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Notizie dallo spazio

Post n°70 pubblicato il 13 Maggio 2020 da ellistar2012

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Il collasso diretto dei buchi

neri supermassicci

(Scott Woods, Western University) 

Questi oggetti estremi del cosmo erano presenti già nell'epoca

primordiale dell'universo: per spiegarne l'origine, un nuovo modello

prevede che si siano formati con un processo molto rapido, e non

dal collasso di stelle

Non c'è bisogno di una stella che collassa per avere un buco nero

supermassiccio.

E questo spiega perché questo tipo di oggetti potevano essere presenti

anche nell'epoca primordiale dell'universo.

Lo afferma un nuovo studio pubblicato sulle "Astrophysical Journal

Letters" da Shantanu Basu e Arpan Das della University of Western

Ontario, in Canada.

I buchi neri supermassicci sono una tipologia di buchi neri caratterizzata

da una massa molto elevata, che arriva a milioni o miliardi di volte la

massa del Sole.

Malgrado le loro caratteristiche estreme però non sono oggetti rari: si stima

che ogni galassia o quasi ospiti nel proprio nucleo un buco nero

supermassiccio.

Sulla loro origine non c'è accordo tra gli astrofisici.

Una prima ipotesi è che derivino dall'accrescimento di buchi neri di

dimensioni normali, che a loro volta sono l'esito ultimo del collasso di

stelle giunte al termine del loro ciclo vitale.

Quando infatti le reazioni di fusione nucleare all'interno della stella hanno

trasformato quasi tutto l'idrogeno in elio, la pressione di radiazione verso

l'esterno non è più in grado di contrastare la forza gravitazionale che agisce

in senso opposto, e tutta la massa tende a concentrarsi nel nucleo.

Altre ipotesi prevedono invece che i buchi neri supermassicci si formino

in seguito al collasso di particolari tipologie di stelle o di ammassi stellari.

Nell'ultimo decennio il panorama delle conoscenze su questo argomento si

è arricchito di numerose osservazioni di buchi neri supermassicci estremamente

lontani, che ci appaiono quindi com'erano poche centinaia di milioni di anni

dopo l'origine dell'universo.

Ciò depone a favore di una formazione molto rapida e diretta di questi oggetti.

Tenuto conto di questi dati, Basu e Das propongono ora nuovo modello di

formazione dei buchi neri supermassicci basato su un'idea di base molto

semplice: la loro origine è un collasso molto rapido.

"I buchi neri supermassicci hanno avuto solo un periodo di tempo breve

per formarsi e crescere, e a un certo punto la loro produzione nell'universo

è cessata", ha spiegato Basu. "È questo lo scenario del collasso diretto".

Le simulazioni al computer dei due autori mostrano che le osservazioni e

i dati sperimentali dei buchi neri supermassicci già presenti in un'epoca

primordiale dell'universo sono compatibili con un accrescimento esponenziale

del buco nero, che inizia la sua vita con una massa compresa tra 10.000

e 100.000 masse solari. (red)

 
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Nuove materie di studio.

Post n°69 pubblicato il 13 Maggio 2020 da ellistar2012

Fonte: Wikipedia

Meccanismi dell'epigenetica

L'epigenetica (dal greco ἐπί, epì, «sopra» e γεννητικός, gennetikòs,

«relativo all'eredità familiare») è una più recente branca della genetica

 che si occupa dei cambiamenti fenotipici ereditabili da una cellula o

un organismo, in cui non si osserva una variazione del genotipo.

È stata definita da Arthur Riggs e colleghi come "lo studio dei cambiamenti

mitotici e meiotici ereditabili che non possono essere spiegati tramite

modifiche della sequenza di DNA".

Quello che succede è che viene ereditata una sorta di "impronta" molecolare

sul genotipo che determina il grado di attivazione dei geni, la cui sequenza,

però, rimane identica.

Questa impronta molecolare consta di modificazioni covalenti della cromatina,

sia a livello del DNA che delle proteine, ed è pertanto duratura, ma può

essere reversibile.

Tali modificazioni, dette epimutazioni, durano per il resto della vita della

cellula e possono trasmettersi a generazioni successive delle cellule attraverso

le divisioni cellulari, senza tuttavia che le corrispondenti sequenze di DNA

siano mutate;sono quindi fattori non-genomici che provocano una diversa

espressione dei geni dell'organismo.

