Post n°3 pubblicato il 03 Dicembre 2010 da gio_bat24
Francesco Trevisani - Battesimo di Gesù
CONSIDERAZIONI Ciò che accomuna i festeggiamenti è il fuoco. Da altre fonti abbiamo scoperto che le mamme avevano i loro mezzi per scoprire se i figli maschi, più trasgressivi, avevano fatto il bagno in mare prima del 24 giugno. C'era chi si accorgeva lavando gli slip poiché il sapone non scorreva; c'era poi chi, incredibile a dirsi, arrivava ad "assaggiare" i polpacci del proprio figlio per capire se sapevano di sale e lo faceva con la pompa in mano, pronta a dare una dolorosa punizione. Abbiamo discusso per capire le motivazioni di questa mamma e molti di noi pensano che volesse accertarsi che suo figlio non avesse trasgredito al divieto di bagnarsi prima di San Giovanni. Oggi che abbiamo perso questo tabù ci chiediamo quale fosse il motivo di tale proibizione. Ad Alghero c'era il detto "San Giuan lu primè ban" (A San Giovanni il primo bagno). Non ne avevo mai capito il significato. Alla luce di queste testimonianze diventa chiaro. L'ABERO DELLA CUCCAGNA L'albero della cuccagna presente nella festa di san Giovanni merita un approfondimento. Secondo James Frazer l'albero della cuccagna è collegato ai culti arborei della fertilità che si svolgevano in primavera presso popolazioni di origine celtica. L'arrampicata all'albero della cuccagna che è molto alto non è priva di rischi, oltre ad essere quasi impossibile se eseguita individualmente. Infatti il palo è privo di appigli ed è cosparso di sostanze vischiose. Indubbiamente era uno spettacolo divertente e coinvolgente. Chi arrivava in cima prendeva tutto quanto vi era stato appeso. In tempi di ristrettezze come quello del dopoguerra era senz'altro una bella vincita. Pare che i pali provenissero da Porto Torres e che fossero in realtà alberi di grandi barche alti almeno 5-6 metri e più. Venivano cosparsi di grassi naturali o di pece. In seguito si usò anche olio per macchine. In cima si collocava un cerchione di bicicletta e lì venivano legati i "premi" tra i quali figurava sempre una gallina viva legata per le zampe, con la testa all'ingiù. Alla base si disponevano almeno tre ragazzi che facevano da appoggio. Da li' partiva colui che doveva tentare l'arrampicata che diventava possibile solo dopo molte prove, quando le sostanze grasse erano state asportate. La vincita veniva divisa tra i membri del gruppo che avevano così modo di festeggiare alla grande. |
LA FESTA DI SAN GIOVANNI BATTISTA AD ALGHERO Ricerche sui libri e su internet JOAN PALOMBA - In "Tradizioni , usi e costumi di Alghero" (1911) - scriveva che "La festa di San Giovanni è una delle più tipiche e originali, la chiesa è situata fuori dal centro della Città, è annessa all'antico convento dei Cappuccini. Alcuni fanno il bagno della mezzanotte perché in quell'ora si crede di raccogliere un erba speciale risplendente, detta PURIOL, che guarisce tutti i mali. Nel 1995 il Comune di Alghero (sindaco Carlo Sechi, assessore alla cultura Carlo Demartis) pubblicò un libretto intitolato "Festa dels focs de Sant Joan - Festa del solstici d'estiu). Joan Amades nel libro "Costumari Català" pubblicato tra il 1950 e il 1956 ci racconta che ad Alghero durante la festa di San Giovanni i bambini compravano un bambolotto di pasta dolce chiamato canalleru o munycot. Anche Ramon Clavellet (Antoni Ciuffo 1879-1912) ci dà la sua testimonianza che risale a fine ottocento, primi del Novecento. Il poeta sassarese sembra infastidito dalla festa e dice che i bambini tirano le giacche dei genitori chiedendo un soldino per comprare cavalluccius e mugnichetas di pasta dolce. In una rivista degli anni ottanta Antonello Colledanchise parla della festa. Dice che la notte del 23 le ragazze algheresi mettevano dell'acqua in una pentola, quindi aggiungevano il piombo. Aumentavano il fuoco e quando il piombo era sciolto recitavano questa preghiera: In nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo Nota: "Fare il piombo" era una delle usanze più diffuse in Sardegna. Dalla forma che assumeva il piombo sciolto al contatto con l'acqua si traevano pronostici sul futuro. Quando un bambino cadeva e sbatteva la faccia per terra, tirandolo su si ripeteva: San Giovanni, San Giovanni Aggiunge poi che la vigilia di San Giovanni i ragazzi algheresi prendono sedie, mobili, tavole e altri legni che bruceranno di notte in un gran fuoco che verrà acceso in mezzo a una piazza e che sarà saltato dai più giovani. Gli adulti seduti in circolo diventano "compari e comari".
