Creato da lapietraia_07 il 05/01/2011

La Pietraia Alghero

Storia del quartiere La Pietraia di Alghero

 

Storia del quartiere La Pietraia di Alghero

Post n°1 pubblicato il 05 Gennaio 2011 da lapietraia_07
 
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STORIA DEL QUARTIERE "LA PIETRAIA" DI ALGHERO

 

Questa è la storia di un quartiere della città di Alghero, la Pietraia, sorto negli anni cinquanta-sessanta. Da quegli anni ad oggi il suo aspetto è talmente cambiato da essere irriconoscibile. Seguirò la sua evoluzione pian piano partendo dalle sue antiche origini che datano ben prima del 1950.

Riporterò la testimonianza di alcuni suoi abitanti che in maniera veramente chiara e completa descrivono i suoi primi passi come quartiere cittadino. Ma ci sarà anche occasione per tornare molto più indietro nel tempo.

Si potranno distinguere le fonti del testo dai colori. Ciò che scriverò io sarà di colore viola, le testimonianze degli abitanti saranno di colore blu mentre le parti tratte da testi saranno celesti. 

ECCO DUNQUE LE TESTIMONIANZE DEGLI ABITANTI.

Il materiale di questo lavoro fa parte di una ricerca scolastica iniziata nel 1999.  

Le interviste risalgono al 1999. Da allora il quartiere ha subito nuove modifiche e ho provveduto a fare degli aggiornamenti.

"Nel  quartiere, prima che si costruissero le case, c'era la cava di pietre da cui si estraevano i cantoni. Andando dalla via Don Minzoni verso il mare c'erano tanti orti; si dice che quei luoghi fossero ricchi di acqua potabile e che ci fossero molti pozzi. Prima della zona dove ora sorge la stazione c'era l'acquedotto. C'erano anche un caseificio e un mulino. Non esisteva la stazione, ma c'erano solo i binari che andavano a San Giovanni. Non c'era neanche l'ospedale.

La Pietraia è nata come quartiere popolare, cioè le prime case che sono state costruite erano case popolari. Non era unito al centro di Alghero come lo è adesso, ma era come una frazione staccata. Nel terreno dove ora c'è la mia casa, prima c'era una cava di pietre. Infatti quando mia mamma era piccola, intorno alla casa c'erano i segni degli scavi. In tutto questo territorio, prima che venissero costruite le case, c'erano tante cave di pietra. E' per questo motivo che forse il nostro quartiere viene chiamato la Pietraia o La Pedrera (leggi: La Parrèra)."

"Il quartiere era composto da una strada senza asfalto tutta circondata da orti.
Negli anni del secondo dopoguerra (anni cinquanta) l'abitato di Alghero arrivava fino al porto, dove c'era la vecchia stazione ferroviaria.
Di fronte alla stazione c'era la scuola materna Magnanelli (La scuola Materna è erroneamente conosciuta con la denominazione di "Magnanelli" dal nome del costruttore. In realtà è intitolata all'ing. Erminio Sella che la donò alla città. La giusta denominazione appare chiara sulla facciata dell'edificio. Oggi ospita la facoltà di Architettura) e la fabbrica di conserva e poi di sansa di olive. Prima della chiesa di S. Giovanni c'era uno stabilimento dove si faceva il crine, e a fianco della chiesa di S. Giovanni c'era un convento che negli anni settanta ospitava le Clarisse, suore di clausura che già da alcuni anni si sono trasferite a Monte Agnese.

Subito dopo la chiesa, sempre proseguendo in direzione della Pietraia, c'era la vecchia cantina di Sella & Mosca (oggi Quarter Sayal)  All'angolo dove ora c'è lo svincolo per andare al Lido c'era un altro stabilimento del crine. Nel luogo dove adesso c'è la Standa sorgeva una struttura gestita dai frati; poi è diventato un albergo e agli inizi degli anni novanta l'edificio è stato demolito ed al suo posto è stato costruito un grande palazzo che ospita i grandi magazzini.

Sempre agli inizi degli anni novanta, in una zona coltivata ad orti, è stata costruita la caserma dei carabinieri. Più avanti, sulla destra, subito dopo la chiesetta di Sant'Agostino Vecchio c'era tutto un fossato con delle piccole casette dove viveva della gente. In seguito, negli anni ottanta, è stato costruita la stazione ferroviaria. Subito dopo si trovano le prime case popolari, la chiesa di S. Giuseppe, il mercato rionale.

Dietro il mercato c'è una grande area recintata con due grandi capannoni. Uno ospitava i forni della vecchia vetreria e, quello di fronte, era utilizzato come magazzino. Durante la seconda guerra mondiale fu adibito a deposito di aerei.
Dietro l'ospedale, che entrò in funzione nel 1968, si trova la vasta necropoli di Cuguttu, oggi in stato di completo abbandono. Durante la seconda guerra mondiale i soldati scavarono gallerie per unire alcune tombe ed usarle come rifugi o altro.
Negli anni sessanta, nella zona che si trova di fronte all'ospedale Marino, è nato il complesso delle case E.T.F.A.S. e recentemente è stato costruito un Parco Giochi."

 Ascoltiamo adesso la testimonianza di un archeologo, Antonio Taramelli, che esplorò la zona nel 1909. (Da "Scavi e scoperte" 1903-1910)

"A breve distanza dalla città di Alghero, presso la chiesetta di s. Agostino vecchio, dove la ferrovia per Sassari interseca la strada provinciale di Porto Conte, a poca distanza dalla spiaggia del mare, si elevano una serie di leggeri rialzi composti di una roccia tenera  nella quale sono aperte le cave numerose per il materiale di costruzione. La regione porta il nome di Cuguttu. Questi rialzi, antiche dune del litorale quaternario, hanno fornito il materiale per gran parte della città d'Alghero, compresi i monumenti, i bastioni aragonesi e spagnuoli; ma ancora adesso questi materiali sono usati; e le cave per ottenerli hanno perforato in ogni senso ed in parte sino ad una profondità talora di sei o sette metri, specialmente nel tratto vicino alla chiesetta di s. Agostino e prossimo alla strada accennata."

Da questa testimonianza possiamo ricavare le seguenti notizie:

Nel quaternario la zona era un litorale sabbioso;

-  Il territorio fino ai primi anni del novecento veniva denominata Cuguttu e non La Pietraia;

-  Nel 1909 era già in funzione la ferrovia Alghero-Sassari;

-  La via Don Minzoni era allora la strada provinciale Porto Conte.

 

ipogeo

Un ipogeo della necropoli di Cuguttu visibile nei pressi dell'ospedale Civile.
 

 Alle spalle dell'Ospedale Civile si trova la necropoli di Cuguttu e Taulera.
Questo antico cimitero del periodo eneolitico ormai è illeggibile nel territorio. Le erbe nascondono da decenni gli ingressi degli ipogei che formano un grande sito archeologico. Le sue vicende sono ignorate da molti, soprattutto da coloro che lo utilizzano come discarica per ogni sorta di rifiuti.
Ma noi non potevamo dimenticarlo perché sappiamo che una parte della nostra storia è legata a quella località, che per gli antichi sardi era un'area sacra, un luogo di culto, di raccoglimento e di preghiera.
Per conoscere qualche notizia su questo sito occorre leggere la relazione del Direttore del Museo e degli Scavi e Antichità della Sardegna Antonio Taramelli, che l'ha esplorato nel 1909.

