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Io speriamo che me la cavo
Post n°196 pubblicato il 17 Febbraio 2013 da pantouffle2011
C’è un momento nella vita in cui ti guardi indietro e pensi: vabbè non avrò guadagnato zilioni di petroldollari, non inventerò mai il vaccino per l’alopecia a chiazze, probabilmente non riuscirò nemmeno mai a fare una torta Pavlova come si deve, però caspita, sono ancora qui: riesco ancora a guardarmi allo specchio la mattina, non ho lasciato macerie dietro di me in nome di un qualche sentimento irrinunciabile, e in giro, che io sappia, non c’è gente che mi vorrebbe ammazzare a sputi. Troppo poco per essere felici? Forse. Ma per essere in pace con se stessi basta e avanza. Almeno per me. Perché come diceva una nota canzone: Ma tu ce l’hai una coscienza? Perché sai, io non posso farne senza. E per me il rispetto per se stessi e la dignità vengono prima di qualsiasi altra cosa. Frase fatta, banalissima, sentita, risentita e poi sentita ancora mille volte, è vero: ma vera, profondamente vera; se poi non lo dici a 20 anni, ma quando la vita ti ha già messo più volte alla prova, be’ allora riesce ancora ad avere un significato. Ed è un ramo a cui ti aggrappi quando sei in mezzo all’uragano. Me ne ricordo ogni volta che devo incontrare mio padre, per esempio, quando elmetto protettivo e vaccinazione antirabbica sono elementi indispensabili nel gioco al massacro che è da sempre il mio rapporto con lui. Perché se il suo essere anaffettivo protegge lui, riesce perfettamente a ferire a morte me. Ogni volta. E pensare di avere una coscienza, una dignità, mi permette di non diventare quella persona che avrei potuto essere se mi fossi lasciata prevaricare dalla rabbia e da un giustificatissimo rancore. Cambiare son cambiata, e ancora cambierò. Perché rimanere fedeli a se stessi non vuol dire ripetere gli stessi errori. Preferisco di gran lunga farne di nuovi con lo stesso sorriso irresponsabile di quando ho commesso il primo. Si pensa sempre che sia la vita a sfidarci, a crearci nuove avventure: in realtà io sto ancora combattendo contro me stessa. Anzi, si può dire che ancora non abbia completato l’inventario di tutte le mie emozioni. Spero solo che alla fine l’elenco sia almeno lungo ed articolato, perché adesso che sto imparando a conviverci, delle emozioni non potrei più fare senza. Qualche giorno fa un caro amico diceva di aver paura della morte. La mia paura è invece quella di non aver vissuto mai. O peggio ancora, di averlo fatto senza almeno tentare di essere la persona migliore che posso essere; non buona-brava-bella-e-gnocca: semplicemente la miglior Michela che posso essere. Filosofia zen del cespolo? No, preferisco chiamarlo rispetto per sé stessi. Ciao guys.
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