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Post n°5 pubblicato il 18 Febbraio 2011 da gio_bat24
ALBERTO DELLA MARMORA IL COMPARATICO Presentiamo la testimonianza di Alberto della Marmora che descrive una cerimonia di comparatico molto particolare che si svolgeva ad Ozieri e nel nuorese. Alberto della Marmora riporta in maniera dettagliata il rito del comparatico in uso ad Ozieri e nel nuorese. Della Marmora dice che il comparatico di San Giovanni è in uso solo nelle campagne ed è un legame importante e rispettato. Due mesi prima della festa i due persone di diverso sesso si scelgono. Alla fine del mese di maggio la donna prende una corteccia di sughero e ne fa un vaso. Lo riempie di terra e vi semina del grano. Dopo venti giorni il grano è cresciuto e viene chiamato erme o nènneri. Ad Ozieri durante il Corpus Domini, alla fine di maggio, in un vaso fatto di sughero si semina del grano. Il 23 giugno quando il grano è in piena vegetazione l'erme, rivestito di seta e decorato con nastri colorati, bandierine e altri fronzoli viene collocato in una finestra sopra un telo di seta. A volte vi si aggiunge una bambolina di stoffa o una figura umana fatta con pasta di farina. È la stessa che anticamente si usava nelle feste di Hermes fino a quando le autorità ecclesiastiche hanno vietato l'uso di tali simulacri. Quelli che vogliono diventare compari e comari di San Giovanni si mettono uno di fronte all'altro con in mezzo il fuoco. Tengono con la destra le estremità di un lungo bastone che spingono tre volte avanti e indietro in modo che le mani destre passino sopra il fuoco. Così diventano compari e comari. Lo studioso conclude che i riti della festa di San Giovanni si collegano al culto fenicio di Adone e con quello di Hermes greco che si svolgevano al solstizio d'estate. Alberto della Marmora - Viaggio in Sardegna - Editrice Archivio Fotografico Sardo - Nuoro- 1997 Ci sono diversi modi per stabilire il comparatico di San Giovanni. Grazia Deledda ci chiarisce il valore di questo legame nel romanzo "Marianna Sirca". Marianna Sirca di Grazia Deledda, Newton Mammut, 1993, pag. 735 |
VITTORIO LANTERNARI IL COMPARATICO NEL NUORESE E AD OZIERI Vittorio Lanternari descrive la cerimonia del comparatico riportando la descrizione fatta dal Bresciani. Ed ecco il nucleo del rito: Giunti alla chiesuola fuori del villaggio, s'arrestano sul prato e gettano il vaso contro la porta della chiesa, ove si spezza. Indi con letizia si mettono tutti a sedere e mangiano ... La turba di poi, unita per mano, con canti e musica fa festa ai due sposi (sic). E la festa si protrae fino a sera." Nel Nuorese manca la figuretta femminile che era presente ad Ozieri. Tuttavia il rito rimanda alla religione dei primi agricoltori neolitici sardi, con le loro statuine muliebri sepolcrali. |
Post n°7 pubblicato il 20 Febbraio 2011 da gio_bat24
Considerazioni sul comparatico di San Giovanni Vittorio Lanternari analizza i riti descritti dal Lamarmora ed osserva che la bambolina femminile o la figurina muliebre fatta con farina impastata veniva adoperata come elemento significativo nel grande complesso festivo di San Giovanni, ed era collocata precisamente sopra l'erma, un vasetto di terra entro cui si facevano crescere per l'occasione piantine di frumento seminato pochi giorni avanti alla festa. Il comparatico di San Giovanni attraverso le trasformazioni subite per opera del cristianesimo, appare originariamente un simbolico sacro rito nuziale, una ierogamia simbolica consumata sui campi. Ora, il destino delle piante (il grano) e della donna sono identificati in modo simbolico e significante, in virtù del rito dell'erma di Ozieri. La pupattola è il probabile resto di un'antica divinità pronuba e tellurica, protettrice del destino muliebre e dei campi. Il Lamarmora afferma che l'autorità ecclesiastica proibì l'uso del simulacro muliebre e della pupattola di farina. Lanternari precisa che tra comare e compare c'era il divieto assoluto di sposarsi e di intrattenere rapporti meno che casti. Giuseppe Pitré nel suo libro "Usi e costumi" riferisce che la Costit. Sinod.