Egli ci racconta che un ufficiale dei bersaglieri, Roberto Melosi, nel marzo 1873, aveva notato la presenza degli ipogei e vi aveva trovato resti di scheletri, e frammenti di pietra lavorata.
Passarono gli anni ed altri studiosi si interessarono del luogo. Quando Taramelli si trovava ad Anghelu Ruju per scavare la necropoli, si recò a Cuguttu e si accorse che le tombe erano state tutte frugate ed ampliate dai cavatori di tufo e dai pastori che vi ricoveravano il bestiame.
A questo punto l'archeologo, impegnato in altri lavori, si limitò a raccomandare ai cavatori di stare attenti. Poco tempo dopo egli ebbe notizia del fatto che durante l'apertura di una nuova cava, si era tagliata una tomba.
Ma sentiamo ciò che dice lui stesso.
"Non fui avvertito in tempo per sorvegliare lo scavo, che disgraziatamente non fu fatto a scopo archeologico, sicché... non potei che raccogliere il materiale sfuggito alla distruzione e visitare quel poco che rimaneva delle tombe".
I reperti erano di vario tipo. C'erano frammenti di ossa umane,utensili ed armi di selce ed ossidiana, due anellini e due braccialetti di rame, pendagli ricavati da denti di cinghiali e di volpi, valve di molluschi, oltre a numerosi vasi d'argilla. Alcuni erano decorati ma in prevalenza erano cotti in maniera incompleta e lavorati senza cura dei particolari.
Gli ipogei si presentano con caratteristiche simili a quelle di Anghelu Ruju. Da una breve rampa si accede ad un locale centrale circolare con aperture che immettono alle celle sepolcrali situate ad un livello superiore rispetto al pavimento dell'ambiente centrale.
La necropoli di Cuguttu si da risalire all'Età del Rame e del primo Bronzo. L'analisi dei reperti fa pensare al Taramelli che:
"... questa tomba di Cuguttu sia più recente di quelle di Anghelu Ruju; e così possono spiegarsi le analogie più strette e numerose che siamo venuti notando col materiale dato dai nuraghi."
In altre parole Cuguttu segna il passaggio dall'Eneolitico al Nuragico e apparteneva a genti che,
"in corso del tempo, dettero forma alla civiltà nuragica".
Ma la necropoli nascondeva ancora un altro importante reperto. In una domus si trovò in seguito un cranio trapanato, appartenuto ad un individuo vissuto nella prima età del Bronzo (1800-1600 a.C.) . Le grotte naturali e artificiali dell'Isola, sino ad ora, ci hanno restituito una decina di crani che avevano subito questa operazione.

 Il numero elevato di sepolture che compongono il sito fa supporre che nelle vicinanze esistesse un villaggio densamente popolato. Il luogo è decisamente favorevole ad un insediamento umano: nel territorio si trovano numerose risorse naturali: la laguna del Calich, il mare, e campi pianeggianti. Vi si potevano sviluppare la pesca, la caccia, la pastorizia e l'agricoltura.

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 L'ingresso di una domus de janas della necropoli di Cuguttu.

Altre foto si trovano nel blog:

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Sant'Agostino vecchio

Post n°2 pubblicato il 06 Gennaio 2011 da lapietraia_07
 
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SANT'AGOSTINO VECCHIO

Intorno al 1300 sorse una chiesetta di campagna, Sant'Agostino

Per ricostruire la storia di questa chiesetta dobbiamo ricorrere a lontane fonti storiche.

Goffredo Casalis (1834) parlando delle chiese di Alghero dice che:
"Oltre queste chiese, altre se ne annoverano, che conviene dire campestri, e sono la chiesa di s. Agostino vecchio, dove si fa una festa con competente concorso di villici. Essa è di diritto canonicale, come lo è pure la chiesa della Speranza, dove festeggiasi con concorso anche de' cittadini..."

 

facciata

Facciata della chiesa di sant'Agostino vecchio

Don Nughes riporta:
"Fra le chiesette campestri presenti nella campagna algherese, sei, come si ricorderà, erano legate nel 1526, ad altrettanti titoli canonicali senza prebenda: S. Agostino, San Giuliano, S. Maria Maddalena, S. Maria Polleri, S. Anna e S. Rocco."

 

Un'altra interessante notizia ci arriva da Cecilia Tasca che ha condotto uno studio sulla presenza degli Ebrei in Sardegna. La studiosa afferma che gli abitanti cristiani di Alghero lamentavano disagi per la vicinanza del fossar (il cimitero ebraico) ai loro orti ed alle loro vigne nella zona detta Lo Reyal. Allora il re impose di farlo trasferire "... al di fuori del centro abitato, ed esattamente verso la chiesa di S. Agostino lungo la via che conduceva al mare, dove la terra era infruttifera".
E, se ricordiamo che quella è la zona delle cave di pietra, possiamo ben capire che non fosse terreno da coltivare.
Proprio lì, come dice Taramelli, iniziava anche un altro antico cimitero, la necropoli di Cuguttu di cui abbiamo già parlato.
L'aggiunta dell'aggettivo "vecchio" al titolo della chiesa si rese necessario quando un'altra chiesa campestre di Alghero, San Rocco e Sebastiano, cambiò il suo nome in "Sant'Agostino".
Il motivo di questo cambiamento è molto semplice. La comunità agostiniana che occupava la chiesa di S. Maria degli Angeli, situata a breve distanza dalle mura non lontana dal Forte della Maddalena, era stata demolita nel 1528 in occasione dell'arrivo dei nemici francesi.facciata

 

Facciata della chiesa

Gli Agostiniani furono dunque costretti a trasferirsi in altro luogo ed andarono a San Rocco e Sebastiano, altra chiesa campestre che si trovava sulla strada che conduce a Valverde. Gli algheresi in breve tempo presero l'abitudine di chiamare la chiesa "S. Agostino" anziché S. Rocco, ed infine questo divenne il suo nome ufficiale, usato anche nei documenti fin dal 1560-1570.
Da allora la chiesetta della Pietraia fu chiamata Sant'Agustì vell, e San Rocco si chiamò Sant'Agustì nou. Quest'ultima chiesa ora appartiene al quartiere di Sant'Agostino, al quale ha dato il nome, nato nel secondo dopoguerra in seguito alla massiccia immigrazione di famiglie provenienti in gran parte dai paesi della provincia di Sassari e di altre zone della Sardegna. Fino agli anni sessanta in città la festa più grande e importante era quella di Sant'Agostino. Durava tre giorni e nella zona delle case popolari si allestivano numerosi palchi. Si esibivano cantori  e improvvisatori di lingua sarda,  e complessi musicali locali di lingua algherese e italiana. Le bancarelle partivano dalla chiesa e arrivavano all'incrocio con la via Giuseppe Verdi, c'erano mescite di vino e birra, e bandierine dappertutto. Si concludeva con uno spettacolo pirotecnico. L'afflusso di spettatori era straordinario.

Un altro documento riportato da Sechi Copello conferma l'origine dell'aggettivo "vecchio" dato a Sant'Agostino della Pietraia.
Nel 1583 il vescovo monsignor Bacallar enumera le processioni che si svolgevano in città per sciogliere i voti fatti in ricordo di eventi legati alle pestilenze e dice:
"Il giorno di San Sebastiano a 20 gennaio, vanno i Consiglieri in processione, ed ascoltan la messa in Sant'Agostino".
Ci si riferisce con tutta probabilità alla chiesa di Sant'Agostino nuovo, già chiesa di San Rocco e Sebastiano, e non si sente più la necessità di distinguerla da Sant'Agostino vecchio.

Sechi Copello ci dà anche un'altra informazione. Alla pag. 160 del Tomo I ci dice che la chiesa di S.Agostino vecchio era il "luogo dove solitamente si incontravano le personalità che arrivavano nella piazzaforte".
Così avvenne anche nel 1664 quando arrivò ad Alghero il Viceré e capitano Generale del regno Nicolò Ludivisio che giungeva da Sassari. Nel pomeriggio il vescovo con il Capitolo e i consiglieri gli andarono incontro presso la chiesetta. Quando l'ospite andò via, due giorni dopo, venne riaccompagnato a S. Agostino.

abside

Abside della chiesa

La chiesa viene aperta nel giorno del festeggiamento del santo, il 28 agosto.  Descrivo brevemente l'interno.

Era un'antica chiesa di campagna fatta di pietra.
La luce entra da una finestra che si trova sopra il portone d'ingresso.  Vicino all'entrata a destra, un po' scavata nel muro, c'è una piccola acquasantiera fatta di pietra.
Ci sono due file di banchi.
Dietro l'altare di pietra c'è l'abside. A destra dell'altare c'è la statua di S. Agostino. Con la mano sinistra regge un libro e nella mano destra alzata in alto tiene un cuore.
Negli angoli dietro l'altare ci sono due statue di angeli.

interno di sant'Agostino

Altare della chiesa

Ecco ora alcune notizie sul Padre della Chiesa Sant'Agostino.

Sant'Agostino nacque a Tagaste il 13 novembre 354 da Patrizio e da Santa Monica. Studiò a Cartagine, Roma e Milano. Si convertì al cristianesimo e fu battezzato il 25 Aprile 387. Tornò in Africa dove fece una vita monastica di preghiera e di studio. Fu ordinato sacerdote nel 391 e quindi divenne vescovo di Ippona. Morì nel 430.
Egli diffuse la dottrina cattolica a rischio della sua stessa vita.
La sua opera più importante è "Le confessioni".

Statua del santo

Le sue reliquie, prima trasportate dalla sua città in Sardegna per paura dei barbari, furono trasferite a Pavia da Liutprando, re dei Longobardi, e lì si trovano tuttora.

