Ultime evoluzioni della guerra in Siria. La Turchia combatte contro la coalizione a guida USA.

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Di Andrea Atzori

 

La presenza degli Stati Uniti in Siria non ha basi giuridiche per essere considerata legittima.

Infatti non è stata richiesta dalla Siria che anzi non la tollera e la considera un’aggressione militare vera e propria. Gli americani sono in Siria senza mandato ONU e si atteggiano a poliziotti del mondo nel momento in cui affermano di voler incriminare Assad in quanto spietato dittatore.

Ma è chiaro a tutti che Washington non è dotata di alcun potere fondato sul diritto internazionale, per interferire nei fatti interni di un altro Stato sovrano, membro delle Nazioni Unite. Insomma la superpotenza atlantica, è la prima a non rispettare le leggi internazionali, ma si considera in diritto di giudicare e condannare ogni altro membro della comunità internazionale che non le sia gradito.

Poi si scopre che tutto rotea intorno ad interessi geopolitici di importanza fondamentale nella dinamica dei processi di espansione imperialista ed anche, sopratutto, intorno ad un altro tipo di interesse, cioè quello economico, rappresentato dai giganteschi giacimenti petroliferi di cui abbonda il territorio di questo paese mediorientale.

Ma la Casa Bianca, in persona dell’attuale inquilino e di quelli che lo hanno preceduto, nei sei anni della guerra catastrofica scatenata in Siria dalle potenze regionali coalizzate con l’occidente, continua, imperterrita, a diffondere la solita storiella ormai stantia, secondo cui il suo intervento militare nel teatro di guerra sarebbe giustificato dal nobile scopo di combattere il terrorismo islamico.

Fin dall’inizio di questo conflitto, gli Stati Uniti non hanno fatto altro che sobillare le masse popolari, inducendole a ribellarsi contro il loro Presidente Bashar Al Assad, dipingendolo come un ferocissimo tiranno, reclutando miliziani nelle file dell’ISIS, armandoli fino ai denti, e scatenandoli contro l’esercito regolare siriano. Nel mentre che sostenevano di lanciare raid aerei contro le file dei terroristi, al contrario, distruggevano le città siriane e massacravano la sua popolazione.

Più i caccia statunitensi si levavano in volo sui cieli della Siria, più le orde dei guerriglieri islamici avanzavano, fino a giungere alle porte di Damasco, dove un Assad ormai allo stremo della sua resistenza, supplicava Putin e la Russia ad intervenire in suo aiuto. Quando ormai erano svanite le speranze di sopravvivenza sia per lo Stato siriano che per il suo Presidente, infine, Putin prese la sua decisione di schierare il suo esercito, come “estrema ratio” per evitare il tracollo definitivo di Damasco e salvare la sovranità dello Stato siriano.

La risoluzione del Cremlino è stata decisiva per la sconfitta dello Stato islamico, mentre l’esercito americano, contemporaneamente, scendeva con truppe di terra dalle basi militari ubicate in Giordania ed in Iraq, pronte all’occupazione dei territori del nord-est siriano, sostenute anche da una coalizione armata formata allo scopo con miliziani curdi, interessati ad occupare un vasto territorio limitrofo ai confini sia dell’Iraq che della Turchia e dell’Iran.

Dopo la presa di Aleppo da parte dell’esercito siriano, i terroristi islamici si sono in parte dispersi ed in parte arroccati nella loro capitale Raqqa, nonché in altre loro basi situate appunto nel Nord Est della Siria, specie ad Idlib, dove convergeva anche l’esercito americano. Ma non per combattere il Daesh, bensì per difenderlo, ingaggiando raid aerei contro le truppe di Assad che si avvicinavano ai territori occupati dall’Isis, con la scusa che la vicinanza con le basi della loro coalizione, li rendevano pericolosi.