(sic) di Monreale sanzionava con quattro anni di carcere chi trasgrediva tale regola. Pare infatti che il vincolo sacro del comparatico fosse frequentemente violato. Giuseppe Pitré (n. 1841- m. 1916) studiò a lungo le tradizioni popolari siciliane. Nel suo libro "Storia della mia vita" Giacomo Casanova fa un accenno al comparatico. Nel III capitolo del II volume a pag. 84-85 si legge: "... nonostante uno dei congiurati fosse mio compare di San Giovanni e questa parentela spirituale gli desse su di me un titolo inviolabile e più sacro che se fosse stato mio fratello, decisi che dovevo fare andare in fumo quell'infame piano." Poi continua: "Dopo pranzo, il mio compare di battesimo mi mandò a chiamare ...." Siamo a metà del 1700 a Venezia e il dialogo si svolge nella prigione dei Piombi. Con mia sorpresa ho notato che il comparatico di cui si parla è quello del battesimo e questo particolare mi fa capire che il nesso tra il comparatico del fuoco e quello del battesimo è proprio San Giovanni che battezzò Gesù. Lo stesso vincolo che si stabilisce tra il padrino e i genitori del battezzato si può ottenere saltando il fuoco di San Giovanni in coppia. Questo si deduce dal fatto che il comparatico di battesimo viene definito Comparatico di San Giovanni. Giuseppe Pitré riferisce un'altra forma di comparatico che si otteneva in Sicilia con piantine di basilico. Se una ragazza nel giorno di San Giovanni Battista manda ad un'amica una piantina di basilico le due ragazze diventano "comari di basilico". Di quest'usanza parla anche Giovanni Verga che scrive: "La Barbara aveva perciò mandato in regalo alla Mena il vaso del basilico, tutto ornato di garofani, e con un bel nastro rosso, che era l'invito a farsi comare." I Malavoglia, Giovanni Verga, Mondadori, BMM, 1961, pag.108 |
I GIARDINI DI ADONE Alberto della Marmora paragona l'erma o nènneri ai "Giardini di Adone" Adon in cananeo significava Signore. Nell'ebraico biblico Dio viene indicato anche come Adonai, mio Signore. Lanternari trova molte similitudini tra i riti di Adone e il comparatico di San Giovanni. Vittorio Lanternari - Preistoria e folklore - Tradizioni etnografiche e religiose della Sardegna - L'Asfodelo Editore - 1984 |
L'ACQUA MUTA Ad Orune, Oniferi, Orotelli, ecc. le ragazze vanno di notte in assoluto silenzio e in tutta solennità a raccogliere l'acqua dai pozzi. Vittorio Lanternari - Preistoria e folklore - Tradizioni etnografiche e religiose della Sardegna - L'Asfodelo Editore - 1984 Dal sito dell'associazione "L'Elicriso" di Palau Tra le tradizioni più diffuse in tutta l'isola quella di accendere dei falò, è probabilmente di origini falliche e per questo associata al comparatico (compare di fuoco). Secondo quanto dice F. De Rosa la mattina di San Giovanni, prima del levarsi del sole, i Terranovesi (gli abitanti di Olbia) andavano a bagnarsi in mare, credendo che il bagno avrebbe reso belli e perfetti i loro corpi e inoltre li avrebbe preservati per tutto l'anno dai dolori addominali (li dolori di la mazza). Dal sito "L'Elicriso"di Palau
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Post n°10 pubblicato il 24 Febbraio 2011 da gio_bat24
Su co'one de vrores I FESTEGGIAMENTI DI FONNI San Giovanni Battista è il patrono di Fonni. Due i momenti importanti che caratterizzano la magia di questa festa: Il santo è festeggiato dai fonnesi da oltre 500 anni; ancora oggi questa ricorrenza è Sa die de vrores (Il giorno dei fiori). Gruppetti di donne, anche di due persone, ancora oggi, infatti, nella notte del 23, su pispiru (il vespro) si recano in religioso silenzio alla fonte di Guttirillai , a duecento metri dalla Chiesa; appena dopo la mezzanotte riempiono i recipienti di acqua, per poi percorrere per tre volte di seguito in senso antiorario le stradette che circondano la Chiesa, recitando tre "Credo", tre "Ave Maria" e tre "Gloria". Fino a pochi decenni fa questa usanza veniva praticata anche dagli uomini. SU CO'ONE 'E VRORES Nella parlata locale viene chiamato su co'one de vrores il pane dedicato alla festa dei fiori, ossia la primavera. Preparato in occasione della festa di San Giovanni Battista, viene confezionato da un'artigiana, l'unica rimasta a custodire quest'arte antica, Anna Coinu, per conto della "Società San Giovanni Battista". Si tratta di una complessa elaborazione composta da una focaccia a forma di torta (40 cm. di diametro e una decina di centimetri di spessore), sulla quale vengono infilati dei bastoncini di canna che reggono 160 pugiones (uccelli) e cinque puddas (galline). Al centro della composizione si trova il nido (cinque centimetri di diametro) decorato con dei chicchi di grano finto e con sopra tre pugioneddos (uccellini). Attorno al nido, vi sono quattro puddas, una delle quali porta sul dorso un pugioneddu. Il tutto è costituito da un impasto di acqua di sorgente con semola molto fina: miele, su pistíddu (mandorle grattugiate), manteca (composto di sostanze grasse fra le quali il burro). Il costo di su co'one si aggira intorno al milione e mezzo di lire e ha un peso di circa 8 chili. Per la sua preparazione occorrono cinque o sei mesi di lavorazione. Saranno inoltre confezionati circa altri 150 pugioneddos che, una volta terminati i festeggiamenti, verranno distribuiti ai soci, alle autorità, ai parenti ed amici del "cassiere", l'organizzatore dei festeggiamenti civili in onore del Patrono. Questa tradizione ha origine, secondo i fonnesi, da una terribile carestia del 1865 causata dalle cavallette. Rimando chi volesse conoscerla ad una ricerca su internet. URL dell'immagine: http://www.ilportalesardo.it/sagre/img/fonni_3.jpg www.fonni.it |
