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Fonte: articolo riportato dall'Internet
Il collasso diretto dei buchi
neri supermassicci
(Scott Woods, Western University)
Questi oggetti estremi del cosmo erano presenti già nell'epoca
primordiale dell'universo: per spiegarne l'origine, un nuovo modello
prevede che si siano formati con un processo molto rapido, e non
dal collasso di stelle
Non c'è bisogno di una stella che collassa per avere un buco nero
supermassiccio.
E questo spiega perché questo tipo di oggetti potevano essere presenti
anche nell'epoca primordiale dell'universo.
Lo afferma un nuovo studio pubblicato sulle "Astrophysical Journal
Letters" da Shantanu Basu e Arpan Das della University of Western
Ontario, in Canada.
I buchi neri supermassicci sono una tipologia di buchi neri caratterizzata
da una massa molto elevata, che arriva a milioni o miliardi di volte la
massa del Sole.
Malgrado le loro caratteristiche estreme però non sono oggetti rari: si stima
che ogni galassia o quasi ospiti nel proprio nucleo un buco nero
supermassiccio.
Sulla loro origine non c'è accordo tra gli astrofisici.
Una prima ipotesi è che derivino dall'accrescimento di buchi neri di
dimensioni normali, che a loro volta sono l'esito ultimo del collasso di
stelle giunte al termine del loro ciclo vitale.
Quando infatti le reazioni di fusione nucleare all'interno della stella hanno
trasformato quasi tutto l'idrogeno in elio, la pressione di radiazione verso
l'esterno non è più in grado di contrastare la forza gravitazionale che agisce
in senso opposto, e tutta la massa tende a concentrarsi nel nucleo.
Altre ipotesi prevedono invece che i buchi neri supermassicci si formino
in seguito al collasso di particolari tipologie di stelle o di ammassi stellari.
Nell'ultimo decennio il panorama delle conoscenze su questo argomento si
è arricchito di numerose osservazioni di buchi neri supermassicci estremamente
lontani, che ci appaiono quindi com'erano poche centinaia di milioni di anni
dopo l'origine dell'universo.
Ciò depone a favore di una formazione molto rapida e diretta di questi oggetti.
Tenuto conto di questi dati, Basu e Das propongono ora nuovo modello di
formazione dei buchi neri supermassicci basato su un'idea di base molto
semplice: la loro origine è un collasso molto rapido.
"I buchi neri supermassicci hanno avuto solo un periodo di tempo breve
per formarsi e crescere, e a un certo punto la loro produzione nell'universo
è cessata", ha spiegato Basu. "È questo lo scenario del collasso diretto".
Le simulazioni al computer dei due autori mostrano che le osservazioni e
i dati sperimentali dei buchi neri supermassicci già presenti in un'epoca
primordiale dell'universo sono compatibili con un accrescimento esponenziale
del buco nero, che inizia la sua vita con una massa compresa tra 10.000
e 100.000 masse solari. (red)
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Fonte: Wikipedia
Meccanismi dell'epigenetica
L'epigenetica (dal greco ἐπί, epì, «sopra» e γεννητικός, gennetikòs,
«relativo all'eredità familiare») è una più recente branca della genetica
che si occupa dei cambiamenti fenotipici ereditabili da una cellula o
un organismo, in cui non si osserva una variazione del genotipo.
È stata definita da Arthur Riggs e colleghi come "lo studio dei cambiamenti
mitotici e meiotici ereditabili che non possono essere spiegati tramite
modifiche della sequenza di DNA".
Quello che succede è che viene ereditata una sorta di "impronta" molecolare
sul genotipo che determina il grado di attivazione dei geni, la cui sequenza,
però, rimane identica.
Questa impronta molecolare consta di modificazioni covalenti della cromatina,
sia a livello del DNA che delle proteine, ed è pertanto duratura, ma può
essere reversibile.
Tali modificazioni, dette epimutazioni, durano per il resto della vita della
cellula e possono trasmettersi a generazioni successive delle cellule attraverso
le divisioni cellulari, senza tuttavia che le corrispondenti sequenze di DNA
siano mutate;sono quindi fattori non-genomici che provocano una diversa
espressione dei geni dell'organismo.