Questi attacchi aerei contro le truppe della coalizione a guida russa, sono costati vittime e numerosi feriti, nonché quantità incalcolabile di danni materiali. Ogni volta, in quanto questi episodi si sono ripetutamente verificati, il comando russo e la stessa portavoce del ministero degli esteri russo Zakarova, hanno rinnovato i motivi delle loro proteste, nonché l’accusa di manifesta opera di protezione a favore dei miliziani del Daesh. In ogni caso, oltre le proteste i russi non sono andati, sia in questi casi, sia quando a colpire le basi siriane sono stati gli israeliani.

Il vanto degli USA è quello di avere combattuto i terroristi nel loro feudo, quello di Raqqa, città del deserto siriano dove si trovano i più importanti pozzi petroliferi di tutto il territorio della Siria. La città, infatti è stata distrutta dai bombardamenti aerei, ma di terroristi non c’era più neppure l’ombra, essendo essi scappati attraverso i tunnel sotterranei che attraversano la città, in zone non interessate dai raid ed in cui ad attenderli hanno trovato, già pronti, ogni genere di automezzi e velivoli, apposta preparati per trasportarli in altre basi militari statunitensi, sia in Siria sia, addirittura in Afganistan, dove stanno facendo sfoggio delle loro capacità di eseguire feroci attentati terroristici con centinaia di vittime innocenti.

Parte consistente di queste truppe sono state poi anche convogliate sia verso i confini tra Siria e Israele, nelle alture dei Sinai, dove si combatte ancora, ed in parte verso il nord Africa, specie in Egitto, dove pure è ripresa alla grande l’attività terroristica ed in Libia.

La ripresa in grande stile degli attentati in Afghanistan, sono in funzione anti Pakistan, già demonizzato da Trump, con minacce forti e gravissime, a causa dell’alleanza stretta da questo paese con la Cina, che appunto, vi sta costruendo una base militare navale con lo scopo di proteggere i suoi interessi economici in questa regione che prevede l’espansione in essa della nuova via della seta. In funzione anche di contenimento della potenza militare indiana, troppo sbilanciata a favore del blocco navale auspicato dagli americani sul Mar Rosso, ma in particolare, sull’Oceano Indiano.

La Cina è già impegnata anche nella ricostruzione delle forze armate afghane e questo alla Casa Bianca piace ben poco. L’intento, quindi, degli USA non è mai stato quello di disimpegno dal conflitto siriano e tanto meno dall’intreccio di interessi geopolitici ed economici che li legano al Medio Oriente. Anche con la presidenza Trump, in contrasto con le sue affermazioni in campagna elettorale, quando accusava la Clinton ed Obama di essere loro la causa della formazione del gruppo ISIS e del disastro siriano, la politica americana in Medio Oriente non è cambiata ed anzi si è inasprita.

Per legittimare la sua permanenza illegittima, sul territorio siriano, contro le sue dichiarazioni secondo cui questa presenza fosse legittimata solo dall’esigenza di combattere il terrorismo, lasciando presumere quindi, che dopo la sconfitta definitiva di esso, sarebbero andati via, si appellano adesso al pericolo per Israele, rappresentato dall’Iran per le sue basi militari in Siria.

Parole di fuoco sono state spese da Trump contro Teheran, accusata di avere mandato a monte i piani USA sulla Siria e di voler costituire ivi una zona di influenza centrale sciita, per tutto il Medio Oriente. La minaccia ormai comunicata in modo formale alla comunità internazionale ed all’ONU, di voler revocare l’adesione americana al trattato firmato da tutte le potenze mondiali sul nucleare iraniano, è una dimostrazione di quanto gli Stati Unti stiano facendo sul serio contro l’Iran. La stessa rivoluzione organizzata in Iran contro il potere centrale, quasi in sincronia perfetta, è un avvertimento assai eloquente.

Per quanto riguarda i lamenti di Israele nei confronti dei suoi vicini, che considera come giustificazione adeguata per i raid aerei incessanti contro le basi militari siriane, la causa maggiore credo sia quella del rafforzamento incessante, in tecnologia bellica ed allenamento ed addestramento militare sul campo di battaglia, delle milizie di Hezbollah, considerate forze terroriste in occidente ed Israele, ma fieri combattenti a cui va il merito principale, di avere risollevato le sorti del conflitto siriano.

