Creato da ventino1948 il 24/01/2010

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Insonnia

Post n°28 pubblicato il 09 Maggio 2016 da ventino1948

INSONNIA.

 

A volte capita di non riuscire a dormire. Ci si sveglia nel cuore della notte, e la mente si affolla di pensieri. Le  difficoltà della vita sono in alcuni casi insopportabili. Così, abbandonato sul letto, nel silenzio notturno, per sviare i pensieri che mi rendono il sonno impossibile, cerco di fantasticare, senza una meta prefissata, come a volte mi capita quando vado in montagna, ad un bivio, seguo una traccia piuttosto che l’altra, così, senza una ragione particolare, portato da una scelta istintiva. Ed è stato così che m’è venuto da pensare che la vita non è nient’altro che una grande montagna da salire, per raggiungere la cima della quale ognuno di noi segue il suo sentiero, uno diverso dall’altro, ognuno conosce il suo senza conoscere quello che percorrono gli altri, nemmeno di coloro che ci sono più vicini. Tutti portano invariabilmente alla stessa meta, ma seguendo percorsi completamente diversi. Ogni sentiero è in salita, invariabilmente, ed invariabilmente ogni tanto presenta un bivio. A destra il percorso giusto. Lo si capisce perché molto in alto, c’è un ometto segnavia di pietre luminosissime. Però sale per una parete scabra, a volte strapiombante, povera di appigli e di appoggi, spesso incrostata di insidioso vetrato che la rende scivolosa. A sinistra, invitante, una larga mulattiera, sale dolcemente, invitante, ma finisce rapidamente in una nebbia scura che non ci permette di vederne il percorso. La via sbagliata. Ma è facile , e, si sa già, che comunque porta avanti nella vita, verso la meta finale. Questo capita più o meno spesso nella vita di tutti noi, non c’è una regola fissa. Poi, dopo un tempo più o meno breve, anni comunque,si arriva vicino alla meta. La cima della vita. Fisicamente non si riesce ancora a vederla. Nascosta da una fascia di nubi che la nascondono agli occhi. Ma si sa che è là, dietro …  Ecco. Quando è il momento si passa, e io l’ho immaginato a mio modo questo passaggio. Ho voluto interpretarlo in modo “leggero”, perché tanto anche questo è parte della vita, anche se si chiama comunemente morte. Di là dalle nubi ecco la cima. Un po’ strana come cima, che per definizione è un cocuzzolo più o meno ampio, ma ben definito. Invece questa cima non è definita, potremmo dire che c’è ma non si vede. Quel che si vede bene è una gigantesca porta luminosa, non vi saprei dire di cosa sia fatta, ma emana una luce intensa ma morbida e piacevole. A presidiarla davanti c’è uno strano gigantesco personaggio, dall’aspetto severo ma non cattivo. Impugna una colossale spada con una lama fiammeggiante. Ha un vestito candido, vaporoso, immateriale . Sopra le spalle spuntano le cime di due ali piumate. Ecco che con un soffio si apre lentamente il grande portone, prima che io abbia potuto proferir una parola, si apre leggermente e ne escono una fila di esseri, molto simili a quello che vi ho appena descritto , ma di taglia molto più piccola. Ah, dimenticavo di dirvi che nessuno cammina, levitano, leggermente sospesi nell’aria.  Si dispongono in fila, gli ultimi spingono, senza il minimo sforzo, una colossale bilancia, di quelle coi due piatti sospesi, si, dai, come quelle che vediamo sempre rappresentate sostenute dalla Giustizia. Anche la bilancia levita nell’aria senza essere sospesa ad alcunché. Il portone si scosta un po’ di più, ed ecco uscire una alto signore calvo e col viso ornato da una candida e lunga barba bianca. Eh, ma questo lo conosco …  Ha una grossa chiave appesa alla cintura ! E’ San Pietro. Mi fa un cenno con il dito e io capisco, devo scaricare a terra lo zaino che ho in spalla. Tutti ne abbiamo uno. Non ve ne siete mai accorti? Come dite? Voi andate solo al mare e non usate lo zaino? Vi sbagliate, tutti nella vita abbiamo uno zaino, più o meno pesante, più a meno pieno. Lì dentro si raccolgono i frutti delle nostre scelte. Quali scelte? Vi ricordate la storia dei bivi della vita di cui vi ho parlato prima? Dei sentieri giusti e dei sentieri sbagliati? Ecco. I risultati di quelle scelte vanno tutti a finire nel vostro zaino , e, alla fine avranno il loro peso …  Scarico lo zaino e uno di quei candidi personaggi lo apre. Uno alla volta avanzano dalla fila, affondano le mani nello zaino e ne estraggono qualcosa. Per lo più grosse e pesanti pietre, su cui c’è scritto, in grandi lettere maiuscole: “SBAGLIATO”. Si girano e vanno a depositare le grandi pietre sul piatto sinistro della bilancia. La cosa inizia a diventare preoccupante …   Ogni tanto, però, qualcuno estrae dallo zaino una leggera piuma, sopra c’è scritto: “GIUSTO”, e la depone sul piatto destro della bilancia. Per farla breve, dopo un certo tempo il piatto di sinistra è carico di massi all’inverosimile, mentre sul piatto di destra c’è solo qualche esilissima piuma. Non ci crederete, ma nonostante tutto,  i piatti della bilancia sono ancora alla pari! Non si riesce a capire il perché, ma sembra quasi che nel tragitto tra lo zaino e la bilancia le pietre diventino leggerissime, mentre le piume pesano come pani di piombo! Certo che questa cosa mi ha messo molto in agitazione, anche perché, colpito da un refolo di vento gelido, mi si sono girato alla mia sinistra ed ho scoperto un orrendo canalone nero e ghiacciato, che sprofonda ad una distanza incalcolabile, talmente profondo da non poterne vedere il termine. Ogni tanto sale un vento gelido, che porta lontanissimi rumori. Sembrano a volte gemiti, a volte urla, ma non si riesce a capire se siano uomini, animali, o il rumore che fanno le pietre che ogni tanto si staccano dalle pareti precipitano infinitamente verso il fondo, rimbalzando da una parete all’altra, e il vento porta fino alle mie narici l’odore di pietra focaia, di zolfo, provocato dagli urti.  Per un lungo attimo mi sono distratto dal lavoro che gli angeli, li chiameremo così per comodità, stanno facendo. Un ultimo affonda le mani nello zaino, ormai quasi floscio, ed estrae l’ennesimo masso, lo posa sul piatto della bilancia che vibra un poco e poi inizia impercettibilmente a pendere dalla parte dello “SBAGLIATO”…  Guardo allarmato San Pietro, una impercettibile ruga gli solca la fronte …  Un angelo si avvicina allo zaino, affonda le mani, cerca con insistenza, anche nelle tasche laterali. Ecco! Finalmente estrae le mani e nella destra ha una piuma! E’ piccola, un po’ arruffata, ma è una piuma! La posa sul piatto destro della bilancia e, come per incanto, prima si ferma la discesa del piatto sinistro e poi, lentissimamente, il piatto destro comincia a scendere, si affianca alla stessa altezza del destro, sembra fermarsi. Ma ecco che, impercettibilmente, ricomincia a scendere. Di poco. Pochissimo. Forse un millimetro. Forse meno. Ma il piatto destro è più in basso … Guardo San Pietro. Il suo viso sembra di nuovo disteso e sereno. Un leggerissimo sorriso gli increspa le labbra. Alza il braccio destro e con l’indice mi fa segno di entrare attraverso il portone luminoso. Lancio un ultimo sguardo alla mia sinistra, nel tetro imbuto che sprofonda all’infinito … Un brivido mi corre lungo la schiena. Di là dal portone mi aspetta una sorpresa incredibile. Come faccio a spiegarvi? Non è facile raccontare ciò che si vede. Perché il Paradiso, si, perché di Paradiso stiamo parlando, è, diciamo così, su misura, ognuno ha il suo, secondo i suoi gusti. Si, insomma, è personalizzato, come si dice adesso. E io sono capitato nel Paradiso degli Alpinisti! Promosso sul campo ad Alpinista, se no che Paradiso sarebbe?  Torniamo a noi, Si, dicevo, il Paradiso è difficile da spiegare, e magari anche più difficile da credere, ma potrebbe essere diversamente? Se non fosse così che Paradiso sarebbe? Gardaland? Allora, nel Paradiso degli Alpinisti, quando entri vedi tutte le montagne del mondo. Si, proprio tutte! Sono vicine, girando la testa le vedi tutte: Ande, Montagne Rocciose, Alpi, Dolomiti, Himalaya, si insomma tutte quante! Sulle cime si vedono folle di alpinisti, proprio in cima ci sono sempre i primi salitori. Senza andar tanto distante e parlando delle cime che conosco di più, vi stupireste di quel che vedete. Perché nella schiera dei primi salitori vedreste pochi personaggi diventati famosi nella letteratura di montagna. Guardo le cime dolomitiche. Il posto più alto è occupato su quasi tutte da cacciatori cadorini, ampezzani, fassani, gardenesi, friulani, sudtirolesi. Molti sono cacciatori dell’età neolitica … Gli inglesi, tedeschi, gli austriaci famosi in terra, sono tutti in una posizione più bassa … Però si vedono anche cose belle: Balmat e Pacard i primi salitori del Bianco si tengono sotto braccio, non sono più in lotta per la questione del primo sulla cima. Carrel e Whymper chiacchierano amichevolmente sulla cima del Cervino. Napoleone Cozzi e Alberto Zanutti fumano la pipa sulla cima del Campanile di Val Montanaia assieme a  von Glanvel  e  von Saar senza più astio. Sepp Innerkofler e De Luca seduti sotto la croce del Paterno guardano scorrere il fiume di turisti che va verso il  suo rifugio . E ci sono anche tutti gli alpinisti delle Piccole Dolomiti, a cominciare da Soldà,e per finire con Renato Casarotto. Ritrovo anche tanti amici coi quali ho camminato assieme …  Per chiudere vi svelo una curiosità che ha sempre tenuto in fermento il mondo alpinistico: sul punto più alto del mondo, sulla cima dell’Everest non ci sono sir Edmund Hilary e Tenzing Norgay, ma George Mallory e di fianco a lui Andrew Irvine che armeggia ancora con l’erogatore ghiacciato delle bombole d’ossigeno.

Ecco. Intanto sono le 5 e 30, le prime luci dell’alba sono già iniziate da un po’. Dalle finestre a oriente spunta sopra le creste delle colline la caratteristica sagoma della chiesa e del campanile di San Giorgio di Perlena, il cielo dietro è arrossato. Tra poco il sole rimetterà fuori la testa per un attimo, per scomparire rapidamente sopra lo strato di nuvole scure che nascondo il cielo. Inizia un’altra giornata, speriamo che sia migliore di quella di ieri e che porti le notizie tanto attese. Sui grandi cedri del Libano del nostro giardino cinguettano gli uccelli, sarà un buon presagio?