Bibliografia
Goffredo Casalis - Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna - Atesa Editrice - Torino,1834 - pag.16.
Antonio Nughes - Alghero Chiesa e società nel XVI secolo - Edizioni del Sole -Alghero,1990
Cecilia Tasca - Gli Ebrei in Sardegna nel XIV secolo - Deputazione di Storia patria per la Sardegna, Cagliari, 1992, pag. 133.

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La lavorazione del crine

Post n°3 pubblicato il 06 Gennaio 2011 da lapietraia_07
 
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LA LAVORAZIONE DEL CRINE

Sentiamo la testimonianza di un abitante del quartiere con particolare riferimento agli stabilimenti del crine che, dalla seconda metà dell'800 lavoravano la palma nana.

 

"Anticamente la zona della Pietraia veniva chiamata Cuguttu dal nome della colonia penale di Maria Pia dove c'erano le stalle.
Partiva dalla chiesa di san Giovanni dove c'era il convento delle Clarisse ed arrivava alle stalle di Maria Pia. Con il passare del tempo il nome venne trasformato in "La Pedrera" a causa delle cave di pietra. Nel territorio erano situati un frantoio ora chiuso e un mulino per la farina, ancora attivo.
La fabbrica del crine (foglie di palma sfibrate) era alle spalle dell'attuale caserma dei Carabinieri; di fronte erano tutti orti. Le prime case costruite erano quelle di via Don Minzoni (di fronte alla farmacia) poi arrivarono quelle della "forestale" in via Edison, quelle dei coltivatori diretti in via Enrico Fermi, quelle popolari di via Amalfi, e così via.

Quando la Pietraia ha iniziato a popolarsi le strade non erano asfaltate, in via Don Minzoni c'era ancora un fortino in mezzo alla carreggiata, non c'era l'illuminazione e chi doveva andare in centro doveva spostarsi a piedi o in bicicletta.
Chi poteva permetterselo, andava in carrozza. L'unica chiesa era quella di S. Agostino vecchio. Di fianco c'era l'acquedotto che venne chiuso intorno al 1985.
Nel 1970 venne costruito il mercato che divenne operativo nel 1977-78 e la stazione di S.Agostino che si attivò nel 1988-89.
La stazione era, prima, solo un passaggio a livello e c'era una piccola casa cantoniera del casellante.
Quella che viene chiamata la vetreria era un distaccamento della caserma dell'Aeronautica Militare. Il capannone in seguito ospitò una scuola di ballo."

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LA PRODUZIONE DEL CRINE AD ALGHERO

Ricordo che il seguente testo è del 1999

 

La lavorazione del crine è stato un fatto importante per la città, perché ha coinvolto forze produttive, ha stimolato l'imprenditorialità degli algheresi, ha aperto i laboratori alla mano d'opera femminile, che veniva impiegata con un regolare contratto.

Il lavoro era duro, faticoso ed anche pericoloso per certi aspetti. Le ragazze diventavano operaie giovanissime e di solito lavoravano fino al matrimonio. Molte di loro, con il salario ricevuto compravano la biancheria che serviva come dote.

A distanza di quarant'anni dalla chiusura dell'ultimo stabilimento, è interessante ricostruire questo aspetto economico e sociale della città, così ben  organizzato, e definito.

Gli stabilimenti erano dei centri di produzione che assorbivano mano d'opera, davano paghe sindacali, avevano mercati in Sardegna e nella penisola, ed erano dunque fattori di sviluppo del territorio.

Nel 1960 chiudeva ad Alghero l'ultimo stabilimento del crine. La fine di tale attività era stata decretata dall'avvento delle fibre sintetiche. Nessuno rimpianse il crine, la sua fine fu accettata come ineluttabile da una società in pieno boom economico, che sognava la seicento e che aveva tante aspettative per un futuro migliore.

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Ora descriviamo la lavorazione della palma nana per produrre il crine.

 Il crine è una fibra vegetale che si ricava dalla palma nana che cresce spontanea in tutta la zona costiera, particolarmente a Porto Conte, dove un tempo si trovavano estesi campi di tale pianta.
Per la produzione del crine erano necessarie numerose operazioni.
1° - Per prima cosa le foglie venivano recise dagli uomini con una roncola, soprattutto in primavera ed in estate. Quindi venivano riunite in fasci (les càstigues, leggi: càstigas), caricate su carri trainati da cavalli e, attraverso la via Porto Conti, raggiungevano i vari stabilimenti di lavorazione.

Talvolta la pianta veniva asportata completamente ed allora si poteva gustare una prelibatezza, il margalló (leggi: malgagliò), cioè il tenero cuore della palma, dal caratteristico sapore aspro-dolce. I bambini mangiavano anche i gìnjol (leggi: gìngiul), i frutti rotondeggianti di colore arancione-marron chiaro, dal gusto asprigno che "lega" il palato.I gìnjol si potevano acquistare anche nei negozietti del centro storico dove la quantità veniva misurata a bicchieri.
2° - Negli stabilimenti le donne provvedevano a lavare le foglie e a farne mazzetti. I mazzetti confezionati con le palme migliori erano destinati a fare i pennelli per gli imbianchini. 
Le mazzettaie stavano sedute su uno sgabello ed appoggiavano sul grembo le foglie trattenendone il gambo spinoso con le mani. I mazzi così ottenuti venivano legati con le fibre lunghe della foglia che erano state preparate a casa la sera prima (los xobos, leggi: lus ciobus). C'erano mazzettaie particolarmente abili che riuscivano a confezionare dei mazzi perfetti, con le foglie ben sistemate, ed altre che trovavano difficoltà. Era un lavoro che rovinava le mani a causa delle spine dei gambi.

3° - Infine i mazzi si appoggiavano su una superficie piana e, col deciso colpo di una lama affilata, si recidevano tutti i gambi.
4° - Quindi si passava a lavorare le foglie con una macchina composta da due parti di legno, una concava e l'altra convessa, della misura di circa cm 100x50. Conficcate nel legno stavano delle punte d'acciaio acuminate. Con un movimento oscillatorio le donne facevano scorrere le due tavole l'una sull'altra affinché le foglie, inserite nella macchina, venissero sfibrate dal passaggio delle punte.
Un'altra macchina formata da un rullo a rotazione manuale, munita anch'essa di chiodi, dava un prodotto più fine.
5° - Nelle giornate di sole il crine veniva sparso nel cortile adiacente al laboratorio e messo ad essiccare.
6° - Quindi le filatrici prelevavano una certa quantità di crine (la balsaca), lo fissavano ad un chiodo inserito nella parete e lo "filavano". In pratica confezionavano delle corde, les cordetes (leggi: las culdetas) ed il crine era pronto per essere venduto.
Il prodotto veniva diviso tra più fino e più grosso.

Durante il lavoro le donne cantavano les cançons del crino (leggi: las canzonz del crino) che erano testi improvvisati su un tema musicale fisso. Raccontavano gli amori e i bisticci tra fidanzati, oppure contenevano messaggi destinati ai ragazzi che piacevano alle giovani operaie.
Qualche testo si ricorda ancora. Per fare un esempio si riportano due versi:

 "I ja ‘l veu que so petita
no so minyona de festejar..."

"Vede bene che sono piccola,
non son ragazza da fidanzare..."

Spesso i testi erano ironici e tendevano a sottolineare i difetti delle operaie, la loro scarsa abilità, o la scarsa voglia di lavorare.

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A che cosa serviva il crine?

 Il crine veniva usato soprattutto per imbottire i materassi, i divani (le ottomane) e le poltrone. Infatti la lana era destinata in gran parte alla filatura e tessitura, e non tutti potevano permettersi il materasso di lana. Inoltre il materasso di crine era preferito nella stagione estiva perché era più fresco.
Il crine algherese era commerciato in Sardegna ed anche fuori dall'Isola. Con i carri e con i treni il carico di cordetes raggiungeva Porto Torres e partiva per Genova, Napoli e Civitavecchia.
Ad Alghero, fino al 1878, la palma nana veniva venduta alle industrie di trasformazione. Ma in seguito ci si accorse che era possibile lavorarla in città ed iniziarono a sorgere i primi laboratori.

 Nella prima metà del 1900, sorse una decina di stabilimenti. Con la raccolta delle olive, la lavorazione del crine rappresentava un'importante fonte di reddito, soprattutto per le donne che così potevano comprare la dote, cioè la biancheria per il futuro matrimonio.
La crisi arrivò dopo il 1949 quando dalla Francia furono immesse sul mercato notevoli quantità di crine provenienti dall'Africa mediterranea.
Di questa crisi si parlò nel consiglio comunale di Alghero il 25 agosto 1949.
Nello stesso tempo finirono le forniture ai militari ed arrivarono le prime fibre sintetiche. L'ultimo stabilimento algherese chiuse intorno al 1960.

