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Non fu il loro braccio a salvarli, ma la luce del tuo volto. (Salmo 43)

I nostri nemici ci hanno spogliati. L'infamia mi sta sempre davanti.
Perché nascondi il tuo volto,
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Il nostro corpo è steso a terra.
"Il Signore non vi nasconde il suo volto, se voi tornate a rivolgervi a lui."

(Per l'interpretazione dei significati attuali delle parole: spogliati, infamia, miseria e oppressione, nostro corpo, vedi complessivamente i post sull'abito infame.)

 

 

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Il vero significato della legge sul celibato sacerdotale. La risposta degli scartati

Post n°90 pubblicato il 29 Aprile 2011 da scrivodomani
 

Il vero significato della legge sul celibato sacerdotale. La risposta degli scartati   - di Simonetta Castellano 

Scrive un vescovo su L'Osservatore Romano: “Mentre sta tornando di attualità il dibattito sulla tradizione della Chiesa latina, che richiede il celibato a coloro che accedono agli ordini sacri, ritorna anche l'obiezione circa la presunta forzatura da parte della stessa Chiesa, la quale - si sostiene - imporrebbe per legge, a chi è chiamato al presbiterato, il celibato, che è invece un dono (carisma) dello Spirito. Conviene però chiarire bene qual è il significato della norma canonica in questa tradizionale scelta della Chiesa in Occidente”.

E cita il testo che dovrebbe chiarire, che non si tratta di forzatura, né di imposizione: “Limitandoci al problema del ruolo della legge canonica, giova riprendere il testo approvato il 7 dicembre 1965 dal concilio Vaticano II con 2.390 voti favorevoli dei padri conciliari (con solo 4 contrari): "Il celibato, che prima veniva raccomandato ai sacerdoti, in seguito è stato imposto per legge nella Chiesa latina a tutti coloro che si avviano a ricevere gli ordini sacri.”

Ora, a noi che leggiamo risulta che il testo dica letteralmente che 'è stato imposto'. E che prima era solo raccomandato. Dice, quindi, che la vocazione al sacerdozio c'era e c'è di per sé e ai sacerdoti (cioè a quelli che avevano la vocazione ed erano sacerdoti) - prima veniva raccomandata la pratica del celibato, mentre in seguito il celibato è stato imposto per legge. Dopo, il testo citato dal vescovo continua così:

Questo sacro Sinodo torna ad approvare e confermare tale legislazione per quanto riguarda coloro che sono destinati al presbiterato, avendo piena certezza nello Spirito che il dono del celibato, così confacente al sacerdozio della Nuova Legge, viene concesso in grande misura dal Padre, a condizione che tutti coloro che partecipano del sacerdozio di Cristo con il sacramento dell'ordine, anzi la Chiesa intera, lo richiedano con umiltà e insistenza. (Presbyterorum ordinis, n. 16)”.

Su quale base, dunque, si “torna a confermare l'imposizione per legge”? “Nella certezza che il Padre dà il dono del celibato a condizione che i sacerdoti lo chiedano insistentemente.

Dunque, questi uomini, che già hanno il dono inestimabile e decisivo della vocazione sacerdotale, si impegnino a chiedere anche insistentemente al Padre il dono del celibato, se vogliono essere ammessi al ministero. Perché questa è la scelta dell'istituzione. Di sicuro, una scelta ampiamente autodistruttiva. E il vescovo prosegue nel suo ragionare: “Come si vede, il testo conciliare contiene entrambi i termini del problema: conferma che il celibato è un dono dello Spirito, ma anche che nella Chiesa latina esiste per legge il legame tra sacerdozio e celibato, che prima era solo raccomandato”.

Capiamo benissimo: il legame tra sacerdozio e celibato è stabilito per legge, cioè la vocazione al sacerdozio e il dono del celibato sono due cose distinte e la legge stabilisce che chi ha solo la vocazione al sacerdozio non debba essere ordinato. A chi ha solo la vocazione al sacerdozio, senza il dono del celibato - e perciò non intende impegnarsi a pregare il Padre insistentemente perché glielo mandi - non viene imposto il celibato, semplicemente viene scartato. Una pietra dell'edificio spirituale del popolo sacerdotale, con la vocazione al sacerdozio ordinato, viene semplicemente scartata.

Il vescovo qualche disagio lo sente di fronte a questa scelta dell'istituzione, un disagio che lo mette piuttosto in crisi, visto che si chiede come si possa fare per conciliare l'imposizione di un obbligo in qualcosa che, come il celibato, è un dono. Scrive, infatti: “La deliberazione conciliare è stata poi formulata nel nuovo Codice di diritto canonico del 1983, al canone 277 § 1, che recita: "I chierici sono obbligati ad osservare la perfetta e perpetua castità per il Regno dei cieli, per cui sono vincolati al celibato, che è un dono speciale di Dio". Ma come conciliare i due termini della disposizione così che, da una parte, non sia stravolta la natura del carisma e, dall'altra, possa essere mantenuta la legislazione attuale?”

