Creato da: rivedelfiume il 26/06/2006
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Music was my first love...

Post n°15 pubblicato il 29 Luglio 2006 da rivedelfiume
 
Tag: musica

Ci sono momenti per la musica?
O la musica cambia a seconda dei momenti in cui la si ascolta?

Ragionandoci, e parlo per esperienza personale  -che non significa che io abbia le tavole della Legge, tuttaltro-  direi che la prima molla dell'imparare ad ascoltare sia la curiosità.
Curiosità, intanto,  di rovistare con le proprie orecchie tutto l'udibile possibile.
Suoni che ad un primo ascolto sembrano tutti uguali o del tutto alieni, finiscono col rivelarsi e diventare imprescindibili da noi.

In casa mia, da ragazzo in braghe corte -chè a quei tempi solo a 15 anni portavi i pantaloni lunghi, i "bambini"  non potevano- mio padre non ascoltava altro che tutto il jazz possibile, da Glenn Miller a Charlie Mingus, le big band, le grandi soliste come Ella o Billie.
Ma bisogna abituarsi, e non avere pregiudizi di nessun tipo.

Io all'epoca scoprii Beatles, Rolling Stones, poi Pink Floyd e Dylan: mi sembrò di aver visto la luce. Ascoltavo cassette prima, i dischi poi, chiuso in camera, costretto dai miei, che asserivano fosse solo puro, fastidiosissimo  rumore molesto.
Fui persino picchiato quando mi mangiai una sabatina investendola in "Ummagumma", ed avevo già 14 anni...
Vendicativamente, anni dopo, ho fatto sorbire loro un viaggio in macchina con sottofondo musicale tutto a base di Rolling Stones. Rivelato che cosa stessero ascoltando, mi hanno risposto che adesso facevano musica molto più melodica e sopportabile (addirittura bella, quando è partita "Angie"). Peccato che i dischi fossero gli stessi di allora, visto che sono 30 anni che non compro più nulla degli Stones...
Morale: è tutta questione di abitudine, quindi mai tapparsi le orecchie col pregiudizio.

Seconda considerazione: modi e livelli possibili di ascolto.
Sono certamente quanto di più soggettivo esista. Ognuno può scegliersi il proprio, e non è detto che esso a seconda delle occasioni e delle esigenze non possa mutare. C'è chi adotta musica per accompagnare le azioni della giornata, una colonna sonora della propria esistenza: di conseguenza, riferimenti, ricordi,  emozioni che vivono  e rivivono nella nostra memoria proprio grazie all'abbinamento con una canzone o con una melodia.
E cambia, nell'arco delle ore: ascoltare i Led Zeppelin a basso volume è un reato per cui non si applica l'indulto, Chopin come colonna sonora all' ipermercato è da processo per direttissima.
Anche se la musica può essere semplicemente un (piacevole) sottofondo alle più disparate attività. Gli americani usa(va)no addirittura un termine, "easy listening", con cui definire tutto quanto è di facile ascolto, e che è diventato un vero e proprio genere. Musica che non disturba, anzi creata ad hoc per transitare tra le orecchie senza coinvolgere il cervello.
Musica è anche uno straordinario mezzo di aggregazione: aiuta a trovare amici, ad impiegare il tempo, o permettere un approccio profondamente intellettuale a chi si interessa della struttura melodica, armonica, ritmica di un brano, della tecnica strumentale, della ricerca delle più disparate sonorità, dei testi poetici che spesso accompagnano la partitura.
Ma si può semplicemente ascoltare anche per puro piacere: la musica, tutta la musica, è comunicazione di sentimenti, di sensazioni, un aiuto a rilassarsi, è capace di far amare una melodia senza sapere nulla su di essa, su chi l'ha scritta, su chi la esegue.
L'importante non è tanto come si ascolta o perchè: fondamentale è l'ascoltare. Ed ascoltare tutto, senza preconcetti o preclusioni di sorta.
E' assolutamente da coltivare la curiosità che, al tirar delle somme, affina l' orecchio e, soprattutto, libera la mente. I sintomi della avvenuta infezione aiutano a vivere meglio:  penso alla ipersensibilità ai concerti, alla accelerazione del battito cardiaco in presenza di casse  acustiche che sparano anche migliaia di watt, al bisogno di costante presenza di suoni nell'ambiente circostante (e nella propria memoria): uso (e  abuso) di fonti di riproduzione sonora nel corso della giornata sono tutti segni estremamente positivi.
E se la febbre da possesso degenera nel collezionismo, non è niente di grave: soprattutto se confrontato al grigiore del silenzio.
Infine, ma non meno importante, è il divertimento legato alla musica. La musica non ha mai smarrito quella che si deve considerare una delle sue peculiari caratteristiche, connessa con il suo essere una espressione fortemente popolare. Il bisogno di ballare, di muoversi, saltare, battere le mani o i piedi, cantare, cose che molto spesso accompagnano l'ascolto, lo dimostrano chiaramente.
Quindi, di musica si può chiacchierare,  scrivere, discutere anche animatamente, la si può anche esaminare e vivisezionare nota per nota, sottoponendola a critiche severissime o consensi entusiasti; ma fondamentalmente bisogna ascoltarne.
Si rivelerà così come un qualcosa di assolutamente indispensabile al quotidiano di ognuno di noi.
Alla vita.