Riporto ora alcune delibere comunali che riguardano  le concessioni di terreni comunali a titolari di stabilimenti del crine, per il taglio delle palme nane.

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 Le delibere della Giunta Comunale

 La giunta comunale di Alghero ebbe modo di occuparsi più volte dell'attività del crine.

Infatti possedeva numerosi territori che affittava per il tagli delle palme nane ai proprietari degli stabilimenti cittadini.

Il 16/12/1946, nella delibera n° 287, si dice che B. G. ha tenuto in affitto fin dal 1942 i terreni di proprietà comunale siti a Porto Conte, Sant'Agostino e Calabona per complessivi 17 ha, 32 a e 28 ca.

L'affitto riguarda il solo taglio della palma nana.

La delibera aumenta il canone di affitto da £ 3.500 annue  a  20.000.

 Il 7/02/1951 la Giunta Municipale prese la seguente delibera.

 Delibera n° 30

"Oggetto - Provvedimenti per l'affitto e il taglio palme nane dei terreni comunali Sant'Agostino, Pietraia, Porto Conte, Calabona e Las Tronas per il solo taglio delle palme nane per l'industria del crine e per il biennio 1 ottobre 1950 - 30 settembre 1952.

Ritenuto che a tal fine sono state invitate le ditte: 1) Stoccoro Antonio 2) 'Crine Vegetale' di A. Masia - 3) Bigagli Giovanni - 4) Deperu Paolo - 5) Fratelli Goffi - 6) Avanzi Mario - 7) Ibba Alberto, a presentare regolari offerte..."

 Da questa delibera veniamo a sapere che nel 1950 operavano in città almeno sette stabilimenti del crine e che il comune intendeva concedere al miglior offerente il taglio delle palme.

Risposero all'invito tre imprenditori con le seguenti offerte:

£ 110.000, £ 86.000, e £ 70.560 sempre su base annua.

INCIDENTI

Per lavorare la palma nana las crineras utilizzavano alcuni strumenti molto pericolosi. In particolare la pantinarora poteva causare profonde ferite.

Ho trovato una relazione sanitaria che riporta un intervento medico-chirurgico in conseguenza appunto di un grave incidente. La riporto di seguito. Nel 1912 l'operaia Antonia Raffi Nuvoli di 18 anni si è presentata all'ospedale civile di Alghero in condizioni piuttosto gravi e il medico, prof. Nicola Federici-Larco,  è dovuto intervenire per cercare di rimediarvi nel modo migliore, cercando di non arrivare a soluzioni estreme. Sentiamo la relazione.

"Ferite multiple gravissime lacero contuse e da strappo, nel braccio sinistro da infortunio nel lavoro.

Il braccio e la mano restarono impigliati fra i denti del pettine di una macchina pettinatrice del crine vegetale.

Disinfezione. Sutura. Medicazione.

Vi era distacco ampio di lembi cutanei, strappo di muscoli e di tendini.

Si è ventilata l'amputazione. Ho preferito fare chirurgia conservativa, e con medicazioni frequenti e diligentissime son riuscito a salvare il braccio, che sembrava perduto.

Guarita.

 

Mi sono servita delle seguenti fonti:

Daniela Usai - I lavori femminili ad Alghero - 1999 - Dalla raccolta di testi e documenti del Sig. Pasqualino Mellai.
Dai ricordi di Franco Ceravola.
Testimonianza di Angelo Ceravola e di Quirico Meloni che da ragazzi hanno lavorato in una fabbrica di crine.
Documenti dell'Archivio Storico di Alghero.

Prof. Nicola Federici-Larco, Rendiconto Chirurgico e Medico (ospedale Civile di Alghero),  Tipografia Sociale "Libertà", Sassari, 1914
 

 

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Testimonianza di una crinera

Post n°4 pubblicato il 08 Gennaio 2011 da lapietraia_07
 
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Palma nana

 

Procedendo nella ricerca sul crine, seguendo il filo dei ricordi,

si sono presentati alla memoria altri particolari.

Occorre sapere che, dopo uno o al massimo due anni, i materassi, di lana o di crine, divenivano duri e si assottigliavano. Allora bisognava chiamare la materassaia per rifarli. Quest'operazione avveniva di preferenza nel periodo estivo e doveva durare un solo giorno, dal mattino alla notte. Occorreva disfare il materasso e dipanare il crine o la lana (garminar lo crino o la llana - pron. galminà lu crino o la gliana). Dopo aver disfatto il vecchio materasso, la donna dava una rapida occhiata alla massa della fibra e talvolta sentenziava che occorreva dell'altro materiale per fare un buon lavoro. Allora si cercava di provvedere al reintegro.

Quindi la materassaia si accovacciava per terra e lavorava alacremente con grossi aghi e spago.  

Dopo aver chiuso il grande sacco di tela color marron chiaro rigata di beige che conteneva l'imbottitura, occorreva rifinirlo. Allora la donna cuciva tutto intorno un bordo superiore e un bordo inferiore. Infine fissava delle impunture a distanza regolare sulla superficie del  materasso per ottenere la forma voluta. Il lavoro si interrompeva per un veloce boccone all'ora di pranzo e poi riprendeva.

Le bambine, per un giorno, abbandonavano i soliti giochi ed osservavano affascinate quelle mani instancabili che facevano passare il grosso ago attraverso l'imbottitura e tiravano lo spago dall'altra parte con un movimento continuo, ripetendo sempre gli stessi gesti. Qualche volta anche loro, osservando e seguendo le varie fasi del lavoro, confezionavano i materassi per le bambole.

Ed ora sentiamo un'altra curiosità raccontata da Franco Ceravola. 

I chiodi della macchina adoperata per sfibrare le foglie di palma, venivano riutilizzati in una maniera molto singolare.

Dopo averli lavorati per rendere la punta meno aguzza, i bambini li inserivano nell'apposito foro delle trottole (bardufoles - pron. baldufuras) già riempito con sterco di cavallo. Quest'ultima operazione rendeva la trottola più "sirina", e non "trunosa".

La trottola "trunosa" rimbalzava un po' e si spostava mentre girava.

Quando invece era "sirina" rimaneva ferma nel punto della caduta senza saltellare.

 

 

Leggerete ora la testimonianza di M.T.M. (9 marzo 2001)

 che ha lavorato in uno stabilimento del crine per diversi anni e ha avuto  ora l'occasione di parlare di quella sua attività giovanile.

 

I suoi ricordi sono chiari, dettagliati,

 molto ben esposti.

Leggendoli si ha l'impressione di entrare in uno stabilimento e di vivere una giornata di lavoro, una lunga giornata che si protrae anche a casa, dove tutta la famiglia si impegna a preparare l'attività per l'indomani.

 

Nel 1949 avevo 14 anni e mi feci il libretto di lavoro. Allora si faceva a quell'età.

Stavano assumendo delle operaie nelle fabbriche di crine che si erano aperte in quel periodo, e per noi ragazze era una bella prospettiva di lavoro.

Di crine non sapevo niente, lo conoscevo solo per via dei materassi che c'erano a casa, ma ebbi la fortuna di venire assunta con la qualifica di mazzettaia regolarmente assicurata. In quella fabbrica, ho lavorato per sette anni, dai quattordici ai quasi ventuno, finché non mi sono sposata.

Bisogna sapere che dalla palma nana al crine finito si passava attraverso cinque fasi:

primo :  taglio,

secondo: mazzettatura,

terzo: pettinatura,

quarto: asciugatura,

quinto: filatura.

Il lavoro procedeva in questo modo:

Prima fase - I tagliatori ( palmarjus - leggi: palmalgius), con un falcetto tagliavano le palme che allora abbondavano nei territori dell'hinterland, le legavano in fascine di circa quaranta chili con delle corde di crine, le caricavano sui carri tirati da cavalli o buoi, le portavano in fabbrica e le scaricavano sotto a delle grandi tettoie fatte apposta per la bisogna e il loro lavoro finiva lì.

Seconda fase: Poi toccava alle mazzettaie (macetaies - leggi: massattaias), categoria di cui io facevo parte. Il lavoro consisteva nel confezionare le palme a mazzetti, legarle con lacci (xobos - leggi ciobus), fatti con due foglie di palma scelta legate con un nodo confezionato prima.

Si lavorava tutte sedute su dei bassi sgabelli di legno, intorno alle palme, con un grembiule di tela di sacco sulle ginocchia, tra le quali stringevamo il mazzetto per poterlo legare col xobo (leggi: ciobu) e ce lo  mettevamo vicino. Quando ne avevamo circa duecento, si passava al taglio dei gambi delle palme, la parte con le spine.