Per cui si è da subito aperta una partita di regolamento di conti con il Libano, terra di origine di Hezbollah e con la Palestina, a cui un decreto Trump ha già sottratto Gerusalemme, avendole negato il riconoscimento di città santa per le tre religioni monoteiste. Per Washington, Gerusalemme sarà d’ora in poi, la capitale di Israele, mentre la Palestina dovrà eleggersi un’altra capitale. Trump è infatti legato a doppia mandata con il mondo sionista imperante alla casa Bianca, specie per il fatto che il suo genero Kushner è un alto rappresentante di questa organizzazione che decide tutto nelle alte sfere di comando di Washington.

La sollevazione del mondo arabo, per questa decisione del presidente Trump, fatta eccezione per l’Arabia saudita, aggiogata ormai del tutto al carro USA, è stata pressoché unanime. La condanna è venuta dal re di Giordania, dall’Egitto per bocca del Presidente Al Sisi, dalla Turchia con il Presidente Erdogan, oltreché, ovviamente, dall’Iran e dalla Siria.

Ma tutto il mondo, anche l’Europa, ha respinto l’atteggiamento di Trump contro i palestinesi che sono insorti contro le forze militari israeliane, pagando un altissimo tributo di sangue, in morti e feriti. Questo delirio di ferocia e violenza non ha risparmiato neppure l’esercito russo che ha subito un attacco terroristico alla sua base militare di Hmeimin, con una dozzina di droni, la cui fattura riporta, necessariamente, ad una potenza altamente avanzata in questo tipo di tecnologia.

Ovviamente, non possono essere altri che Israele e Stati Uniti. Ma la Russia mantiene i nervi saldi e non va oltre le accuse fondate, senza trascendere nelle minacce. Ed ecco che nel bel mezzo, di questo grande caos che è il Medio Oriente, il sottosegretario di Stato USA, Rex Tillerson, dichiara che gli Stati Uniti non andranno mai via dalla Siria, sia per garanzia contro il pericolo di rinascita del terrorismo islamico, sia anche per impedire all’Iran di continuare la sua lotta contro i nemici di Assad, che Washington non potrà mai accettare come presidente siriano.

Una doccia gelata per i piani di Putin di risolvere, pacificamente, il conflitto che dopo sei anni ha già ridotto in cenere questa disastrata Nazione. Inoltre, sempre Tillerson, afferma, candidamente, che il suo paese sta allestendo un nuovo esercito di circa 30.000 uomini, a cui avrebbe già distribuito armi micidiali ed avanzatissime, formato prevalentemente, da curdi, per tenere sotto controllo e proteggere, i confini del nord est della Siria con la Turchia; in previsione della formazione di un nuovo Stato indipendente da assegnare e riconoscere al popolo curdo.

A questa affermazione categorica, sono insorti sia Assad che Erdogan, il primo perché lo considera una violazione della sovranità territoriale del suo Stato, il secondo in quanto uno Stato curdo alle sue frontiere, sarebbe un pericolo gravissimo per la Turchia, essendo il popolo curdo un’entità che si considera unica, per cui ciò darebbe un’enorme motivazione anche al movimento terrorista del PKK, da sempre una spina nel fianco della Turchia, a causa delle loro aspirazioni a formare uno Stato indipendente dentro al territorio turco.

Infatti la popolazione curda in Turchia è quasi un terzo dell’intera popolazione turca. Per cui Erdogan ha subito messo in guardia gli USA e deciso di passare ai fatti senza indugi di sorta. L’esercito turco ha attraversato la frontiera con la Siria ed attaccato le forze curde. L’esercito statunitense, già preavvertito, si è allontanato dalla zona del conflitto, piantando in asso i curdi, che sono rimasti soli ad affrontare questa aggressione.