 
 
 

Dopo...

Post n°27 pubblicato il 12 Agosto 2014 da ventino1948

Vi è mai accaduto di essere veramente in difficoltà in montagna? Non perchè a corto di fiato per scarso allenamento, ma per un pericolo imminente, che vi fa sentire sull'orlo della morte? Non so se vi sia mai accaduto,ed eventualmente cosa abbiate provato in quel frangente. A me è accaduto che, proprio quando stavo per cadere staccandomi dalla parete, ho sentito vicino a me una presenza. Se non avessi avuto un problema più grosso da risolvere in quel momento, certo mi sarei girato per guardare, tanto questa presenza era fisica. Non mi parlava, ovviamente, nè mi reggeva. Non ho visto nessuno, ma "sentito" con l'anima si. La sua sola presenza è stata sufficiente a darmi una scossa morale, mi ha fatto trovare in fondo al mio fisico la forza per reagire, per non cedere e lasciarmi andare. Ho poi letto che alle alte quote himmalayane capita di frequente a chi è in difficoltà. Anche il grande Messner lo racconta nei suoi libri, e tanti altri. Forse da qui nasce la tradizione degli angeli custodi che ti sorreggono nel momento del pericolo. A me piace pensare che queste entità siano le anime degli alpinisti che ci hanno preceduto nella vita. Mi rifiuto di pensare che, una volta morti, non faremo niente oltre a cantare le lodi del Signore. Con tutto il rispetto dovuto, si intende. Mi piace l'idea di poter pensare che quando sarò morto io, potrò salire tutte le montagne che vorrò, senza fatica, senza il peso dello zaino, senza paura del pericolo. Mi piace l'idea che la mia presenza spirituale possa servire a dar forza a qualche alpinista in pericolo, riportarlo a casa. Poi ritornare lassù, sempre. Una sensazione bellissima. Non più un corpo da dover nutrire, dissetare, riposare, riparare dal freddo e dal caldo. Solo uno spirito capace di godere della bellezza della montagna. Sensazione spirituale che tutti voi, amici che come me amate le cime, avete già provato, specie in quelle rare ma perfette giornate in cui non vorremmo più tornare giù, ma protrarre per sempre quello stato di perfetta armonia che ci invade, fino a non sentire più il peso del corpo. Chissà, forse, dopo, sarà sempre così! 

 
 
 

Sui sentieri di guerra dello Streifkommando.

Post n°26 pubblicato il 27 Agosto 2012 da ventino1948
Foto di ventino1948

Sveglia alle quattro …  Ma la cosa non mi costa più di tanto, so che, se tutto va bene, questa sarà sicuramente una di quelle giornate “grandi” che, negli anni futuri, ricorderemo sempre   con nostalgia e con piacere. E, come sempre accade, il passare del tempo renderà il ricordo sempre più epico, leggendario. Del resto i bei ricordi di una vita sono sempre pochi, quindi è meglio che quei pochi siano veramente importanti, magari un po’ di più di quello che in realtà sono stati, che male c’è?  Ancora un po’ assonnato, seduto in cucina, faccio colazione e, molto lontano, sento un  brontolare di temporale … Non alzo le persiane, tanto il buio è ancora completo e non potrei capire niente. Mentre mi lavo ecco tambureggiare sul tetto in rame le prime gocce d’acqua. Penso che Cortina è molto lontana da casa mia, probabilmente lì la giornata è splendida, come le previsioni del tempo hanno promesso. Da qualche giorno io e Fabio teniamo d’occhio il meteo per approfittare della finestra giusta. Per il percorso che abbiamo in mente, il bel tempo stabile e sicuro è indispensabile, pioggia o nebbia ci costringerebbero a rinunciare senza pensarci un istante. Alle cinque esco dal garage. Nel buio che precede l’alba, mentre mi avvio verso il Cadore, si vedono molto lontani, proprio in quella direzione, i bagliori lampeggianti del temporale. Ma non mi faccio condizionare. So per esperienza che c’è sempre spazio per un netto miglioramento, do fiducia ai metereologi. Man mano che procedo il tempo sembra peggiorare. Con le prime luci dell’alba, a Belluno, pare che il cielo coperto di nubi alte ed ininterrotte e la pioggia insistente vogliano proprio smentire le nostre speranze. Avanti sempre. Dopo Pieve di Cadore, quando la valle del Boite piega un po’ verso nord, comincio a vedere, proprio lì, sopra le Tofane, una fetta di limpido azzurro … Guardo intensamente le cime delle Tofane, nella luce dell’alba  non riesco a capire se le rocce abbiano quello strano riflesso perché bagnate d’acqua o per un po’ di neve. Mah, vedremo. Supero Cortina e in breve arrivo al posteggio sul  tornante del Sant’Uberto dove ci siamo dati appuntamento con Fabio che arriva da Vipiteno. Nel posteggio due operai delle Regole stanno togliendo ghiaia e rami che il temporale notturno ha ammucchiato.  Posteggio di fianco ad una fiammante BMW 530 nera. Il proprietario ha malauguratamente dimenticato il vetro lato guida completamente abbassato: il sedile e inondato d’acqua e di aghi di pino. Non sarà contento quando torna. Scendo e do un ultima occhiata allo zaino: attrezzatura al gran completo, ramponi e piccozza, (ci aspetta un canalone che scende a Potofana con un ghiacciaio), corda. Anelli di corda a perdere, martello, cinque chiodi, imbrago, casco. Mi sembra che non manchi niente. Faccio appena a tempo a mettermi gli scarponi, ed ecco che arriva Fabio. Un vento favorevole ha disperso verso est ogni residuo del temporale notturno che ci aveva preoccupato. Ora il cielo è azzurro e terso, bene! Scendiamo verso Cortina e la “Freccia nel cielo”, la spettacolare funivia che porta appena sotto la cima della Tofana di Mezzo in pochi minuti, con un salto di 2000 metri. Sicuramente da lassù, Lacedelli e Grohmann, i primi salitori ufficiali di questa cima, scuoteranno la testa e diranno: ” Ai nostri tempi …”. Ma tant’è, a 65 anni non ho più il fisico per fare il “puro”, quindi viva la funivia. I nostri zaini carichi di attrezzatura anche invernale destano la curiosità dei nostri compagni di viaggio, e sento commenti di compassione. La maggior parte di loro è in maglietta,  calzoni corti e scarpe da ginnastica,  ma noi abbiamo una destinazione ed un percorso molto diverso dal loro. Andiamo nel versante di Val Travenanzes , un percorso che pochi hanno fatto e le notizie relative si rifanno alla Grande Guerra, ai Kaiserjager austriaci, cacciatori di camosci in tempo di pace, e abituati a percorrere le montagne senza l’aiuto di cartine topografiche ma solo seguendo le tracce della loro selvaggina preferita e l’intuizione. L’ambiente è quanto di più solitario e affascinante si possa trovare nelle Dolomiti. Appena scavalcata la cresta della Tofana di Mezzo in versante ovest tutto cambia. Altissimi sopra la solitaria e selvaggia Val Travenazes che scorre esattamente milleeduecento metri più in basso, nemmeno il rumore dell’impetuoso Ru de Travennanzes riesce ad arrivare fin quassù, nonostante il silenzio assoluto. Solo ogni tanto il tonfo di qualche sasso che precipita dalle pareti che ci sovrastano, nemmeno un alito di vento interrompe la quiete irreale di questi luoghi remoti. Solo infinite creste di montagne dai colori incantati ed improbabili, fino alle remote candide alpi innevate dell’Austria. Non un segno antropico disturba la visione.  Bisogna farsi forza per non essere sopraffatti dall’emozione. Scendiamo la cengia attrezzata con corde d’acciaio che conduce esattamente sotto alla sella tra la Tofàna di Mezzo e quella di Fuori. I resti di quello che fu il Ghiacciaio Occidentale occhieggiano tra i detriti ghiaiosi che precipitano dalle soprastanti pareti e che, ogni tanto, scivolano rumorosamente nell’acqua . Nel ciadin rimasto si è formato un piccolo laghetto dal colore verdastro. Questa è la via di salita di Lacedelli detto Checo da Melères, e Grohmann. La seguiamo ancora per poco, fino ad una costa, dove la via piega decisamente verso sud in direzione della Forcella del Vallòn. Proprio qui puntiamo nella direzione opposta, verso una spalla rocciosa a quota 2905. Per cenge insidiose, ingombre di ghiaia mobile, arriviamo alla spalla. Appena sotto, una caverna di ricovero scavata dagli Alpini italiani che presidiavano, molto probabilmente, la cengia che andremo a percorrere successivamente. Questa caverna porta il nome di Ricovero Carugati, dal nome del tenente degli  Alpini che condusse l’attacco alla Nemesis, una punta, strategicamente importante, che domina il Majariè e Forcella Fontananegra , inizialmente tenuta dai Kaiserjager austriaci. Ecco che sulla cresta della spalla troviamo una sbarra di ferro, resto di un attrezzatura della Grande Guerra, e sulla pietra sotto, veramente poco visibili, due frecce nere. Una indica la discesa verso la Nemesis l’altra la nostra cengia. Scavalchiamo la cresta nell’altro versante ed ecco apparire nella sua interezza la nostra cengia. Nostra per modo di dire, ovviamente. Sembra che il primo a percorrerla sia stato l’austriaco alfiere Jelinek nell’ottobre del 1915. Sicuramente è sempre stata percorsa dai camosci e dai cacciatori. Completamente logica ed intuitiva  scorre esattamente sotto le pareti giallastre della Tofàna di Fuori  o, più propriamente nell’espressione locale, de Inze. Subito vedo escrementi di camoscio, la migliore indicazione che si possa incontrare. Nessuna difficoltà nel percorrere questa magnifica cengia ad arco, esattamente a metà della quale scorre un rigagnolo d’acqua. In breve arriviamo sotto uno svettante torrione giallastro. Secondo le nostre indicazioni ora dovremmo trovare il famoso canalone che ci calerà nei ghiaioni del ciadin di Potofana. Il canale c’è, ma non è molto invitante. Stretto ed ingombro di mobili detriti rocciosi trattenuti solo da una grande quantità di terra sabbiosa. Ogni volta che spostiamo un piede parte una scatica di pietre... Non se ne vede che un breve tratto poiché questo piega a destra. Si vede solo che è interrotto da innumerevoli salti, ma non si riesce nemmeno a capire quanti sono, né tanto meno quanto sono alti. Non resta che scendere. Per sicurezza usiamo la corda per calarci, ma dopo tre calate e due chiodi abbiamo perso solo cento penosi metri di quota nell’insidioso canalone, i dubbi che sia quello giusto si fanno concreti. Questo non è certo terreno da camosci, e, del resto, se abbiamo trovato tracce di camosci sulla cengia che abbiamo percorso evidentemente la prosecuzione è un’altra. Prendiamo la decisione di risalire. Con tutte le cautele del caso riusciamo a tirarci fuori dall’incomoda posizione senza danni, ma tra continue scariche. L'aria chr risale il canale ci porta l'odore della pietra focaia e il sinistro rombo delle pietre che rimbalzano sulle pareti. Abbiamo perso in totale tra discesa e risalita, due belle ore. Ci guardiamo in silenzio, felici di essercela cavata senza danni. L’adrenalina accumulata ci ha un po’ sfibrati. Guardando un po’ più in la, una ventina di metri verso nord, sulla costa ci sembra di vedere un accenno di ometto. Mentre Fabio va in ricognizione, io mi incarico di recuperare corda e cordini. Ne approfitto per bere un sorso d’acqua. Ed ecco che giunge da distante l’incoraggiante richiamo di Fabio. Effettivamente il canalone giusto era più in là. Escrementi di camosci me ne danno ora la certezza. Molto largo e non molto alto, si vede distintamente il grande terrazzo ghiaioso di Potofana. La discesa non è pericolosa, ma insidiosa si. Sotto un leggero strato di terriccio e ghiaia il canale cela uno scivolo di ghiaccio duro come l’acciaio, ghiaccio  vecchio di secoli che i ramponi non riescono a mordere, specie in discesa. Restando sul lato del canale riusciamo a scendere senza grossi problemi fino all’enorme terrazza, presidiata dai Kaiserjager durante la Grande Guerra. Siamo sul percorso della Cengia Paolina. Ci togliamo imbrago, casco e riponiamo nello zaino tutta l’attrezzatura che d’ora in poi non servirà più. La partenza ritardata della funivia e l’errore di percorso ci hanno portato via esattamente tre ore e mezzo. Facciamo una  breve sosta per mangiare qualcosa e per bere, ne abbiamo bisogno, ma sono ormai le cinque del pomeriggio, dobbiamo scendere. Solo quando poseremo i piedi sul sentiero che percorre la Val Travenanzes potremo essere tranquilli, ma ci sono altri ottocento metri di dislivello da perdere, lungo un percorso di guerra dello Streifkommando austriaco, da una postazione all’altra, su tracce molto esili e con fastidiosi saliscendi sulla ghiaia che richiede costante attenzione. Vietato scivolare. Fabio l’ha già percorso, non ci sono quindi incertezze, ma la stanchezza si fa sentire per tutti e due. Per fortuna ambedue siamo ben allenati e sufficientemente vecchi per saper stringere i denti quando ce n’è bisogno e mettere un piede avanti all’altro senza farsi sconfiggere dallo sconforto. Come dicevano gli Alpini: "Tasi e tira". Dopo una prima parte in discesa su faticoso fondo ghiaioso, con passaggi su rocce viscide per l’acqua che scorre, arriviamo su verdi. Qui il sentiero prende decisamente direzione sud, praticamente verso Forcella Col dei Bos. Sempre su cenge, spesso coperte e gocciolanti d’acqua, incontriamo numerose postazioni austriache. Il sentiero non è molto più sotto, circa centocinquanta metri, ma chi ha percorso la Val Travenanzes sa che sono centocinquanta metri di parete strapiombante. Arriviamo in vista del caratteristico ponte ad angolo che attraversa il Ru de Travenanzes, ed ecco finalmente l’unico punto utile per scendere a valle. Negli ultimi metri passiamo dinnanzi a quello che fu il comando austriaco del mitico boemo capitano Emanuel Barborka comandante dello Streifkommando. E’ sempre emozionante ritrovare queste testimonianze della Prima Guerra Mondiale. Tutte le postazioni più basse erano costruite su cenge coperte, perché durante le nevicate invernali il rombo delle slavine che percorrono i due lati della valle sono continui. Ecco, ora non ci resta che percorre in discesa tutta la Val Travenanzes , sono diversi chilometri, sette od otto. E, dulcis in fundo, una piccola risalita per arrivare al tornante del Sant’Uberto dove abbiamo lasciato la macchina. Oh … niente di che. Solo un centinaio di metri di dislivello. Ma forse voi non sapete quanto rompono i coglioni in cima ad una giornata come questa. Scendendo la val Travenanzes guardiamo gli ultimi bagliori del sole che colpiscono la Croda Rossa d’Ampezzo, il Taburlo, Cima Lavinores. Poi anche loro vanno all’ombra ed in fine gli ultimi raggi del sole illuminano la parte alta di un colossale bianco cirro. La stanchezza è pesantissima per tutti e due, però siamo contenti perché ambedue sappiamo che questa è stata la giornata da ricordare per sempre che speravamo. Sono sicuro che se, tra vent’anni, incontrandoci uno dei due dovesse dire: “Ti ricordi il giorno dei sentieri dello Streifkommando?”  Le nostre labbra si incresperanno in un grande sorriso e forse gli occhi si inumidiranno un po’…  Sono le venti e trenta, siamo finalmente arrivati alla macchina.