La legislazione attuale, abbiamo visto sopra, dice: i sacerdoti ordinati sono obbligati a osservare il celibato; celibato, che però se uno non ce l'ha come dono da Dio non se lo può dare da sé; perciò, coloro che hanno la vocazione al sacerdozio e desiderano essere ordinati per il ministero, preghino insistentemente di ricevere anche il dono del celibato. Quindi, il vescovo, continuando a cercare una risposta plausibile, è costretto a chiedersi: “In altre parole, cosa stabilisce la legge della Chiesa, dal momento che nessuna autorità umana può imporre il celibato a chi non lo ha ricevuto come dono dallo Spirito?”

E si risponde: “In realtà, con questo legame giuridico la Chiesa d'Occidente, fin dal IV secolo con il concilio di Elvira, non imponeva il celibato a chi non ne era chiamato per dono dello Spirito, ma restringeva l'ordinazione sacra a coloro che erano anche chiamati alla castità perfetta per il Regno.”

Ad un certo punto della storia della chiesa, tra vocazione al sacerdozio e dono del celibato è diventata talmente prevalente la considerazione del celibato, che da quel momento si è pensato che coloro che hanno solo la vocazione al sacerdozio è legittimo che siano scartati per legge. Il fatto che Dio Padre chiami qualcuno al sacerdozio, senza dargli anche il dono del celibato, è così inaccettabile? L'immensità del valore della vocazione sacerdotale sbiadisce di fronte alla mancanza del dono del celibato? Di fronte a questa domanda, nessun imbarazzo? Pare di no. Scrive seraficamente il vescovo: “La legge canonica, dunque, non altera il significato del celibato come carisma che viene dallo Spirito, ma limita l'accesso al sacerdozio a coloro che sono dotati anche di questo prezioso dono.

Però, qualcuno gli ha fatto ancora qualche obiezione, a cui si deve pur rispondere e allora continua: “A questo punto, si potrebbe obiettare che così viene violato il diritto di chi si sente chiamato al sacerdozio senza aver ricevuto la chiamata al celibato”.

Visto che, appunto, la vocazione al sacerdozio esiste anche senza il dono del celibato, si pone anche un problema di violazione dei diritti del battezzato chiamato da Dio e dei diritti di Dio a vedere realizzata la volontà divina e il progetto di Dio sulla vita umana. Ebbene: Con Paolo VI va risposto che "la vocazione sacerdotale, benché divina nella sua ispirazione, non diventa definitiva e operante senza il collaudo e la responsabilità del ministero ecclesiale; e quindi spetta all'autorità della Chiesa stabilire, secondo i tempi e i luoghi, quali debbano essere in concreto gli uomini e quali i loro requisiti, perché possano ritenersi adatti al servizio religioso e pastorale della Chiesa medesima" (Sacerdotalis caelibatus, n. 15).”

La vocazione sacerdotale, che viene da Dio, non diventa definitiva e operante, se l'autorità ecclesiastica non stabilisce i requisiti di chi può essere ordinato. Finalmente, siamo arrivati al punto chiave, che tutti conosciamo: Dio chiama al sacerdozio, l'autorità ecclesiastica stabilisce i requisiti di idoneità al ministero. Secondo i luoghi e i tempi. Così, conferma appunto il vescovo: “In altre parole, nessuno può dirsi chiamato al sacerdozio senza il discernimento da parte della Chiesa che stabilisce i criteri oggettivi per verificare l'idoneità al sacro ministero.” “Ne consegue che nella Chiesa latina dal IV secolo fino a oggi, nessuno può dirsi chiamato al sacerdozio, se non è anche chiamato dallo Spirito al celibato”.

E per il vescovo questo chiuderebbe la discussione. Ma il fatto è che ciò che lui considera un potere indiscutibile, cioè l'autorità dell'istituzione di fare la scelta, è qualcosa di molto più grave: è una responsabilità. Una responsabilità di fronte a Dio, che è l'autore della chiamata sacerdotale e una responsabilità di fronte agli uomini loro affidati.

La vocazione al sacerdozio senza dono del celibato significa vocazione sacerdotale matrimoniale. Abbiamo visto, quindi, che l'autorità ecclesiastica ha deciso nel IV secolo, che l'idoneità al ministero c'è solo per chi ha anche il dono del celibato insieme alla vocazione sacerdotale. Mentre, chi ha solo la vocazione al sacerdozio è scartato. La prima cosa rilevantissima da sottolineare è che la vocazione al sacerdozio senza il dono del celibato significa vocazione al sacerdozio con vocazione matrimoniale. E l'autorità ecclesiastica 'sceglie' di ritenere adatti al servizio religioso solo quelli, che insieme alla vocazione al sacerdozio hanno 'anche' il dono del celibato, cioè come abbiamo letto nel documento: “limita l'accesso al sacerdozio a coloro che sono dotati anche di questo prezioso dono”.

