Creato da: rivedelfiume il 26/06/2006
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« Camillo SbarbaroReflex »

Di volpi e signore

Post n°2 pubblicato il 27 Giugno 2006 da rivedelfiume
 
Tag: musica

Newark, la sera dopo l’assassinio di Martin Luther King.

Jimi Hendrix suona al Symphony Theatre davanti a un pubblico di bianchi, per lo più hippies vestiti alla moda.

«Che noia» e le spalle si muovono in un breve spasimo.

La Stratocaster fa un mezzo giro urlando la sua disperata e lacerante protesta.

Un’occhiata all’orologio.

«Uhmmm, ancora venti minuti...»

Il concerto scivola verso il suo epilogo.

Jimi sfila la chitarra, con gesti misurati la prepara, disponendola davanti a sé.

Un solo sguardo verso il pubblico, quasi a raggelare la tensione di chi è oltre il palco.

Una frenesia quasi voyeuristica, che diventa eccitazione.

Chiude gli occhi, come rispondendo a un comando.

Solleva l’ «attrezzo» e con assoluta naturalezza la conficca tra le assi di legno del palco.

La chitarra resta lì, strumento sfregiato di rassegnazione, in attesa che finalmente cali il  sipario.

Nessuno chiede il bis.

-------------------------

Jimi Hendrix è l’indossatore degli abiti del paradosso e della frustrazione.

Da bambino, raccontano i biografi, fingeva di suonare la chitarra usando un manico di scopa; a undici anni, finalmente, il padre gli compra un vero strumento.

Il suo cammino nel mondo dello spettacolo comincia prestissimo: nella speculazione senza precedenti seguita alla sua morte, salterà fuori di tutto.

Ma gli inizi paga il pedaggio del noviziato, mostrando sentimenti alterni.

Da un lato, il tirocinio gli da la possibilità di approfondire lo studio della chitarra, dandogli la possibilità di esibirsi come spalla degli Isley Brothers, di Little Richard e gente simile; d’altro canto, l’artista si sente già compresso e limitato dallo snervante ruolo di automa cui spesso è costretto.

«Il mio compito era esclusivamente quello di accompagnare» confessò una volta al “Melody Maker” «ma io passavo il mio tempo a far progetti. Entravo in un gruppo e me ne uscivo subito. Mi piaceva ascoltare i brani di R & B che andavano per la maggiore ma ciò non significava che mi piacesse suonarli tutte le sere».

Hendrix riesce a sfondare alla fine del 1965.

Cambiato il nome in Jimmy Jones, organizzata una formazione chiamata The Blue Flames, comincia a esibirsi per il circuito delle coffeehouses aperte al rock che costellavano il Greenwich Village di New York.

L’approdo è l’importante Café Au Go Go, dove Chas Chandler, l’ ex bassista degli Animals, ed in quanto tale già leggenda vivente, lo sente suonare e si offre di diventare il suo manager e di portarlo in Inghilterra.

Non è difficile capire quel che Chandler subito intuisce di tanto potente in Jimi.

Come compositore è ancora inesperto, ad essere eufemisti; la sua arruffata, contorta personalità è ancora allo stato embrionale.

Ma la sua presenza scenica è già esaltante: i denti divorano, secondo un rituale classico, le corde della chitarra, mentre intorno la musica giostra con grazia e fluidità.

Hendrix è un artigiano che non chiede di meglio che suonare vecchio blues in tutta scioltezza (in questo senso Red House è l’esempio più vistoso) e un maestro degli effetti sonori, uno sperimentatore che usa ogni trucco sonoro con audacia che sfiora la sfacciataggine.

Elettricità, per Hendrix, non significa mai semplicemente amplificazione, ma scoperta di terre vergini, da visitare in piena libertà.

Chandler e l’altro manager, Michael Jeffrey, mettono insieme i pezzi del mosaico con estrema cura.

L’idea di un chitarrista nero tra le file dei bianchi poteva risultare ovvia solo in Inghilterra, in una terra, cioè, dove gli artisti blues americani sono soliti cavalcare l’onda del successo anche dopo esser stati messi in disparte nella terra d’origine. Allora Chandler e Jeffrey addolciscono la pillola vestendo Jimi e i ragazzi del suo complesso (il bassista Noel Redding e il batterista Mitch Mitchell) con eleganza vistosa ed esotica, non risparmiando alcun «trucco».