 
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No concept

Post n°14 pubblicato il 23 Luglio 2006 da rivedelfiume
 
Tag: musica

«Cosa voglio io dalla mia musica?
Che faccia un discorso, che abbia delle tensioni interne, che sia temporale, non statica.
Ma soprattutto che esprima se stessa usando tutte le mie energie come un suo manovale.
Quando inizio a scrivere un pezzo é come se fossi un archeologo che ha appena scoperto un pezzetto della cresta di un dinosauro: tutto il lavoro consiste nel riportarlo alla luce intero. Non mi importa quanto tempo ci vorrà. La fatica sarà pari all'entusiasmo e l'impegno mi occuperà di giorno e di notte. Non mi importa neanche che il risultato sia comprensibile: il dinosauro è lì e richiede tutte le mie forze per tornare a manifestarsi.
E' la musica che guida il gioco, non le logiche di mercato. E' lei che ti dice dove vuole andare, che strada prendere: è esigente e capricciosa.
Ma alla fine, ne vale la pena.»

C'e' una luce sottile che penetra tra le fessure e tra gli spigoli di questo triste tempo che ci avvolge.
Ha un nome: bellezza.
Ieri sera, nella atmosfera davvero magica del cortile del Castello Estense, la stessa che vide consumarsi la passione tra Ugo e Parisina, un pianista leggero e tenero come Giovanni Allevi ha saputo incarnare e restituire la voglia di bellezza che ognuno di noi si porta dentro.
Con l'aria di uno capitato lì per caso, cespuglione, camicione fuori dai jeans, scarpe sportive, goffo e simpatico, ha incantato, sedotto, abbracciato l'anima dei presenti.
Lui sembra suonare d'istinto, senza neppure lo spartito, segno che sa e crede in quello che fa, racconta che la sua e' una scelta di vita e per vivere, e' allo stesso tempo un pezzo d'anima che viene condiviso, alimentato, nutrito e sfamato con lo strumento.
Il piano ride con lui e soffre accanto a lui.
Lui ride e soffre in simbiosi con le sue note.

E noi, sulla scia.

Nella sua musica racconta i suoi sentimenti, che si tratti di raccontare della passione per una ragazza, delle suggestioni di una conchiglia, del respiro di una sera ad Harlem, della lettera in musica ad un padre spirituale divenuto spirito guida.
Non importa che lui sia piu' o meno bravo (lo è, per me), cio' che conta e' che lui cerchi, trovandola nel pianoforte, la bellezza.
Come sa chi passa a leggere queste parole in libertà, non importa che essa sia in un suono, in un verso, in una foto: quello che conta è che ci si riesca a trovarla.
E la musica di Allevi è bellezza pura.
Perchè, con la semplicità delle sue note che diventano le icone della sua sensibilità ed espressività, ci prende sottobraccio e ci aiuta ad accendere l'interruttore  dell'Anima.

Si, ne vale davvero la pena.