Ogni mazzettaia era fornita di un ceppo di legno tipo quelli che avevano i vecchi macellai, ma molto più basso ( questa fase della lavorazione si faceva inginocchiate) e di una mannaia fatta apposta dal fabbro. Con la mano sinistra si teneva il mazzetto per la parte buona, e si appoggiavano i gambi sul ceppo; con la destra si dava un colpo secco di mannaia e i gambi saltavano via. Poi si prendevano i mazzetti due per volta e si infilzavano per la punta, a paia (parells) uno con l'altro. Con venticinque paia si faceva una fascina che si legava con una corda di crine. Si lavorava a cottimo e le più brave riuscivano a fare trenta fascine. Io non ci sono mai riuscita, la mia media era da ventiquattro a ventisette fascine, pagate a venti lire l'una, ma non era finita. La notte a casa, aiutate dalla famiglia, dovevamo legare los xobos per poter lavorare l'indomani.

Ergo, lavoro da schiavi!

Terza fase: C'era poi la fase di pettinatura. Le generiche passavano le fascine debitamente intrise d'acqua alle pettinatrici (pentinadores, leggi pantinaroras) che prendevano i mazzetti due per volta e li facevano scorrere  due volte da sinistra a destra e due volte da destra a sinistra in un rullo irto di lunghe punte di ferro detto "pinta" (pettine) che tagliando delle palme nel senso della lunghezza ne faceva dei fili lunghi e sottili.

Da un altro rullo detto "pou" (pozzo) perché ingoiava tutto, dove lavorava, o avrebbe dovuto lavorare una persona adatta, si passavano le palme senza essere prima trattate dalle mazzettaie, veniva fuori un'altra specie di crine molto grossolano detto "lligassa" (leggi: gligassa), legaccio.

Quarta fase: Le generiche raccoglievano il prodotto della pinta e il prodotto del pou e lo stendevano ad asciugare nel grande piazzale della fabbrica stando attente a mescolarlo bene. Il prodotto veniva girato e rigirato con i tridenti fino ad essere completamente asciutto, dopodiché si raccoglieva e si portava alla filatura.

Quinta fase: La filatrice (filadora, leggi: firarora - avevano lo stesso nome sia l'operaia che la macchina) era una macchina che aveva un gancio dove l'operaia, raccolta una grande bracciata di crine di circa cinque chili, dal  mucchio comune, ne agganciava un pochino. Poi metteva in moto  pigiando un interruttore messo vicino e, mentre il gancio girava, la filatrice correva all'indietro come il gambero facendo scorrere il crine tra le mani. Ne risultava una corda non molto stretta del diametro circa di una moneta da cinquecento lire.

Terminata la bracciata, tornava indietro sempre di corsa, staccava il contatto, attaccava l'altra estremità, e la faceva di nuovo riattorcigliare per altre due volte.
Il prodotto finito doveva essere una treccia di quattro fili della lunghezza di circa un metro e mezzo, detta appunto "trixa". "Les trixas" (leggi: las triccias) si facevano asciugare ancora per una settimana possibilmente al sole e il prodotto si poteva definire pronto per l'uso.

I disegni del lavoro sul crine si trovano nel blogspot:

http://la-pietraia.blogspot.com

 
 
 

La canzone del crine

Post n°5 pubblicato il 08 Gennaio 2011 da lapietraia_07
Foto di lapietraia_07

Dalla via degli Orti si vedeva un muro dello stabilimento del crine. oggi nell'area sta sorgendo un palazzo.

Les crineras durante la lunga giornata di lavoro improvvisavano canti su un tema musicale fisso. Così dialogavano in maniera spiritosa e ironica tra di loro, permettendosi prese in giro,  battute pungenti e  mordaci che davano il diritto di replica a chi si sentiva toccato. 

Nel ricordo di alcune persone è rimasto un testo, "La cançó del crino" .          Il testo e la musica mi sono state date da Angelo Ceravola.

In seguito la signora M. T. M. mi ha fatto avere un'altra versione del canto.

Sono due documenti molto interessanti: ci mostrano in che modo avveniva l'approccio tra due giovani, e fanno rivivere un po' l'atmosfera degli stabilimenti dove si produceva il crine.

LA CANÇÒ DEL CRINO

(Cançó popular de treball)

Questa versione della canzone è stata fornita da Angelo Ceravola.

Les més belles de l'Alguer     

són al crino a treballar.    

Quan lo rodo és en funció   

elles ja són totes cantant.

    

Passa u i passa l'altro,      

passa aquell que ne té plaier. 

A una sola se l'ha mirada    

pareix que li vulgui diure bé. 

   

- Buones tardes, aquella jove,  

si permiti la vull parlar.    

Só un jove que cerca amor

i l'amor sou vull demanar.   

 

- Escolti, escolti, aquell jove,    

i no escomenci a m'insultar, 

i ja el veu que só petita,    

no só minyona de festejar.

  

- I si com  demà és diumenge   

i no és dia de treballar,   

si vol vénc a la prendre   

per mos n'anar a passejar. 

 

I si com demà és diumenge,

i no és dia de treballar

si vol vengui a me prendre

per mos n'anar a passejar.

Le più belle d'Alghero

 son al crine a lavorar.

 Quando la ruota è in funzione

 loro stanno tutte cantando.

 

 Passa uno e passa l'altro,

 passa quello che ne ha piacere

 una sola ha guardato

 sembra che gli voglia dire bene.

 

 - Buona sera, signorina,

 se permette le voglio parlare.

Sono un giovane che cerca amore

Ed il suo amore voglio chiedere.

 

  - Ascolti, ascolti, giovanotto,

 e non cominci ad insultarmi

 vede bene che sono piccola

non son ragazza da fidanzar.

 

- E siccome domani è domenica

e non è giorno di lavoro,

se vuole vengo a prenderla

per andare a passeggiare.

 

- E siccome domani è domenica

e non è giorno di lavoro

 se vuole venga a prendermi

per andare a passeggiare.

 

 

 

 
 
 

La canzone della "Crinera"

Post n°6 pubblicato il 08 Gennaio 2011 da lapietraia_07
Foto di lapietraia_07

Il cancello del vecchio stabilimento del crine sulla via Garibaldi (oggi Passeggiata Barcellona). Nell'area sta sorgendo un palazzo 

 

LA CANÇÒ DE LA CRINERA

Questa versione è stata fornita da M.T.M.

Les més belles de l'Alguer   

són al crino treballant.

Quan lo rullo és en functió

elles ja són totes cantant.

 

Le più belle di Alghero

lavorano al crine.

Quando il rullo è in funzione

già stanno tutte cantando.

 

Passa u i passa l'altro

passa aquell que ne té plaier.

Amb una sola mirada

pareix que li vagi ja bé.

 

Passa uno, passa l'altro

passa quello che ne ha piacere.

Con un solo sguardo

sembra che gli vada già bene.

 

Passa avui, passa demà

la crinera se convencirà

que aquell jove que està passant

sol a ella és festejant.

 

Passa oggi, passa domani

la "crinera" si convincerà

che quel giovane che sta passando

solo lei sta corteggiando.

 

- Jo demà, quan llev mà,

a la sola me tiraré,

que aquell jove que està passant

de fermar a mi me té.

 

- Domani, quando termino il turno,

mi metterò in disparte.

Ché quel giovane che sta passando

mi deve fermare.

 

- Jesús meus, està venint!

Ohi, lo cor com està batint!

Me pos a caminar llestra

fent finta de no comprendre.

 

- Gesù mio, sta venendo!

Ohi, il cuore come sta battendo!

Mi metto a camminare svelta

facendo finta di non capire

- Bona tarda, aquella jove,

si permiti la vull parlar.

Só un jove que cerca amor

i l'amor sou vull demanar.

 

- Buona sera, signorina,

se permette le voglio parlare.

Sono un giovane che cerca amore

Ed il suo amore voglio chiedere.

- Escolti-me, aquell jove,

no me tè d'importunar.

Com bé veu, jo só petita

i no só dona de festejar.

- Mi ascolti, giovanotto,

non deve importunarmi.

 Come vede bene, io sono ragazza

non sono donna da corteggiare.

- Escolti-me, aquella jove,

vostè tè de raonar.

Té raó que ara és petita

ma amb el temps ja creixirà.

 

- Mi ascolti,  signorina,

lei deve ragionare.

Ha ragione che adesso è piccola,

ma col tempo crescerà.

I si com demà és diumenge,

no és dia de treballar,

vénc en casa a la prendre

i mos n'anem a passejar.