Il travestimento prevede che Jimi appaia personaggio sinistro e sensuale, ricco di violenza felina appena sotto la facciata di elegante bellimbusto.

Il contrasto ricalca schemi già noti e funziona egregiamente, dando luogo ad uno choc senza mezzi termini, un duro impatto dovunque, un assedio visivo e sonoro che lascia il pubblico stupito oltre ogni dire.

La formazione, battezzata The Jimi Hendrix Experience, debutta a Parigi con Johnny Hallyday, il padre putativo del rock’n roll in Francia, e dopo questo rodaggio parte alla  conquista di Londra.

All’inizio del 1967, il primo 45 giri, Hey Joe, penetra nelle classifiche inglesi.

Il primo giro della Gran Bretagna in grande stile inizia a marzo, di lì a poco  la prima chitarra bruciata. La cultura underground che sta rapidamente crescendo, delusa dalla pausa di riflessione degli Stones e basita dal misticismo verso cui tendono la mano i Beatles, lo adotta come propria creatura. L’album d’esordio, Are You Experienced, diventa rapidamente un «must» di quella primavera ricca di speranze.

Della reputazione di Jimi giunge eco nella natia America, tanto che all’artista viene chiesto di comparire nel programma del Monterey Pop Festival, allora in allestimento.

Oltre alle numerose conferme, due stelle fino ad allora anonime si accendono ad illuminare le anime dei ragazzi americani: Jimi ed una ragazza dai capelli rossi e la voce di cartavetrata, Janis Joplin.

Su quel palcoscenico, nel bel mezzo di una rassegna «stellare», Jimi si costruisce il trionfo suonando con assoluta determinazione.

Dapprima nervoso, trova passo sicuro con Like A Rolling Stone, finendo in ginocchio a straziare lo strumento nel mezzo di una schiumante Wild Thing.

La febbre esplode.

Hendrix è tornato a casa e con tutti gli onori.

In più, Chandler e Jeffrey, col fiuto di chi ha capito come funzionano certe faccende, mettono in giro la voce che un folto gruppo di “Figlie della Rivoluzione Americana” impedisce a Hendrix di tenere i suoi concerti.

Infatti, l’enorme interesse che su Jimi esercita il sesso femminile, peraltro molto ricambiato e praticato, spacca in due le stesse fans: chi lo trova troppo erotico per parlarne in pubblico ed esibirlo come idolo, e chi, viceversa, lo adotta proprio per queste ragioni.

Dopo la morte (e facciamo un po’ di gossip!) si saprà che Jimi aveva fatto fare un calco del proprio sesso, regalato come souvenir alle oltre 1500  conoscenze (in senso biblico) femminili.

Ma torniamo alla breve storia musicale.

Nulla ormai può fermare Jimi in quel caldo 1967.

I brani di Are You Experienced incontrano il consenso generale, inni quasi della “controcultura giovanile”, da Foxy Lady a Purple Haze a The Wind Cries Mary, e prima della fine dell’anno l’immagine di Hendrix è ormai familiare e molto stimata nell’ambiente discografico e dello spettacolo.

I termini della nuova «musica elettrica» diventano parole comuni, alla portata di tutti.

La ruota pop inizia a macinare il personaggio con furore crescente e sembra, in  più di un momento, che la passione della leggenda riesca a cancellare la realtà dell’uomo.

Per Jimi, la vittoria si trasforma presto in sacrificio.

Il primo album aveva promesso un nuovo stile di cose, una rappresentazione totale che faceva tutt’uno dell’artista e della musica in un’indelebile immagine. Ma una volta superato l’effetto della sorpresa, appesi al muro i primi dischi d’oro, gli stadi pieni di gente disposta a salutare con l’applauso anche il tentativo più scalcinato, il momento della creatività e del coraggio sembra perdersi e svanire.

Con un pubblico che non gli pone alcuna difficoltà, pronto a farsi sedurre completamente, ed i musicisti del complesso incapaci di reggere il confronto (anche se Hendrix, in tutta franchezza, non concedeva loro molto spazio), Jimi si trova senza più stimoli artistici.

La strada intrapresa appare quanto mai difficile.