Fenomeni epigenetici sono ad esempio alla base della maggior parte dei

processi di differenziamento cellulare (e loro alterazione, quindi anche nel

cancro, dell'inattivazione del cromosoma X, e concorrono a una certa plasticità

fenotipica ereditabile in relazione a cambiamenti ambientali che ricorda

l'ereditarietà lamarckiana dei caratteri acquisiti.

Ad esempio, eventi molto stressanti possono lasciare un'impronta epigenetica

a livello della metilazione del DNA.

Tipologia

Tipi di modificazioni:modificazioni del DNA = addizione covalente di

gruppi a sequenze specifiche (metilazione della citosina) da parte delle 

metiltrasferasimodificazione delle proteine = addizione covalente di

gruppi a specifiche proteine della cromatina (modificazioni post-traduzionali 

degli istoni). Tra queste modificazioni vi sono acetilazione, metilazione,

ubiquitinazione, fosforilazione, sumoilazione, lattilazione

Questi processi alterano l'accessibilità alle regioni del genoma, sulle quali

si legano proteine e enzimi deputati all'espressione genica e quindi

alterano l'espressione del gene.

DNA associato con le proteine

istoniche per formare la cromatina.

Definizione

Il merito per avere coniato, nel 1942, il termine epigenetica, definita

come "la branca della biologia che studia le interazioni causali fra i

geni e il loro prodotto cellulare e pone in essere il fenotipo", viene

attribuito a Conrad Hal Waddington (1905-1975).

Alla metà del diciannovesimo secolo si trovano tracce dell'epigenetica

in letteratura.

Le sue origini concettuali risalgono tuttavia ad Aristotele (384-322 a.C.),

il quale credeva nell'epigenesi, ossia nello sviluppo di forme organiche

individuali a partire dal non formato.

Questa visione controversa è stata la prima argomentazione a opporsi al

concetto che l'essere umano si sviluppi da minuscoli corpi formati.

L'uso del termine nel linguaggio scientifico odierno si riferisce a tratti

ereditari a cui non corrispondono modifiche della sequenza del DNA.

Basi molecolari dell'epigenetica

Le basi molecolari dell'epigenetica sono complesse.

Si tratta di modifiche sull'attivazione di certi geni, ma non sulla loro

struttura di base del DNA.

Anche modifiche a carico delle proteinedella cromatina possono

influire sull'espressione di questi geni.

Questo spiega perché le cellule differenziate in un organismo pluricellulare

esprimono solo i geni necessari alla loro attività.

Se una mutazione del DNA riguarda uno spermatozoo o un ovulo che

viene fecondato, i cambiamenti epigenetici possono essere ereditati

dalla generazione successiva.

 Una questione che è stata sollevata è se i cambiamenti epigenetici in

un organismo possano alterare la struttura di base del suo DNA.

I ricercatori spiegano cosa avviene nei geni grazie agli studi fatti su

gemelli monozigoti: nascono con lo stesso patrimonio genetico, ma

crescendo si possono differenziare a causa dell'ambiente, dello stile

di vita, delle emozioni e delle sofferenze provate, che possono cambiare

l'espressione di alcuni geni, attivandoli o disattivandoli.

I cambiamenti epigenetici sono conservati quando le cellule si dividono

durante la vita di un organismo.

Specifici processi epigenetici sono paramutazioni, bookmarking, imprinting,

silenziamento genico, inattivazione del cromosoma Xeffetto posizione

riprogrammazione, transversione, effetti teratogeni, regolazione della

modificazione degli istoni e della eterocromatina.

La ricerca epigenetica utilizza una vasta gamma di tecniche di biologia

molecolare, tra cui immunoprecipitazione della cromatinaibridazione

fluorescente in situenzimi di restrizione sensibili alla metilazione.

L'uso di metodi di bioinformatica gioca un ruolo sempre più importante

(epigenetica computazionale).

Effetti epigenetici nell'uomoImprinting genomico e relativi disordini

Diversi disturbi sono associati all'imprinting genetico, un fenomeno

caratteristico dei mammiferi dove il padre e la madre sviluppano diversi

modelli epigenetici per specifici loci genici nelle loro cellule germinali,

che vengono poi trasferiti alla progenie.