 

E siccome domani è domenica,

non è giorno di lavoro,

vengo a casa a prenderla

ed andiamo a passeggiare.

-Té raó, demà és diumenge,

no és dia de treballar.

Si ve en casa a me prendre

amb els meus té de parlar.

 

Ha ragione, domani è domenica,

non è giorno di lavoro,

se viene a casa a prendermi,

con i miei dovrà parlare.

 
 
 

I pozzi della Pietraia

Post n°7 pubblicato il 08 Gennaio 2011 da lapietraia_07
 
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In alto a sinistra panoramica della zona dove oggi sorge il quartiere

I POZZI DELLA PIETRAIA

La prossima testimonianza mi darà l'occasione per affrontare diversi aspetti del quartiere. In primo luogo parlerò dei pozzi, poi vedremo le saline e la Colonia Penale di Cuguttu, per finire con l'ipogeo di Maria Pia e l'origine delle denominazioni Maria Pia e Cuguttu,

"Io abito nella zona della città di Alghero che si chiama "Maria Pia". Un tempo questo territorio si chiamava "Cuguttu" e veniva considerato aperta campagna; era disabitato e la presenza dell'uomo era legata allo sfruttamento delle saline e della laguna (stagno del Calich).
La zona venne, in seguito, bonificata dai detenuti che scontavano la pena nella Colonia penale di Cuguttu. Vennero costruiti: un edificio per i detenuti, alcune stalle e le prime case per i sorveglianti. Vennero impiantati vigneti e uliveti, furono scavati pozzi e fu costruita anche la rete idrica per il rifornimento dell'acqua. Questa colonia penale funzionò fino al 1930 circa.
La zona fu dunque acquistata dall'Ente Pubblico E.T.F.A.S. che la divise in lotti. I terreni furono dati ai coloni che costruirono le prime case, degli impianti per la pesca, ed iniziarono la produzione del vino."

Negli anni settanta, in occasione di un lungo periodo di siccità, ci si ricordò dei pozzi di Cuguttu.

I POZZI

Alla fine degli anni sessanta vi fu un periodo di scarsa piovosità. Nel 1971 l'apporto di acqua proveniente dal bacino del Bidighinzu fu ridotto del 50 % e l'erogazione venne limitata a tre ore al giorno. In certi periodi l'acqua arrivava a giorni alterni con grave disagio degli abitanti. La pressione era molto debole e non raggiungeva gli ultimi piani delle case, né le zone più alte della città. Anche le scuole cittadine che allora non erano provviste di serbatoi, dovevano applicare orari ridotti e anche far frequentare le lezioni a giorni alterni.
La giunta Municipale si dovette attivare per risolvere il grave problema.

Consultiamo l'Archivio Storico Comunale.

Nella delibera dell'11.03.1971 si legge che ormai da lungo tempo le sorgenti di Briai alimentano soltanto Ittiri. Le vecchie condotte che anni prima portavano l'acqua ad Alghero sono state in parte divelte e non è più possibile utilizzarle. Si decide allora di sfruttare la falda idrica esistente nella zona di "Cuguttu - S. Giovanni Lido". A tale scopo si fa predisporre un progetto per il sollevamento delle acque dei 15 pozzi individuati nella zona. In seguito (06.07.1971) si dice che nel corso dei lavori sono stati utilizzati altri pozzi oltre quelli già individuati, e nell'agosto si provvede alla costruzione di un vascone per la raccolta delle acque e di una cabina di trasformazione per il sollevamento e l'adduzione dell'acqua dei pozzi, in regione Mariotti.
L'acqua proveniente dai pozzi era salmastra, ma per il momento rese meno drammatica la situazione. Tuttavia il 30.08.1971 la Giunta decise di affidare al prof. Giuseppe Pecorini dell'Università di Cagliari la ricerca di nuove fonti idriche.
Purtroppo il problema della scarsità di acqua ritorna spesso e permane ancora, soprattutto durante la stagione estiva anche a causa dell'aumento di popolazione nella stagione turistica, nonostante la costruzione di nuovi bacini.

Oggi (2011) l'unico disagio è quello di non avere sempre l'acqua durante le ore notturne nei mesi estivi.

Ma ormai quasi tutti gli edifici di Alghero, si tratti di abitazioni o di strutture pubbliche e private, si sono dotate di autoclave per cui si può affermare che il problema della carenza idrica in città è stato risolto.

Altre immagini nel blogspot:

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Le saline

Post n°8 pubblicato il 08 Gennaio 2011 da lapietraia_07
 
Tag: Calich
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La laguna del Calich

LE SALINE

Giovanni Francesco Fara in "Geografia della Sardegna" (1586) elenca gli stagni sardi e descrive il procedimento praticato per l'estrazione del sale.


"D'inverno le acque del mare vengono immesse in appositi stagni, detti saline, dove d'estate per il calore del sole si cristallizzano in sale durissimo, in seguito questo durante i mesi di luglio e agosto viene estratto quasi tutto, oppure in parte, o perché non è necessario estrarlo tutto, o perché lo stagno non è secco, infatti talvolta in certe saline si disseccano soltanto le acque dei margini. Spesso da quelle di Alghero e di Terranova (antico nome di Olbia) non si estrae quasi niente."

 

Il canonico Angius, nell'opera di Goffredo Casalis, parla dell'attività dei pescatori che operano nello stagno Caliche, ma non fa alcun cenno alle salineMichele Chessa ci dà queste notizie.
"In Alghero sono esistite anche le saline, le prime erano state impiantate nelle vicinanze dello Stagno del Calik, in regione Fangal. Questo nome deriva da Fangaccio che era il nome delle vecchie saline.
Si ritiene che siano state create dai Doria e date in gestione ai frati benedettini. Questi frati che possedevano navi mercantili avrebbero provveduto anche alla commercializzazione del sale.
Con la venuta dei Catalani, le saline divennero di proprietà regia, come il resto del patrimonio terriero ed urbano di Alghero.
Nel secolo XV le saline furono cedute dal re al capitano algherese Nicola Abella, quale compenso per il valore dimostrato in guerra, al posto del feudo di Rudas che il capitano aveva rifiutato.
Le saline sarebbero scomparse nel secolo XVIII. Nello stesso secolo furono create altre saline dai frati cappuccini, quando passarono nella nuova chiesa della spiaggia dopo aver lasciato la chiesa ed il convento che avevano sul Colle di san Giovanni, dove si trova il bagno penale.
Le saline dei cappuccini si trovavano nelle vicinanze del convento di San Giovanni, scomparvero il secolo scorso (1800) quando gli ordini religiosi lasciarono la città in seguito alle leggi piemontesi.

 

 

 

 

 

 Bibliografia

G.F. Fara - Geografia della Sardegna - Ed. Quattromori - 1975 pag. 91
G. Casalis - "Dizionario geografico - storico - statistico - commerciale - degli stati di S.M. il Re di Sardegna - Alghero" Torino 1834 - pag. 28
Michele Chessa - Racconti algheresi - 3° vol.- La Celere pag. 38

Foto del Calich sul blogspot:

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La Colonia Penale di Cuguttu

Post n°9 pubblicato il 08 Gennaio 2011 da lapietraia_07

LA COLONIA PENALE DI CUGUTTU

Nella seconda metà dell'ottocento
si costruì la Colonia Penale di Cuguttu


La Nurra di Alghero, nella seconda metà dell'ottocento, era una grande distesa di macchia mediterranea dove prevaleva la palma nana che poteva superare i due-tre metri di altezza. La laguna del Calich e le paludi che si formavano sul suolo argilloso tra la laguna e il mare, rendevano il luogo malsano, malarico e non adatto alla coltivazione.
La lunga strada polverosa che costeggiava il Calich ed arrivava a Porto Conte era attraversata nella buona stagione dai carri che trasportavano le foglie di palma nana. Forse quella era l'unica presenza umana nel luogo, oltre ai pochi pescatori della laguna e ai pastori.
In una carta del 1860 la zona è denominata "territorio comunale di Cuguttu".


Proprio in quel periodo si pensò di costruire un carcere ad Alghero. Si presentò dunque l'esigenza di individuare una località fuori dal centro abitato dove far lavorare i detenuti.
Vediamo dunque come gli amministratori risolsero il problema.

