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Incontro con un maestro

Post n°261 pubblicato il 04 Marzo 2010 da Zero.elevato.a.Zero
 

Lorenzo_Zago

Ho iniziato questo blog pensando all’Enso, il cerchio dello Zen, è un simbolo che ritrovo frequente nel mio sentire, la vita ha un ritmo e questo significa trovare spesso nuovi inizi che assomigliano solo in parte a quelli primitivi. Lo studio delle arti marziali, ma poi la comprensione delle cose in genere, la vedo come un’elicoide, si sale su una spirale che appartiene alla superficie di un cilindro, visto dall’alto è percorrere un cerchio, ma in realtà ad ogni passo si sale un poco, e l’orizzonte si allarga.
Nello scorso week end il mio dojo ha ospitato un raduno di Kendo, che ha visto una partecipazione numerosa oltre il previsto, una fratellanza che arricchisce la pratica e la rende più viva. Il merito va certamente della presenza di un grande maestro che ha offerto in maniera spontanea la sua arte e la condivisione della sua passione personale: Lorenzo Zago.
La mia riflessione oggi è dedicata a questo incontro, e alle sensazioni del contatto con lui.
La prima cosa che mi colpisce è la semplicità, tutto il suo vivere quotidiano e praticare Kendo sono una cosa sola, perfettamente fusa, così mi torna alla mente un antico adagio che dice Cha zen Ichi Mi (Il Thé e lo Zen sono una cosa unica) per lui basterebbe sostituire la parola Thé con Ken: la spada.
Il primo dei molti stupori, inevitabile prodromo a immediati squarci di illuminazione: ogni stage ha un filo conduttore che l’insegnante anticipa prima di iniziare e poi sviluppa con concetti, esercizi e molte critiche costruttive durante l’applicazione da parte dei partecipanti.
Il tema che propone consiste nell’analisi dei quattro principi del Budo, gli stessi che avevo fatto miei e raccontati nel post che precede, un destino inevitabile io credo, assieme alla sensazione di un’arsura che sta per essere saziata. Io non so esprimere un parere sulle premonizioni, non riesco a scriverne le equazioni non possedendone le condizioni al contorno, ma le accetto come un fenomeno che incrocia, neanche troppo raramente, la mia vita.
Il ritmo dello stage aumenta progressivamente, nel maggiore impegno cerco il vuoto, praticare genera grande rumore, urla belluine anticipano lo scontro degli shinai, quando il piede batte per terra così da conferire maggiore efficacia al colpo, il frastuono è tale che la fine degli esercizi è sancita con un fischietto da arbitro per poter sentire il comando.
Indossato il casco però il mio mondo diventa ovattato, la vista laterale è estremamente limitata, di fronte la visione è divisa da una ringhiera di metallo che trasforma il restante mondo visibile in strisce sottili, il resto è la percezione allargata, dove io trovo il mio deserto, alla ricerca della mente svuotata.
La parte conclusiva dell’allenamento è dedicata al combattimento libero, nel quale paradossalmente si utilizzano strumenti di morte per arrivare a conoscere le sensazioni più intime della vitalità di una persona: diventa possibile dal contatto tramite canne di bambù leggergli coraggio, timidezza, paura, incertezza o, con i grandi maestri, non riuscire a leggere niente, come se su un foglio scritto ad inchiostro passasse un velo d’acqua ad offuscare il corsivo.
Di fronte a questo specchio di pensieri hai a disposizione solo il tuo riflesso, che è quello più vero dentro di te, quello tanto difficile da voler mettere a fuoco e da accettare. Tanto penoso da far risaltare difetti e contraddizioni da superare nella lotta fondamentale, quella con te stesso.
Associo questa sensazione allo spirito della Quaresima, la sento come un vento sabbioso che scarnifica lasciando ossa lucide: l’essenza, il Kokoro. Il tutto attraverso la fatica ed il sudore che eliminano le scorie: è come un rito di purificazione simile a quello dei  nativi americani. Queste emozioni sono la preparazione ad un passaggio, quello tra la vita vissuta e quella nuova, arricchita della comprensione che si accende di luci più vigorose e nitide, che colma, al termine della meditazione conclusiva, di un momento di beatitudine, vicino alla totale serenità dell’anima.
Da questo ne esco capace solo di un’ultima parola di ringraziamento:
Domo arigato gozaimashita, Zago Sama!

 
 
 
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