Fenomeni epigenetici sono ad esempio alla base della maggior parte dei
processi di differenziamento cellulare (e loro alterazione, quindi anche nel
cancro, dell'inattivazione del cromosoma X, e concorrono a una certa plasticità
fenotipica ereditabile in relazione a cambiamenti ambientali che ricorda
l'ereditarietà lamarckiana dei caratteri acquisiti.
Ad esempio, eventi molto stressanti possono lasciare un'impronta epigenetica
a livello della metilazione del DNA.
Tipologia
Tipi di modificazioni:modificazioni del DNA = addizione covalente di
gruppi a sequenze specifiche (metilazione della citosina) da parte delle
metiltrasferasimodificazione delle proteine = addizione covalente di
gruppi a specifiche proteine della cromatina (modificazioni post-traduzionali
degli istoni). Tra queste modificazioni vi sono acetilazione, metilazione,
ubiquitinazione, fosforilazione, sumoilazione, lattilazione
Questi processi alterano l'accessibilità alle regioni del genoma, sulle quali
si legano proteine e enzimi deputati all'espressione genica e quindi
alterano l'espressione del gene.
istoniche per formare la cromatina.
Definizione
Il merito per avere coniato, nel 1942, il termine epigenetica, definita
come "la branca della biologia che studia le interazioni causali fra i
geni e il loro prodotto cellulare e pone in essere il fenotipo", viene
attribuito a Conrad Hal Waddington (1905-1975).
Alla metà del diciannovesimo secolo si trovano tracce dell'epigenetica
in letteratura.
Le sue origini concettuali risalgono tuttavia ad Aristotele (384-322 a.C.),
il quale credeva nell'epigenesi, ossia nello sviluppo di forme organiche
individuali a partire dal non formato.
Questa visione controversa è stata la prima argomentazione a opporsi al
concetto che l'essere umano si sviluppi da minuscoli corpi formati.
L'uso del termine nel linguaggio scientifico odierno si riferisce a tratti
ereditari a cui non corrispondono modifiche della sequenza del DNA.
Basi molecolari dell'epigenetica
Le basi molecolari dell'epigenetica sono complesse.
Si tratta di modifiche sull'attivazione di certi geni, ma non sulla loro
struttura di base del DNA.
Anche modifiche a carico delle proteinedella cromatina possono
influire sull'espressione di questi geni.
Questo spiega perché le cellule differenziate in un organismo pluricellulare
esprimono solo i geni necessari alla loro attività.
Se una mutazione del DNA riguarda uno spermatozoo o un ovulo che
viene fecondato, i cambiamenti epigenetici possono essere ereditati
dalla generazione successiva.
Una questione che è stata sollevata è se i cambiamenti epigenetici in
un organismo possano alterare la struttura di base del suo DNA.
I ricercatori spiegano cosa avviene nei geni grazie agli studi fatti su
gemelli monozigoti: nascono con lo stesso patrimonio genetico, ma
crescendo si possono differenziare a causa dell'ambiente, dello stile
di vita, delle emozioni e delle sofferenze provate, che possono cambiare
l'espressione di alcuni geni, attivandoli o disattivandoli.
I cambiamenti epigenetici sono conservati quando le cellule si dividono
durante la vita di un organismo.
Specifici processi epigenetici sono paramutazioni, bookmarking, imprinting,
silenziamento genico, inattivazione del cromosoma X, effetto posizione,
riprogrammazione, transversione, effetti teratogeni, regolazione della
modificazione degli istoni e della eterocromatina.
La ricerca epigenetica utilizza una vasta gamma di tecniche di biologia
molecolare, tra cui immunoprecipitazione della cromatina, ibridazione
fluorescente in situ, enzimi di restrizione sensibili alla metilazione.
L'uso di metodi di bioinformatica gioca un ruolo sempre più importante
(epigenetica computazionale).
Effetti epigenetici nell'uomoImprinting genomico e relativi disordini
Diversi disturbi sono associati all'imprinting genetico, un fenomeno
caratteristico dei mammiferi dove il padre e la madre sviluppano diversi
modelli epigenetici per specifici loci genici nelle loro cellule germinali,
che vengono poi trasferiti alla progenie.