 
 
 

Sentieri di montagna.

Post n°25 pubblicato il 26 Marzo 2012 da ventino1948
Foto di ventino1948

Questo inizio di primavera, che somiglia di più ad un'estate incipiente, con le sue calde giornate si è portata via la poca neve di quest'inverno e, come ogni anno a quest'epoca, bisogna pulire e riparare i sentieri di montagna. Già, perchè, contrariamente a quanto sembrano pensare buona parte dei frequentatori della montagna, i sentieri non sono stati creati da Dio all'inizio del mondo, ma sono frutto del lavoro dell'uomo, e, per la maggior parte, di lavoro volontario. Non molti, purtroppo, si dedicano a questa indispensabile attività che richiede tempo e fatica. La maggior parte si limita ad usufruire dei sentieri di montagna senza nemmeno chiedersi cosa c'è dietro ad essi, senza pensare che la creazione e la conservazione dei sentieri richiede un costante lavoro di manutenzione e molto spesso anche di riparazione dei danni che le intemperie  causano. Specialmente i sentieri di quota più bassa, che scorrono in mezzo ai boschi, necessitano a primavera di una sostanziale pulizia dai rami secchi caduti con la neve durante l'inverno e di potatura delle piante e dei cespugli che interferiscono con il loro percorso. Mi accade continuamente di incontrare escursionisti che, incappando in qualche ramo secco lungo il sentiero, semplicemente alzano le gambe per scavalcarlo, ma mai nessuno si china per raccoglierlo e spostarlo. Cari amici, così non va bene. Per il momento esistono ancora persone che si incaricano di ripristinare annualmente i sentieri o di intervenire quando ce n'è necessità, tutti pensionati che volontariamente dedicano il loro tempo a questa attività. Sempre meno però sono quelli disponibili a prestare il loro servizio a titolo volontario per questo lavoro e, quando non saranno più sufficienti, fatalmente, come già accade, si abbandonano dei sentieri al loro destino e nel giro di pochi anni la natura si incarica di cancellarli. Abituatevi a fare la vostra parte, qualche volta chinatevi a raccogliere un ramo secco che intralcia il cammino e mettelo da parte, (a valle naturalmente, altrimenti rotolerà ancora, presto o tardi, sul sentiero!), oppure togliete dal sentiero una pietra che è rotolata dall'alto. Se ogni volta che andiamo in montagna ognuno di noi lo facesse anche una sola volta, i sentieri sarebbero sempre perfettamente in ordine senza bisogno di grandi sacrifici. Io, per quel che mi riguarda, ho fatto servizio per un paio d'anni con il gruppo della sentieristica del CAI del mio paese, e, ora, dopo aver creato alcuni sentieri in una zona dove non ce n'erano, mi incarico di tenerli sempre perfettamente in ordine. Non ho giardino o orto, abito in un appartamento. Però ho boschi immensi e montagne, non sono miei, ma è come se lo fossero. E, chi ha camminato con me, avrà sicuramente osservato che lungo il cammino, con la punta dei bastoncini, pulisco il sentiero di ogni più piccolo ramo che vi si è depositato. Così, senza la necessità di chinarmi, posso fare il lavoro di pulizia necessario. Ormai è diventato un gesto automatico, non ho nemmeno necessità di concentrarmi in questa attività. Imparate a farlo anche voi, non è difficile. Non voglio poi dimenticarmi di parlare di coloro che cospargono di rifiuti i sentieri di montagna: carte di caramelle, involucri di barrette energetiche, bottiglie di plastica. Nel mio zaino ho sempre un sacchetto di plastica,raccolgo i rifiuti e li porto a valle, e non mi sento per questo né uno spazino né un eroe, mi sento solo d'aver fatto il mio dovere di frequentatore della montagna. Da lei ho avuto molto, con questi piccoli gesti cerco di renderle qualcosa, tutto qui. 

 
 
 

Il lupo alla Panchina.

Post n°24 pubblicato il 09 Marzo 2012 da ventino1948
Foto di ventino1948

Mercoledì mentre facevo il mio solito giro in montagna dopo una leggera nevicata, sono rimasto sopreso perchè nessuna orma d'animale quella mattina segnava il candido mantello. Di solito trovo quelle della volpe che ricalcano esattamente il mio sentiero e, diverse volte, incrocio quelle dei camosci che attaversano il bosco nelle loro peregrinazioni quotidiane. A volte incontro impronte più piccole che non so a quale abitante di questi boschi attribuire. Mercoledì invece nessuna orma. Giunto però all'uscita del Vajo della Cassa da Morto, ecco che improvvisamente incontro delle orme che hanno seguito in salita il sentiero che io normalmente uso per la discesa. Sembravano proprio quelle di un cane abbastanza grosso, ma è sempre difficile giudicare le dimensioni delle orme sulla neve fresca perchè si ingrandiscono rapidamente ed è facile ingannarsi. Non so dire perchè ma ero sicuro che non era un cane, ho pensato subito al lupo. Forse per quello strano silenzio che avvolgeva la montagna quel giorno, forse per il fatto di non aver trovato altre impronte oltre a quelle, perchè, se era proprio il lupo, sicuramente gli altri animali ne avevano avvertito la presenza, quella di un animale estraneo e quindi si erano rintanati timorosi. Posso solo dirvi che queste intuizioni da un po' di tempo mi prendono, sento arrivare la pioggia, la neve,avverto gli odori degli animali mentre chi è con me non li sente, evidentemente la mia grande frequenza in montagna, che da qualche mese è diventata quotidiana, ha risvegliato in me  quegli istinti e quelle capacita naturali che gli uomini una volta, quando vivevano più a stretto contatto con la natura avevano sviluppato, quelli che si chiamano istinti animaleschi, e che la vita di oggi giorno ha cacciato in un angolo della nostra  anima. Me ne sono accorto un po' alla volta e la cosa mi ha molto emozionato. Non riesco a spiegarvi compiutamente l'effetto di queste ritrovate capacità, è come se il mio udito, il mio olfatto e tutti i miei sensi si fossero lentamente dilatati. Ora il bosco, le rocce, gli animali non sono più cose estranee ma sono il mio ambiente, mi sento più a casa lì che a casa mia e, quando sono a casa mia mi sento un poco estraneo e il mio tempo resta sospeso solo in attesa  di ritornare lassù. Ho guardato se per caso il nuovo arrivo avesse lasciato qualche "regalino", sicuramente avrebbe potuto dirci se la mia sensazione era giusta, ma non ho visto niente. Poi non ci avevo più pensato. Beh, per non tirarla troppo lunga, rientrando dalla mia camminata odierna mi sono fermato al bar dell'Ossario e, sul Giornale di  Vicenza di oggi, c'era in prima pagina un bel articolo che praticamente diceva che il lupo era passato dall'Altopiano di Asiago a Recoaro. Ora sono sicuro che martedì notte il lupo è passato per la Panchina.

