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Spesso ho fatto riferimento, parlando di canzoni, alla censura Rai. I riferimenti e le occasioni non sono mancate, perlomeno fino a quando la radio e la tv di stato erano in condizioni di monopolio. Siamo tra il 1960 ed il 1976: esisteva, allora, una commissione di controllo sui programmi, e quindi anche sulle canzoni da trasmettere. Ufficialmente si chiamava "commissione di ascolto preventivo” e di controllo sui testi, che dovevano essere adatti al pubblico della radio, che poteva essere composto da chiunque, anche da bambini (di solito è sempre questo l'argomento a supporto dei moralisti, basti pensare alle crociate del MOIGE contro le trasmissioni televisive, per cui un film pieno di poesia come “Parla con Lei” di Almodovar sarebbe da rogo, mentre le varie “Vacanze” godono di un plaudente silenzio). Il primo della lista non poteva che essere Fabrizio De Andrè. I suoi dischi sembravano fatti apposta per incappare nelle maglie della commissione. Il sesso (Via del Campo, Bocca di rosa), gli sberleffi all'ordine costituito (Il gorilla), l'antimilitarismo (La Guerra di Piero), la storia riscritta e sbeffeggiata (Carlo Martello), i temi "sgradevoli" per i “benpensanti” (Cantico dei drogati,La Ballata del Michè). Persino il classico tra i classici di De Andrè, La Canzone di Marinella, era oscurata perché parlava in modo troppo chiaro del rapporto tra Marinella e il Re senza corona e senza scorta e di come fremeva la pelle di Marinella tra le sue braccia….. I Nomadi. Benché amatissimi, tra i più amati dai ragazzi italiani, forti delle canzoni scritte su misura da un altro “scomodo” come Francesco Guccini (a sua volta censuratissimo per la sua “In morte di S.F.”, nella nascente Italia del boom nessuno poteva dire impunemente che in autostrada si poteva anche morire, oltre che correre liberi e felici pestando l’acceleratore al massimo), furono censurati ovviamente per “Dio è morto” –scandalizzare col nichilismo la gioventu’ italiana presessantottina non era per nulla perbene: infatti erano fortunati i romani che la potevano ascoltare liberamente sulle frequenze della Radio Vaticana… "Dio è morto, nei bordi delle strade, nelle auto prese a rate, nei miti dell'estate". A nulla servirono le proteste dell'autore, che si prodigava a spiegare che si trattava di un testo ripreso da una poesia di Ginsberg - ; e per “Ho difeso il mio amore”, cover di “Nights in white satin” dei Moody Blues, che raccontava nientemeno che un uxoricidio. Un altro Lucio: Dalla. “4 marzo 1943”: la sua vera data di nascita, una canzone non autobiografica, una grande poesia su un periodo di storia italiana. La molla scatta su questa frase:"e anche adesso che bestemmio e bevo vino, per ladri e puttane sono Gesù Bambino". Un tratto di pennarello : "e ancora adesso che gioco a carte e bevo vino, per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino". Successo sanremese, e considerazioni dell’epoca come le racconta Dalla stesso in concerto: “Mi fecero notare che la gente del porto non era necessariamente brutta gente, e un prete scrisse a un giornale per notare che anche lui giocava a carte e beveva vino, e non gli risultava di fare peccato”. E Luigi Tenco, un altro “irregolare” della musica dell'epoca: scelto per chiudere con “Un giorno dopo l’altro” gli sceneggiati tv del Commissario Maigret/Gino Cervi (successo assoluto del Canale Nazionale, come si chiamava allora la Raiuno), e censurato in radio per essersi “innamorato di te perché non avevo niente da fare”, Tenco fu colpito dagli strali censori per "Cara maestra", canzone mai trasmessa della Rai (fu definita “un comizio politico"). Il brano attaccava tre pilastri della società italiana, la Scuola, la Chiesa e le istituzioni: della prima si ricordava che la maestra insegnava che al mondo siamo tutti uguali, però quando entrava in classe il bidello i ragazzi potevano restare seduti mentre dovevano alzarsi all'arrivo del direttore; della seconda che il curato affermava che è la casa dei poveri "però l'hai riempita di ori e come può un povero che entra sentirsi a casa sua?" mentre al sindaco si ricordava di quando diceva che si doveva "vincere o morire" ma lui non aveva vinto, né era morto e al posto suo era morta tanta gente che non voleva né vincere né morire. Siamo nel 2002, mondiali di calcio: la Rai non trasmette "l'inno di Mameli" nell'inedita versione gospel cantata da Elisa, che deve essere usato come sigla introduttiva di tutte le partite della nazionale italiana ai mondiali di calcio. Il ministro delle comunicazioni Maurizio Gasparri, pur affermando di apprezzare la cantante, col consueto stile chiede di ritirare l'inno definendo la sua versione "una vergogna". La Rai invece comunica che "L'inno di Mameli cantato da Elisa fa parte della sigla sponsorizzata della Federazione Italiana Gioco Calcio, che per i Mondiali di Calcio non ha richiesto alla Sipra di trasmetterla", in una nota con cui spiega la mancata messa in onda dell'inno in versione gospel per la partita Italia-Ecuador. "Di conseguenza - continua il comunicato di Viale Mazzini - la concessionaria di pubblicità già in data 27 maggio aveva comunicato alla Rai di non autorizzare la messa in onda della sigla della F.I.G.C". L'Inno, di fatto, non verrà mai più trasmesso.
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