I casi maggiormente conosciuti di disturbi nell'uomo e dovuti a imprinting
genomici sono la sindrome di Angelman e la sindrome di Prader-Willi;
entrambe possono essere dovute alla stessa mutazione genetica, cioè parzial
e delezione del braccio lungo del cromosoma 15, e la sindrome che il bambino
svilupperà dipende dal fatto che abbia ereditato la mutazione dal padre o
dalla madre
Osservazioni epigenetiche trans generazionali
Marcus Pembrey e colleghi osservarono nello studio "Overkalis", che i nipoti
dei nonni paterni degli uomini svedesi, esposti durante la preadolescenza alla
carestia del diciannovesimo secolo, avevano meno probabilità di morire di
malattie cardiovascolari; se il cibo era stato abbondante allora la mortalità
causata dal diabete nei nipoti aumentava, suggerendo che ciò fosse dovuto ad
un'eredità epigenetica trans generazionale. L'effetto opposto si osservò per le
femmine: le nipoti dei nonni paterni che subirono la carestia in grembo
(e quindi quando le cellule riproduttive erano già formate) avevano vita
più corta della media.
Tumori e anormalità dello sviluppo
Una varietà di composti sono considerati carcinogeni epigenetici; essi
danno luogo ad un incremento dell'incidenza dei tumori, ma non mostrano
attività mutagena.
Tra questi componenti possiamo citare dietilstilbestrolo, arsenite,
exaclorobenzene e composti contenenti nichel. Molti teratogeni hanno effetti
specifici sul feto tramite meccanismi epigenetici.
Epigenetica e spermatogenesi
La spermatogenesi è un complesso processo che include la auto rigenerazione
degli spermatogoni attraverso la mitosi, segue la fase meiotica dove gli spermatociti
passano alla forma aploide di spermatidi i quali vanno incontro spermiogenesi e
si trasformano in spermatozoi.
I meccanismi epigenetici avvengono sia a livello delle cellule primordiali germinali (
PGC), degli spermatogoni, nel rimodellamento della cromatina durante la meiosi.
Di conseguenza le cellule germinali maschili sono particolarmente sensibili ai
difetti epigenetici.
Un ruolo particolarmente importante nella regolazione epigenetica durante la
spermatogenesi è svolto da microRNA e dal processo di metilazione del DNA.
È stato dimostrato che i miRNA sono coinvolti nei processi mitotici meiotici e
post meiotici andando ad inibire l'espressione di geni target; mentre utilizzando
un agente demetilante la 5 -aza-2'deoxycytidine, sono state individuate aberrati
cellule germinali maschile sviluppate in maschi con ridotta fertilità.
Quindi la comprensione della regolazione epigenetica nella spermatogenesi è
importante per la terapia contro l'infertilità maschile e per lo sviluppo di nuovi
approcci per la contraccezione maschile.
Funzioni e conseguenzeSviluppo
L'eredità epigenetica somatica, in particolare attraverso la metilazione del DNA
e il rimodellamento della cromatina, è molto importante nello sviluppo di organismi
eucarioti pluricellulari.
La sequenza del genoma è statica (con alcune notevoli eccezioni), ma le cellule
si differenziano in molti tipi cellulari diversi, che svolgono funzioni diverse e
rispondono in modo diverso all'ambiente e ai segnali intercellulari.
Così, come gli individui si sviluppano, la morfogenesi attiva o silenzia i geni
in modo ereditato epigeneticamente, dando alle cellule una sorta di memoria.
Nei mammiferi, la maggior parte delle cellule sono differenziate in modo
definitivo, solo le cellule staminali mantengono la possibilità di differenziarsi in
diversi tipi cellulari ("totipotenza" e "multipotenza").
Queste staminali continuano a produrre nuove cellule differenziate per tutta la
vita, ma i mammiferi non sono in grado di reagire alla perdita di alcuni tessuti
(ad esempio l'incapacità di rigenerare gli arti, cosa che altri animali sono capaci
di fare).
A differenza di quelle animali, le cellule vegetali non sono differenziate in modo
definitivo, ma rimangono totipotenti, con la capacità di dare origine ad una
nuova singola pianta.
Le piante utilizzano molti degli stessi meccanismi epigenetici degli animali,
come il rimodellamento della cromatina, ma è stato ipotizzato che queste non
abbiano "memoria", azzerando i loro modelli di espressione genica a ogni divisione
cellulare e utilizzando le informazioni provenienti dall'ambiente e dalle cellule
circostanti per determinare il loro destino.