 
 
 

8 marzo.

Post n°23 pubblicato il 08 Marzo 2012 da ventino1948

Oggi è la festa della Donna ed è giusto festeggiare, anche se, come tanti altri, non vorrei che ci si limitasse a considerare "l'altra metà del cielo" solo in questo giorno ma, non dovrebbe servire dirlo, tutto l'anno. Come al solito però mi sembra che, invece di festeggiare, si approfitti di questa occasione per estremizzare quelli che sono i problemi che indubbiamente sono presenti nei rapporti uomo-donna. Il retaggio di millenni di schiavismo applicato alle donne si fanno ancora sentire fortemente, ma, io che ho 64 anni, posso dire con piacere che nella mia vita ho visto crescere il rispetto e la considerazione per le nostre compagne di vita. Certo esistono ancora discriminazioni e abusi nei loro confronti, ma mi sembra che la situazione si stia livellando, almeno nella società italiana che è l'unica che conosco bene e che sono in grado di giudicare. Si sta livellando purtroppo non verso l'alto però. Ossia se il rispetto per le donne è cresciuto, mi sembra che quello per l'uomo sia fortemente calato. Molte donne considerano parità il fatto di poter prevaricare gli uomini, sulla base del fatto che:" se fino a ieri è toccato a noi ora è il vostro turno". Io non la vedo così. Sinceramente faccio fatica a parlare di questo argomento poichè, per me, è cosa normale non vedere e non fare differenza di sesso. Se una persona è rispettosa, disponibile al confronto, gentile, che sia uomo o donna io nello stesso modo mi comporto con lei. Detto questo, posso solo aggiungere che io sono un uomo educato nel secolo scorso e quindi con un rispetto particolare e una particolare attenzione nei miei rapporti con le donne. Cosa che oggi raramente vedo, ma questo è colpa dell'educazione che abbiamo dato ai nostri figli e penso che le colpe vadano equamente spartite tra padri e madri. Comunque oggi è l'otto marzo, festa della Donna e quindi auguri a tutte le Donne!

 
 
 

Fiducia...

Post n°22 pubblicato il 05 Febbraio 2012 da ventino1948

Come si fa ad avere fiducia nei politici italiani? Gente che é capace di farsi rubare sotto il naso da un loro sodale 13 milioni di euro...Il che mi fa pensare che quei 13 milioni erano briciole dei soldi che avevano a disposizione, se nessuno si accorgeva che mancavano. Come si fa ad affidare i soldi degli italiani, i nostri soldi sudati nel lavoro e tolti dal nostro portafoglio e dalla disponibilità della nostra famiglia, a persone di questo genere? Mi vien da fare una riflessione: in questo periodo in cui si chiedono sacrifici economici anche alle vedove sole con 400€ mensili di pensione, che etica c'è nel finanziamento dei partiti? Perché mai dovrei finanziare partiti politici? Addirittura partiti politici che la pensano al contrario di come la penso io? Per democrazia? Ma che democrazia c'è nel dare milioni di euro a gente come Rutelli, Di Pietro, Bossi e a tutti gli altri che siedono alla Camera e al Senato, la maggior parte dei quali non ha mai lavorato un giorno in vita sua e non sa nemmeno fare il lavoro per il quale è lautamente pagato? Se hanno avuto bisogno di metter su un "governo tecnico" riccamente pagato, dato che loro non sapevano fare il loro lavoro, qualcuno sa dirmi perché dovremmo continuare a pagarli? Quale altro lavoro conoscete dove un inetto prende lo stipendio ugualmente? O forse chi fa politica ha più diritti di un qualsiasi altro cittadino italiano? Perché mai dobbiamo continuare a spendere per il Quirinale molto più di quello che gli inglesi spendono per la Regina? Per avere un luogo degno di ricevere gli illustri ospiti che vengono da tutto il mondo, ci sono in Italia infiniti palazzi e castelli che si potrebbero affittare per l'occasione, ci costerebbe sicuramente molto meno e sarebbe molto più democratico. Mentre Sua Eccellenza il Presidente della Repubblica, anche in onore al suo pensiero comunista, potrebbe democraticamente abitare in una piccola palazzina senza perdere nulla della sua dignità. E quei soldi sarebbe molto più etico spenderli per gli italiani in difficoltà, nessuno di noi avrebbe nulla da ridire e tutti saremmo ben felici di contribuire. Questo servirebbe anche a creare quel famoso spirito di appartenenza  che oggi manca, perché tutti saremmo felici e orgogliosi di far parte d'un popolo che tutela e soccorre i suoi appartenenti. Perché lo spirito d'appartenenza viene solo se il gruppo tutela i suoi componenti e non predicando a reti unificate in televisione nel discorso di fine d'anno.

I partiti politici devono procurarsi da soli, e in modo lecito, i fondi che servono per pagare la loro sopravvivenza. Trovo molto più etico che i soldi li abbiano da chi la pensa come loro che non obbligando chi la pensa diversamente a finanziarli. Poi questi rimborsi elettorali da milioni di euro mi lasciano perplesso. Se i soldi li hanno anticipati i partiti, dove li hanno trovati? E il rimborso dovrebbe servire a ripianare un debito, invece poi si scopre che i partiti investono milioni di euro in giro per il mondo. Qualcosa non torna...  

 
 
 

I 150 anni dell'unità d'Italia.

Post n°21 pubblicato il 07 Gennaio 2012 da ventino1948

Oggi tornavo dalla mia camminata in montagna ed ho acceso la radio. Stavano trasmettendo il giornale radio, parlava dei festeggiamenti per il 150 anniversario dell'unità d'Italia. Certo questo anniversario cade in un periodo molto difficile, e non solo per l'Italia, ma è proprio in questi frangenti che le comunità unite si stringono di più per superare le avversità. Non mi sembra che questo stia accadendo in Italia, ma del resto è inutile stupirsi, poichè la solidarietà scatta nelle comunità unite, e non mi pare che sia il nostro caso. Tutti i politici a partire dal più alto grado ci ammoniscono a sfoderare tutto il nostro senso d'appartenenza alla comunità socio-geografica chiamata Italia per superare il difficile momento, ma, questo fatto di dover richiamare alla solidarietà, fa chiaramente capire che il gruppo non esiste che sulla carta. Sono fermamente convinto che il senso d'appartenenza ad una comunità sia un fatto naturale e non possa essere imposto dall'alto: se c'è c'è, altrimenti è utopico pensare d'imporlo. Del resto ricordo che un grande statista, (forse Cavour ?), disse:"L'Italia è fatta, ora dobbiamo fare gli italiani." E lì siamo rimasti. Nonostante i 150 anni trascorsi.  E non credo che questa colpa sia da ascriversi ai cittadini italiani, ma ai tanti governanti, deputati, senatori e politici di ogni colore che in questi 150 non hanno saputo infondere negli eterogenei abitanti di questa entità geo-politica chiamata Italia il senso d'appartenenza alla nuova nazione che si era formata. Del resto con il loro comportamento hanno fatto di tutto per mantenere le divisioni, poichè ogni politico italiano ha invariabilmente cercato di favorire la comunità regionale dalla quale proveniva a discapito dei tutti. Per carità di patria non parliamo poi degli interessi privati di ciascuno di loro e della loro famiglia. Il fatto poi di aver creato e di mantenere tutt'ora delle regioni a statuto speciale non è forse il massimo della discriminazione? Non vuol forse dire che in Italia non siamo tutti uguali? Quindi come si fa ora a pretendere che ognuno di noi si sacrifichi per il bene della comunità? Tutti contro tutti e ognun per se, bella "nazione" l'Italia...

 
 
 

A che servono i sentimenti?

Post n°20 pubblicato il 12 Maggio 2011 da ventino1948

Oggi percorrevo un mio sentiero alle pendici del Cornetto, in un magnifico bosco di faggi. La luce era giusta, non c'era sole pieno, ma una luminosità diffusa che permette di fare buone foto nella penombra del bosco. Ho voluto documentare com'è ora, perché tra un po', non so dirvi se un mese o un anno, questo luogo non sarà più così. Un bosco pieno di poesia, naturale, senza l'intervento dell'uomo almeno dal termine della Grande Guerra. Qualche anno fa mi era balenata l'idea di poter ricavare un percorso che compisse il periplo del Sengio Alto, il piccolo e caratteristico gruppo che sta tra il Pasubio e il Carega. Cominciai ad esplorare sistematicamente quei boschi e ritrovai qualche tratto che portava ancora tracce di sentiero. Come sempre di grande aiuto mi furono i camosci, che conservano memoria degli antichi sentieri e continuano a percorrerli anche quando l'uomo li abbandona. E, un po' alla volta sono riuscito a relizzare il mio progetto. Tante giornate di lavoro, per ripulire il percorso e liberarlo da alberi caduti e quant'altro, e qualche segno con la vernice rossa per poterlo riconoscere, nient'altro.   Ora si può compiere il giro completo senza toccare l'asfalto. Alcuni tratti di questo percorso sono stati adottati da associazioni locali o dal CAI, altri sono ancora del tutto sconosciuti, o quasi. L'anno scorso percorrendone un tratto nel versante trentino, mi accorsi che qualcuno aveva vistosamente segnato il percorso con una numerazione di cui non riuscivo ad intuire il significato e con picchetti conficcati in terra. Immaginai che fosse stata la Forestale e, un giorno, incontrando al bar il forestale della valle, chiesi informazioni. In un suo giro aveva notato il sentiero che avevo evidenziato con qualche punto rosso sugli alberi e, intuitane la logica la segnalò al sindaco. In quel tratto non ci sono né altri sentieri né tanto meno strade forestali e, visto che è un bosco ricco di faggi e mai tagliato, fu deciso di sfruttare il mio percorso per ricavare una strada forestale. Quando entreranno in funzione le ruspe tutto cambierà per sempre e sicuramente perderà l'odierna bellezza, in gran parte legata all'assenza di segni umani. Mi son chiesto se non sarebbe possibile magari tagliare il bosco con il sistema usato altrove, dove non arrivano le strade. Tendendo dei fili d'acciaio si riesce ugualmente a portare a valle il legname senza alterare il luogo. Si potrebbe così conservare questo percorso che, opportunamente pubblicizzato potrebbe dare ancora emozioni a chi volesse percorrerlo. Ma si sa, i sentimenti non creano profitto, una strada forestale aperta con la ruspa nel bosco si, e quindi...Però non riesco a capire... So per esperienza personale che quello che conta veramente nella vita sono i sentimenti, questi solo nutrono la nostra anima. E mentre si può vivere con poco cibo e con nessuna comodità, non si può vivere senza sentimenti. Se ne può fare a meno per un certo periodo della vita, anche lungo, ma per sempre no. Allora perché ci ostiniamo a non ammetterlo? Perché continuiamo ad anteporre i soldi ai sentimenti se, in fondo a noi stessi, sappiamo che i soldi non ci renderanno né felici né migliori? Due sono le epoche nelle quali l'uomo si lascia guidare dal sentimento: quando è bambino perché lontano dalla necessità di procurarsi di che vivere è condotto solo dall'istinto, e d'istinto è dominato dai sentimenti, e, quando divenuto vecchio cessa la sua vita di lavoro e, per istinto ed esperienza sa che il sentimento è tutto quello che d'importante c'è nella vita. Forse per questo si dice che quando uno invecchia diventa ancora bambino. Io ho superato l'infanzia da un po', sono quindi nella seconda fase, e, fortunatamente, ho riscoperto il valore dei sentimenti. So bene che le domande che mi sono posto non avranno mai la risposta che desidererei, lo so per esperienza. Però mi piace ugualmente pormele e non credo che sia un esercizio inutile, migliaia di poeti e filosofi l'hanno fatto prima di me per migliaia di anni e, purtroppo, siamo ancora allo stesso punto. Ma, in fin dei conti, so bene che quello che importa è che io possa vivere la mia vita come credo meglio. Mi lascero quindi, come desidero, condurre dai sentimenti, lasciando ad altri i soldi.