I casi maggiormente conosciuti di disturbi nell'uomo e dovuti a imprinting

genomici sono la sindrome di Angelman e la sindrome di Prader-Willi;

entrambe possono essere dovute alla stessa mutazione genetica, cioè parzial

e delezione del braccio lungo del cromosoma 15, e la sindrome che il bambino

svilupperà dipende dal fatto che abbia ereditato la mutazione dal padre o

dalla madre

Osservazioni epigenetiche trans generazionali

Marcus Pembrey e colleghi osservarono nello studio "Overkalis", che i nipoti

dei nonni paterni degli uomini svedesi, esposti durante la preadolescenza alla

carestia del diciannovesimo secolo, avevano meno probabilità di morire di

malattie cardiovascolari; se il cibo era stato abbondante allora la mortalità

causata dal diabete nei nipoti aumentava, suggerendo che ciò fosse dovuto ad

un'eredità epigenetica trans generazionale. L'effetto opposto si osservò per le

femmine: le nipoti dei nonni paterni che subirono la carestia in grembo

(e quindi quando le cellule riproduttive erano già formate) avevano vita

più corta della media.

Tumori e anormalità dello sviluppo

Una varietà di composti sono considerati carcinogeni epigenetici; essi

danno luogo ad un incremento dell'incidenza dei tumori, ma non mostrano

attività mutagena.

Tra questi componenti possiamo citare dietilstilbestrolo, arsenite,

exaclorobenzene e composti contenenti nichel. Molti teratogeni hanno effetti

specifici sul feto tramite meccanismi epigenetici.

Epigenetica e spermatogenesi

La spermatogenesi è un complesso processo che include la auto rigenerazione

degli spermatogoni attraverso la mitosi, segue la fase meiotica dove gli spermatociti

passano alla forma aploide di spermatidi i quali vanno incontro spermiogenesi e

si trasformano in spermatozoi.

I meccanismi epigenetici avvengono sia a livello delle cellule primordiali germinali (

PGC), degli spermatogoni, nel rimodellamento della cromatina durante la meiosi.

Di conseguenza le cellule germinali maschili sono particolarmente sensibili ai

difetti epigenetici.

Un ruolo particolarmente importante nella regolazione epigenetica durante la

spermatogenesi è svolto da microRNA e dal processo di metilazione del DNA.

È stato dimostrato che i miRNA sono coinvolti nei processi mitotici meiotici e

post meiotici andando ad inibire l'espressione di geni target; mentre utilizzando

un agente demetilante la 5 -aza-2'deoxycytidine, sono state individuate aberrati

cellule germinali maschile sviluppate in maschi con ridotta fertilità.

Quindi la comprensione della regolazione epigenetica nella spermatogenesi è

importante per la terapia contro l'infertilità maschile e per lo sviluppo di nuovi

approcci per la contraccezione maschile.

Funzioni e conseguenzeSviluppo

L'eredità epigenetica somatica, in particolare attraverso la metilazione del DNA

e il rimodellamento della cromatina, è molto importante nello sviluppo di organismi

eucarioti pluricellulari.

La sequenza del genoma è statica (con alcune notevoli eccezioni), ma le cellule

si differenziano in molti tipi cellulari diversi, che svolgono funzioni diverse e

rispondono in modo diverso all'ambiente e ai segnali intercellulari.

Così, come gli individui si sviluppano, la morfogenesi attiva o silenzia i geni

in modo ereditato epigeneticamente, dando alle cellule una sorta di memoria.

Nei mammiferi, la maggior parte delle cellule sono differenziate in modo

definitivo, solo le cellule staminali mantengono la possibilità di differenziarsi in

diversi tipi cellulari ("totipotenza" e "multipotenza").

Queste staminali continuano a produrre nuove cellule differenziate per tutta la

vita, ma i mammiferi non sono in grado di reagire alla perdita di alcuni tessuti

(ad esempio l'incapacità di rigenerare gli arti, cosa che altri animali sono capaci

di fare).

A differenza di quelle animali, le cellule vegetali non sono differenziate in modo

definitivo, ma rimangono totipotenti, con la capacità di dare origine ad una

nuova singola pianta.

Le piante utilizzano molti degli stessi meccanismi epigenetici degli animali,

come il rimodellamento della cromatina, ma è stato ipotizzato che queste non

abbiano "memoria", azzerando i loro modelli di espressione genica a ogni divisione

cellulare e utilizzando le informazioni provenienti dall'ambiente e dalle cellule

circostanti per determinare il loro destino.

