Creato da ugoabate il 31/07/2008
desidero dare a tanti la possibilità di ricevere qualcosa di buono e da Dio la Sua Benedizione.

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CONTINUAZIONE COME INCONTRATA E CONOSCIUTA M.E.

Post n°559 pubblicato il 03 Aprile 2013 da ugoabate

Un giorno, una mia zia, zia P., moglie di un fratello di mia madre, che tempo addietro aveva conosciuto Mamma Ebe per cercare di trovare una cura per la sua figlia, affetta, fin dalla nascita, da una ipotrofia emilaterale di tutto il corpo, indicò appunto a mia madre questa persona, quale fu l’ultima possibilità e carta da giocare per poter trovare una eventuale adeguata cura che facesse al caso di J..

J., non appena sentì nominare tale persona, non faceva altro che rammentarla continuamente, pur non avendola mai conosciuta di persona. E, continuamente, chiedeva di essere condotto da lei. A questo punto, mia madre e mio fratello, che non ricordo se a quel tempo già medico o solo prossimo alla laurea, decisero di condurre J. da questa “donna” che, settimanalmente, il venerdì notte, dopo aver lavorato per tutto il giorno e tutta la settimana nella propria Villa Gigliola, in San Baronto - Pistoia, scendeva, insieme al suo medico e a qualche volontaria, a Sacrofano - Roma, ove aveva affittato una villa per visitare e curare gli ammalati che provenivano dal Centro, dal Sud e dalle Isole, venendo loro incontro, non facendo loro percorrere così tanti chilometri per giungere fino a San Baronto, in Toscana.

Quel giorno, che fu deciso di portare J. a Roma, io restai a casa. Certo, stavo già male, ma l’affezione della quale soffrivo era già passata alla fase sub-cronica o persino cronica credo e, quindi, sintomaticamente meno appariscente per molti versi, anche se il male stava lavorando anche nel sangue.

Al ritorno da Roma, J. già si presenta più sereno, più aperto al dialogo e, di colpo, erano sparite quelle manifestazioni aggressive verso le cose, che aveva provocato non pochi danni a casa: letti, armadi, porte distrutte!

Trascorsa qualche settimana, J. aveva incominciato a recarsi a Roma da solo. Stava sempre meglio, al punto che, nel Settembre di quello stesso 1978, fece domanda per sostenere l’esame di Maturità in sessione straordinaria. La domanda fu accolta e J. superò la prova col voto 46/60, cosa di non poco conto, e, inoltre, egli aveva dimostrato che, ormai, stava bene! Incominciava, infatti, a recarsi anche in Toscana da solo e, poi, faceva ritorno ad Aversa.

Fu proprio in quel periodo che decisi anch’io di recarmi da Mamma Ebe e per due motivi, essenzialmente. Il primo, per conoscere di persona questa “donna” della quale sentivo parlare in modo contraddittorio: chi in bene, chi in male, ed anche da persone che non l’avevano mai conosciuta.

Giunto un sabato a Sacrofano di Roma, con due dei miei fratelli, J. e S., vidi tante persona provenienti da mezza Italia. Dopo alcune ore di attesa, venne il nostro turno. Fummo fatti accomodare in una stanza e ci fu chiesto, da un’inserviente, di spogliarci e restare solo in mutandine.

Giunta che fu Mamma Ebe, visitò A. e gli disse che era affetto da linfatismo (cosa che era perfettamente vera) e gli prescrisse delle erbe. Si recò, poi, dal suo medico, che sempre l’accompagnava, e gli fece prescrivere delle iniezioni per il linfatismo.

Toccò poi a me. Mi fece sdraiare sul lettino e, senza che io le avessi detto una sola parola, mi visitò lì dove da tempo era partito il male e mi disse chiaramente quello che avevo, cosa che è risultata vera.

Mi diede un impacco di pomata a base di ittiolo e mi disse di metterlo sui genitali per quattro notti successive. Di poi, si congedò dopo averci salutato.

Ritornati a casa, giorno dopo giorno cominciavo a stare sempre meglio, fino al punto che non accusavo più alcuno dei sintomi che per mesi avevo avuto.

