Creato da ginomoschella il 20/11/2009

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Romanzo

 

 

LA CITTA' CONQUISTA L'INCEDERE AMMALIANTE DI ELEONORA (Tratto dal capitolo: Il marito di Eleonora)

Post n°5 pubblicato il 08 Dicembre 2009 da ginomoschella
 

I contorni nitidi della costa s’ingrandivano man mano che la nave si avvicinava alla terra. L’approdo segnava anche il momento del primo commiato tra il comandante ed  Eleonora. Egli si profuse in un baciamano tenendo i suoi occhi fissi in quelli di lei. Ma Eleonora, aveva già ripreso il controllo di se stessa. Ed in quella posizione capì che, malgrado la divisa desse notevole importanza all’uomo, ella avrebbe potuto dominarlo a suo piacimento. I soldati scattarono sugli attenti. I passeggeri fecero ala. Abituata a sentieri impervi e scoscesi scivolò via svelta, leggera, regale. Il comandante perse per un attimo il controllo, quindi si ricompose, la sua voce tornò dura per pronunciare ordini secchi. Tutti erano un po’ fuori dalle righe e, per questo, solo Arturo, fido sgherro, si accorse dell’incongruenza di alcune frasi, pronunciate dal suo superiore.  E intuiva la navigazione del suo pensiero disperso nel sorriso largo di lei, nello sguardo dolce che in un tratto si era pietrificato per tornare  alla mobilità di prima. Esisteva al mondo una creatura parimenti perfetta e al tempo stesso dai mille volti? Eleonora attraversò la passerella e si diresse verso l’uscita. Sulla terraferma numerosi operai si destreggiavamo tra ponti ed impalcature. Lastre di marmo volteggiavano sulle teste dei passeggeri che ammiravano con il naso all’insù la nascita  della nuova stazione marittima.  Avanzava sicura, anche se  i lavori incorso avevano mutato in parte l’aspetto del paesaggio e si stava eccitando sin dal primo impatto. Ella aveva sognato, si può dire da sempre, di vivere in città, in quella città con i venti che cambiano ad ogni angolo. Doveva recarsi da zio Piero, ma  avrebbe potuto indugiare ancora  un po’. Si fermò davanti a talune vetrine. Allora il commerciante usciva e provava ad invitarla seguendo, nella maggior parte dei casi, l’istinto professionale. Ella sorrideva e declinava l’invito. Quando le veniva rivolta una battuta inopportuna,  sapeva come  troncarla sul nascere. Era sufficiente un suo sguardo tagliente e sprezzante per ridicolizzare l’interlocutore. Tutti, poi, seguivano dall’interno il suo incedere elegante.   Impiegò quasi un’ora per giungere  a bussare alla porta dello zio.

 

 
 
 

LA FATA MORGANA TESSE LA RETE DELLA SEDUZIONE (tratto dal capitolo: il marito di Eleonora)

Post n°4 pubblicato il 29 Novembre 2009 da ginomoschella
 

 

Il mare era calmo e la nave traghetto lo solcava, tracciando una lunga scia bianca. La superficie levigata, inondata dagli abbondanti spruzzi, tornava gradualmente a ricomporsi. Dalla ringhiera Eleonora osservava il movimento incessante dei gabbiani che si abbassavano fino al pelo dell’acqua, si posavano e, di nuovo s’innalzavano volando via verso il cielo, azzurro senza fine. Al centro della nave, v’erano alcuni Ufficiali della Milizia Volontaria Fascista; di tanto in tanto si inchinavano ed esclamavano: “Si, Signor Comandante”. Eleonora, spinta dalla curiosità si avvicinò e si alzò sulla punta dei piedi per vedere in faccia la persona, meritevole di tanti ossequi. Lo individuò: era più anziano degli altri e dal volto traspariva un certo grado di supponenza e di severità. Ella si allungò ancor di più e i bottoni della camicetta, sotto l’impulso del petto, cedettero,  mostrandolo in tutta la sua freschezza. Con mossa repentina afferrò un lato dell’indumento, ma riuscì a  coprirsi solo in parte, tanto che i soldati rimasero abbagliati da forme così solidamente generose. Il capo di quel branco si fece largo e si avvicinò ad Eleonora che, impacciata, cercava di ricomporsi: “Bella fanciulla, la camicetta e la gonnellina che indossate aderiscono perfettamente al vostro fascino e siete riuscita ad ipnotizzare  i miei Ufficiali. Ma ora che mi trovo qui,  sento che volete chiedermi qualcosa.”

Eleonora balbettò e il comandante insistette: “Coraggio! Dite! Di che avete bisogno?”

“Parlare con voi signor comandante.”

“ Non avere paura, orsù.”

Egli era passato al tu, confidenziale e autoritario insieme, ed Eleonora stava cadendo nella sua rete, senza accorgersene. Così, rinfrancata, riprese: “Signor comandante, mio marito è all’ospedale militare di Messina. Desidero una raccomandazione perchè  si è ammalato durante la leva, ma nessuno vuole riconoscere la causa di servizio.”