 
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Canti di Nativi Americani/1

Post n°13 pubblicato il 21 Luglio 2006 da rivedelfiume
 

Canto d'amore dei Tule
( Panama )

Molti bei fiori, rossi, blu e gialli; diciamo alle ragazze,
-Andiamo e camminiamo nei fiori.-

Il vento viene e agita i fiori,
le ragazze sono come un fiore quando danzano;
alcuni sono aperti, grandi fiori,
altri leggeri fiorellini.

Gli uccelli amano il sole e il chiaror
delle stelle;
i fiori sorridono dolci.

Le ragazze sono più dolci dei fiori.

 
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Un angelo caduto in volo

Post n°12 pubblicato il 20 Luglio 2006 da rivedelfiume

Per mia indole sono, musicalmente parlando, un libertario.
Non ho mai imposto a nessuno di comperare nulla, meno che mai dischi.
Non ho mai sopportato quelli che "Tu devi avere /non puoi non comperare/come si fa a non …". Tranne rare eccezioni: qui ho già parlato di Beatles e Rolling Stones, di Battisti e Mitchell. E non ho mai imposto nulla, non ho mai usato aggettivi come "imperdibile", "essenziale", "indispensabile".

Stavolta pero’ devo fare un’eccezione.

Se trovate un qualunque cd tra quelli citati nelle prossime righe, ritenetelo un acquisto essenziale come il pane.
Il 25 novembre di trent’anni fa se n’è andato un angelo.
L’ angelo caduto in volo si chiama Nick Drake.
Anche fisicamente, la versione destinata al paradiso di quell’essere che, nella versione per gli inferi, assumeva le sembianze di Jim Morrison.
Devo mettervi in guardia, dato che alcuni di voi, a giudicare quello che scrivete nei vostri diari, temono l’intensità, il ritrovarsi clamorosamente nudi sotto le maschere quotidiane, la paura di affogare nelle profondità dell’anima: ascoltarlo può voler dire trovarsi di fronte a paesaggi così vasti da scatenare un attacco di panico, od ascoltare accordi più caldi del primo caffè del mattino.
Come De Andrè, Battisti, Lennon, Mitchell, Buckley padre e figlio, Drake ha quel qualcosa nella voce che ti porta a piegare la testa, a chiudere gli occhi nel tentativo di scoprire se sia il soffio sottile emesso assieme alle sue note ad aprirci il petto, o solo una malinconia, che come la neve non fa rumore, per qualcosa che non ti sai spiegare bene.
Scoprire la sua musica è come trovare un nuovo modo di percepire la realtà davanti alle mille prevedibilità che ci circondano. Ci vuole coraggio per affrontare questo tipo di viaggio. Un coraggio che però ripaga oltre ogni previsione.

Nick Drake nasce il 19 giugno del 1948, e, dato che niente succede per caso, sua madre Molly scrive e canta canzoni per hobby. Esiste uno splendido documentario biografico, voluto e prodotto con insospettabile sensibilità da Brad Pitt, nel quale mamma Molly suona e canta una canzone (una registrazione trovata da Gabriella, la sorella di Nick, per i seguaci del gossip diremo che era un’ attrice – è la ragazza dai capelli violacei nei telefilm "Spazio 1999") e a quel punto tutto diventa sin troppo chiaro. Introvabile, purtroppo: ogni tanto passa su qualche tv satellitare specializzata, chissà se, nell’occasione dell’anniversario, qualcuno non decida di accontentare qualche migliaio di irriducibili e pubblicarla su dvd.
Viveva, giunto all’età di due anni dalla Birmania, a Tamworth-in-Arden, vicino a Coventry. Paesaggio collinare, aperto e sostanzialmente bucolico, il che, negli artisti sensibili, influenza sempre la produzione. Ragazzo timido e introverso, innamorato dei poeti del simbolismo francese. E continuerà a vivere lì, lontano dalla mondanità: leggenda vuole che si recasse in treno a Londra solo per incidere gli album o comperare libri, viaggiando in classe economica.
Il 25 novembre del 1974 la madre Molly lo trova morto nel suo letto. L’autopsia parla di avvelenamento da dose eccessiva di antidepressivi, ma non si saprà mai se ingoiati con volontà suicida, o solo quella di chi sta cercando di sedare una stato d’animo troppo lontano dalla tranquillità.