Medicina

L'epigenetica ha molte e varie potenziali applicazioni mediche, in quanto tende

ad essere multidimensionale in natura.

Le malattie genetiche congenite sono ben conosciute ed è anche chiaro il ruolo

che può avere l'epigenetica in esse, per esempio nel caso della sindrome di Angelman

 e di Prader-Willi.

Si tratta di normali malattie genetiche causate dalla delezione o inattivazione dei geni,

ma sono insolitamente comuni perché gli individui sono essenzialmente emizigoti a

causa dell'imprinting genomico: un singolo gene knock out è sufficiente a provocare

la malattia, la quale nella maggior parte dei casi richiederebbe che entrambe le

copie fossero knocked out.

Evoluzione

Anche se l'epigenetica negli organismi pluricellulari è ritenuta generalmente un

meccanismo coinvolto nella differenziazione, con pattern epigenetici "reset",

quando gli organismi si riproducono, ci sono state alcune osservazioni di eredità

epigenetica transgenerazionale (ad esempio, il fenomeno della paramutazione

osservato nel mais).

Sebbene la maggior parte di questi tratti epigenetici multigenerazionali vengano

progressivamente persi nell'arco di più generazioni, rimane la possibilità che

l'epigenetica multigenerazionale possa essere un altro aspetto dell'evoluzione

e dell'adattamento darwiniano.

La barriera di Weismann è specifica per gli animali, e l'ereditarietà epigenetica

dovrebbe essere molto più comune nelle piante e nei microbi.

I tratti epigenetici svolgono un ruolo nell'adattamento a breve termine delle specie,

consentendo una variabilità fenotipica reversibile per rispondere a fattori stressanti

indotti dall'ambiente.

La modifica delle caratteristiche epigenetiche associate a una regione del DNA

consente agli organismi, in una scala temporale di più generazioni, di passare da

fenotipi che esprimono quel particolare gene a fenotipi che non lo esprimono e viceversa

.Quando la sequenza del DNA della regione non è mutato, questa modifica è reversibile.

È stato anche ipotizzato che gli organismi possano usufruire di tassi di mutazione

differenziale associati alle caratteristiche epigenetiche per controllare la velocità

di mutazione di geni particolari.

 Analisi recenti hanno suggerito che i membri della famiglia delle citosina deaminasi

APOBEC/AID sono in grado di mediare contemporaneamente le eredità genetiche

ed epigenetiche utilizzando analoghi meccanismi molecolari.

Si è osservato che i cambiamenti epigenetici possono anche verificarsi in risposta ad

esposizioni ambientali; ad esempio topi trattati con alcuni integratori alimentari

mostrano cambiamenti epigenetici che interessano l'espressione del gene Agouti

, riguardante il colore della pelliccia, il peso e la propensione a sviluppare il cancro.

Sono stati riportati più di 100 casi di fenomeni di eredità epigenetica

transgenerazionale in una vasta gamma di organismi, tra procariotipiante

 e animali.

 
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Altri metodi di indagine sul Coronavirus.

Post n°68 pubblicato il 13 Maggio 2020 da ellistar2012

Fonte: articolo riportato dall'Internet

IL VIRUS STUDIATO CON L'EPIGENETICA

La Natura è anche nella pandemia di Coronavirus

a cura della Prof.ssa Luciana Riccio (*)

Sono fermamente convinta che mai, come in questo momento,

abbiamo bisogno di un pensiero differente, che ci aiuti a capire

un po' di più quello che sta succedendo, la pandemia di Coronavirus

è come un meteorite che ci è caduto addosso senza darci il tempo di

avere consapevolezza del pericolo.

Non c'è bisogno neanche di presentarlo, perché è il protagonista

indiscusso degli ultimi 2-3 mesi, non si parla che di lui e si vive in sua

funzione.

Si tratta del nuovo Coronavirus, definito più correttamente SARS-CoV-2.

Sappiamo - o pensiamo di sapere - tutto di lui, bombardati come siamo

da media, televisioni, social che ce lo propongono in tutte le salse, dalla

versione politicamente corretta dei virologi, infettivologi ed epidemiologi

"ufficiali", a quella da spy story di un virus creato artificialmente in laboratorio

come arma chimica.