Medicina
L'epigenetica ha molte e varie potenziali applicazioni mediche, in quanto tende
ad essere multidimensionale in natura.
Le malattie genetiche congenite sono ben conosciute ed è anche chiaro il ruolo
che può avere l'epigenetica in esse, per esempio nel caso della sindrome di Angelman
e di Prader-Willi.
Si tratta di normali malattie genetiche causate dalla delezione o inattivazione dei geni,
ma sono insolitamente comuni perché gli individui sono essenzialmente emizigoti a
causa dell'imprinting genomico: un singolo gene knock out è sufficiente a provocare
la malattia, la quale nella maggior parte dei casi richiederebbe che entrambe le
copie fossero knocked out.
Evoluzione
Anche se l'epigenetica negli organismi pluricellulari è ritenuta generalmente un
meccanismo coinvolto nella differenziazione, con pattern epigenetici "reset",
quando gli organismi si riproducono, ci sono state alcune osservazioni di eredità
epigenetica transgenerazionale (ad esempio, il fenomeno della paramutazione
osservato nel mais).
Sebbene la maggior parte di questi tratti epigenetici multigenerazionali vengano
progressivamente persi nell'arco di più generazioni, rimane la possibilità che
l'epigenetica multigenerazionale possa essere un altro aspetto dell'evoluzione
e dell'adattamento darwiniano.
La barriera di Weismann è specifica per gli animali, e l'ereditarietà epigenetica
dovrebbe essere molto più comune nelle piante e nei microbi.
I tratti epigenetici svolgono un ruolo nell'adattamento a breve termine delle specie,
consentendo una variabilità fenotipica reversibile per rispondere a fattori stressanti
indotti dall'ambiente.
La modifica delle caratteristiche epigenetiche associate a una regione del DNA
consente agli organismi, in una scala temporale di più generazioni, di passare da
fenotipi che esprimono quel particolare gene a fenotipi che non lo esprimono e viceversa
.Quando la sequenza del DNA della regione non è mutato, questa modifica è reversibile.
È stato anche ipotizzato che gli organismi possano usufruire di tassi di mutazione
differenziale associati alle caratteristiche epigenetiche per controllare la velocità
di mutazione di geni particolari.
Analisi recenti hanno suggerito che i membri della famiglia delle citosina deaminasi
APOBEC/AID sono in grado di mediare contemporaneamente le eredità genetiche
ed epigenetiche utilizzando analoghi meccanismi molecolari.
Si è osservato che i cambiamenti epigenetici possono anche verificarsi in risposta ad
esposizioni ambientali; ad esempio topi trattati con alcuni integratori alimentari
mostrano cambiamenti epigenetici che interessano l'espressione del gene Agouti
, riguardante il colore della pelliccia, il peso e la propensione a sviluppare il cancro.
Sono stati riportati più di 100 casi di fenomeni di eredità epigenetica
transgenerazionale in una vasta gamma di organismi, tra procarioti, piante
e animali.
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Fonte: articolo riportato dall'Internet
IL VIRUS STUDIATO CON L'EPIGENETICA
La Natura è anche nella pandemia di Coronavirus
a cura della Prof.ssa Luciana Riccio (*)
Sono fermamente convinta che mai, come in questo momento,
abbiamo bisogno di un pensiero differente, che ci aiuti a capire
un po' di più quello che sta succedendo, la pandemia di Coronavirus
è come un meteorite che ci è caduto addosso senza darci il tempo di
avere consapevolezza del pericolo.
Non c'è bisogno neanche di presentarlo, perché è il protagonista
indiscusso degli ultimi 2-3 mesi, non si parla che di lui e si vive in sua
funzione.
Si tratta del nuovo Coronavirus, definito più correttamente SARS-CoV-2.
Sappiamo - o pensiamo di sapere - tutto di lui, bombardati come siamo
da media, televisioni, social che ce lo propongono in tutte le salse, dalla
versione politicamente corretta dei virologi, infettivologi ed epidemiologi
"ufficiali", a quella da spy story di un virus creato artificialmente in laboratorio
come arma chimica.
In realtà si è detto tutto e il contrario di tutto, ed è comprensibile cambiare
opinione in base al decorso di una pandemia fino a ora sconosciuta; ma
un'analisi va fatta, soprattutto per proteggerci da altre epidemie o disastri
ambientali da cui non saremo mai immuni.