Quando ad Alghero si costruì il carcere di Via Vittorio Emanuele, il Comune deliberò la concessione dell'area al Ministero della Marina per la costruzione di un carcere per detenuti che avrebbe dovuto lavorare nella colonia agricola di Cuguttu.
Le terre di Cuguttu vengono indicate come " terreno cui applicare come mezzo moralizzatore i forzati".
Ben presto iniziarono i lavori di bonifica, si impiantarono vigneti, oliveti, e colture da irrigare mediante pozzi e canali.
I detenuti alloggiavano nel caseggiato detto Centrale, che ospitava anche i locali per gli uffici e gli appartamenti per il personale del carcere.
In un'altra grande costruzione si trovavano le stalle e un deposito per gli attrezzi. Pare che l'ipogeo che si trova nei pressi della centrale fosse utilizzato come luogo di punizione per i carcerati.
La colonia penale fu chiusa intorno al 1933. Nell'ottobre 1933 fu creato l'Ente Ferrarese di Colonizzazione che occupò il territorio lasciato dai detenuti.
Nelle pagine seguenti sono riportate le delibere municipali del 1861 e del 1864.

Francesco Piras - Mariapia - Numeri di giugno, luglio e agosto 1998.

 
 
 

La Colonia Penale di Cuguttu

Post n°10 pubblicato il 09 Gennaio 2011 da lapietraia_07
 
Foto di lapietraia_07

L'antica muraglia che faceva parte della vecchia caserma dei Carabinieri.

LA COLONIA PENALE DI CUGUTTU

 Prima di parlare della costruzione del nuovo carcere sarà utile conoscere qual era la situazione delle carceri di Alghero nel periodo precedente. Il canonico Angius ci fornisce alcune informazioni sulla precedente struttura. Nel libro "Città e villaggi della Sardegna" (1833-56) egli riporta le seguenti affermazioni:

"Il numero dei detenuti non eccede le 30 persone. La reclusione di questi nelle prigioni regie, e nelle baronali non può tenersi come semplice possedimento del corpo degli accusati, ma come vera pena, che riconoscesi ingiusta con chi assolvesi per ragion d'innocenza dopo l'esame.

Le regie carceri d'Alghero sono una sepoltura di viventi, e la veduta delle baronali fa gemere l'umanità. Queste per lo più sono formate di una o due stanze sotterranee, piene sempre della più esiziale mefite, soggiorno quasi sempre di lunga durata per gli infelici."

Da alcuni passaggi della delibera riportata più avanti apprendiamo che nel 1861 i detenuti presenti ad Alghero venivano alloggiati nel locale di Sant'Agostino che  aveva necessità di urgenti lavori in quanto era malsano e umido.

Non sono in grado di dire se il citato locale di Sant'Agostino sia da attribuire alla chiesa della Pietraia o alla chiesa e convento di Sant'Agostino sulla strada di Valverde. In "Chiesa e società nella Sardegna Centro Settentrionale" di T. Cabizzosu si dice che il convento di Sant'Agostino (Nuovo) lasciato libero dagli agostiniani in seguito alle leggi Rattazzi del 1855  fu adibito a carcere.

Parliamo adesso della costruzione del carcere di Alghero che riguardò anche la cessione del territorio municipale di Cuguttu dove si realizzò una colonia penale per far lavorare i detenuti.  

Il consiglio comunale di Alghero iniziò discuterne a partire dal 2 marzo 1861 per concludere con le delibere del 1864.

L'iter del provedimento fu lungo e toccò molte realtà locali. Coinvolse i militari che occupavano la caserma, gli studenti del ginnasio, i religiosi di un convento cittadino. Tanti furono infatti gli spostamenti necessari prima che il nuovo carcere fosse ultimato per dare alloggio ai detenuti allora presenti in città.

Vediamo dunque i vari passaggi .

La giunta comunale pensò che fosse meglio costruire un nuovo carcere anziché spendere dei soldi per risanare quello vecchio.
Il terreno dove costruire la nuova struttura penitenziaria venne individuato nel Colle San Giovanni, che è il luogo dove attualmente si trova.
Il nome deriva dal fatto che quella era l'area sulla quale sorgeva la chiesa di San Giovanni Battista con il convento dei Cappuccini prima che le truppe di Filippo V la demolissero nel 1718 per impedire che divenisse rifugio per i nemici.
Oltre al carcere era necessario un terreno dove i detenuti potessero lavorare, definito "terreno cui applicare come mezzo moralizzatore i forzati".
Il Ministero richiese a questo scopo il terreno di Cavana dato che era molto vicino al futuro penitenziario. Ma il Comune obiettò che Cavana era di proprietà privata e sarebbe stato necessario acquisirlo. Propose dunque il terreno di Cuguttu precisando che " il Municipio che ne è il proprietario l'offriva tutto intiero senza canone coll'obbligo solo di pagarne le imposte, di lasciar libere le cave dei materiali da costruzione, e le strade necessarie per comodo dei poderi..."

Il Municipio intanto con la delibera del 2 marzo 1861 cedette gratuitamente il terreno comunale detto Colle di S. Giovanni per la costruzione di un carcere "... capace di contenere meglio di quattrocento condannati che voglionsi mandare in questa città."
Ma le fatiche del Consiglio Comunale non finirono qui, perché c'era ancora un problema da risolvere: i detenuti dovevano essere temporaneamente trasferiti, viste le pessime condizioni dei locali di Sant'Agostino.
Ma dove trasferirli?
Molti locali furono esaminati; infine si decise che il luogo più adatto era una porzione della vasta caserma militare. Oggi l'insieme delle costruzioni è denominato Lo Quarter (leggi: Lu Qualtè), e si trova alle spalle di San Michele, con ingresso in Largo San Francesco.
"Questo locale composto di quattro grandi cameroni ed a cui potrebbe aggiungersi l'altro del Municipio ove è stabilito il Ginnasio sarebbe sufficiente siccome lo asserisce il Signor Ispettore collocarsi circa quattrocento individui. Però i militari paiono poco disposti a cederlo".
Il Sindaco allora propone di offrire il locale di proprietà comunale al quale potrebbe aggiungere due camere dei fabbricati vicini per alloggiare dei guardiani "...dove... potrebbero collocarsi numero centocinquanta condannati."                                          
Il Consiglio approva la proposta.
Il Ginnasio verrà dunque trasferito in uno dei Conventi della città.


Leggendo il verbale si nota che la seduta nel complesso è stata molto impegnativa in quanto il Consiglio, con le sue delibere, non vuole scontentare nessuno. Deve trasferire i condannati nei locali del Ginnasio e deve dare una nuova sede agli studenti, ma non vuole "... recare disturbo ai pochi religiosi che tuttora abitano i predetti conventi..." che dovranno ospitare i ginnasiali.
Vorrebbe dare al Governo il terreno di Cuguttu, ma per il momento gli dà quello di Cavana con la speranza che " ... il regio Ministro si persuaderà che il Municipio di Alghero nulla ha trascurato né trascurerà in appresso ... e che apprezzerà i sacrifici che va facendo all'unico scopo di rendersi grato al Governo".
Poi in realtà il Consiglio riuscirà a fare ciò che desidera in quanto non cederà i terreni di Cavana, ma quelli di Cuguttu, come ben sappiamo.

 

 
 
 

Delibera dell'8 marzo 1864

Post n°11 pubblicato il 10 Gennaio 2011 da lapietraia_07
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Archivio Storico di Alghero: Sigillo

 

Con la delibera del 1861 la questione del carcere sembra conclusa, ed invece l'8 marzo 1864 c'è una nuova seduta straordinaria del Consiglio Comunale presieduta dal Sindaco cav. don Antonio Lavagna con il seguente oggetto:


"Cessione del Colle S.Giovanni per la costruzione del nuovo ergastolo"


"Aperta la seduta il sindaco espone che con deliberazione presa nella seduta straordinaria del 2 Marzo 1861 questo consiglio comunale votava di cedere gratuitamente e senza alcun canone il terreno comunale detto Monte S. Giovanni al Governo posto nelle vicinanze di questa città onde poter in quel locale erigersi un penitenziario e al tempo stesso tutto il terreno comunale detto di Cugutu della cospicua estensione di ett.i 177 di cui già venne trasmesso il tipo all'Amm.ne della Marina all'oggetto di formarne coll'opera dei condannati dello stesso Penitenziario, uno stabilimento agricolo.