In realtà si è detto tutto e il contrario di tutto, ed è comprensibile cambiare

opinione in base al decorso di una pandemia fino a ora sconosciuta; ma

un'analisi va fatta, soprattutto per proteggerci da altre epidemie o disastri

ambientali da cui non saremo mai immuni.

La centralità della scienza

Non è questo il momento del politicamente corretto, perché ne va del nostro

futuro, ma è il momento di capire quale debba essere il contributo della

scienza che mai, come in questo momento, ha bisogno di essere ridefinita,

perché la scienza è tale se si mette continuamente in discussione; altrimenti

parliamo di religione o, più in generale, di dogma.

Affermare che la scienza non è democratica, vuol dire non capire la ricchezza

e la complessità del processo scientifico, così come l'attività di divulgazione

non deve essere un processo cattedratico, con atteggiamenti presuntuosi.

È opportuno ascoltare il parere di più esperti per avere un quadro più ampio

della situazione.

Il virologo prof. Giulio Tarro, per esempio, sostiene che con il caldo il virus

dovrebbe scomparire.

Su questo ho (e non solo io) dei dubbi, tenuto conto dei focolai che si stanno

manifestando in Africa e dell'epidemia di MERS-CoV (virus della stessa famiglia

di coronavirus del SARS-CoV-2) nata in Paesi caldi, anche se è plausibile che

il virus si diffonda meglio in spazi chiusi, in ambienti freddi e umidi con poca

ventilazione.

Il professore sostiene anche che usare come vaccino naturale gli anticorpi di quelli

che non si sono ammalati nonostante il virus (e i guariti), tramite infusione di plasma,

sia una buona soluzione, peraltro sperimentata anche in Italia.

Sempre secondo il prof. Tarro il virus avrebbe trovato terreno favorevole nella

pianura padana a causa dell'elevato tasso di polveri sottili (PM 10), particelle

inquinanti, la cui presenza accumuna tale zona italiana a Wuhan.

Per molti studiosi, l'alta concentrazione di particolato nell'atmosfera della Lombardia

potrebbe aver contribuito alla diffusione del Covid-19.

Potrebbe trattarsi di un virus "lombardo"?

Devo dire che potrebbe non avere tutti i torti, perché sappiamo quanto conti

l'ambiente per gli esseri viventi, virus compresi: insomma è una questione

di Epigenetica...

L'Epigenetica è la nuova frontiera della genetica che non tratta le caratteristiche

genetiche (siamo alti o bassi, abbiamo gli occhi azzurri o neri in base ai nostri

genitori), bensì studia le modificazioni del DNA (o RNA) dovute a fattori ambientali,

nutrizionali e anche comportamentali che si verificano quando delle molecole -

contenute per esempio nel cibo o in agenti inquinanti - silenziano o attivano un

particolare gene, modificando il modo in cui si esprime.

Il "nostro" virus è a RNA (una macromolecola che contiene l'informazione genetica

come fa il DNA, anche se ha una struttura meno complessa) e, forse, le primordiali

forme di vita si basavano esclusivamente sull'RNA.

Nei virus, come negli esseri umani, si possono verificare mutazioni epigenetiche,

ovvero mutazioni che non incidono sulla sequenza genica ma, nel caso specifico,

sulla struttura dell'RNA. 

Queste mutazioni possono essere indotte anche da fattori ambientali e qui si

apre un nuovo capitolo...

L'impatto che abbiamo sul Pianeta

Aggressività e pericolosità dei virus a RNA sono regolate da fattori epigenetici,

cioè dalla presenza di particolari molecole che regolano l'espressione genica,

agganciandosi ai filamenti dell'RNA.

La più importante di queste è la N6-Metiladenosina, che nell'organismo umano

prende parte a diversi processi biologici, tra cui le risposte a stress, fertilità,

ritmi circadiani e sviluppo del cancro.

Inserendo mutazioni che inattivano l'azione dell'N6-metiladenosina in pezzi

di RNA, i ricercatori hanno scoperto che viene rallentata l'infezione virale.

Lo studio è stato effettuato da un gruppo di ricercatori statunitensi sui virus

dell'epatite C e di Zika. Perché, quindi, il principio non potrebbe essere

valido anche per gli altri virus a RNA, compreso il coronavirus SARS-CoV-2?

 E poi - se vogliamo dirla tutta - i virus, anche se non hanno vita autonoma e

hanno bisogno di un organismo per replicarsi, sono "intelligenti", se non

altro perché fanno parte dell'ecosistema naturale.