Mentre la Siria si lamentava contro Erdogan, Putin chiamava le parti alla moderazione. In effetti la situazione che si è venuta a verificare è assai strana, in quanto sul terreno, contrapposte, vi sono due forze che poi sono alleate dentro la Nato, cioè Turchia e USA. Infatti, gli americani non hanno osato tagliare la strada ai turchi, anche perché pure i loro caccia partono dalla stessa base aerea turca di Incirlik, usata anche dai Turchi. Abbiamo già visto che non hanno esitato invece, a bombardare le forze siriane, iraniane e russe, quando si è trattato di difendere i terroristi dell’ISIS. I dubbi sulla verità dei rapporti tra Stati Uniti e Turchia, pertanto, permangono. 

Infatti, per Washington potrebbe non fare differenze il fatto che ad occupare questa regione della Siria siano i turchi piuttosto che i curdi, essendo entrambi loro alleati. In ogni caso il problema per loro sarebbe risolto, in quanto il risultato sarebbe sempre quello di smembrare la Siria, riaprendo quei corridoi in cui far passare i terroristi e separatisti siriani con loro collegati, ed anche le colonne infinite di autocisterne cariche del prezioso greggio estratto dai pozzi petroliferi siriani. 

Ad un certo punto, i curdi, constatato il tradimento dei nord americani, si sono rivolti ad Assad, implorandolo di scendere in campo in loro difesa, promettendo che poi avrebbero riconsegnato i territori da loro occupati al legittimo potere dello Stato siriano. Ma sia Putin che Assad, si sono guardati bene dall’esaudire le loro preghere. Infatti, dopo le affermazioni scellerate di Tillerson che poi ha ritrattato, sia Putin che Assad avevano chiesto ai curdi di passare dalla loro parte e restituire tutti i territori, illegittimamente, occupati, per evitare il loro disastro. Ma costoro, fiduciosi nella protezione offerta dagli americani, rifiutarono. Oggi, Erdogan dichiara di voler ampliare il raggio di azione delle sue truppe anche verso Manbij fino ad Idlib, per fare pulizia dei curdi, promettendo però ad Assad che restituirà, a campagna militare conclusa, tutti i territori occupati.

Si è tenuto a Sochi, il colloquio di pace sulla Siria, organizzato da Russia, Siria, Turchia ed Iran. Putin ha ribadito che solo il popolo siriano avrà il potere di eleggere il suo presidente, decidendo così il destino del suo paese e non potenze straniere che non hanno alcun titolo ad interferire nei fatti interni di questa nazione sovrana, mosse solo da interessi di espansionismo imperialista e di ingiuste ed illecite appropriazioni di risorse economiche, di cui questo paese è assai ricco. Erdogan ha ribadito il suo impegno di rispettare tutti gli obblighi derivanti da questo accordo.

Gli Stati Uniti non hanno partecipato, dichiarando di non riconoscerne l’autorità; anche perchè la Russia non li ha invitati. Il precedente convegno sul tema, tenutosi a Ginevra, sotto l’egida dell’ONU, è clamorosamente, naufragato.

E’ notizia di questi giorni che il dipartimento di Stato Usa e la Cia, con il ministero del tesoro, hanno redatto una lista c.d. anti Putin, di 114 altissimi esponenti governativi russi, tra cui Dimitri Medvedev, premier in carica, e Lavrov, ministro degli esteri, nonché il portavoce del presidente Putin, Peskov, ed altri 96 tra le persone più ricche della Russia, i c.d. oligarchi russi, che con la politica non hanno niente a che fare, da considerare a rischio sanzioni.

Nella lista non figura Putin, stranamente, in quanto questa lista sarebbe, appunto, anti Putin. Si pensa sia un tentativo di minare la credibilità ed il prestigio del presidente in carica e candidato favorito alle prossime elezioni del 18 marzo, Valdimir Putin. Lo stesso Putin si è lamentato di ciò, dichiarando di non saperselo spiegare e che avrebbe, comunque, preferito di esservi stato incluso. Il commento è stato unanime, si tratterebbe di vera e propria dichiarazione di guerra alla Russia, da parte degli Stati Uniti d’America.

Ultime evoluzioni della guerra in Siria. La Turchia combatte contro la coalizione a guida USA.ultima modifica: 2018-02-01T16:02:16+01:00da Artalek

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