LA FESTA AD OSCHIRI Infine concludo questa parte con la testimonianza di Giovanna Fenu, una signora di 93 anni che con una invidiabile memoria parla della festa negli anni della sua infanzia ad Oschiri. Poco prima del tramonto " prima de iscurigare" venivano accesi i fuochi "sos fogarones", sempre uno in ogni rione, a volte in questi fuochi venivano bruciati dei fantocci fatti di spighe di grano e fieno quasi sempre vestiti di tutto punto...che rappresentavano persone in vita e del quartiere da prendere bonariamente in giro. Davanti a questi fuochi con una stretta di mano si diventava comari e compari di "fogarone" o di S. Giovanni... Poi nelle case si mangiavano i dolci preparati qualche giorno prima o alla vigilia per festeggiare i nuovi compari e le nuove comari di fogarone ....ad Oschiri non ricordo che ci fosse il salto del fuoco ... anche perché i fuochi era grandissimi e le fiamme alte..." Troviamo qui i fantocci che rappresentano abitanti del paese che venivano bruciati nel falò tanto alto da non poter essere saltato. Anche in altre località sarde e italiane ho riscontrato l'usanza di accomunare le due feste di San Giovanni e di San Pietro. Compari e comari davanti al falò e saltando il fuoco cantavano: Frade e cumpare meu Traduzione Fratello e compare mio Da "La grande Enciclopedia della Sardegna" Ed. La Biblioteca della Nuova Sardegna - 2007 |
Post n°12 pubblicato il 02 Marzo 2011 da gio_bat24
Nel 1933 l'abate Goffredo Casalis iniziò la redazione di un dizionario storico riguardante il Regno di Sardegna. Per la compilazione della parte riguardante la Sardegna lo aiutò il canonico Vittorio Angius. L'opera si concluse nel 1856 ed è caratterizzata da rigore e precisione. A Bidonì le principali sacre solennità sono addì 24 giugno per lo patrono , ed a' 27 dicembre per lo compatrono s. Giovanni evangelista. Sono le feste de corriòlu, con la distribuzione ai concorrenti di pane e carni. A Cagliari nella sera del 23 giugno sino a dopo la mezzanotte è solito farsi gran rumore dalla gioventù e dalla plebe. Dappertutto è baldoria, e si prende diletto a lanciare e a far scoppiare dei fuochi artificiali. Lo stesso si fa per San Pietro. A Dorgali per la festa di San Giovanni Battista si dà pranzo gratuito agli accorrenti, vi si corre il palio, e vi ha molta allegrezza per cantici e carole (danze medievali in cerchio). A Mara nella festa c'è molto concorso di ospiti, che fanno le loro divozioni e si sollazzano nei pubblici balli. Per quanto riguarda i festeggiamenti di Mores riportiamo anche la descrizione di Pasquale Cugia*. A Nuragugume la festa è allegrata da pubblici divertimenti, principalmente da quello della danza al suono delle canne. "A Pattada il 24 giugno si celebra una fiera, si corre il palio e si danza allegramente. Dopo il mezzodì della stessa festa parte dal paese verso il mare un gran numero di cavalli, e gli sposi portano alle groppe le loro fidanzate, i fratelli le sorelle, i mariti le mogli per bagnarsi, e poi si sollazzano sulla sponda. Le persone che non possono andare ala spiaggia si bagnano nel fiume, sì che il lavacro è generale. Le testimonianze dell'Angius risultano oltremodo importanti. Infatti ci dicono come si festeggiava nell'Ottocento nei paesi e nelle città della Sardegna. Le attività principali erano le danze tradizionali al suono delle launeddas, la corsa dei cavalli, e il pranzo offerto gratuitamente a tutti coloro che si presentavano. Talvolta i paesi erano così poveri che non potevano organizzare la corsa dei cavalli in quanto era previsto un premio consistente di solito in una pezza di stoffa pregiata. Anche in Sardegna il clero lottò inutilmente contro le superstizioni del popolo che continuava negli antichi riti agrari e purificatori. L'Angius precisa che la festa del 24 giugno era una delle principali di tutto il Logudoro e che i fuochi erano più numerosi che per sant'Antonio Abate. Le superstizioni legate alla festa di San Giovanni sono veramente tante. Nel libro di Gino Cabiddu "Usi costumi riti tradizioni popolari della Trexenta" edito a Cagliari nel 1965, a pag. 197 si legge che "veder proiettata l'ombra propria, senza testa, nel mattino della festa di San Giovanni Battista" era un presagio di morte. *Nuovo Itinerario dell'Isola di Sardegna, Pasquale Cugia, 1892, pag. 316 |
