quando gli altri piccoli passano agli omogeneizzati di carne. Noi indichiamo frutta, brodo vegetale, crema di riso o mais e tapioca. Dopo una o due settimane consigliamo le pappine di lenticchie rosse decorticate. Certo, può stupire una scelta vegetariana fatta dai genitori per i neonati, ma saranno comunque i piccoli a decidere quando saranno cresciuti. C'è da rilevare però che il gusto si forma nei secondi sei mesi di vita e ai bimbi resterà per sempre la passione per sapori delicati come quelli dei legumi e delle verdure. I genitori vengono da noi anche per un altro motivo. Alla nonna che protesta perché un bimbo non può crescere senza carne, la mamma potrà farsi forte del parere di un docente universitario". (19 febbraio 2010)

JENNER MELETTI

La Repubblica.it

 
 
 

essere vegetariani

Post n°106 pubblicato il 03 Febbraio 2010 da illustre
 

LE CINQUE REGOLE PER FARCI DEL BENE

Ridurre il rischio di ammalarsi di cancro, vivere più sani e più a lungo, evitare la tortura e il massacro degli animali, rispettare l' ambiente, ridurre gli squilibri alimentari nel mondo: sono almeno cinque i buoni motivi per essere vegetariani.

La giornata dell' Airc dedicata alle Arance della Salute nelle piazze italiane, ci ricorda il primo: un' alimentazione sana, mai eccessiva, ricca di verdura e frutta e con pochissima (o meglio senza) carne, non solo diminuisce il rischio di ammalarci, ma ci protegge da molti tipi di tumore.

Il 30% dei tumori sono dovuti a un dieta troppo ricca di grassi insaturi; alcuni, come il cancro del colon, sono direttamente correlati al consumo eccessivo di carne. La ricerca sul Dna , svelandoci le interazioni tra l' ambiente esterno e i nostri geni, ci dà continue conferme scientifiche che il nostro comportamento è il fattore che maggiormente incide sulle malattie. E non solo quelle individuali. Abbiamo raggiunto un tale livello di benessere, per cui i nostri stili di vita vanno oltre la tutela della salute personale, per avere un' influenza anche s u l l ' i n q u i n a mento ambientale, sugli equilibri dell' ecosistema, sulla fame e le epidemie di alcune p o p o l a z i o n i , sulla scarsità di a c q u a e d i energia.

Io sono vegetariano per motivi etici: amo gli animali e dunque non li mangio, sono contro ogni forma di violenza e non concepisco le torture inflitte agli animali d' allevamento e il loro massacro.

Se mangiare carne aveva un suo senso tanti anni fa, oggi gli equilibri del mondo sono cambiati, le nostre conoscenze si sono sviluppate e noi dobbiamo rimeditare questa abitudine e le sue implicazioni. Sono molti gli studiosi che indicano una relazione diretta tra la povertà e la fame dei Paesi sottosviluppati e il consumismo alimentare.

Una delle ragioni dell' iniqua distribuzione di cibo e acqua, va individuato proprio nelle abitudini dei Paesi più ricchi, e in particolare nell' elevato consumo di carne. Basta pensare che il 35% dell' intera produzione di cereali nel mondo è destinato a nutrire il bestiame da carne.

Oggi sappiamo inoltre che il rispetto per gli animali e la difesa dell' ambiente sono due facce della stessa medaglia. Gli ultimi studi indicano che l' impatto degli allevamenti animali sul riscaldamento globale è superiore del 40% rispetto a tutti i trasporti del mondo combinati ed è una delle cause principali del cambiamento del clima.

Per non parlare di contaminazioni occasionali, come lo sviluppo di nuovi batteri dovuti all' abuso di antibiotici negli animali da carne e dell' origine di molti virus negli allevamenti, come ci ha dimostrato la recente influenza suina. Occorre allora fissare una soglia di consumo di carne in modo che i Paesi convergano verso lo stesso livello, per la sopravvivenza e la buona salute di tutti.

Noi siamo sulla buona strada: l' Italia è al primo posto in Europa per numero di vegetariani. 

 UMBERTO VERONESI

Repubblica - 29 gennaio 2010  

La Repubblica.it

 
 
 

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