Perciò, è lecito e anche d'obbligo, chiedere all'autorità ecclesiastica oggi: qual è il vantaggio di restringere l'accesso al sacerdozio? Perché tra tutti coloro che Dio chiama al sacerdozio, dovrebbe essere oggi legittimo e opportuno scartare quelli che hanno anche la vocazione a creare una famiglia?

Finora si è risposto, che per il sacerdozio era costitutivo il celibato. Adesso che è stato dimostrato che non è così, come popolo di Dio affidato ai pastori si ha anche il diritto di sentirsi un po' raggirati e frodati e di avere voglia di protestare. E allora, dovendo ammettere che la vocazione al sacerdozio esiste anche senza il dono del celibato, si dice che quelli che hanno solo la vocazione al sacerdozio non sono idonei al ministero, perché questa è la scelta dell'autorità.

Non si può fare a meno di constatare come gli argomenti scadano sempre di più e si cerchino sempre più affannosamente nuovi e vecchi puntelli a cui aggrapparsi. Come, ad esempio, il fatto che Gesù non si è sposato. Se questa fosse la logica da applicare, ne conseguirebbe che: essendo la sacra famiglia il modello della famiglia cristiana, così come Gesù lo è del sacerdote cristiano, il sacramento del matrimonio dovrebbe escludere l'unione carnale dei coniugi per legge, avendo piena certezza nello Spirito che il dono dei figli per opera dello Spirito Santo, così confacente alla famiglia della Nuova Legge, viene concesso in grande misura dal Padre, a condizione che tutti coloro che partecipano del sacerdozio battesimale di Cristo con il sacramento del matrimonio, anzi la Chiesa intera, lo richiedano con umiltà e insistenza. Ne conseguirebbe, che nessuno potrebbe dirsi chiamato al matrimonio cristiano, se non fosse anche chiamato a concepire per opera dello Spirito Santo.

La verità è che la legge ecclesiastica non solo viola il diritto di chi ha la vocazione al sacerdozio senza il dono del celibato, ma ciò che è ancora più grave è che offende Dio che ha chiamato quella persona a cui si chiudono in faccia le porte della Sua casa.

Ma c'è ancora un'altra vocazione, in cui Dio viene rifiutato e offeso: la vocazione di quelle donne, che sono chiamate a sposare quei sacerdoti che non hanno nella loro vocazione il dono del celibato. Se esistono uomini chiamati al sacerdozio senza il dono del celibato, che per legge vengono esclusi dall'ordinazione, esistono anche donne che hanno la vocazione a sposare quel sacerdote, alle quali viene negata la propria famiglia e la propria vita. E non è distruzione da poco. Per i singoli e per la società. L'attuale legislazione, che restringe l'accesso al sacerdozio ai soli celibi priva il popolo di Dio di sacerdoti, di vocazioni femminili al matrimonio sacerdotale e di famiglie consacrate al servizio di Dio e degli uomini. E crea nella società unioni matrimoniali instabili perché viziate dall'impossibilità per la donna di riconoscere di essere chiamata a sposare un sacerdote e per l'impossibilità per l'uomo di riconoscere di essere chiamato sia al sacerdozio, sia al matrimonio.

Per questo motivo, evidentemente, Bendetto XVI ha iniziato il suo pontificato scrivendo l'enciclica “Dio è amore”, con dichiarato intento vocazionale circa la risposta umana di unione a quell'amore divino, che è eros e matrimonio: "Vorrei precisare — all'inizio del mio Pontificato — alcuni dati essenziali sull'amore che Dio offre all'uomo, insieme all'intrinseco legame di quell'Amore con la realtà dell'amore umano. È mio desiderio insistere su alcuni elementi fondamentali, così da suscitare nel mondo un rinnovato impegno nella risposta umana all'amore divino." Il Papa ha inteso avviare la riforma di purificazione della chiesa ponendo le basi cristologiche, teologico-sacramentali delle due grandi vocazioni nascoste nel nostro tempo: la vocazione moglie di Cristo e la vocazione matrimoniale del sacerdote.



 
 
 
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>Una diversa generazione è apparsa, la nostra stessa natura ha subito un cambiamento: il Battesimo rigenera corpo e anima. E dal nostro stato di imperfezione ci riporta alla primitiva bellezza e ci riempie della sua grazia. (Liturgia delle Ore)

“I testi biblici indicano che l’eros fa parte del cuore stesso di Dio: l’Onnipotente attende il 'sì' delle sue creature come un giovane sposo quello della sua sposa. Purtroppo fin dalle sue origini l’umanità, sedotta dalle menzogne del Maligno, si è chiusa all’amore di Dio, nell’illusione di una impossibile autosufficienza." (>BXVI, Messaggio per la Quaresima 2007)

 

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