Le seguenti notizie sono state ricavate in gran parte da siti internet. Dove la fonte è differente, è citata. TRADIZIONI ITALIANE IN CAMPANIA Benedetto de Falco, dell'ordine gerosolomitano, nel suo libello "Descrizione dei luoghi antichi di Napoli" (1580) afferma che per antica usanza oggi non del tutto abbandonata, la vigilia di San Giovanni verso sera uomini e donne, nudi, si lavavano al mare persuasi di purgarsi dei loro peccati. Preistoria e folklore di Vittorio Lanternari - L'Asfodelo Editore 1984 pag 167-168 - Le noci di San Giovanni Tra le mille tradizioni italiane rimaste nella celebrazione del 24 giugno ricordiamo qui l'usanza di preparare un liquore tipico, il nocino. Secondo la tradizione, le donne devono staccare le noci per il liquore quando la drupa è ancora verde, nella notte di S. Giovanni con una falce o una lama di legno, mai di metallo. L'infusione darà un liquore dalle virtù magiche, in grado di rigenerare le forze. IN SICILIA Il 24 Giugno ad Alcara li Fusi (Sicilia) si organizza la festa popolare considerata dagli antropologi la più antica d'Italia. Il "Muzzuni" è una festa pagana, nella quale sono presenti i tratti distintivi di riti risalenti alla civiltà ellenica: è, infatti, un rito propiziatorio alla fertilità della terra, un inno al rigoglio della natura, all'amore e alla giovinezza. Ad Aci Trezza il 24 giugno c'è la rappresentazione di "U pisci a mari". Si tratta di un rito propiziatorio, parodia della pesca del pesce spada che si teneva nello stretto di Messina. Dopo vari tentativi i pescatori guidati dal Raisi riescono a catturare il pesce spada ma con un ultimo guizzo la preda scompare tra i flutti. I pescatori disperati per la perdita capovolgono la barca mentre i giovani spettatori si tuffano in acqua. ALTRE LOCALITA' ITALIANE A Civitanova Marche e' ormai una tradizione consolidata il ritrovarsi la mattina presto del 24 giugno in spiaggia per celebrare la messa e bagnarsi i piedi Possiamo affermare che la festa è diffusa in tutta Italia pur con svolgimenti differenti. Vi sono località di mare dove prevale l'elemento marino come in Sicilia e nelle Marche, spesso troviamo il rito agrario della germinazione del grano e di altri semi, le pratiche divinatorie, e il comparatico svolto secondo varie modalità.
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Post n°17 pubblicato il 04 Febbraio 2012 da gio_bat24
IL SOLSTIZIO D'ESTATE Già dal Paleolitico gli uomini avevano individuato i movimenti della volta celeste osservando una porzione di cielo da un punto fisso, ad esempio l'ingresso di una grotta. IN SARDEGNA NEL NURAGICO Non possiamo sapere se i gruppi di Neolitici che sono approdati sulle coste della Sardegna dopo la fine dell'ultima glaciazione (10.000 anni fa) avessero un loro metodo per misurare il tempo in quanto non abbiamo reperti che ci possano dare testimonianze in questo senso. Osservando i monumenti del successivo periodo nuragico si sono riscontrate delle particolarità che fanno pensare proprio ad una loro dislocazione funzionale all'individuazione di solstizi ed equinozi. A Isili è consuetudine andare a vedere tramontare il sole del solstizio d'estate dandosi appuntamento sui resti di un nuraghe da cui si scorge il sole scomparire, all'orizzonte, sulla verticale del nuraghe Is Paras. La mattina dopo, sempre dallo stesso basamento o rudere di nuraghe, si scorge il sole sorgere sulla verticale di un terzo nuraghe. Ovviamente qualcuno dirà che è un puro caso. La maggioranza invece afferma che l'intelligenza dei popoli nuragici e il loro spirito di osservazione ha determinato la costruzione dei tre nuraghi proprio per individuare il solstizio d'estate. A Sedilo presso il nuraghe Iloi gli appassionati di archeo-astronomia si danno appuntamento per ammirare il sole tramontare quasi perfettamente allineato sull'asse di un lato perimetrale del nuraghe. Lo studioso Mauro Zedda ha effettuato delle osservazioni presso altri complessi nuragici per verificare le sue ipotesi ed è giunto alla conclusione che la quasi totalità dei nuraghi complessi - tra cui rientra anche quello di Iloi - hanno delle linee tangenti alle torri periferiche orientate verso uno dei punti dove sorgono o tramontano il sole e la luna nei solstizi e nei lunistizi. Nell'immagine tratta dal libro "Le torri del cielo" di Danilo Scintu si vede l'interno della sala del primo piano del nuraghe Aiga di Abbasanta. Si fa anche l'ipotesi che la nicchia ospitasse la sepoltura di una persona importante, forse un eroe nuragico. LA MASSONERIA Perché San Giovanni è patrono della Massoneria? Ancora oggi molte logge in tutto il mondo aprono i loro lavori sul prologo del Vangelo di San Giovanni. |