La centralità della scienza
Non è questo il momento del politicamente corretto, perché ne va del nostro
futuro, ma è il momento di capire quale debba essere il contributo della
scienza che mai, come in questo momento, ha bisogno di essere ridefinita,
perché la scienza è tale se si mette continuamente in discussione; altrimenti
parliamo di religione o, più in generale, di dogma.
Affermare che la scienza non è democratica, vuol dire non capire la ricchezza
e la complessità del processo scientifico, così come l'attività di divulgazione
non deve essere un processo cattedratico, con atteggiamenti presuntuosi.
È opportuno ascoltare il parere di più esperti per avere un quadro più ampio
della situazione.
Il virologo prof. Giulio Tarro, per esempio, sostiene che con il caldo il virus
dovrebbe scomparire.
Su questo ho (e non solo io) dei dubbi, tenuto conto dei focolai che si stanno
manifestando in Africa e dell'epidemia di MERS-CoV (virus della stessa famiglia
di coronavirus del SARS-CoV-2) nata in Paesi caldi, anche se è plausibile che
il virus si diffonda meglio in spazi chiusi, in ambienti freddi e umidi con poca
ventilazione.
Il professore sostiene anche che usare come vaccino naturale gli anticorpi di quelli
che non si sono ammalati nonostante il virus (e i guariti), tramite infusione di plasma,
sia una buona soluzione, peraltro sperimentata anche in Italia.
Sempre secondo il prof. Tarro il virus avrebbe trovato terreno favorevole nella
pianura padana a causa dell'elevato tasso di polveri sottili (PM 10), particelle
inquinanti, la cui presenza accumuna tale zona italiana a Wuhan.
potrebbe aver contribuito alla diffusione del Covid-19.
Potrebbe trattarsi di un virus "lombardo"?
Devo dire che potrebbe non avere tutti i torti, perché sappiamo quanto conti
l'ambiente per gli esseri viventi, virus compresi: insomma è una questione
di Epigenetica...
L'Epigenetica è la nuova frontiera della genetica che non tratta le caratteristiche
genetiche (siamo alti o bassi, abbiamo gli occhi azzurri o neri in base ai nostri
genitori), bensì studia le modificazioni del DNA (o RNA) dovute a fattori ambientali,
nutrizionali e anche comportamentali che si verificano quando delle molecole -
contenute per esempio nel cibo o in agenti inquinanti - silenziano o attivano un
particolare gene, modificando il modo in cui si esprime.
Il "nostro" virus è a RNA (una macromolecola che contiene l'informazione genetica
come fa il DNA, anche se ha una struttura meno complessa) e, forse, le primordiali
forme di vita si basavano esclusivamente sull'RNA.
Nei virus, come negli esseri umani, si possono verificare mutazioni epigenetiche,
ovvero mutazioni che non incidono sulla sequenza genica ma, nel caso specifico,
sulla struttura dell'RNA.
Queste mutazioni possono essere indotte anche da fattori ambientali e qui si
apre un nuovo capitolo...
L'impatto che abbiamo sul Pianeta
Aggressività e pericolosità dei virus a RNA sono regolate da fattori epigenetici,
cioè dalla presenza di particolari molecole che regolano l'espressione genica,
agganciandosi ai filamenti dell'RNA.
La più importante di queste è la N6-Metiladenosina, che nell'organismo umano
prende parte a diversi processi biologici, tra cui le risposte a stress, fertilità,
ritmi circadiani e sviluppo del cancro.
Inserendo mutazioni che inattivano l'azione dell'N6-metiladenosina in pezzi
di RNA, i ricercatori hanno scoperto che viene rallentata l'infezione virale.
Lo studio è stato effettuato da un gruppo di ricercatori statunitensi sui virus
dell'epatite C e di Zika. Perché, quindi, il principio non potrebbe essere
valido anche per gli altri virus a RNA, compreso il coronavirus SARS-CoV-2?
E poi - se vogliamo dirla tutta - i virus, anche se non hanno vita autonoma e
hanno bisogno di un organismo per replicarsi, sono "intelligenti", se non
altro perché fanno parte dell'ecosistema naturale.