Nascono violente dispute sulla conduzione manageriale; Jimi la chiama «schiavitù del pop».

La notorietà pubblica gli procura problemi con la polizia, dapprima in Svezia poi in Canada, dove viene arrestato per possesso di droga (l’accusa successivamente cadrà).

Mentre da un lato crescono i problemi personali, d’altro canto la musica sembra giunta a un punto morto. Se è lecito affermare che, limitandosi alla discografia ufficiale, Jimi non fece mai un brutto disco (la maggior parte degli album, anzi, sono classici indiscussi) è vero anche che si trovò spesso a corto di buon materiale; nè lo stile nè i virtuosismi potevano salvarlo, in simili occasioni. Axis: Bold As Love, secondo LP, si limita a perfezionare il discorso di Are You Experienced; ancor più pecche mostra il doppio Electric Ladyland successivo.

Jimi sembra cercare nuovi mezzi espressivi, meno macchinosi e artificiosi, qualcosa di più organico capace di dar forma agli intrecci della sua chitarra e all’anarchia dei testi.

Solo con brani di altri autori (All Along the Watchtower, di Bob Dylan, Star Spangled Banner, l’inno nazionale americano rivisto in chiave distruttiva e non più celebrativa) l’artista riesce a dar libero sfogo a quel che gli vibra in mente.

L’Experience si scioglie alla fine del 1968; Jimi è molto deluso da come il progetto si sta sviluppando. Jeffrey e Chandler se ne sono già andati, nel gennaio di quell’anno fatale.

Da solo, Jimi sceglie la strada del ritiro; lontano da concerti e sale d’incisioni, preferisce il clima informale delle «apparizioni d’onore» e delle esibizioni non ufficiali, tra amici.

Scemata così la tensione, i suoi concerti acquistano nuova grinta. Ora Hendrix è ancora più restio che nel passato a cedere ad altri lo scettro del potere: una testimonianza di questa ritrovata energia è reperibile su DVD, con la registrazione del leggendario concerto del Capodanno 1970, al Fillmore East.

Sul fronte discografico, Jimi costruisce un nuovo studio, Electric Lady, apprestandosi a una serie di registrazioni per album futuri.

L’artista prende tempo, raccoglie le forze, aspetta di aver pronto del materiale dignitoso da offrire al pubblico. Dopo la festa d’inaugurazione dello studio, a New York, Jimi vola al di qua dell’Oceano per esibirsi al terzo Festival dell’Isola di Wight. E’ stanco, il complesso (che a quel punto comprendeva il vecchio compagno d’armi Billy Cox al basso) si sforza per quanto possibile ma il concerto risulta fiacco. Una breve tournée europea s’inceppa dalle parti della Germania e quando Cox si ammala, Jimi ritorna a Londra.

Sfinito, deluso, l’artista riesce egualmente a nutrire le speranze per il suo futuro, sente di aver toccato il fondo ma confidava di esser pronto per un rilancio.

Ma è troppo tardi.

Il 18 settembre 1970. un martedì, viene trovato privo di sensi nell’appartamento di un’amica, Monika Danneman. Il medico legale annota che la morte è dovuta a «soffocamento da intossicazione di barbiturici ». Nessuna traccia di suicidio, e dai nastri inediti che hanno continuato a venire alla luce non si può ricavare nessun elemento per una diversa ricostruzione dei fatti. Ogni prova di questo Jimi «incompiuto», ogni progetto sonoro mostra una vasta gamma di nuovi generi che l’artista si sforzava di far propri, dal jazz al soul a forme ancora più audaci, alla ricerca di un posto per sé e per la propria chitarra.

Di più, anzi; per cercare di toccare il cielo.

 
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Commenti al Post:
psicologiaforense
psicologiaforense il 27/06/06 alle 23:41 via WEB
Questo è un blog affascinate che colpisce e rapisce... COMPLIMENTI!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! :-)
(Rispondi)
 
 
rivedelfiume
rivedelfiume il 27/06/06 alle 23:47 via WEB
Mi fa piacere che ti piaccia..ieri letteratura, oggi musica, domani chissà? Grazie come primo commento, e buonanotte. (il tuo post su Bruno mi ha colpito, era una notizia che speravo di non sentire)
(Rispondi)
 
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