Nick Drake aveva sino ad allora realizzato tre album: Five Leaves Left (1970), Bryter Layter (1970) e Pink Moon (1972). Con scarso successo di vendite, il che ha forse contribuito ad amplificare una forma depressiva, probabilmente in atto da tempo.
Nelle sue canzoni, in primo piano troviamo quasi sempre solo la voce e la chitarra acustica, anche se non mancano arrangiamenti di archi e ospiti eccellenti come Richard Thompson, Danny Thompson e John Cale.
Ascoltare la grazia con cui vengono pronunciate le parole "I saw it written and I saw it say/Pink moon is on its way/And none of you stand so tall", con cui inizia "Pink Moon", lascia irrimediabilmente incantati. Quella voce quieta, flebile, sussurrata, accompagnata dal suono nitido della chitarra acustica e da pochi altri strumenti, e queste canzoni dolci e strabilianti, autentiche perle ricche di malinconia e suggestioni, aprono un mondo del tutto nuovo.
Pezzi che racchiudono sentimenti profondi e la voce di un uomo. Questa è la semplice ragione per cui risultano così toccanti, perché contengono la vita, le paure, le gioie, le speranze e la poesia di Nick Drake.
Ci sono artisti che descrivono la realtà, altri che la trasformano, altri ancora che la ignorano.
Nick Drake ci passa attraverso per raccontarla servendosi di risvolti mai visti, che solo la magia della musica può svelare. Forse è la dolcezza immensa che la malinconia sprigiona a rendere così forte l’approccio alla sua opera.
È l’arte del descrivere le emozioni attraverso simboli, che sono fatti di mare, di fiumi, di prati, di alberi e di stagioni. Una natura che vibra per ciò che lascia ogni minuto dietro di se, sapendo che niente ritorna.
È il riflesso dell’anima, un’anima aperta e disponibile a farsi toccare dall’essenza pallida delle cose.
È la bellezza che non nasconde i suoi lati più crudi.
È profondità, la sua arte, in cui non c’è differenza tra voce e suoni: è la fotografia che lo ritrae mentre guarda fuori dalla finestra della sua stanza, in un momento felice.

Un poeta, una voce di dentro, un vento in apparenza gelido che, una volta passato dalle fessure dell’anima, in realtà è capace di scaldare più di un maglione pesante, anche se questo può comportare il prezzo della nudità di cui parlavo all’inizio.
Un lungo, meraviglioso viaggio, dove l’occhio fuori dal finestrino è rapido nel cogliere l’occasione di raccogliere frutti e fiori dai colori intensi e dai profumi inebrianti. Canzoni come battello ebbro su e giù per le vene.
Dopo la sua morte, i dischi sono rimasti in catalogo, nelle serie economiche; nel 1986 esce una raccolta di brani inediti e demo delle canzoni contenute negli album sopra citati, Time Of No Reply; nel giugno del 2005 una raccolta con un inedito e riarrangiamenti , Made to love magic.
Qualunque cosa troviate, compratela, senza indugi o reticenze. Una medicina per le ferite, un sorriso che si diluirà nelle pieghe dell'anima.
Ogni suo album è l'espressione della grazia, della fragilità, delle emozioni, quelle che poche persone sanno percepire, perché richiedono ascolto e partecipazione.
Se siete disposti ad ascoltare, Nick saprà parlarvi con la sua musica e le sue parole.

"When I was younger, younger than before
I never saw the truth hanging from the door
And now I'm older
see it face to face
And now I'm older gotta get up
clean the place.
And I was green, greener than the hill
Where the flowers grew and
the sun shone still
Now I'm darker than the deepest sea
Just hand me down, give me a place to be.
And I was strong, strong in the sun
I thought I'd see
when day is done
Now I'm weaker than
the palest blue
Oh, so weak in this need for you"

"Quando ero giovane, più giovane che mai
Non ho mai visto la verità pendere dalla porta
E adesso che sono più vecchio
la vedo faccia a faccia
E adesso che sono più vecchio devo alzarmi a pulire il posto
Ed ero verde, più verde della collina
Dove crescevano i fiori
e il sole brillava ancora
Adesso sono più scuro del mare più profondo
Fatemi passare, datemi un posto in cui stare
Ed ero forte, forte nel sole
Pensavo di poter vedere quando
il giorno era finito
Ma ora sono più debole
dell'azzurro più pallido
Oh, così debole in questo bisogno di te "

(Place to be)

 
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Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso.....