Intanto, mia madre, che prima della guarigione di J. non ci vedeva chiaro su Mamma Ebe poiché di costei ne aveva sentito parlare ora bene ora male, visti, però, i risultati, incominciava ad aver fiducia in questa donna, che molti dicevano avere anche le Stimmate, come Padre Pio, del quale era figlia spirituale.

Un giorno J. ci telefonò dalla Toscana per farci sapere che il Venerdì Santo alla Mamma Ebe le si sarebbero aperte le ferite e che avrebbe dato la benedizione a quanti si sarebbero recati da lei.

Come, non saprei di preciso, mia madre ed io, insieme ad una signora di Castellammare di Stabia, organizzammo, per questo evento, un pulman di malati. Fra di essi c’era pure un ragazzo di Castellammare, di circa trent’anni, paralizzato e costretto da anni su di una sedia a rotelle.

Si partì la mattina prestissimo di quel Venerdì Santo del 1979 e giungemmo alla villa dove abitava Mamma Ebe, a San Baronto, in mezzo alle colline pistoiesi, nel primo pomeriggio. Il cielo era cupo e minacciava persino di piovere. Fuori la villa c’era una lunga fila di persone, che si snodava dalla strada fin giù per le scale esterne della stessa villa, scale che portavano in un locale attiguo, chiamato “stireria”. Era lì, infatti, che ogni anno, e sempre lo stesso giorno, il Venerdì Santo, che, dalla mattina alle 9 alla sera alle 18, Mamma Ebe, adagiata su di un lettino, coperta da un lenzuolo bianco, le ferite tutte aperte e piene di sangue, accoglieva, benediceva, dava risposte, consigli, sostegno e speranza ad ogni sorta di ammalati e di persone. E così fu anche per me! Mi misi in coda come tutti, avendo dietro a me proprio mia madre.

L’aria era piena di devoto silenzio ed, insieme, di continua preghiera. Si procedeva lentamente, ma minuto dopo minuto, la fila scorreva e mentre persone uscivano dalla “stireria”, altrettante continuavano ad accodarsene in fondo, su per le scale e fin sulla strada Provinciale, che passa proprio di lì.

Ancora pochi passi e sarebbe toccato a me! Ero sereno ma anche un po’ curioso in verità: volevo portare via un ricordo tangibile di quell’incontro che stavo per fare! Mi sono preso, perciò, nella mano destra, un fazzoletto pulito che avevo in tasca: l’avrei intinto nella ferita della mano, che, a pochi passi ormai da lei, vedevo essere fuori del lenzuolo, adagiata lungo il corpo e che si alzava faticosamente, un attimo, solo per una benedizione o per imporla sul capo o su di un’altra parte del corpo, su ciascuno che giungeva davanti a lei.

È toccato finalmente a me! Mi sono inginocchiato affianco al lettino, come facevano tutti, e, nello stesso istante, ho adagiato delicatamente il fazzoletto su quella ferita, affinché portasse con sé il ricordo tangibile di quel sangue. Invece…! In quello stesso istante Mamma Ebe, rivolgendo il suo sguardo dolce e mesto verso di me, disse: ”Abbi fede!”

Per un attimo restai senza parole! Poi, ancora lei, mi disse: ”Ugo, vuoi seguirmi?” Ed io, senza alcuna esitazione, le risposi, a lei o a Chi per essa: “E a lei (intendevo la mia ex) chi ci pensa?” “A lei - mi rispose - ci penso io!” E mi diede la benedizione.

La risposta fu per me una certezza, anche senza un motivo razionale e di lì a poco ne ebbi la conferma.

Presa la benedizione, riposi in tasca il fazzoletto, che mi accorsi essere rimasto senza alcuna macchia di quel sangue e mi alzai, riprendendo la via d’uscita da quella stanza.

Di poi, mia madre ebbe a dirmi che, nonostante fosse stata a pochi centimetri da quel brevissimo colloquio e, pur avendo prestata la massima attenzione, non era riuscita a capire una sola parola.

 
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