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Post n°458 pubblicato il 28 Gennaio 2014 da Zero.elevato.a.Zero
 

Shiai

Hai ragione, come sempre, è il caso di non trattenere parole e raccontare quello che è, senza omissioni. Ho pensieri che non so se definire pesanti, sono senza dubbio contrari e lontani dalle nuvole che spesso mi rapiscono al cielo.
Succede che di certe cose si prende coscienza gradualmente e in modo poco cosciente, poi avviene un momento catalizzatore che mette assieme le sillabe del rebus e trasforma fonemi balbettanti in parole che formano frasi di senso compiuto, da comprendere ed accettare all’improvviso, come una luce addensata quando diventa massa.
Nella bellissima Domenica appena trascorsa, percorrendo ancora una volta la Via della Spada, ho incontrato gli amici che dividono questa passione, questo sentiero della vita. Una splendida iniziativa nata dal cuore quella di riunire periodicamente i Dojo vicini con la scusa di fare una gara in amicizia e poi stare un poco assieme per conoscerci meglio.
Già, le gare mi piacciono poco ormai, da ragazzo non era così, ma penso che il confronto agonistico abbia il suo tempo come c’è un tempo per ogni altra cosa o azione, proprio come ammonisce il Qoelet.
La gara ha il suo stimolo importante, per un tempo limitato devi riuscire a dare il tuo meglio, a concentrarlo per farlo diventare essenza ed immagine della tua pratica, della cifra che racchiude il tuo modo di essere.
Quello specchio mirabile che è la interpretazione della spada mette ogni volta di fronte all'osservazione della propria anima, ecco perché Domenica, tornando a casa felice dell’armonia percepita, soppesavo però le emozioni e le sensazioni vissute sotto al casco, con quella visione tra la barre metalliche che accentuano la messa a fuoco verso l’infinito, quello che si pone ben oltre la montagna.
Questi pensieri assieme alle immagini scattate a ricordo dell’attimo che passa, mi raccontano che il mio progredire si sta fermando, che le ore sudate nell’allenamento non portano miglioramenti e che i difetti, quelli per lo meno dei quali ho preso coscienza, tornano a riemergere prepotenti con la loro schiuma maleolente tra le acque che avrei voluto trasparenti e profumate di salmastro.
Il Kendo è solo un aforisma della mia vita, mi scopro di fronte al suo riflesso marchiato dalla piaga pestilenziale del desiderio che coltivo in segreto, quello di poter fermare le cose, evitando le novità e soffrendo i cambiamenti: che siano le tende della cucina cui non riesco ad abituarmi, o le regole e le attitudini di una disciplina marziale quando si contamina dando importanza primaria al confronto agonistico, sono fili gemelli della stessa colpevole attitudine; questo fare impedisce in concreto al nuovo di sopravvenire, perfino a quello che costituisce miglioramento ed io mi sento come un albero che ha smesso di crescere.
Ecco perché anche durante il breve girare delle lancette, per quei cinque minuti che sono la durata di un incontro, non ho vissuto come speravo la tensione verso il meglio, ma la consapevole constatazione che i miei schemi mentali le mie azioni conseguenti non erano libere, semmai schiave dell’abitudine e della riluttanza a farsi acqua rimanendo roccia. Un andamento Yang con poco rispetto per la componente opposta, così femminile e preziosa alla vita.
Allora oggi sono qui tra queste righe, dopo avere bevuto l’acqua di un verità che non disseta, ma lascia un sapore amaro, consapevole in modo confuso, ma convinto, che l’unica strada possibile sia modificare anche di poco atteggiamento, perché di cambiare non sono capace.
Mi tornano alla mente le parole mutuate da un film pervaso di pensieri giapponesi, quando attraverso la preparazione di un piatto popolare come il Ramen, la saggezza atavica di una cuoca che, nutrendo attraverso la ricetta non solo il corpo ma anche lo spirito, esorta a svuotare la mente dai troppi rumori ed agire con il cuore, considerando ogni azione un dono da porgere, col sorriso o con le lacrime non importa, purché in modo sincero. Allo stesso modo vorrei provare da questo punto a porgere la mia pratica sempre più imperfetta, almeno con lo scopo di darle una scorza migliore aiutando gli altri nell'allenamento, nel tentativo che inabile a migliorare personalemente, io possa portare nutrimento ad altre anime, nel senso più vero della parola "offrire": mettere di fronte. 

Onegai shimasu

 
 
 
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