Post n°11 pubblicato il 18 Luglio 2006 da rivedelfiume
 

Ci sono cose di cui non si parla mai, o se ne parla di nascosto, in modo allusivo, a volte offensivo, dando per scontato che tutti sappiano quello che c’è da sapere,  o che non ci sia nulla da sapere.

Che tutti sentano nello stesso modo, che ognuno sia perfetto e siano gli altri ad essere “sbagliati” .

Parole sprecate e silenzi dannosi per affrontare un tema che sta letteralmente alla base della nostra stessa sopravvivenza: la sessualità.
In balìa del capriccio delle mode, delle tendenze culturali, politiche e, soprattutto in Italia, religiose, di sessualità si parla o si tace, si ostenta o si nasconde, si fa indigestione o si fa la fame. In tutti i casi, spesso, ci si dimentica di affrontare l’argomento con la giusta dignità che gli spetta e con quel pizzico di buon senso necessario per venire realmente incontro alle esigenze non solo dei più giovani, che si affacciano alla vita e all’incontro con pulsioni e istinti potenti e vitali, ma anche di persone in età più matura, che non hanno mai avuto l’opportunità di chiedere “Tutto quello che avrebbero voluto sapere sul sesso”,
 parafrasando il famoso libro (e film),  o di instaurare un dialogo aperto e sincero con l’altro sesso, sulle questioni più intime.

Non si tratta di optare tra la liberazione e la repressione sessuale; non avrebbe senso quanto parlare di liberazione o repressione dell’alimentazione, o del movimento fisico. Quello di cui c’è bisogno, sempre e comunque, è un atteggiamento obiettivo verso la sessualità, esente dalle tradizionali reazioni di paura, di falso pudore, o di condanna e, d’altro canto, libero dal fascino che essa esercita, fascino accresciuto artificialmente dal lavorio dell’immaginazione e dall’iperstimolazione diffusa attualmente.

L’istinto sessuale non è di per sé né buono né cattivo, è una funzione biologica e come tale non è immorale, ed è una funzione di massima importanza, poiché assicura la continuità della specie. Pur essendo fondamentalmente un istinto, non possiamo non riconoscere le profonde implicazioni che esistono anche sul piano affettivo e mentale. “Trattare l’amore sessuale soltanto dal lato fisico sarebbe come pensare durante un concerto solo alle budella del gatto e alle code di cavallo usate per le corde del violino e per i crini dell’arco”, ha detto un poeta inglese, e la complessità di questo tema è proprio dovuta all’interdipendenza tra tutti i diversi aspetti del nostro essere, fisico, emotivo, mentale e spirituale.

Questo atteggiamento globale, olistico è il termine attualmente più corretto, cioè in grado di prendere in considerazione l’insieme della persona, e non solo singoli aspetti separatamente, è noto da millenni nelle culture orientali, in cui, non a caso, di sessulità si parla come di ogni altro campo della salute.

Che cosa è successo allora da noi? Da cosa nasce questo atteggiamento così ambiguo?

Le risposte possono essere tante, una molto provocatoria viene da Wilhelm Reich, uno dei maggiori contributi alla psichiatria, che distaccandosi da Freud ha dato poi vita alla bioenergetica. Oggi “La rivoluzione sessuale” è un libriccino che troviamo in tutte le librerie, ma Reich ha concluso i suoi anni in prigione per l’ardire delle sue tesi e lo scalpore suscitato nella  cultura occidentale per la sua ricerca. La repressione sessuale rende gli individui più facilmente manipolabili e plagiabili  - sostiene - mentre la libera espressione dell’energia sessuale ha un ruolo fondamentale per la salute psichico dell’individuo e per la sua capacità di diventare una persona responsabile, critica, creativa ed indipendente.

La sua tesi, inizialmente basata su dati di tipo sociologico, riguardante il rapporto diretto tra repressione sessuale e repressione politica, all’interno di diverse società, ha dato poi vita ad una scuola di psicologia che cerca di comprendere la personalità in termini dei suoi processi energetici, riconoscendo il profondo legame esistente tra mente e corpo, per cui ogni repressione di qualche cosa di fisico, si traduce in una sostanziale modifica del carattere.

