"Muti e maestosi giganti si ergono sulle alture e nelle vallate. Il loro linguaggio è ormai affidato alle pietre che, una sull'altra, ripetono forme circolari in spirali che si restringono sempre più fino a chiudersi. Senza un inizio né una fine, l'immaginaria spirale sale verso il cielo, sempre più in alto.
Tutta la nostra scienza si scontra con indecifrabili quesiti e tutta la nostra volontà di conoscere si blocca di fronte ai megaliti che ci sovrastano. Cunicoli, nicchie, stanze, pozzi, antemurali, piombatoi, scale, tholos, feritoie ... oggi li abbiamo chiamati così. Come li chiamavano i nuragici? Come hanno potuto concepire una costruzione così ardita senza lasciare traccia dei disegni che senza dubbio sono stati indispensabili per procedere nella costruzione? E come un così esiguo popolo ha potuto trovare energia eccedente da dedicare a queste opere, e da chi ha mutuato la tecnica indispensabile? E a quale scopo ha riunito tanti uomini per un lavoro che non era di stretta utilità individuale, ma era rivolta ad una utilizzazione sociale o ad una élite? Un pesante silenzio sovrasta i macigni nuragici. A noi rimane l'inquietante desiderio di penetrarli, visitarli, osservarli in ogni particolare, con l'inutile speranza di decifrare il linguaggio delle pietre, di trovarvi qualche segno, qualche arcana impronta che ci apra scenari arcaici e suggestivi, ormai irrecuperabili."
Così scrivevo il 17 aprile 1978. Due o tre anni prima avevo visitato il nuraghe di Barumini. Ero andata nel sito in una giornata di fine dicembre. Allora non c'erano guide, e non c'era proprio nessuno. Con mio marito sono entrata in questa incredibile costruzione e l'abbiamo scoperta stanza per stanza. L'impressione è stata fulminante. Conoscevo già il Palmavera ma a Barumini ho provato delle emozioni irripetibili che ricordo bene ancora oggi. Chissà quale evoluzione avrebbe avuto il popolo nuragico se lo avessero lasciato sviluppare in un contesto di scambi pacifici, come era avvenuto tra Sardi e Fenici. Ma la pace è un sogno che non fa parte della storia. Ci rimane solo una grande amarezza per il passato e per il presente, nella constatazione che l'uomo non può trovare l'armonia del quieto vivere nel rispetto di sé stesso e degli altri, ma è succube dell'ingordigia che rende la sua vita un inferno. Ieri come oggi e, forse, come sempre.
Nella foto: Nuraghe Funtana di Ittireddu
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