Perché, allora, non dovrebbero modulare la loro moltiplicazione per mantenere
l'infezione sotto controllo, in modo da non scatenare una massiccia risposta
immunitaria che può ucciderli?
Quindi, se vogliamo essere ottimisti, dobbiamo ascoltare il Prof. Isaac Ben
Israel, che ci dice che il ciclo epidemico della SARS-CoV-2 è di 70 giorni,
ovvero il virus raggiunge il picco di contagio entro 4-6 settimane per poi
cominciare una fase discendente che si concluderebbe intorno all'ottava-nona
settimana.
Quindi, secondo il professore, il lock-down protratto a lungo potrebbe servire
a poco. Da questo punto di vista bisogna andare con i piedi di piombo,
perché, di fatto, le misure restrittive hanno contenuto il diffondersi della
pandemia e non sappiamo veramente quali siano le "intenzioni" del virus
anche se, tutto sommato, non gli "converrebbe" attivare nostro sistema
immunitario per un periodo troppo lungo.
Per concludere, una gustosa curiosità...
Nel 2000 a Gulu, un villaggio sulle rive del fiume Ivindo, nel Gabon, nel
corso di un'epidemia di Ebola, gli abitanti hanno applicato delle regole
che nulla hanno a che invidiare al nostro lock-down.
È stato imposto l'isolamento dei pazienti in una casa speciale e distante dalle
altre, i guariti dovevano curare gli ammalati (importanza dell'immunità!), gli
spostamenti tra un villaggio e l'altro erano limitati, non si dovevano avere
contatti sessuali con i contagiati, erano sospesi i funerali e le danze rituali.
Anche questi comportamenti hanno contribuito a far cessare l'epidemia.
In ogni caso, non dimentichiamo mai che il "nostro" coronavirus segue
anch'esso le leggi della Natura, perché fa parte di essa.
(*) Vive e lavora a Latina come Medico Anestesista-Rianimatore. Insegna
Fisioterapia alla Facoltà di Medicina e Farmacia dell'Università
"Sapienza" di Roma e ha un Master in Giornalismo e Comunicazione
Istituzionale della Scienza. È autrice del saggio sull'epigenetica dal titolo
"Viaggio al Centro della Vita alla ricerca della Mutazione K",
edito da Go Ware.
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Fonte: articolo riportato dall'Internet
ASTRONAUTI AMMALATII virus si propagano anche nello Spazio?
(Image: © NASA)
Che cosa accadrebbe se il coronavirus si diffondesse
in una navicella della NASA? Affronta l'argomento
un interessante articolo scientifico di Chelsea Gohd,
"Getting sick in space: How would NASA handle an
astronaut disease outbreak?" (Ammalarsi nello Spazio:
come affronterebbe la NASA il caso di un astronauta
che si ammala?) pubblicato su Space.com.
Nella foto di apertura: Gli astronauti della Expedition
62 all'interno di una navicella di rifornimento SpaceX
Dragon CRS-20 in visita alla Stazione Spaziale Internazionale.
Le maschere che indossano servono a proteggere da
particelle e sostanze irritanti che potrebbero essersi
staccate all'interno del Dragon durante il volo.
(Image: © NASA)
Ammalarsi nello Spazio: le risposte della NASA
«In rare occasioni nel corso della storia dei voli spaziali
è successo che gli astronauti si siano ammalati durante
la loro permanenza nello Spazio.
Mentre erano in orbita, alcuni di loro hanno sofferto di
infezioni delle vie respiratorie superiori o di raffreddori,
infezioni del tratto urinario e infezioni della pelle» ha
detto a Space.com Jonathan Clark, ex medico
dell'equipaggio del programma Space Shuttle della NASA
e attuale professore associato di neurologia e medicina
spaziale presso il Center for Space Medicine del Baylor
College of Medicine.
Durante la missione Apollo 7, nel 1968, l'equipaggio
prese il raffreddore e il fatto ebbe un impatto significativo
sul programma.
Molto probabilmente il comandante Wally Schirra salì a
bordo con un leggero raffreddore e lo diffuse agli altri
membri dell'equipaggio.
Gli astronauti finirono i medicinali presenti a bordo e
i fazzoletti... e hanno avuto problemi a indossare il
casco durante il rientro nell'atmosfera terrestre.
Analoghi casi di raffreddore si sono registrati tra gli
astronauti di Apollo 8 e Apollo 9.