“Ma certo, mia cara, sarà fatto, domani mattina alle dieci vieni nel mio ufficio”. Così dicendo, le porse un biglietto da visita. In quel momento la nave traghetto incominciò la  manovra per invertire la marcia. Eleonora sbandò: in una mano teneva il biglietto, con l’altra stringeva un lembo del tessuto, ma costretta ad  ancorarsi a qualcosa  di solido lasciò la presa. Trovò sostegno nel  braccio pronto e rassicurante di lui. Il gerarca, privo di ritegno, deglutì: incominciava a pregustare sviluppi inimmaginabili fino a qualche istante prima.  Più in alto v’era un capitano, di ben altro stampo, dagli occhi chiari come quei fondali marini e rivolti verso Messina. La giornata straordinariamente nitida evocava la fata Morgana e dal ponte della nave,  persone e cose, che si trovavano  sulla sponda siciliana, sembravano vicinissime, mentre in realtà erano a qualche chilometro di distanza.  Volentieri sarebbe rimasto ad assistere allo spettacolo , che ancora una volta, si replicava nello Stretto, ma non sopportando le prepotenze e le ingiustizie gettò un ultimo sguardo e rientrò in cabina per pilotare le attività di approdo. Tuttavia, un’idea lo attraversò  illuminandolo, e rivolgendosi al suo vice suggerì: “Oggi la ciurma mi sembra più apatica del solito”. L’ assistente lo guardò.  Interpretò la massima, al volo, uscì sul ponte e si mise a gridare, troncando in tal modo l’incipiente approccio.

 

 
 
 

CALZE DI SETA VESTONO LA STRADA IN ASPROMONTE, ALLA FERMATA DEL BUS (tratto dal capitolo: Il marito di Eleonora)

Post n°3 pubblicato il 25 Novembre 2009 da ginomoschella
 

Per rispondere agli interrogativi del nostro fedele ed appassionato lettore occorre risalire a qualche mese prima e più precisamente all’ ottobre del 1938. La strada s’inerpicava allargandosi e restringendosi attorno alla montagna. Sul margine era cinta da un muretto alzato, pietra su pietra, con l’ausilio di muli, talvolta recalcitranti, ma in paziente teoria dalla cava, bassa alla destra del torrente, al ciglio del burrone che faceva paura persino a provetti montanari. Nato contadino, Turi si era adattato a quel lavoro provvidenziale, ma se la passava più con le bestie che con gli uomini. Mangiava, riposava con esse e le conosceva a tal punto che sapeva quali bendare affinché affrontassero il sentiero impervio, senza impuntarsi ad ogni curva o nei tratti, brevi ma insidiosi, in leggera discesa. Lungo il percorso, in una rientranza naturale aveva costruito un muretto più alto e un lungo sedile della stessa pietra di color antracite, e con tutta la sua compagnia vi trovava rifugio nell’arroventarsi della calura o durante persistenti temporali. Proprio lì vi era seduta una ragazza, del tutto ignara circa l’artefice di quel sito e dei vissuti di successivi viandanti, ma che andava consumando un rito inconsueto. Con una pezzuola si puliva i piedi e poi infilava delle calze di seta con cui plasmava, alla stregua di un eccelso scultore, piedi affusolati e lievemente tondeggianti, caviglie strette e assottigliate verso lunghissime gambe magre. Poi,  superati ginocchi piccoli e aguzzi, fasciava morbide e sinuose curve materne. Nel frattempo, sopraggiunse la corriera. Per l’azione improvvisa sul pedale del freno, si fermò con uno stridore assordante e dentro una nuvola di gas, sospinta dal tubo di scappamento. Eleonora con fare lesto salì dallo sportello anteriore, mise il fagotto sulla reticella e andò a sistemarsi proprio sul primo sedile. Ancora non v’erano passeggeri sul mezzo, appena partito da un piccolo paese dell’Aspromonte.

“Dove andate signorina?”

“Che v’importa dove vado?”

“Ma io devo farvi il biglietto e se non so la destinazione come faccio a farlo?”

Eleonora scoppiò in una fragorosa risata.

“Scusate, avevo capito male. A Villa vado, a Villa San Giovanni.”

La corriera, nella sua folle corsa lungo la strada dissestata, continuava a sussultare. Eleonora sballottata di qua e di là svelava le intime suggestioni dell’autista che, ormai privo di qualsiasi ritegno, voltava continuamente  la testa per guardare.

A causa di una buca più profonda la corriera sobbalzò ed Eleonora, quasi assopita, andò a sbattere la schiena contro il sedile, impennò  le  gambe   come quelle di un cavallo di razza, mandò un urlo, si alzò infuriata e all’uomo lì incantato,  gridò: “Pezzo di scimunitu stai attento alla strada, non hai mai visto.. niente?..  bene! Hai modo di guardare però quando siamo fermi.”.

Egli si fece rosso rosso, però non rinunciò del tutto a sbirciare. E lanciava occhiate oblique se riteneva che la ragazza splendida dalle gambe meravigliose non lo stesse controllando. La corriera attraversò parte dell’Aspromonte e dopo circa due ore arrivò a Villa San Giovanni.

