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CON QUEL TRUCCO CHE MI SDOPPIA LA FOCE
 

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Messaggi del 18/10/2016

II

Post n°281 pubblicato il 18 Ottobre 2016 da lost4mostofitallyeah








L'astice II

Il viaggio fu abbastanza rapido con cambio batticuore alla stazione di Bologna. Tutti a correre per non perdere la coincidenza e maleducazioni assortite, poi la lunga distesa del nastro d'acciaio attraverso le colline toscane e le lievi alture delle campagne laziali. Il clima che si faceva più dolce e l'orizzonte che arrivava a toccare il sole, rimpicciolito come una palla da biliardo. Si poteva persino odorare il mare se si fosse voluto e la città eterna cominciava a dilatare le sue dita grassocce per accoglierci nella stretta. Ricordo l'immensa periferia urbana  ma le luci stavano già calando e quindi si distingueva solo il dipanarsi dei graffiti e delle ruvide casette ferroviarie, nonché il reticolo labirintico degli scambi con il loro inastarsi di precisione. Ho sempre adorato l'arrivo in una nuova città, più di quanto mi abbatta l'arrivederci alla mia origine. Ho un bisogno fisiologico di stimoli e nuove impressioni, caratteri diversi dei popoli e architetture sorprendenti o banali, purché diverse. è la mia maschera d'ossigeno, la mia bombola di scorta che inalo con voluttà e piacere. Non credo a chi mi sussurra che l'uomo si modifica poco nel corso della sua vita e rimane sostanziale prigioniero dei suo primi cinque anni. No...non vi credo. Ho vissuto sulla mia pelle il turbine creato da presenze nuove e inattese, sono stato deragliato da incontri che non avevo messo in conto e piacevolmente incantato da sorprese in forma umana nelle quali non avrei mai sperato a mente lucida. Ritirarsi nel guscio significa abbandonare ogni speranza, incartapecorirsi, lasciare perdere quella che è la prima caratteristica umana: la socialità. Siamo uomini in quanto capaci di cambiare di modificarci ed è un precipuo segno terrestre quello di diventare creta modificabile sotto il tocco altrui. Riconoscere la propria friabilità ed essere pronti a gettare la corazza dei pregiudizi e delle prevenzioni  quando un soffio gentile alita su di noi e ci dona nuova vita. Così ero allestito a sentirmi mentre imboccavamo il giusto sentiero per Roma Termini e, sferragliando, ci accingevamo a concludere la nostra corsa. Quando, fra stridore dei freni e oscillazioni ci apprestavamo a scendere dal convoglio una vibrazione di rapida gioia mi percorse tutto, come all'inizio delle grandi avventure. Ero arrivato! E la babele di quella Metropoli era pronta a rapirmi e ad insegnarmi nuovi, inattesi linguaggi. Scesi con il sole negli occhi malgrado fosse già calato da un paio d'ore. Spinsi il mio trolley con decisione sino a uno degli ingressi dov'ero d'accordo di aspettare Francesca e mi misi in attesa. Concionare di civiltà multiculturale può sembrare tronfio e da tromboni ma in quei momenti ebbi l'esatta impressione di essere al centro di un fuoco dal quale si dipanavano molteplici lingue: sikh, cingalesi, cinesi, giapponesi, nigeriani, ghanesi, marocchini, algerini, pakistani, indiani, filippini, senegalesi, siriani, libici mi ruotavano attorno insieme ad alcune brutte grinte locali e agli usuali tossici in opera di questua. Era tardi e la stazione cominciava comunque ad assumere una grinta poco raccomandabile con il trascorrere di ogni minuto. Non mi allontanavo un attimo dal mio trolley e posavo lo sguardo curioso sui personaggi del crepuscolo che iniziavano a popolare il posto: clochard con i carrelli della spesa, ubriaconi, borseggiatori, pattuglie di polizia, corpi di vigilanza privata, ultimi ritardatari, gruppetti di giovinastri in cerca di rogne e me stesso piazzato come un palo telegrafico poco innanzi ai gradini che digradavano sulla grande piazza colma di clacson. Ad un tratto mi giunse una telefonata che mi implorò di spostarmi verso una tavola calda thailandese alla mia sinistra. Era Francesca e in poco minuti ero al sicuro dentro la sua utilitaria in tripla fila.






(Continua)







 
 
 
 
 

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