Quarantena pre-volo
A seguito di queste esperienze, la NASA ha introdotto
nella pianificazione delle missioni una quarantena pre-volo
per gli equipaggi delle navicelle spaziali.
Inoltre, ha cominciato a studiare degli scenari più complessi.
Per esempio, potrà succedere in futuro che gli equipaggi
di missioni spaziali debbano combattere malattie ben più
gravi e in ambienti potenzialmente più difficili, per esempio
sulla base lunare del programma Artemis.
all'opera durante lo studio delle possibili cause di patologie
neurodegenerative, come il morbo di Alzheimer.
Parmitano sta esaminando campioni di proteine per la forma-
zione di amiloidi che differiscono dai campioni osservati sulla
Terra.
I risultati possono suggerire terapie preventive per la popolazione
sulla Terra e gli astronauti in missioni a lungo termine.
(Image: © NASA)
Per quanto riguarda le emergenze mediche, gli astronauti sono
stati finora curati a distanza all'assistenza medica a terra, grazie
alle crescenti capacità di comunicazione.
Per esempio, i medici del Centro di Controllo sono stati in grado
di trattare un astronauta che ha subito un coagulo di sangue
mentre era a bordo della stazione spaziale.
Come cambiano virus e batteri nello Spazio
I modi in cui le infezioni si diffondono e come si comportano i
virus e le malattie nel corpo cambiano quando gli esseri umani
vanno nello spazio.
A causa dello stress fisico in un ambiente confinato senza la
gravità, anche le malattie banali come il raffreddore possono
assumere un aspetto diverso per gli astronauti.
I cambiamenti nei livelli degli ormoni dello stress e altre
ripercussioni fisiche del volo spaziale causano un cambiamento
del sistema immunitario.
Mentre un astronauta potrebbe avere un buon sistema
immunitario sulla Terra, potrebbe essere più suscettibile a
malattie o addirittura a reazioni allergiche mentre è nello
Spazio.
Il dott. Clark ha spiegato che virus come l'influenza o il
COVID19 potrebbero essere trasmessi più facilmente in
un ambiente a microgravità, come sulla Stazione Spaziale
Internazionale: «L'assenza di gravità impedisce alle particelle
di depositarsi, quindi rimangono sospese nell'aria e
potrebbero essere trasmesse più facilmente.
Per evitare questo, i compartimenti sono ventilati e il
sistema di areazione è dotato di filtri HEPA che rimuovono
le particelle».
Il risveglio dei virus dormienti
Gli scienziati hanno scoperto che i virus dormienti reagiscono
alle sollecitazioni del volo spaziale.
È stato accertato che virus come l'Herpes Simplex si riattivano
durante il volo spaziale.
Inoltre, gli studi in corso hanno ipotizzato che una maggiore
virulenza batterica nello spazio possa rendere meno efficaci i
trattamenti antibiotici.
Per questo, in particolare nel caso di missioni extra-planetarie,
l'equipaggio verrebbe messo in quarantena al ritorno sulla
Terra, proprio come avveniva nelle missioni di ritorno
dalla Luna.
all'interno del modello di navicella Orion, allo Johnson
Space Center della NASA a Houston, Texas.
(NASA/Bill Ingalls)
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Fonte: articolo riportato dall'Internet
Coronavirus, era già tutto scritto
Armando Gariboldi
Èormai da settimane l'argomento di apertura di tutti i notiziari
e delle prime pagine dei giornali: il nuovo Coronavirus (2019-nCoV),
il letale morbo proveniente dalla Cina autore della nuova pandemia
di questo inizio di anni Venti del terzo millennio.
I coronavirus sono una grande famiglia di virus che possono causare
diverse infezioni, dal comune raffreddore a malattie più gravi come
la sindrome respiratoria del Medio Oriente (MERS) e la sindrome
respiratoria acuta grave (SARS).
Il "salto" di specie
Spesso questi ceppi virali si selezionano e vivono all'interno di varie
specie animali, senza contaminare l'uomo.
Tuttavia in alcuni casi possono comparire nuovi virus che, precedentemente
circolanti solo nel mondo animale, ad un certo momento subiscono una muta-
zione e diventano patogeni anche per la nostra specie.