Perché, allora, non dovrebbero modulare la loro moltiplicazione per mantenere

l'infezione sotto controllo, in modo da non scatenare una massiccia risposta

immunitaria che può ucciderli?

Quindi, se vogliamo essere ottimisti, dobbiamo ascoltare il Prof. Isaac Ben

Israel, che ci dice che il ciclo epidemico della SARS-CoV-2 è di 70 giorni,

ovvero il virus raggiunge il picco di contagio entro 4-6 settimane per poi

cominciare una fase discendente che si concluderebbe intorno all'ottava-nona

settimana.

Quindi, secondo il professore, il lock-down protratto a lungo potrebbe servire

a poco. Da questo punto di vista bisogna andare con i piedi di piombo,

perché, di fatto, le misure restrittive hanno contenuto il diffondersi della

pandemia e non sappiamo veramente quali siano le "intenzioni" del virus

anche se, tutto sommato, non gli "converrebbe" attivare nostro sistema

immunitario per un periodo troppo lungo.

Per concludere, una gustosa curiosità...

Nel 2000 a Gulu, un villaggio sulle rive del fiume Ivindo, nel Gabon, nel

corso di un'epidemia di Ebola, gli abitanti hanno applicato delle regole

che nulla hanno a che invidiare al nostro lock-down.

È stato imposto l'isolamento dei pazienti in una casa speciale e distante dalle

altre, i guariti dovevano curare gli ammalati (importanza dell'immunità!), gli

spostamenti tra un villaggio e l'altro erano limitati, non si dovevano avere

contatti sessuali con i contagiati, erano sospesi i funerali e le danze rituali.

Anche questi comportamenti hanno contribuito a far cessare l'epidemia.

In ogni caso, non dimentichiamo mai che il "nostro" coronavirus segue

anch'esso le leggi della Natura, perché fa parte di essa.

(*) Vive e lavora a Latina come Medico Anestesista-Rianimatore. Insegna

Fisioterapia alla Facoltà di Medicina e Farmacia dell'Università

"Sapienza" di Roma e ha un Master in Giornalismo e Comunicazione

Istituzionale della Scienza. È autrice del saggio sull'epigenetica dal titolo

"Viaggio al Centro della Vita alla ricerca della Mutazione K",

edito da Go Ware.

 
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I virus dallo spazio?

Post n°67 pubblicato il 13 Maggio 2020 da ellistar2012

Fonte: articolo riportato dall'Internet

ASTRONAUTI AMMALATII virus si propagano anche nello Spazio?

(Image: © NASA)

LUCA SERAFINI

Che cosa accadrebbe se il coronavirus si diffondesse

in una navicella della NASA? Affronta l'argomento

un interessante articolo scientifico di Chelsea Gohd,

"Getting sick in space: How would NASA handle an

astronaut disease outbreak?" (Ammalarsi nello Spazio:

come affronterebbe la NASA il caso di un astronauta

che si ammala?) pubblicato su Space.com.

Nella foto di apertura: Gli astronauti della Expedition

62 all'interno di una navicella di rifornimento SpaceX

Dragon CRS-20 in visita alla Stazione Spaziale Internazionale.

Le maschere che indossano servono a proteggere da

particelle e sostanze irritanti che potrebbero essersi

staccate all'interno del Dragon durante il volo.

(Image: © NASA)

Ammalarsi nello Spazio: le risposte della NASA

«In rare occasioni nel corso della storia dei voli spaziali

è successo che gli astronauti si siano ammalati durante

la loro permanenza nello Spazio. 

Mentre erano in orbita, alcuni di loro hanno sofferto di

infezioni delle vie respiratorie superiori o di raffreddori,

infezioni del tratto urinario e infezioni della pelle» ha

detto a Space.com Jonathan Clark, ex medico

dell'equipaggio del programma Space Shuttle della NASA

e attuale professore associato di neurologia e medicina

spaziale presso il Center for Space Medicine del Baylor

College of Medicine.

Durante la missione Apollo 7, nel 1968, l'equipaggio

prese il raffreddore e il fatto ebbe un impatto significativo

sul programma.

Molto probabilmente il comandante Wally Schirra salì a

bordo con un leggero raffreddore e lo diffuse agli altri

membri dell'equipaggio.

