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Gloriosa spazzatura

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Kate Bush, 'Lily'

Post n°31 pubblicato il 02 Febbraio 2008 da fattodiniente

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È abbastanza noto il fatto che il rock è un universo prevalentemente, o quantomeno largamente maschile. La gran parte degli artisti rock sono uomini, a dispetto del fatto che – soprattutto negli ultimi anni – gli appassionati del genere si dividono abbastanza equamente nei due sessi.
Non ho mai trovato una spiegazione soddisfacente di questo fatto, e di sicuro non ce l’ho io, però è così. Il che è strano, visto che per sua natura il linguaggio del pop è per definizione coniugabile con ogni altra forma musicale, e quindi più si presta ad ogni forma di declinazione e sperimentazione. Ma le donne nel rock restano una minoranza discretamente sparuta.
Ok, questo vale ancora praticamente per ogni aspetto della vita pubblica, sociale e lavorativa, e non sono il più qualificato a stabilire quanto e come le cose siano cambiate negli ultimi anni, e quanto ancora stiano cambiando. Quel che so, è che la metafisica del lavoro, che è poi il mondo della Tecnica, ruota attorno al modello tradizionale con una precisa e rigida suddivisione dei ruoli, e non è un caso che i fautori del liberismo classico siano anche strenui e convinti difensori della famiglia tradizionale, considerata come “naturale”. E questo modello penalizza la libertà individuale e la possibilità di scelte – individuali, sociali, politiche, economiche – diverse. Non credo sia una spiegazione diretta della penuria di artisti donne nel rock, ma certo anche nel rock si parla di “carriera”, da costruire, perseguire, difendere: e il rock, come ogni altra attività, è anche, almeno per il 50%, una faccenda economica. Del resto, la percentuale di artisti che sacrificano la carriera alle scelte familiari è inversamente proporzionale alla suddivisione assoluta uomini/donne; dove evidentemente non è sbagliata la scelta, quanto il fatto che sia necessario farla. E ovviamente è così in qualunque campo, solo che in quello artistico (e magari sportivo) la cosa semplicemente si nota.
Kate Bush è una che questa scelta l’ha fatta. E prima di fermarsi, nel 1992, ha pubblicato questo album, che è probabilmente il suo capolavoro – o almeno lo è per me, che la seguo dagli inizi e possiedo la sua intera discografia. E va detto che vedere un artista nel pieno della sua maturità espressiva fermarsi, qualche interrogativo lo pone. Tantopiù se lo si ritrova poi tredici anni dopo, con un altro album (Aerial) altrettanto straordinario. Cosa ci siamo persi?
E cosa ci perdiamo, quotidianamente, se la metà secca delle nostre migliori intelligenze sono in qualche costrette, o anche solo portate, alla stessa scelta? Si dice che le donne che sacrificano la vita familiare alla carriera finisco per ragionare e somigliare ad un uomo. Può essere. Ma non piacciono queste classificazioni, che mi sembrano tanto generalizzazioni, che come tutte le banalità nascondono un impensato che diventa così difficile assai da raggiungere. Magari bisognerebbe chiedere invece se la mentalità del mondo della Tecnica non sia figlia della mentalità maschile, o se quella che chiamiamo mentalità maschile non sia semplicemente l’epifania del mondo della Tecnica; probabilmente sono vere le due cose, che poi è un modo diverso di dire la cosa di prima: la mentalità occidentale (di questo si tratta alla fine) ha una genesi storica, e cristallizza un modello culturale antico e tradizionale.
Io davvero non lo so se un modello sociale ed econonico diverso sia possibile: certo occorrerebbe uno sforzo culturale epocale, e questi non sembrano tempi. A quanto preferiamo occuparci di sciocchezze filosofiche (non è ironico) come la biodiversità o il riscaldamento globale, che non portano da nessuna parte e fanno perdere completamente di vista il senso profondo del problema (e del malessere) occidentale.
Già, l’Occidente, la Terra della Sera… La Terra in cui metà del potenziale umano è sacrificato ad una metafisica che lo rende schiavo, e non sa rendersene conto. Anche per questo è probabilmente destinata a tramontare.

 
 
 
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