Post n°19 pubblicato il 15 Marzo 2012 da gio_bat24
In margine alla ricerca sulla festa di san Giovanni Battista mi sono chiesta che cosa è una festa, quando e perché sono nate le feste, ma sinceramente non sono riuscita a trovare risposte. Allora sono andata a cercare una definizione antropologica e pare che una festa sia un momento della vita sociale caratterizzato dall'interruzione del lavoro, che si oppone al sistema costituito attraverso i momenti dell'eccesso, della trasgressione e infrazione delle regole, dello spreco e della distruzione. Secondo Freud la festa è una trasgressione codificata da regole e perciò stesso è repressiva poiché segue comunque un percorso stabilito. Oggi poi la festa è sempre più confusa con la vacanza che deve essere funzionale al consumismo e quindi è ancora più controllata. Sulle origini della festa non ho trovato niente ma io mi sono immaginata che la festa forse è scaturita dall'abbondanza. Se la caccia era stata molto proficua e senza significativi incidenti i nostri antichi paleolitici saranno stati molto contenti, avranno fatto salti di gioia, avranno mangiato oltre il necessario, avranno anche sprecato il cibo. Con la pancia piena saranno stati propensi alla convivialità, all'allegria, avranno guardato con meno sospetto i loro simili. In tempi di abbondanza il futuro sembra meno oscuro e minaccioso, aumenta la sicurezza e la solidarietà nel gruppo. Diminuisce la competizione, c'è posto per tutti. Quando la nostra mente riesce a cancellare millenni di cultura per tornare agli inizi del nostro cammino si aprono scenari semplici e naturali. Così ci accorgiamo di appartenere ad un mondo che non è di pochi eletti, ma è di tutti e che non dobbiamo permettere a nessuno di spadroneggiare. Ricercare le origini della festa ci aiuta a riscoprire le radici del nostro pensiero che nasce da un rapporto con la natura che è una madre che ci offre il benessere ma può anche negarcelo se non è rispettata. Questa è la base per costruire una relazione positiva e feconda con la nostra essenza umana che non sia deviata da confusioni tra ciò che siamo e ciò che possediamo. Al di là dei pesanti condizionamenti che ci ingabbiano possiamo riprenderci il diritto di vivere in una società che, spogliata da tante sovrastrutture, ci si presenta facile da comprendere e vicina a noi. FARE LA FESTA A QUALCUNO CONCIARE PER LE FESTE Continuando a riflettere sulle feste mi sono balzati agli occhi due modi di dire: "fare la festa a qualcuno" e "conciare per le feste". Il primo ha un significato inequivocabile che arriva anche ad indicare l'ammazzare, oltrechè pestare o dare una lezione memorabile. Ma che cosa può unire la parola "festa" con l'omicidio o il pestaggio? Io azzardo l'ipotesi che il detto derivi dall'uso dei sacrifici umani e per il momento non trovo altra giustificazione all'accostamento dei due vocaboli. Anche gli animali venivano sacrificati, talvolta in gran quantità, per festeggiare. Ci si riferisce dunque all'uccisione di buoi, vitelli, pecore, ecc.? Il "conciare per le feste" è più ambiguo in quanto il significato da noi attribuito è molto simile al "fare la festa a qualcuno" ma il termine "conciare" evoca una preparazione, fa pensare a un'attività che precede "la festa". In realtà le vittime sacrificali venivano spesso preparate per il sacrificio anche mesi prima dell'evento, o addirittura anni prima. È probabile che la parola "conciare" si riferisca alla concia delle pelli che, come si sa, subiscono trattamenti drastici per poter essere utilizzate. E allora il "conciare" si riferirebbe al trattamento da far subire alla persona presa di mira. Non so se la mia intuizione sia nella giusta direzione ma la trovo stimolante per ulteriori ricerche di tipo antropologico. "Conciare per le feste" potrebbe voler dire che una persona viene pestata tanto che non potrà partecipare alle feste. O che altro potrebbe significare? Si noti anche il plurale, che fa pensare a molte feste successive o a un periodo di feste concentrato (tipo il Natale). Più ci penso, più il significato diventa confuso e oscuro. Se qualcuno conosce degli studi sull'argomento potrebbe indicarmeli?