Gli astronauti finirono i medicinali presenti a bordo e

i fazzoletti... e hanno avuto problemi a indossare il

casco durante il rientro nell'atmosfera terrestre.

Analoghi casi di raffreddore si sono registrati tra gli

astronauti di Apollo 8 e Apollo 9.

Quarantena pre-volo

A seguito di queste esperienze, la NASA ha introdotto

nella pianificazione delle missioni una quarantena pre-volo

per gli equipaggi delle navicelle spaziali.

Inoltre, ha cominciato a studiare degli scenari più complessi.

Per esempio, potrà succedere in futuro che gli equipaggi

di missioni spaziali debbano combattere malattie ben più

gravi e in ambienti potenzialmente più difficili, per esempio

sulla base lunare del programma Artemis.

Il nostro astronauta Luca Parmitano (European Space Agency)

all'opera durante lo studio delle possibili cause di patologie

neurodegenerative, come il morbo di Alzheimer.

Parmitano sta esaminando campioni di proteine per la forma-

zione di amiloidi che differiscono dai campioni osservati sulla

Terra.

I risultati possono suggerire terapie preventive per la popolazione

sulla Terra e gli astronauti in missioni a lungo termine.

(Image: © NASA)

Per quanto riguarda le emergenze mediche, gli astronauti sono

stati finora curati a distanza all'assistenza medica a terra, grazie

alle crescenti capacità di comunicazione.

Per esempio, i medici del Centro di Controllo sono stati in grado

di trattare un astronauta che ha subito un coagulo di sangue

mentre era a bordo della stazione spaziale.

Come cambiano virus e batteri nello Spazio

I modi in cui le infezioni si diffondono e come si comportano i

virus e le malattie nel corpo cambiano quando gli esseri umani

vanno nello spazio.

A causa dello stress fisico in un ambiente confinato senza la

gravità, anche le malattie banali come il raffreddore possono

assumere un aspetto diverso per gli astronauti.

I cambiamenti nei livelli degli ormoni dello stress e altre

ripercussioni fisiche del volo spaziale causano un cambiamento

del sistema immunitario.

Mentre un astronauta potrebbe avere un buon sistema

immunitario sulla Terra, potrebbe essere più suscettibile a

malattie o addirittura a reazioni allergiche mentre è nello

Spazio.

Il dott. Clark ha spiegato che virus come l'influenza o il

COVID19 potrebbero essere trasmessi più facilmente in

un ambiente a microgravità, come sulla Stazione Spaziale

Internazionale: «L'assenza di gravità impedisce alle particelle

di depositarsi, quindi rimangono sospese nell'aria e

potrebbero essere trasmesse più facilmente.

Per evitare questo, i compartimenti sono ventilati e il

sistema di areazione è dotato di filtri HEPA che rimuovono

le particelle».

Il risveglio dei virus dormienti

Gli scienziati hanno scoperto che i virus dormienti reagiscono

alle sollecitazioni del volo spaziale.

È stato accertato che virus come l'Herpes Simplex si riattivano

durante il volo spaziale.

Inoltre, gli studi in corso hanno ipotizzato che una maggiore

virulenza batterica nello spazio possa rendere meno efficaci i

trattamenti antibiotici.

Per questo, in particolare nel caso di missioni extra-planetarie,

l'equipaggio verrebbe messo in quarantena al ritorno sulla

Terra, proprio come avveniva nelle missioni di ritorno

dalla Luna.

L'astronauta della NASA Nicole Mann in esercitazione

all'interno del modello di navicella Orion, allo Johnson

Space Center della NASA a Houston, Texas.

(NASA/Bill Ingalls)

 
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Nuove notizie sul Coronavirus

Post n°66 pubblicato il 13 Maggio 2020 da ellistar2012

Fonte: articolo riportato dall'Internet
Coronavirus, era già tutto scritto
Armando Gariboldi

Èormai da settimane l'argomento di apertura di tutti i notiziari

e delle prime pagine dei giornali: il nuovo Coronavirus (2019-nCoV),

il letale morbo proveniente dalla Cina autore della nuova pandemia

di questo inizio di anni Venti del terzo millennio.

I coronavirus sono una grande famiglia di virus che possono causare

diverse infezioni, dal comune raffreddore a malattie più gravi come

la sindrome respiratoria del Medio Oriente (MERS) e la sindrome

respiratoria acuta grave (SARS).