È un fenomeno ben noto (chiamato spill-over o salto di specie) e si pensa
che possa essere alla base anche dell'origine di quest'ultimo coronavirus
proveniente dalla Cina.
Al momento la comunità scientifica sta ancora cercando di identificare con
sicurezza la fonte dell'infezione: si parla di pipistrelli, di serpenti ed anche
di una specie di pangolino.
Fatto sta che sembrerebbe che i primi focolai si siano sviluppati nel grande
mercato del bestiame della città di Wuhan, capoluogo e città più popolosa
della provincia di Hubei, alla confluenza del Fiume Azzurro e del fiume
Han (e quindi in un punto geograficamente già predisposto alla diffusione
ed agli scambi).
Evento previsto anni fa, seguendo i cacciatori di virus
Questo fatto che oggi sta allarmando l'opinione pubblica mondiale e che
viene dipinto come uno sfortunato evento eccezionale, in realtà era stato
ampiamente previsto, con impressionante precisione e dovizia di particolari,
sin dal 2012 dal giornalista e divulgatore scientifico David Quammen,
collaboratore del National Geographic.
Infatti nel suo libro "Spillover", ora pubblicato anche in italiano da Adelphi,
Quammen aveva previsto tutto, compreso il fatto che la "prossima pandemia"
sarebbe partita da un mercato del sud della Cina. Ma Quammen non è un
indovino: è solo un abile cronista che ha indagato con straordinaria efficacia
tra gli squilibri a cui abbiamo costretto il pianeta Terra, dedicandosi in
particolare al lavoro, spesso oscuro, dei "cacciatori di virus".
Con il fiato sospeso per capire il meccanismo di diffusione
Scrive Quammen: «Non vengono da un altro pianeta e non nascono
dal nulla.
I responsabili della prossima pandemia sono già tra noi, sono virus che
oggi colpiscono gli animali, ma che potrebbero da un momento all'altro
fare un salto di specie - uno spillover in gergo tecnico - e colpire anche
gli esseri umani...».
Il libro è unico nel suo genere e davvero attualissimo: un misto tra un
saggio sulla storia della medicina ed un reportage, è stato scritto in sei
anni di lavoro nei quali l'autore ha seguito gli scienziati al lavoro nelle
foreste congolesi, nelle fattorie australiane e nei mercati delle affollate
città cinesi.
Quammen ha intervistato centinaia di testimoni, medici e sopravvissuti,
ha investigato e raccontato con stile quasi da poliziesco la corsa alla
comprensione dei meccanismi delle malattie.
E tra le pagine più avventurose, che tengono il lettore con il fiato sospeso
come quelle di un romanzo noir, è riuscito a cogliere la preoccupante
peculiarità di queste malattie.
Ovvero la continua ricerca, da parte di organismi estremamente adattabili
e resistenti quali sono i virus, di un nuovo equilibrio per poter sopravvivere.
L'uomo come "ospite perfetto"
Un nuovo efficace equilibrio tra gli squilibri causati dall'Uomo, che
stermina direttamente o indirettamente intere popolazioni di virus e
che di fatto li obbliga a cercare freneticamente nuove possibilità di
sopravvivenza tra le alterazioni degli ecosistemi indotte dall'azione
antropogenica!
Ovvero il virus fa ciò che fa per necessità di sopravvivenza.
E la scelta della specie umana come nuovo ospite è quasi ovvia: è un
mammifero (ideale portatore), appartenente alla specie più popolosa e
diffusa del Pianeta (che tra l'altro mangia altri animali di diverse specie),
si muove molto e ovunque (e quindi facilita la diffusione del virus) ed è
a stretto contatto con molte specie animali sia domestiche sia selvatiche,
anche a causa della distruzione e trasformazione degli habitat.
Insomma gli spillover o salti di specie di patogeni ci sono sempre stati
e continueranno ad esserci.
Non tutti diventeranno per fortuna pandemie, ma ancora una volta, la loro
letalità potenziale e la loro velocità di diffusione non saranno frutto del caso.
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RIPRODUZIONE CONSENTITA CON LINK A ORIGINALE E CITAZIONE FONTE: RIVISTANATURA.COM
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Inviato da: cassetta2
il 30/04/2020 alle 12:34
Inviato da: cassetta2
il 20/08/2019 alle 21:06
Inviato da: amico_per_sempre1964
il 10/06/2018 alle 20:06