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Post n°20 pubblicato il 26 Aprile 2012 da gio_bat24
Come si sa, le ricerche non finiscono mai. Ecco quindi altre informazioni sulla festa di San Giovanni che ho reperito durante il lavoro sulle Superstizioni che il Gruppo di Studio Tholos ha portato avanti nel 2012. I processi dell'Inquisizione misero in luce numerose e insospettabili pratiche svolte abitualmente da coloro che intendevano ottenere del bene ma anche del male. Tra le tante notizie riporto le seguenti legate alla festa di San Giovanni. Sebastiana Sanna, originaria di Cagliari e residente ad Alghero, fu processata perché: "... aveva insegnato a Serrampiona Manna certe orazioni, dedicate al sole e alla luna, da recitare nel giorno di S. Giovanni per ottenere beni di fortuna e l'amore delle persone amate" (pag. 135) Il contadino di Macomer Gavino Faedda, processato nel 1678, confessò che una gitana gli aveva insegnato come, per "liberarsi dai nemici, occorresse cogliere delle erbe nella notte di San Giovanni" .(pag. 139) Nei processi dell'Inquisizione il malocchio non è molto presente. Nel 1590 Crescentina Mameli di Siamanna confessò che: "Il giorno di San Giovanni Battista, prima del sorgere del sole, andava a cogliere ruta, finocchio selvatico e prendeva acqua benedetta. Con queste tre cose faceva un amuleto che soleva dare perché venisse messo ai bambini contro il malocchio". (pag. 139) Caterina Casti di San Sperate confessò di conoscere is brebus de piciadura o pitziadura, usati quando una persona era pitziada, cioè afflitta da qualche dolore generalmente al capo: Santu Juanni a mari andendi i si batiendi in su riu Jordanu sa conca siat sana e Santa Anastasia sa conca sana siada. (Nel frattempo metteva un po' di cenere sulla testa del malato a applicava le mani su di essa) Da "Streghe, esorcisti e cercatori di tesori" di Salvatore Loi, AM&D Edizioni, Cagliari, 2008. In "Il folklore italiano" di Giuseppe Calvia (1926) apprendiamo una tradizione sarda localizzata nella Gallura. Premetto che la riporto per dovere di completezza e mi auguro che tradizioni simili non esistano più in nessun luogo. "Nella notte della natività di San Giovanni Battista si prende un gatto completamente nero e lo si mette a bollire vivo entro una bignatta, finché tutte le ossa si possano staccare dalla carne. Si prende allora uno specchio e ad una ad una gli si presentano le ossa finché non se ne trovi tale che abbia la virtù di non essere riflessa. Con questo osso in tasca si può entrare dovunque senza esser visti da alcuno. Lo si mette in un sacchetto di pelle di volpe, lo si cuce a filo doppio e lo si appende al collo. Da quel giorno ha inizio la fortuna di chi lo porta, il quale, se ha lunga vita, può divenir più ricco di Mida. così almeno si crede nelle campagne galluresi." Tale pratica trae origine da un antico mito, quello di Dioniso che, da piccolo, fu attirato dai Titani con una sfera, con un astragalo e con sonagli mentre guardava la sua immagine riflessa in uno specchio. I Titani lo fecero a pezzi e pare che si sia mantenuto nel tempo l'uso di collocare uno specchio sulla fronte di tori e buoi destinati al sacrificio. Da "La grande enciclopedia della Sardegna" - Miti, Feste e Racconti Popolari a cura di Dolores Turchi, La Biblioteca della Nuova Sardegna, 2007 Le ragazze sarde rivolgevano invocazioni a San Giovanni. Gino Cabiddu ne riporta una: O Santu miu Giuanni / O santo mio Giovanni Pregu chi no m'inganni / Prego che non m'inganni, Chi no m'inganno ti pregu! / Che non m'inganni ti prego! A chini su coru intregu, / A chi il cuore affido, Faimiri sa grazia, / Fammi la grazia, De mi liberai de disgrazia / Di liberarmi di disgrazia!