Il "salto" di specie
Spesso questi ceppi virali si selezionano e vivono all'interno di varie

specie animali, senza contaminare l'uomo.

Tuttavia in alcuni casi possono comparire nuovi virus che, precedentemente

circolanti solo nel mondo animale, ad un certo momento subiscono una muta-

zione e diventano patogeni anche per la nostra specie.

È un fenomeno ben noto (chiamato spill-over o salto di specie) e si pensa

che possa essere alla base anche dell'origine di quest'ultimo coronavirus

proveniente dalla Cina.

Al momento la comunità scientifica sta ancora cercando di identificare con

sicurezza la fonte dell'infezione: si parla di pipistrelli, di serpenti ed anche

di una specie di pangolino.

Fatto sta che sembrerebbe che i primi focolai si siano sviluppati nel grande

mercato del bestiame della città di Wuhan, capoluogo e città più popolosa

della provincia di Hubei, alla confluenza del Fiume Azzurro e del fiume

Han (e quindi in un punto geograficamente già predisposto alla diffusione

ed agli scambi).

Evento previsto anni fa, seguendo i cacciatori di virus

Questo fatto che oggi sta allarmando l'opinione pubblica mondiale e che

viene dipinto come uno sfortunato evento eccezionale, in realtà era stato

ampiamente previsto, con impressionante precisione e dovizia di particolari,

sin dal 2012 dal giornalista e divulgatore scientifico David Quammen,

collaboratore del National Geographic.

Infatti nel suo libro "Spillover", ora pubblicato anche in italiano da Adelphi,

Quammen aveva previsto tutto, compreso il fatto che la "prossima pandemia"

sarebbe partita da un mercato del sud della Cina. Ma Quammen non è un

indovino: è solo un abile cronista che ha indagato con straordinaria efficacia

tra gli squilibri a cui abbiamo costretto il pianeta Terra, dedicandosi in

particolare al lavoro, spesso oscuro, dei "cacciatori di virus".

Con il fiato sospeso per capire il meccanismo di diffusione

Scrive Quammen: «Non vengono da un altro pianeta e non nascono

dal nulla.

I responsabili della prossima pandemia sono già tra noi, sono virus che

oggi colpiscono gli animali, ma che potrebbero da un momento all'altro

fare un salto di specie - uno spillover in gergo tecnico - e colpire anche

gli esseri umani...».

Il libro è unico nel suo genere e davvero attualissimo: un misto tra un

saggio sulla storia della medicina ed un reportage, è stato scritto in sei

anni di lavoro nei quali l'autore ha seguito gli scienziati al lavoro nelle

foreste congolesi, nelle fattorie australiane e nei mercati delle affollate

città cinesi.

Quammen ha intervistato centinaia di testimoni, medici e sopravvissuti,

ha investigato e raccontato con stile quasi da poliziesco la corsa alla

comprensione dei meccanismi delle malattie.

E tra le pagine più avventurose, che tengono il lettore con il fiato sospeso

come quelle di un romanzo noir, è riuscito a cogliere la preoccupante

peculiarità di queste malattie.

Ovvero la continua ricerca, da parte di organismi estremamente adattabili

e resistenti quali sono i virus, di un nuovo equilibrio per poter sopravvivere.

L'uomo come "ospite perfetto"

Un nuovo efficace equilibrio tra gli squilibri causati dall'Uomo, che

stermina direttamente o indirettamente intere popolazioni di virus e

che di fatto li obbliga a cercare freneticamente nuove possibilità di

sopravvivenza tra le alterazioni degli ecosistemi indotte dall'azione

antropogenica!

Ovvero il virus fa ciò che fa per necessità di sopravvivenza.

E la scelta della specie umana come nuovo ospite è quasi ovvia: è un

mammifero (ideale portatore), appartenente alla specie più popolosa e

diffusa del Pianeta (che tra l'altro mangia altri animali di diverse specie),

si muove molto e ovunque (e quindi facilita la diffusione del virus) ed è

a stretto contatto con molte specie animali sia domestiche sia selvatiche,

anche a causa della distruzione e trasformazione degli habitat.

Insomma gli spillover o salti di specie di patogeni ci sono sempre stati

e continueranno ad esserci.

Non tutti diventeranno per fortuna pandemie, ma ancora una volta, la loro

letalità potenziale e la loro velocità di diffusione non saranno frutto del caso.

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