Non bisogna però cadere nell’ eccesso opposto, perché liberazione non VUOL dire assoluta mancanza di guida, di sostegno, di regole, non vuol dire neppure caricare di eccessiva importanza un aspetto prima trascurato della nostra natura, ma integrano armonicamente col resto, riconoscendogli il posto che gli spetta, che sarà diverso da persona a persona. Soprattutto non vuol dire che senza sessualità non c’è salute psichica, ma vuole dire sicuramente che c’è differenza tra sentire un impulso e decidere di non seguirlo (per decisioni di tipo personale, religioso, per inopportunità o impossibilità contingente) e fare finto di non averlo. Se riconosciamo che la sessualità è energia, possiamo anche decidere di canalizzarla, di sublimarla, di trasformarla, l’importante è che questa sia però una scelta individuale consapevole, non uno schema imposto da una società bigotta che richiede ai giovani l’astinenza fino al matrimonio, senza informarli, senza offrire loro occasioni di dibattito e confronto, e poi pretende che dopo un ‘sì’, diventino capaci di incontrarsi intimamente senza problemi.

Quanta infelicità, quanti conflitti tra uomo e donna potrebbero essere evitati con una vera educazione sessuale, e non certo quella che

racconta la storiella degli spermatozoi che incontrano l’ovulo, o la fisiologia del glande e delle trombe di Falloppio e di altri termini orrendi  che togliendo ogni poeticità al corpo maschile e femminile credono di risolvere il problema dell’educazione. Quello di cui c’è bisogno è dialogo, confronto su ciò che si sente e si vive in prima persona; parlarne apertamente consente così ad ogni individuo di prendere coscienza delle sue peculiari esigenze, e di scegliere quindi consapevolmente, tempi, modi e atteggiamenti ad ognuno più congeniali, senza lasciare i giovani, e il discorso vale anche per quelli che giovani lo sono ormai stati, abbandonati a loro stessi e, ancor peggio, a chiacchiere di corridoio che rischiano di diffondere solo idee sbagliate su ciò che dovrebbe o non dovrebbe essere.

Si potrà così scoprire che non siamo gli unici ad avere delle difficoltà, dei dubbi, delle perplessità, dei timori, dei desideri, delle fantasie; e alleggerirci di questo peso, che ognuno crede di essere il solo a trasportare, ci lascerà già una notevole quantità di energia in più a disposizione per provare ad affrontare il sesso come una cosa sostanzialmente buona, bella, giusta. Come un modo per scoprire qualche cosa di nuovo di se stessi e degli altri, come un’occasione di partecipare in prima persona al meraviglioso mistero della creazione. Far l’amore è naturale, è come lasciarsi coinvolgere in una danza sempre nuova in cui trovano occasione di espressione il nostro essere bambini e adulti, dolci e aggressivi, spiritosi e drammatici, curiosi ed esigenti. Se sapremo far crescere la fiducia in noi stessi, e anche nel/nella partner, avremo un’occasione in più per rinsaldare ulteriormente il rapporto e approfondire a conoscenza reciproca. C’è sempre da imparare l’uno dall’altro, uomo e donna hanno sostanzialmente ritmi e modalità diverse di affrontare il rapporto sessuale e la condivisione delle reciproche esigenze permette di incontrare l’altro più in profondità, riconoscendone e valorizzandone I ‘unicità.

Far l’amore è un’arte, non una tecnica, quindi... spazio alla fantasia, all’allegria, alla creatività, senza mai generalizzare o dare nulla per scontato. E’ anche imparare a chiedere, a rispettare, a non lasciarsi prendere dall’abitudine, a non soffermarsi sulla tecnica ma sulle proprie sensazioni, imparare ad essere presente, al proprio corpo, a quello dell’altro, accettando il piacere, e scoprendo la gioia del dare piacere. il rapporto sessuale diventa, in questo spirito, non un fine, ma un mezzo, per creare un clima di tale intimità e dolcezza, da far capire il significato più profondo del famoso slogan “fate l’amore non fate la guerra”.

 
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