 
 
 

Dolore, Piacere, Felicità.

Post n°19 pubblicato il 10 Maggio 2011 da ventino1948

Argomento sicuramente impegnativo, qui dentro c'è la parte più importante della vita di tutti noi, ma proprio per questo è stimolante cercare di parlarne. Ci vuol coraggio per affrontarlo, ma proprio per questo sono stimolato a farlo. Riuscirò a dire quello che vorrei dire? Risucirò ad esprimere quello che una schiera infinita di scrittori, poeti e filosofi  hanno cercato di dire da quando esiste il mondo? Non credo di esserne capace, sarebbe presuntuoso pensarlo. Però sono un uomo tra gli uomini e per questo cercherò di farlo, perché questo e sempre stato e sempre sarà il desiderio di ogni essere umano che appaia sulla terra: riuscire a comunicare agli altri i propri sentimenti. E' così difficile farlo, soprattutto quando i sentimenti sono quelli buoni: amore e amicizia. Molto più facile comunicare ira e antipatia. Ma perché deve essere così? Perchè deve essere molto più facile comunicare i sentimenti cattivi di quelli buoni? Mah! Non saprei dirlo, però questo è un fatto assodato. Si riesce più facilmente a comunicare il nostro odio che non il nostro amore. Ciscuno di noi ha provato la pena di non riuscire ad esprimere il proprio amore per un'altra persona, mentre se si tratta di mandarlo a fa 'n culo troviamo benissimo coraggio e parole. Perché? Non dovrebbe essere il contrario? Amare ed essere riamati è sicuramente l'esperienza più profonda che uomini e donne possano avere nella loro via. Dell'amore siamo sempre alla ricerca, consciamente o inconsciamente. Tutti. Perché la vita è fatta per la maggior parte di tutti noi di dolore, di insoddisfazione, di attesa. Attesa di qualcosa che non arriva mai. O molto raramente e assai brevemente. E allora siamo portati a confondere il piacere con l'amore. Perché il piacere è molto più facile da raggiungere. Il piacere è possibile procurarselo. Chi ha abbastanza denaro lo sa molto bene. Una casa grande, ben arredata con mobili e quadri di pregio, con tutte le comodita, dà piacere. Una serata ad un ristorante esclusivo senza problemi per l'entità del conto da pagare, dà piacere. Un viaggio a lungo desiderato, con soggiorni in alberghi esclusivi dà piacere. La compagnia di un uomo o di una donna fisicamente piacevole dà piacere. Il possesso di un  bene materiale, un'auto di lusso, abbigliamento firmato, un gioiello costoso e mille altre cose che si possono acquistare col danaro danno piacere. Ma non la felicità. La felicità è una cosa non acquisibile col danaro per quanto un uomo ne possa avere. E allora ci accontentiamo del piacere come contrapposizione del dolore. Ma questo è solo un surrogato, e lo sappiamo bene, ma ugualmente chi può farlo si stordisce col piacere chiamandolo felicità. Alle volte la felicità passa davanti a noi, ma non abbiamo il coraggio di afferrarla, perché questo possibile progetto di felicità richiederebbe un drastico cambiamento della nostra vita. Capita, e capita molto più spesso di quanto non si pensi. Bisogna avere coraggio però, per decidere di rincorrere questo progetto di felicità, o essere disperati e non aver nulla da perdere a tentare. Auguro a tutti, me compreso naturalmente, di aver occhi sufficientemente acuti per riconoscere queste occasioni quando arriveranno, e coraggio sufficiente per lanciarsi all'inseguimento della cosa più desiderata: LA FELICITA'. 

 
 
 

La prima apertura invernale del Rifugio.

Post n°18 pubblicato il 29 Marzo 2011 da ventino1948

Capita tutti gli anni che, all'arrivo della primavera, il gestore del Rifugio, smaltita la fatica della stagione estiva, fatica nervosa più che fisica, stress indotto da rumorosi gitanti che, arrivando in chiassosi gruppi, pensando di poter avere nel Rifugio alpino lo stesso servizio che si ha in un bar o in un ristorante di città, dicevo, smatita la fatica nel riposo invernale sente il richiamo del suo Rifugio e desidera solo ritornare lassù, fuori dall'impegnativa vita sociale della pianura.

Così improvvisamente, sempre per vie traverse e quasi per caso, i soliti noti vengono a sapere che nel fine settimana il Rifugio sarà aperto, e chi per una via, chi per l'altra risalgono vaj e coste ancora abbondantemente innevate, di una neve primaverile, che richiede infinita fatica perché i primi tepori primaverili la rendono bugiarda, tenera come il burro.  E alle 11, 11 e 30 ci si ritrova nel bar del Rifugio, davanti ad una "radler", birra e lemonsoda per chi non la conosce, a chiacchierare allegramente, felici di ritrovarsi, dopo la lunga stagione invernale, ancora lì, nel posto amico, dove trovi sempre un riparo al vento, alla pioggia. Dove trovi il conforto di una bibita fresca, che scende a rinfrescarti ed a bagnare la gola, arida per la fatica, un piatto di pastasciutta per ritemprare le forze spese nella salita.

Quest'anno ci siamo ritrovati in quattro, perfetto numero, piccola ma affiatata compagnia. L'amico gestore si è messo ai fornelli, ci ha preparato una semplice pasta al pomodoro e piselli, un pezzo di formaggio, due bottiglie di Prosecco che noi abbiamo portato nello zaino per festeggiare la riapertura e tutti e quattro assieme abbiamo consumato il nostro pasto, tra chiacchere, battute scherzose e brindisi, felici di ritrovarci lì ancora una volta anche quest'anno.

Quattro generazioni eravamo, 80, 63, 53, 37 anni. Eppure eravamo come fratelli, contenti solo di essere lì in quell'occasione, in quel momento che ogni anno ci dà una particolare emozione.

Fuori dalla finestra vedevamo inabissarsi i canali innevati, nella loro veste ancora invernale, laggiù in mezzo alla nebbie che la calda giornata di sole sollevava, era la pianura, le città, le strade, la gente. Ma per noi non esisteva, per qualche ora eravamo ancora per una volta, ancora per quest'anno, quattro amici alla riapertura del  Rifugio. Speriamo di ritrovarci anche l'anno venturo e, intanto, grazie Renato per la pastasciutta! 

 
 
 

Lo spirito ed il corpo.

Post n°17 pubblicato il 17 Febbraio 2011 da ventino1948

Quando è il momento di rinunciare ad una passione fisicamente impegnativa? Bisogna sfruttare le proprie capacità fino al lumicino o non vale forse la pena di cessare l'attività quando, già un po' avanti negli anni, ancora si è perfettamente in grado di sostenere l'impegno fisico necessario a condurre avanti il proprio interesse ? Bella domanda vero? E non si vorrebbe mai che arrivasse il momento di porsela, questa domanda, ma prima o poi arriva... Così comincio a chiedermelo spesso, ormai...Vecchio non sono e fisicamente sono ancora in perfetta efficienza, pochi giorni fa ho fatto con due amici la più impegnativa, (almeno tecnicamente), salita invernale che avessi mai fatto. Me la sono cavata egregiamente, gli amici mi hanno fatto i loro complimenti, uno dei due si è augurato di poter arrivare alla mia età avendo la stessa mia efficienza fisica e volontà alla fatica, però... Già, però... mi sono ritrovato a chiedermi per quanto tempo ancora potrò permettermi di fare salite di questo impegno, potendo onestamente dire d'essere pienamente efficiente per concedermi di farlo, senza essere troppo ottimista con me stesso e poco sincero nella valutazione. Il fatto stesso che cominci a pormi questa domanda sarebbe già sufficiente a stabilire che la curva della mia carriera di alpinista sia già in discesa da un po'. Non varrà quindi la pena di sospendere gli appuntamenti più difficili, in modo che anche chi ci aspetta a casa possa stare più tranquillo e sereno nell'attesa del ritorno? Non ho mai avuto incidenti in montagna, e questo si può già dire un bel successo. Negli ultimi anni sono riuscito a fare quel che desideravo tra le cime che più amo, mi sento appagato, anche se il desiderio non si è ancora spento. Ho deciso quindi che questo sia l'ultimo inverno per le grandi salite con ramponi e piccozze e che, l'estate prossima, sarà l'ultima volta delle uscite dolomitiche troppo onerose. Del resto la bellezza della montagna per me non è mai stata necessariamente nel raggiungere una cima ad ogni costo, ma nell'essere tra quelle pareti, quelle torri, quei ghiaioni. La bellezza della montagna per me è sempre stata nel poter ammirare i luoghi dov'ero, sarò felice anche senza guardarli dall'alto. Sono d'accordo con von Saar, il primo salitore del Campanile di Val Montanaia, quando dice: "Chi si dà all'alpinismo coi soli muscoli si ritrarrà da esso dopo pochi anni. Chi è alpinista col cervello e col cuore saprà trovarvi valori tutta la vita, tanto da giovane quanto da vecchio." E come George Livanos anch'io voglio dire: "Con l'età le ambizioni diventano sempre più modeste, e verrà il giorno in cui sarebbe ridicolo avere ancora ambizioni, ma sarà sempre là dove bisogna alzare la testa per guardare il paesaggio, che mi sentirò a "casa mia"." 