Nel sinodo di Ales del 1696 viene descritta la seguente pratica. "(Le persone) sogliono digiunare superstiziosamente nel giorno precedente la festa (vigilia) di S. Giovanni Battista, senza mangiare niente in tutto il giorno al di fuori di mezzo pane. Dopo averlo cotto azzimo e fuori dal forno, durante la notte, al sorgere della prima stella e con altre cerimonie scandalose lo prendono e lo mangiano sulla soglia della porta , osservando se una moneta da loro posta dentro il detto pane si trova nella metà che mangiano o nell'altra che buttano sul tetto per arguire se si sposeranno fuori o nella località dove vivono. Identica cosa fanno nella vigilia di S. Nicola vescovo." Salvatore Loi - Inquisizione, sessualità e matrimonio, AM&S Edizioni, Cagliari, 2006 LAMPADAS Sul nome del mese di giugno in sardo, lampadas, Gino Cabiddu ci dà numerose informazioni. Pare che il nome Lampadas si trovi anche nell'Africa del Nord, come dice San Fulgenzio, Vescovo di Ruspa. Era il mese dedicato dai pagani alla dea Cerere: Lampadarum dies Cereri dedicatus est (il giorno delle Lampade è dedicato a Cerere). Qui si parla di un giorno, non di un mese. In Africa si celebravano feste con grandi luminarie in onore di Cerere, così come le donne fenicie festeggiavano il loro dio Adone. Nel VI secolo in Africa le feste furono dedicate a San Giovanni. Queste feste si svolgevano nel mese di giugno ed erano chiamate Lampades. Nella Penisola Iberica si mantengono tracce di questi antichissimi usi e il giorno della festa di San Giovanni Battista era detto Lampa. In Portogallo San Giovanni fu chiamato nel Medio Evo San Ioào das lampadas o das lampa a causa "das innumeras luminarias, lampadas ou lampasas de ozeite, sebo o cera que ea ed è costume acender en la fiesta de lo Santo Precursor". Aggiunge Gino Cabiddu che ciò lo asserisce anche Max Leopoldo Wagner. Nel romanzo di Verga "Mastro don Gesualdo" il camparo massaro Carmine si lamenta perché il bestiame è svogliato. Allora dice che bisognerebbe mutar pascolo. "Il mal d'occhio! ... è passato qualcheduno che portava il malocchio! Ho seminato perfino i pani di San Giovanni nel pascolo..." I Malavoglia di G. Verga, BMM, 1962, pag. 73. |
Post n°21 pubblicato il 17 Dicembre 2012 da gio_bat24
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Post n°23 pubblicato il 23 Giugno 2018 da gio_bat24
La notte tra il 23 e il 24 giugno per gli anglosassoni è la notte di mezz'estate. E' notte di grandi prodigi perché il sole, che il 21 giugno ha toccato il punto più a nord del nostro emisfero e si è fermato per tre giorni (solstizio d'estate), il 24 giugno riprende il percorso ma cambia direzione e va verso sud. Di alcune tradizioni parla anche Grazia Deledda "Cadeva la notte di San Giovanni. (...) Olì recava strisce di scarlatto e nastri con i quali voleva segnare (legare con un nastro) i fiori di San Giovanni, cioè i cespugli di verbasco, di timo e d'Asfodelo da cogliere l'indomani all'alba per farne medicinali ed amuleti." Nessuno avrebbe potuto toccare i cespugli segnati. Poi Olì dice ai fratellini di andare subito a casa perché "i bimbi buoni, nella notte di San Giovanni, vedono aprirsi il cielo e poi vedono il paradiso e il Signore e gli angeli e lo Spirito Santo." Cenere di Grazia Deledda, Newton Mammut, 1993, pag. 200In "Colombe e sparvieri" il protagonista Jorgi giace paralizzato a letto già da diversi mesi. Pretu, il ragazzino che lo assiste, parla con Simona, una serva.
pag.571 Più tardi arriva il vetturale che consegna una lettera a Jorgi e gli dice: "Ebbene, come andiamo, Jorgeddu? Ancora a letto? A quest'ora? Alzati, su, poltrone, stanotte è San Giovanni: andremo a cogliere l'alloro per metterlo sui muri onde i ladri e le volpi non li possano saltare." pag. 572 Dal paesetto salivano gridi di gioia e davanti alla chiesa di San Giovanni, al di là del Municipio, alcuni buontemponi accendevano qualche razzo e i fanciulli davano fuoco a una catasta di rami di lentischio. Pag. 573
Pretu rientrò e disse: "Mangiate, ziu Jò, io poi andrò a cogliere l'alloro ed a bagnarmi i piedi nella sorgente. Vi porterò un po' d'acqua." ........ Nella straducola le donnicciuole, Banna e la serva, i ragazzi, parlavano di andar alla sorgente per bagnarsi, e stringevano fra loro il comparatico di san Giovanni annodando e snodando sette volte le cocche d'un fazzoletto. pag. 375 .......... Su proposta di Lia un gruppo di donne partì per andare a bagnarsi i piedi alla sorgente ed a cogliere l'alloro e il timo sull'orlo della valle. ............. Alcuni ragazzi per non andar troppo lontano si bagnavano i piedi nel rigagnolo che scendeva dalla fontana, e spruzzandosi l'acqua sul viso si rincorrevano ridendo. pag. 578
Ci sono diversi modi per stabilire il comparatico di San Giovanni. Grazia Deledda ci chiarisce il valore di questo legame nel romanzo "Marianna Sirca". Simone e Costantino sono compari di San Giovanni e in un momento di disaccordo Costantino dice a Simone: -Ricordati che ci siamo giurati fede la notte di San Giovanni; e il compare di San Giovanni, quale io sono per te e tu per me, è più che la sposa, più che l'amante, più che il fratello, più ancora del figlio. Non c'è che il padre e la madre a superarlo.
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Inviato da: gio_bat24
il 05/01/2017 alle 12:36
Inviato da: amandaclark82
il 30/12/2016 alle 16:49
Inviato da: syhngrsy
il 14/02/2014 alle 11:30