Eleonora scese e, all’autista, invano proteso nel tentativo di trattenerla, gridò: “Guarda sempre avanti, quando guidi, scimunitu, se no, qualche volta ti romperai la testa”.

 

 
 
 

TRAGEDIA NELLA TEMPESTA (tratto dal capitolo: il marito di Eleonora)

Post n°2 pubblicato il 20 Novembre 2009 da ginomoschella
 

Il 1938 stava per andarsene, ma Scirocco e Levante, furiosi, gonfiando e spezzando la tempesta marina, sprigionavano continui effluvi di penetrante salsedine e non davano scampo, neanche a coloro che avevano cercato rifugio nei luoghi più reconditi del villaggio. Come enormi dita ricurve, ondate forza nove, ghermivano il litorale e si abbattevano rotonde, scagliandosi e frantumandosi sulla grigia tastiera, in scale sempre maggiori di schizzi, proiettandosi in avanti e ricomponendosi in una lunga marea. Esaurita la forza ascendente e laterale, tornavano indietro diritte e basse e falciavano le successive. Invece, le onde sole, altissime e veloci, scavalcavano agevolmente il muro, rovesciando sulla strada tonnellate di terra. La furia devastatrice si alimentava, all’interno di quelle pluralità di frullatori, grazie ad un regista fantasioso, avvolgendo pietre e sabbia in danze esotiche. Una linea tratteggiata più scura avanzava con il progredire della tempesta.

In un angolo si era conservato, fino a sera inoltrata, un cocuzzolo di detriti su cui ardimentosi giovanotti si erano arrampicati per assistere, da vicino, allo spettacolo e vivere intensamente l’emozione provocata dall’acqua che li circondava e saliva saliva fino a lambire la punta più alta della collinetta. Risultati vani i tentativi delle persone  più anziane, un vecchio pescatore li aveva costretti a desistere dalla condotta imprudente in virtù di un azzeccato lancio di pietre. I ragazzacci, imprecando per il dolore e per l’umiliazione, a malincuore avevano abbandonato la postazione. Ed era stata la loro fortuna. Come previsto era arrivata un’ondata che aveva spazzato la roccaforte. Il risucchio violento, la decomposizione improvvisa di quella torre, i successivi assalti avrebbero potuto provocare conseguenze ben più gravi di un indesiderato bagno fuori stagione.

Più a nord, lungo l’intero versante, muri di fanghiglia, trascinati dai torrenti ingrossati, scendevano rovinosamente, a valle, e andavano ad affrontare le onde marine in uno scontro epico, che di giorno si era colorato di marrone verdastro. Ora alla luce dei lampi accompagnati da scrosci d’acqua e tuoni, s’intravedevano masse nere che s’inseguivano e rimbalzavano l’una sull’altra. 

All’interno della baracca, il lume a petrolio rischiarava le attività frenetiche dei due uomini che stavano preparando i bagagli. Zio Piero, temendo il verificarsi di eventi irreparabili, aveva ritenuto opportuno affrettare il momento della partenza. Si avvicinò alla finestra, scostò una tendina e guardando fuori commentò: “E’ una serata adatta alla fuga, nessuno con questo tempo oserà mettere il naso fuori, è una notte da lupi”. Tornò verso il centro della stanza. La porta si scosse come colpita da raffiche di sassi. Si guardarono negli occhi. “Sarà il vento” commentò Antonio. Lo zio abbassò la fiamma del lume e si avvicinò alla finestra, gettò uno sguardo di là del vetro. Buio fitto. Stava per ritirarsi, quando un lampo rischiarò il vialetto fino in fondo e così poté scorgere una macchina ferma con dentro una coppietta. Pensò che la serata fosse propizia anche per quei giovani. Il lampo aveva suscitato un fremito in Eleonora: “Arturo che ore sono?” “Un momento fa, mancavano cinque minuti alle venti. Puoi andare. Io ti seguo a distanza”. Eleonora si avviò e cominciò a chiamare: “Zio Piero, zio Piero sono Eleonora.”. L’uomo si affacciò.  Senza avvicinarsi, lei riprese in tono concitato. “Avvertite Antonio. Fatelo fuggire, perché altrimenti domani all’alba verranno e lo prenderanno”. L’ululato del vento disperdeva le parole: “Aspetta..”. “No, zio Piero, avvertite Antonio. Fatelo fuggire” “ Non andare, entra”. Mentre zio Piero insisteva, Antonio si affacciò alla finestra e cominciò a gridare: “Vattene, vattene donna schifosa, vattene se no ti uccido”. Imbracciò il fucile. Uno sparo poi un altro. Arturo si accasciò ai piedi d'Eleonora che cadde svenuta.

 

 
 
 

UN INNO ALLA LIBERTA'

Post n°1 pubblicato il 20 Novembre 2009 da ginomoschella
 

E' il romanzo nel cassetto di nostro padre, che ci ha insegnato ad apprezzare il valore della libertà, bene supremo. Lina, Mariella e Santino

 
 
 
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