 
 
 

Finalmente!

Post n°16 pubblicato il 08 Dicembre 2010 da ventino1948

Quando a metà novembre sono andato a trovare Cherubino a Voltago, all'atto di lasciarci la sua Signora mi ha regalato alcuni vasetti di marmellata fatti da lei e Cherubino mi ha donato una copia del libro sulla vita di Ignazio Piussi, grande arrampicatore e alpinista, del quale era stato compagno di lavoro e amico. Io Piussi lo conoscevo di nome e per aver letto qualcosa delle sue imprese, sapevo che era un grande. Il libro non l'ho ancora finito, però mi piace, molto, sia il personaggio, che il modo in cui l'autore l'ha raccontato perché ha saputo mettere in quelle pagine la vera essenza di Piussi, uomo semplice, sincero e grande alpinista. Ho letto molti libri sulla vita di alpinisti, specialmente i primi alpinisti, quelli ottocenteschi, che, secondo il mio metro di misura, sono quelli che più hanno dovuto aver coraggio e determinazione per completare le loro imprese su percorsi completamente sconosciuti e con mezzi limitatissimi a disposizione, e Piussi aveva lo stesso spirito. E in questo libro ho finalmente trovato una spiegazione sul perché si fa alpinismo che mi convince e voglio riportarla qui per rendere merito allo scrittore, che non conosco, ma che sicuramente va in montagna altrimenti non avrebbe potuto scrivere ciò che ha scritto.

"Chiedersi e trovare il perché di tutti questi sforzi, allora come oggi, non è facile. Eppure ci deve essere una ragione se l'uomo fa tanta fatica, e rischia tanto per raggiungere una vetta: una ragione semplice che riunisca in sé tutte le ragioni che si sono trovate per l'alpinismo. Perché cercare la via più difficile? Perché soffrire tanto per percorrerla in condizioni così ostili? Perché, addirittura, porre a repentaglio la propria vita per questo scopo? E' stato scritto molto per fornire delle risposte convincenti, e tutti hanno individuato una complessità di motivi; una ragione semplice, però, non l'ha ancora fornita nessuno. Immaginiamoci lo sguardo, il pensiero, la concentrazione, i sentimenti di chi sta scalando una parete, e patisce la fatica, il freddo, la ferita, la paura, ma vuole arrivare in cima. Immaginiamoci il sentimento deciso e violento che adopera per allontanare gli ostacoli psicologici quando questi si fanno pressanti, e quello che impiega per affrontare gradualmente quelli fisici per superare ogni impedimento. E' fatto di durezza, di orgoglio, di rabbia; ma è fatto anche di umiltà, di calma, di sconfinata pazienza. Sono sentimenti che appartengono alla parte migliore dell'animo umano. Ebbene, tutto questo può apparire perfettamente inutile, ingiustificato, o addirittura il gioco sconsiderato e funesto di chi non sa dare valore alla vita, ma non può apparire privo di ragione. Una ragione c'è, quindi, ma sembra faccia di tutto per restare nascosta, per farsi sostituire da altre ragioni ogni volta plausibili, ma ogni volta insufficienti: il desiderio di primeggiare, la vanità, il bisogno di stimoli forti per dare una ragione alla propria vita, il desiderio di conquista, il bisogno di superare la paura, la sfida alla limitatezza dell'uomo...Ma c'è un alpinista che salga con una sola idea di queste nel cuore o nella testa? No, l'alpinista sale per uno scopo molto più semplice: per arrivare in cima. E la cima rappresenta, sostituisce, simboleggia tutto. Analizzare il significato della cima è un po' frantumarne la semplicità e l'unità dell'idea. E' per questo, forse, che ogni altro scopo deve restar celato alla consapevolezza di chi sale, che ne può percepire solo le spinte sotterranee e potenti. E' in questa sua mancanza infatti che l'alpinista acquista innocenza; e non perché sia uno sconsiderato, ma perché non ha scopi di bisogno, ma di un simbolo possente come la cima e di tutta la forza suggestiva che essa emana. Questo simbolo, però, è vivo finché si lotta  per raggiungerlo: quando viene raggiunto si spegne. La cima, infatti, non si conquista mai: si agogna. La cima come risultato è nulla; come obbiettivo è tutto. Essa è nel passo dell'alpinista, nello sforzo che fa per elevarsi, nel movimento che compie il suo corpo per guadagnare l'altezza; essa è nella via quindi - come già ho detto - non sulla sommità del monte. Ed è per questo che l'alpinismo esiste, che l'alpinista ritorna a salire: perché la cima è sempre tristemente inadeguata allo sforzo che compie per raggiungerla. Vi manca l'apoteosi; non c'è che vento e silenzio. Nell'attimo in cui si pone il piede sulla vetta del monte, si è di nuovo alla base, e la tensione si ripropone. Ecco perché nell'alpinismo di concreto non c'è che il salire: il desiderio, il passaggio, lo sforzo, il controllo, la fatica; e la cima è un simulacro che la nostra interiorità, se può, riempie di significato e, se non può, lascia oscuro, seguendo suggestioni eterne e universali." tratto da "Ladro di montagne" di Nereo Zeper.  

 
 
 

Cherubino

Post n°15 pubblicato il 11 Novembre 2010 da ventino1948

Capita nella vita, anche se purtroppo non molto spesso, di conoscere persone con le quali si instaura immediatamente un feeling straordinario, e la cosa è tanto più rara quando questo accade via internet. Io Cherubino l'ho conosciuto per caso, su Facebook, attraverso un amico, leggendo un suo scritto. Sono rimasto subito preso dalla sua prosa, ma, soprattutto, dalle cose che diceva. Sono abbastanza carico d'esperienza da capire quando incontro una persona che ha qualcosa da dire, ma soprattutto qualcosa da dare. Cherubino è una di queste persone. Con lui c'è stata subito una sensazione di fratellanza, forse per il fatto d'aver condiviso lo stesso male, io più fortunato (forse) l'ho superato, lui sta ancora combattendo. E, proprio per questo, per questo suo modo sereno e virile di affrontare la sua malattia mi ha grandemente colpito. Ogni tanto ci sentiamo su Facebook, ma ho sentito il bisogno di dimostrare la mia vicinanza andando a trovarlo. Sono salito a Voltago in una buona giornata, dopo tanta pioggia che ha flagellato la nostra terra. Tra le nuvole vaganti a mezza montagna, ogni tanto spuntavano le cime imbiancate dei Feruch, dell'Agner, delle Pale di San Lucano e , sotto le nuvole, il campanile e le case di Voltago in mezzo ad un bosco di faggi, pini e di larici giallo-rossi... Ho avuto l'accoglienza d'un vecchio amico, la sua Signora ha preparato per me i piatti della tradizione montanara ed una polenta fumante che abbiamo consumato con gusto assieme, con uno dei figli e il nipotino tornato dalla scuola. Mi ha raccontato tante cose della sua avventurosa vita di lavoro, del suo impegno recente dedicato al restauro delle tante chiese sparse per la valle. Abbiamo parlato anche della sua malattia, della mia, ci siamo scambiati le rispettive esperienze, con semplicità e serenità. Mi ha regalato il libro dedicato ad un grande arrampicatore che è stato suo compagno di lavoro, Ignazio Piussi, e mi hanno regalato alcuni vasetti di confetture che sua moglie fa con la loro frutta. Ma soprattutto ho portato a casa la certezza di aver conosciuto una famiglia di persone vere, che hanno voluto condividere con me una giornata della loro sincera amicizia. Sulla strada del ritorno pensavo a lui, e  alla sua famiglia con riconoscenza, giornate così non ce ne sono molte nella vita di un uomo, gli auguro di poter restare tra noi per molti anni ancora, affinché possa raccontare ai suoi nipotini tutte le affascinanti storie che ha voluto condividere con noi, e a me concedano ancora, lui e la sua famiglia, di condividere la loro calda amicizia. Ciao, a presto Cherubino!

 
 
 

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Post n°14 pubblicato il 28 Ottobre 2010 da ventino1948

Mi scuso con gli eventuali visitatori di questa pagina, se da alcuni mesi non mi faccio sentire. La stagione estiva è però dedicata esclusivamente alle mie passioni per le Dolomiti e per la fotografia, non mi resta quindi tempo per nessun altra attività. Però, quando torna l'autunno, le occasioni di essere a casa per il maltempo si moltiplicano, ed ecco che anche il mio blog torna d'attualità.

Oggi voglio scrivere di un fantastico mezzo che la tecnica ci ha messo a disposizione: il computer, internet e Facebook in particolare. Io ho sempre visto questo luogo virtuale come una incredibile opportunità per conoscere altre persone che senza internet e senza queste piazze virtuali non avrei mai conosciuto. Si, piazza virtuale, io lo vedo proprio così Facebook, come la piazza di uno dei nostri paesi o delle nostre città, dove hai modo di conoscere un sacco di persone, più o meno simpatiche, più o meno interessanti, più o meno buone, più o meno in sintonia con le nostre idee e i nostri sentimenti. Naturalmente la piazza virtuale è molto più vasta di quelle reali e le scelte devono essere molto più attente. E, come nella piazza del nostro paese, tra le persone che conosciamo, noi ne scegliamo alcune ne scartiamo altre, così accade su Facebook. Si creano dei gruppi di persone affini, come nella vita reale, gruppi di amici virtuali. Ogni tanto accade anche di conoscere personalmente qualcuno di questi "amici" e il rapporto diventa così più stretto. A me è già accaduto. Su Facebook ho conosciuto persone che hanno arricchito la mia vita e con le quali intrattengo un rapporto speciale. Il mezzo in se non è ne buono ne cattivo, siamo noi a farlo diventare una cosa o l'altra.

Alcuni giorni fa ho visto spuntare sullo schermo del PC una piccola foto ed un messaggio, era un ex compagno di scuola delle superiori. Per cinque anni abbiamo condiviso la casa comune che ci ospitava, un convitto a Biella, poi dopo gli esami di quinta ognuno se n'è andato per la propria strada e nessuno ha più avuto occasione d' incontrarsi. E' partito il tam-tam mediatico e in pochi giorni già ci ritroviamo in sette. Abbiamo messo in cantiere per la primavera prossima un incontro nello stesso luogo dove abbiamo trascorso assieme quei cinque anni. Abbiamo l'occasione di ritrovarci dopo 43 anni, e sparsi per l'Italia come siamo, solo Facebook poteva permetterci un simile risultato. Potenza del mezzo. Che se usato nel modo giusto permette di ottenere risultati fino a qualche anno fa impensabili. Forse solo noi che veniamo da una generazione che alla nascita conosceva un unico mezzo di comunicazione di massa: la radio, e che man mano ha visto nascere tutti gli altri ad iniziare dalla televisione e per finire coi telefoni cellulari e internet, possiamo renderci conto di cosa hanno voluto dire questi ultimi cinquant'anni in quanto a progresso nelle comunicazioni. I ragazzi che oggi hanno venti-venticinque anni sono nati e hanno trovato già tutto, per loro è una cosa ch'è sempre esistita e non possono rendersi conto della reale valenza di tutto ciò. Per chiudere non resta che sperare che il tutto venga usato solo per rendere migliore il genere umano, ma purtroppo temo che, come per molte altre conquiste della tecnica, anche in questo caso la mia speranza sia solo un'utopia...

 

 
 
 

Professionisti & dilettanti.

Post n°13 pubblicato il 25 Giugno 2010 da ventino1948

L'eliminazione della Nazionale italiana di calcio dal torneo mondiale sudafricano mi spinge a scrivere il mio pensiero su ciò che oggi viene chiamato sport.
Voglio fare un passo indietro nei secoli, quando gli antichi romani usavano passare il loro tempo assistendo ai tornei dei gladiatori nelle arene. Quelli erano spettacoli organizzati , venivano investiti dei soldi per fare appunto uno spettacolo ad uso del popolo.L'odierno sport non è altro che questo: uno spettacolo organizzato a fini di lucro. Gli attori, cioè i giocatori, sono profumatamente pagati. Da uno sport all'altro cambia l'attrezzo, che può essere una palla da usare coi piedi o con le mani, può essere una vettura di Formula 1 , può essere una racchetta da tennis o una bicicletta o, via elencando, uno qualsiasi degli infiniti attrezzi che sono usati. Sono dei professionisti pagati, non fanno sport, fanno spettacolo. E le regole dello spettacolo sono fatte in  modo che non vinca il migliore, ma ,a seconda dell'interesse, si fa vincere o l'uno o l'altro manipolando sfacciatamente i regolamenti.
Lo sport lo fanno i dilettanti, che, come dice la parola, lo fanno per il proprio diletto o piacere che dir si voglia. Ma ormai anche a livello dilettantistico si ricorre sfacciatamente all'imbroglio pur di prevalere sugli altri, per il solo stupido piacere d'essere "superiori", dimenticando che, prima di tutto, imbrogliano se stessi, il che mi sembra il massimo della stupidità.
Quando poi penso che c'è chi giunge ad accoltellarsi o peggio per il tifo per una squadra, mi chiedo come mi devo comportare incontrando la gente per strada. Che ci sia da fidarsi a stringergli la mano semplicemente, o forse sarebbe più previdente tenere nell'altra mano affondata nella tasca pronto un bel coltello da guappo?
Anche nella mia amatissima montagna, che io non considero una palestra sportiva, ma la maggior parte delle persone si, ormai siamo passati al professionismo. La corsa a tentare la cosa più difficile che nessuno è mai riuscito a fare prima, per poter conquistarsi i soldi degli sponsor è lanciatissima. Dalla parete al di là della verticale, alla salita agli ottomila per il percorso più pericoloso e via elencando tutte le più fantasiose ed improbabili specialità con snowboard, sci, parapendio ecc. ecc.. Anche lassù ormai ci si dopa, zittendo la propria coscienza con una bella manciata di banconote.
Non me ne curo, sono cose che riguardano gli altri. Io ieri ero in montagna, ho fatto un bel percorso ed ho affidato alle spalle giovani e forti del mio amico Gianni, un bel magnum di Prosecco, l'unico integratore salino che consumo, e, assieme al gestore del rifugio ed al suo staff ce lo siamo interamente scolato, guardando fuori dalle finestre della sala la lontana pianura dove, nelle case di paesi e città, la gente fremeva per la Nazionale di calcio.

Ognuno ha ciò che si merita.   


 
 
 

Nuovi "alpinisti" e vecchi "montanari".

Post n°12 pubblicato il 18 Giugno 2010 da ventino1948

Pensavo a questa moderna necessità di velocità che pervade ormai ogni azione dell'uomo. Anche nell'andare in montagna ormai il cronometro la fa da padrone. Per fortuna, e con dispiacere di molti, queste due cose mal si accompagnano. Tutto inizia con l'imparare ad andare in montagna. Molti pensano che i benemeriti corsi che le varie sezioni del CAI organizzano ogni anno possano essere una veloce scorciatoia per raggiungere competenza e abilità, niente di più errato. Questi corsi servono solo a sostituire i vari amici o parenti che una volta ci insegnavano l'arte d'andar per monti e che oggi diventano sempre più rari. Anche perchè non è sufficiente essere un abile alpinista per avere la capacità di saper trasmettere nel giusto modo le proprie conoscenze, insegnare è una passione e un'arte che non tutti possiedono. Questi corsi servono solo a dare le basi da cui partire, ma non possono dare l'esperienza, che, tutti ben sappiamo, bisogna fare sulla propria pelle, poichè l'essere umano è, per sua natura, portato sempre a sottovalutare chi l'ha preceduto e quindi a non tener in dovuto conto ciò che gli altri prima di lui hanno fatto. E l'esperienza si fa lentamente, mentre contemporaneamente cresce l'abilità tecnica, l'allenamento e il desiderio di aumentare le difficoltà affrontate. E anche quest'ultima parte della frase merita un approfondimento, dato che molti pensano che, dopo un adeguato allenamento nelle palestre d'arrampicata si possa passare alle pareti di roccia senza problemi. Un piccolo sorriso ironico increspa il mio viso, poichè troppe volte ho incontrato giovanotti speranzosi, carichi di corde e di ferramenta appesa all'imbrago, aggirarsi nei boschi alle basi delle pareti montane con in mano fotocopie di relazioni di vie d'arrampicata senza essere capaci di trovarne la partenza. Io ho sempre saputo che prima si impara a camminare e poi...a correre. Un tempo, prima si imparava a camminare sui sentieri, aumentando un poco alla volta le difficoltà anche di orientamento e poi, naturalmente, si arrivava alla base delle pareti e si iniziava a mettere le mani sulla roccia. Oggi dopo un corso di quindici giorni tutti si sentono sestogradisti!  Chi insegnerà loro a scegliere appigli e appoggi in parete con la dovuta competenza e prudenza, quando sono abituati in palestra agli appigli e agli appoggi artificilali semplicissimi da individuare perchè addirittura colorati e super sicuri perchè fissati con viti? Quante volte ho sentito qualcuno raccontare d'aver perso la via, poichè ormai tutti sono abituati a seguire gli spit e se uno è un poco più lontano, e quindi invisibile, non c'è la capacità di seguire il logico sviluppo del percorso? L'andar per monti non è fatto solo d'abilità tecnica! Fosse tutto lì, sarebbe facile imparare! Andar per monti significa esser capace di sentirsi in montagna come in un luogo conosciuto, anche se in quella specifica in cui siamo in quel momento, non siamo mai stati prima. Ma bisogna esser capaci di preparare già a casa l'escursione studiando la carta, e quindi bisogna saper leggere una carta, e non è così semplice come potrebbe sembrare. Così quando saremo sul posto, pur non essendoci mai stati prima, sapremo già orientarci con disinvoltura. Bisogna saper andare anche al di là dei sentieri segnati, saper seguire una semplice traccia d'animali. Sapersi orientare col sole, e acquisire tante competenze e conoscenze che sarebbe infinito e anche non facile da spiegare, poichè la costante ed assidua frequentazione della montagna è in grado di risvegliare dentro di noi quegli istinti animali che la vita sociale in città ha relegato in un angolino del nostro cervello. Io personalmente ho usato un sistema particolare, mi son scelto per maestri i camosci. Un felicissima frase dell'ultimo libro di Erri De Luca dice pressapoco così:" I camosci acquisiscono dimestichezza con la montagna perchè loro ci vivono, gli uomini sono solo ladri di passaggio." Meravigliosa sintesi! Da loro ho cercato di imparare la logica dei percorsi, poichè nel loro agire c'è il massimo della logica dell'andar per monti. E non è vero, come qualcuno dice, che sono solo bestie utilitaristiche, che frequentano solo percorsi dove possono trovare da brucare o da bere. Io li vedo molte volte guadagnare cime rocciose impervie e difficili sulle quali non c'è un filo d'erba o una goccia d'acqua, e, giunti lassù, guardarsi attorno e d ammirare il panorama estasiati nello stesso mio modo. Da loro ho imparato e continuo ad imparare. Il mio modo di frequentare la montagna è poi quello loro, io non ho mai piantato un chiodo, non sono un arrampicatore, raramente uso la corda, anche perchè il più delle volte sono solo, non per mia decisione, (la compagnia mi piace), ma perchè  la scelta è tra il rimanere a casa o l'andare in montagna da solo. E poi, dulcis in fundo, perchè in questo modo riesco ad esercitare una dote importantissima per chi ama la montagna: il coraggio. Nessuno nasce coraggioso, al contrario tutti abbiamo nel nostro cuore la paura, che non è nientaltro che spirito di conservazione. Chi non ha paura è un'irresponsabile, chi non ha paura non può esercitare il coraggio, poichè questo non è nient'altro che la capacità di superare la paura. Chi non ha paura...prima o poi finisce al cimitero. Ma il coraggio è come un muscolo, esercitandolo cresce, ma non deve mai annullare la paura, il coraggio deve cessare laddove cessa la nostra capacità, andare oltre sarebbe solo incoscienza. Allora la cosa giusta da fare, quando la paura ci attanaglia i muscoli irrigidendoli e rendendo legnosi i nostri movimenti, quando il cuore martella nelle orecchie e le vene del collo pulsano in modo abnorme, è sostare un po' fino a quando quest'anormale eccitazione si attenua, e poi girarci e tornare sui nostri passi. La montagna è sempre lì. Domani, o tra qualche giorno, ritorneremo col nostro bagaglio di coraggio reintegrato ed accresciuto e partiremo da dove ci siamo fermati l'altra volta, con la speranza che la nostra riserva di coraggio questa volta sia sufficiente per raggiungere la nostra meta, ma pronti, se questo sarà necessario, a ritornare indietro un'altra volta. Anche i camosci esercitano il coraggio, più di una volta ho visto coi miei occhi la madre insegnare al piccolo a superare un passaggio esposto, e poi, giunta di là, girarsi e incoraggiarlo con la testa e coi richiami. E ho visto il piccolo fare come noi, avvicinarsi al passo e poi rinculare, vinto dall'incertezza e dalla paura,una, due volte, fino a che, raccolto il coraggio, non spicca il salto e la madre avvicinarsi e leccarlo per rincuorarlo e lodarlo. Anche tra i camosci, come tra noi frequentatori della montagna, ogni tanto qualcuno cade. L'imperizia, la sfortuna, molti possono essere i motivi. Il rischio non potrà mai essere completamente annullato, va minimizzato, ma questo fa parte del gioco. La montagna sicura non esiste, nè esisterà mai. Chi non vuole affrontare il rischio si scelga un'altra attività. Se io, per quel che mi riguarda, potessi scegliere il luogo dove morire, questo sarebbe certamente la montagna. Il più tadi possibile, ovviamente, ma lassù. Con l'unico dispiacere di dover coinvolgere altre persone a ricerche e recuperi, che, sempre se potessi scegliere, eviterei. Qualche pietra sopra il corpo e una piccola croce fatta col legno di mugo, sarebbero per me una sistemazione assai più gradita di una lapide al cimitero.

 
 
 

Attenzione a non confondere i sostantivi.

Post n°11 pubblicato il 07 Aprile 2010 da ventino1948

Il mio timore è che qualcuno mi scambi per il solito vecchio nostalgico, per il quale, solo i "suoi tempi" erano buoni! Ma purtroppo non riesco a trovare una diversa soluzione per poter valutare i problemi che assillano i giovani d'oggi se non paragonandoli a quelli che io ho vissuto.
Sicuramente la società è profondamente cambiata, ma questo, a chi oggi si presenta nella cosiddetta vita attiva, non interessa minimamente. A lui interessa capire che prospettive ha, che lavoro riuscirà a trovare e che guadagno gli darà questo lavoro. Perchè, a parte le chiacchere, ciò che determina una vita più o meno agiata e tutte le conseguenze che una vita agiata comporta dipendono da questo. Oggi molti più giovani arrivano ad avere una laurea, che viene spasmodicamente vista come la panacea d'ogni male. Ma poi quando chiedo a qualcuno che laurea ha, mi sento dare delle risposte che lasciano di stucco. Storia, filosofia,archeologia e mille, perchè tante oggi sono, specializzazioni che al momento di cercare un lavoro valgono zero. Ora , mentre posso capire che i figli della famiglia Agnelli possono prendersi la laurea che desiderano, tanto hanno già la vita economica assicurata, mi domando come in una famiglia dove lavorano entrambi i genitori, che devono fare i salti mortali per far studiare i figli, qualcuno non riesca a far capire agli stessi che le lauree che poi nella vita contano sono le più difficili da prendere, non quelle che piacciono!
Quando io ho iniziato a lavorare il mio cuore era pieno di SPERANZE per la vita a cui andavo incontro. Oggi anche l'ultimo dei laureati in scienze politiche è pieno di ASPETTATIVE.
Le mie speranze sono state via via cancellate dalla dura realtà della vita, come accade a tutti. Però tutto questo non è stato così traumatico per me, perchè, strada facendo, imparavo che le speranze si concretizzano assai raramente.
I giovani d'oggi hanno invece delle aspettative, sono cioè convinti che una laurea dia loro DIRITTO ad una vita agiata, ad un lavoro ben remunerato e piacevole e a tante altre belle cose. Quando poi si accorgono che la realtà è ben diversa, si sentono defraudati e riempiono le cronache dei giornali e della tivù di omicidii, suicidi, rapine e quant'altro. 
Come spesso mi accade, anche alla fine di questo ragionamento, non mi resta che constatare che molti dei mali che ci assillano ce li siamo andati a cercare noi col lanternino. Cerchiamo di sfoltire la nostra vita dai mille irragionevoli ed irraggiungibili desideri che ci assillano. Cerchiamo di stare coi piedi per terra e di porci traguardi più alla nostra portata, e rendiamoci conto che non tutti posso esere miliardari, contrariamente a quanto certa televisione vorrebbe farci credere.
La nostra vita ne guadagnerà in semplicità, in serenità e tutto prenderà un aspetto meno detestabile.

 
 
 

I problemi della società odierna

Post n°10 pubblicato il 31 Marzo 2010 da ventino1948

Il titolo di questo post è un po' impegnativo, ma strada facendo capirete perchè l'ho scelto. Da poco tempo ho conosciuto ,anche se solo virtualmente, Rosaria che in un sito che si chiama "Il salotto di Jan" propone sempre belle riflessioni e punti di partenza per grandi, nel senso di importanti, riflessioni e discussioni. Mi sono accorto che, praticamente tutte, si riferiscono alla vita quotidiana, agli amici, alla famiglia e alla società. Del resto mi sembra logico che sia così, di questo è fatta la vita di tutti noi. Mi era venuta la tentazione di scrivere sul suo sito per rispondere e partecipare alle sue provocazioni ed alle sue riflessioni, poi ho pensato che era meglio che le rispondessi da qui; l'avviserò e chi vorrà, verrà a leggersi il mio vita-pensiero. Se gli interessa, arriverà sino in fondo, altrimenti, con un clik, potrà passare oltre.  Quello che mi ha spinto alla fine a prendere in mano la penna virtuale per scrivere è proprio ciò che succede nella vita quotidiana di noi tutti e per associazione d'idee mi è venuto in mente l'apologo di Menenio Agrippa, vissuto attorno al 500 a.C., che quelli della mia età ricorderanno tutti sicuramente per averlo studiato a scuola; i più giovani non so....vedo come fanno studiare oggi la storia a scuola, ho una nipote che fa la seconda media, e la storia è diventata una cosa arida, date, fatti, ma niente di tutta quell'esperienza di migliaia di anni e di miliardi di uomini che sono passati nella vita prima di noi.   Mah!?.....forse hanno ragione loro, oggi il mondo è diverso da com'era quando io avevo 12 anni come mia nipote, sicuramente, ma non certo migliore. Quando io avevo quell'età, ma soprattutto prima, da quando avevo 5 o 6 anni in poi, d'estate andavo sempre da mia nonna materna che abitava in una contrada di un minuscolo paesino nella campagna a est di Treviso. Erano gli anni subito successivi alla seconda guerra mondiale, in quei posti la povertà era uguale per tutti, c'era solo da mangiare, ma molto parcamente; ricordo che mia nonna teneva la chiave del cassetto del pane in tasca...... La casa era una modesta casa di campagna, non c'era la corrente elettrica, si usava il "canfin": la lampada a petrolio. L'acqua era in corte, la spianata in terra battuta antistante la casa, una pompa a mano..... I servizi igienici erano vicino al "luamaro": il luogo dove veniva raccolta tutta la produzione organica della famiglia e degli animali che ne facevano parte....La strada che passava di fianco alla casa di mia nonna era una strada a fondo naturale, in terra battuta, lì si raccoglievano tutti i ragazzini del vicinato, per i vari e semplici giochi che si facevano allora. Nessuno si sognava di chiudere le porte a chiave, la solidarietà tra vicini era radicatissima, tutti sapevano tutto di tutti, e chiunque aveva un bisogno aveva la solidarietà e l'aiuto degli altri. Io sono cresciuto in quel mondo e in quel modo, con il rispetto per le persone, per le cose, educato a rispettare i "vecchi", ad ascoltare la loro parola, ad essere onesto, solidale, rispettoso di regole, leggi ed autorità. Una vita povera di benessere materiale ma ricca di quei veri rapporti umani che ti fanno crescere e che ti danno tanto benessere spirituale. Era veramente un altro mondo. Ma io sono sicuro che fosse migliore di questo e mi rammarico che sia andato perso.
Oggi la scortesia regna sovrana, nessuno ha più rispetto per le regole, le leggi o l'autorità. Ognuno è ripiegato su sè stesso e la solidarietà si limita ad un SMS da un euro, tanto per mettersi in pace la coscienza.... Venerdì scorso un mio vicino di casa è morto improvvisamente,l'hanno trovato seduto sulla sua poltrona col giornale in mano, viveva da solo da quando, un anno fa, era morta sua moglie. Degli abitanti del palazzo, composto da 16 appartamenti e 6 negozi, al funerale eravamo solo in due condomini.....
La famiglia è oggi praticamente composta da estranei che vivono nello stesso appartamento. Non passa giorno che, di fronte ad atti di bullismo o di vera e propria delinquenza, qualche madre o padre cada dal mondo delle nuvole: "Mi sembra inpossibile! E' un così bravo ragazzo...."
Per questo mi è venuto in mente Menenio Agrippa, lui parlava delle membra del corpo, io parlo delle cellule del corpo. La più piccola cellula della società è la famiglia, e ben sappiamo quanto sono malate le famiglie odierne, come possiamo pretendere che il corpo, ovvero la società, stia bene? Un brutto cancro si annida nella nostra società ed io sono pessimista, non vedo segni di possibile guarigione.
Spero tanto di avere torto!      

 
 
 

La televisione ed i suoi programmi.

Post n°9 pubblicato il 18 Marzo 2010 da ventino1948

Se c'è una tassa che mi fa girare le scatole è l'abbonamento RAI. E penso che anche a Roma ne siano ben consci, visto che l'hanno trasformato da abbonamento a tassa dello Stato, così chi si incaponisce a non volerlo pagare si trova soggetto a pignoramenti del tutto assurdi, dove, per rientrare di poco più di 100 euro di tassa, magari ti pignorano un bene da decine di migliaia di euro e lo vendono all'incanto, senza che il proprietario possa nemmeno partecipare all'asta.. 
I palinsesti delle televisioni, pubbliche o private che siano, offrono programmi che definire schifosi è fare un complimento. Grandi fratelli, isole dei famosi, amici, ma più che altro direi una serie infinita di nemici che, al di là del piccolo schermo, partecipano, lautamente pagati,   a salotti....urlanti, dove tutti sono contro tutti, e si affrontano con epiteti che fino a qualche anno fa erano riservati solo al più bieco ed ineducato popolino. Che dire poi degli "attori" e degli "ospiti" , più o meno noti, che per denaro e senza nessun pudore o orgoglio personale si prestano a simili comparsate? Meglio sorvolare.  Non parliamo poi della  serie infinita di previsioni meteorologiche che non si capisce a cosa servano, naturalmente anche queste fatte sulla base del più spinto pessimismo, per cui ad ogni formazione nuvolosa che si avvicina alle nostre regioni corrisponde un'allerta della Protezione Civile. Che dire poi degli infiniti oroscopi; nel terzo milennio c'è chi crede ancora agli stregoni, e, purtroppo, sono tanti, anche persone che passano per erudite e che hanno incarichi di responsabilità. Gente che non si muove alla mattina se non ha sentito l'oroscopo, confezionato con frasi scontate che potrebbero calzare in ogni caso perfettamente a chiunque. Personalmente  anche quando avevo cinque anni mi sarei vergognato se qualcuno avesse pensato che credevo a queste cose.  
Ma in che razza di società viviamo? Perchè, se è vero, che i programmi che ci propinano in tivù sono confezionati sulla base del gradimento dei telespettatori, preferisco considerarmi come facente parte di un'altra specie di mammifero, forse marino, meglio montano, viste le mie tendenze.
Vuoi vedere che il mitico yeti sono proprio io?

 

 
 
 
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