Questo secondo appezzamento il Municipio proponeva cederlo gratuitamente e senza alcun canone con le sole condizioni che lo stabilimento fosse tenuto pagarne le imposte, che si dovesse permettere l'uso al pubblico delle cave dei materiali da costruzione esistenti in una parte di esso terreno; di lasciare libere le strade che conducono nei possessi limitrofi, ed ove per qualsiasi motivo venisse a mancare lo stabilimento al cui solo uso si cederebbe, il med.o terreno ritornasse di proprietà del Municipio nello stato in cui allora si troverà senza che né il Governo, né lo Stabilimento possa pretendere al Municipio compenso o bonificazione alcuna per qualunque siasi miglioramento si fosse introdotto, o per qualunque opera di costruzione od altro fossesi eseguita in quel terreno.
Siccome però non poteva aver luogo la costruzione di tale penitenziario se prima non veniva sanzionata dai Poteri dello Stato un'apposita legge; perciò la med.a deliberazione comecché approvata dalla Deputazione provinciale con suo decreto del 20 dello stesso mese di Marzo, non ebbe alcun effetto. Avendo ora il Parlamento votato una legge colla quale viene assegnato un fondo di £ 422/m. sulla parte straordinaria del Bilancio della Marina onde sopperire alle spese della costruzione del nuovo ergastolo nel colle di S. Giovanni in questa città, S. E. il sig. Ministro della Marina con suo dispaccio del 1° corrente ... nel mentre si è degnato partecipare al Municipio tale provvedimento che appaga i desideri ripetutamente manifestati dalla popolazione di Alghero...

Dietro siffatta comunicazione del Signor Sindaco il Consiglio memore prima a tutto delle offerte già fatte dal Municipio, all'oggetto di conseguire lo stabilimento di un bagno in questa città; D‘altra parte considerato il grande beneficio che già risente il paese dello stanziamento in questa città del Penitenziario sud.to e quelli anche maggiori che si ripromette, quando sotto la direzione di abile cultore saranno i condannati impiegati alla coltivazione delle altre terre
Con tutti i voti apertamente espressi
                                                   Ha deliberato
di cedere gratuitamente e senza alcun compenso al Ministero della Marina tutta quanta l'area necessaria per la costruzione di un Penitenziario e i suoi annessi nel terreno comunale detto colle S. Giovanni, colla riserva di cedere posteriormente e subito che ne sarà richiesto per metterlo a coltivazione per mezzo dei condannati l'altro terreno comunale detto Cuguttu colle condizioni espresse di sopra e già deliberato coll'ordinato sovra citato del 2 marzo 1861."


I consiglieri municipali presenti alla riunione erano i seguenti:
Peretti, Grixoni, Loffredo, Marinetto, Montanelli, Roth, Ardoino, Adami, Vitelli.

 

 
 
 

Delibera del 13 giugno 1864

Post n°12 pubblicato il 10 Gennaio 2011 da lapietraia_07
 
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Archivio Storico di Alghero: Vecchio stemma della città

Il 25 marzo 1864 con la legge n. 1694 sotto il regno di Vittorio Emanuele II si dà il via alla costruzione.

Ma il Ministero della Marina vuole chiarire le questioni delle servitù e della futura restituzione del terreno di Cuguttu. Il Consiglio deve dunque prendere altre delibere.

Seduta straordinaria del 13 Giugno 1864
Oggetto: cessione del terreno comunale di Cugutu al Ministero della Marina.
Dopo la delibera dell'8 marzo 1864 arriva al Municipio algherese una lettera della Sottodirezione del Genio Militare di Sassari in data 28 Maggio
"colla quale si partecipa che il Ministero della Marina con suo dispaccio del giorno 15 stesso mese ... nell'esternare ... soddisfazione"
pone anche molti quesiti riguardanti l'eventuale restituzione del terreno senza alcun onere e le servitù richieste per le cave e per le strade.
Si apre in Consiglio una lunga ed animata discussione e tra l'altro si ricorda che
"la soppressione totale delle vie di transito che attraversano il tenimento comunale di Cugutu venne riconosciuta impossibile tanto nell'interesse dei cittadini che debbono indeclinabilmente percorrerle per recarsi al di là del vicino Ponte dello stagno; quanto nell'interesse del governo che deve costruirvi il tronco di strada Nazionale da Alghero a Porto Conti, ora oltremodo necessario pel servizio del faro di Capo caccia (sic).

Innovando però il tracciato di quest'ultima strada in modo che essa percorra il limite superiore del terreno Cugutu meglio di attraversarlo e scinderlo per tutta la sua lunghezza secondo gli studi finora praticati si otterrebbe il duplice vantaggio di localizzare la servitù pubblica in una via commoda (sic) e accessibile ai predi e terreni tutti a di cui favore era specialmente stabilita, e di rendere in pari tempo il predio in discorso affatto libero e suscettibile di esser cinto a muro per garantirne la maggior sicurezza ed indipendenza avuto riguardo all'uso speciale cui è destinato."
Apertasi in seno del Consiglio lunga ed animata discussione su questo importantissimo oggetto", infine,                                                                               "Con tutti i voti pubblicamente espressi
                                                       "il Consiglio delibera
di cedere gratuitamente e senza alcun canone al Ministero della Marina il terreno Comunale detto Cugutu, all'oggetto di formarne coll'opera dei condannati del nuovo Penitenziario uno stabilimento agricolo alle condizioni seguenti:
1° Il Governo pagherà annualmente l'imposta prediale ed addizionale del terreno ceduto.                                                                                                                         2° Non si comprende nella cessione quel tratto irregolare di terreno indicato nel tipo come roccaglioso, che principia dalla Chiesupola di Sant'Agostino fino all'angolo esterno dell'oliveto appartenente agli eredi del Don Antonio Delogu il quale resta destinato al libero esercizio delle cave di pietra ivi esistenti a favore dei Communisti (sic).
3° Le altre cave di pietra contenute entro il circuito del terreno ceduto sono sottratte alla servitù pubblica, e restano in libera disponibilità dell'Amministrazione concessionaria coll'obbligo di far scavare dai condannati previa congrua retribuzione tutte le pietre da costruzione che verranno richieste dai proprietari ed imprenditori."

Ogni dubbio chiarito, la questione del nuovo carcere ad Alghero è definita.

Il carcere viene consegnato il primo marzo 1868 come Penitenziario marittimo.

I detenuti del carcere di Alghero e quelli della colonia penale di Cuguttu iniziarono l'opera di bonifica dei terreni paludosi della laguna costiera del  Calich.

I detenuti piantarono vigneti e oliveti. Pare che anche la pineta di Maria Pia sia opera loro. Io ricordo che negli anni cinquanta gli alberi di pino erano già molto alti. Tra i pini cresceva qualche pianta di vite selvatica e si trovano tuttora alberi di gelso. Pare che vi si piantasse anche tabacco.  

Ma ben presto vedremo che il territorio passerà ad altre mani.

Intanto indagheremo su una strana costruzione che si trova nel territorio della vecchia colonia penale di Cuguttu.

 
 
 

L'ipogeo di Maria Pia

Post n°13 pubblicato il 10 Gennaio 2011 da lapietraia_07
 

L'IPOGEO DI MARIA PIA

All'interno dell'area della Colonia Penale di Cuguttu, non distante dalla Centrale, si trova un ipogeo. Si tratta di una costruzione di forma cilindrica coperto da una cupola. L'accesso è consentito da un ingresso rettangolare e da una scala elicoidale illuminata da un lucernario. Alla fine della scala una porticina a sesto acuto si apre sulla camera.
Si vedono sei nervature legate alla base da una cornice orizzontale realizzata in arenaria che terminano in una finestrella circolare dalla quale arriva la luce. La costruzione è realizzata con pietra locale intonacata.
Viene definita Tomba Aragonese e forse risale al seicento. In realtà non si conosce la sua destinazione. Era davvero una tomba? O era piuttosto una piccola cappella? O era forse la cripta di una chiesa poi distrutta?

 Al suo interno si sono trovate delle spade e qualcuno pensa che sia la sepoltura di un cavaliere ma in realtà non si sono trovati resti umani.
Tutte le ipotesi sono buone in mancanza di prove e testimonianze.
Pare che nel periodo della Colonia Penale di Cuguttu la struttura fosse utilizzata come luogo di punizione per i carcerati.
Nel frattempo, abbandonato a se stesso, l'ipogeo è inagibile e versa in pessime condizioni. Non si sa per quanto tempo ancora resisterà all'incuria e al degrado.

Da "Natura e civiltà in Sardegna"  di Vico Mossa, Chiarella, 1979

Ho potuto vedere il monumento molti anni fa il 24 gennaio 1999 e ho riportato queste osservazioni.

Ipogeo di Maria Pia.
Si entra dal cancello del fabbricato (ex Centrale) che ospitava TRC (Tele Riviera del Corallo). Sulla sinistra si notano dei ruderi. Attraverso una stretta scala a chiocciola sotterranea si scende e si giunge in un ambiente circolare dal diametro di circa 3 o 4 metri. La volta è formata da 6 costoloni che racchiudono 6 spazi. I costoloni sono lavorati con tre rilievi piuttosto stretti (forse 20 cm in totale) che scendono poi diritti fino al pavimento. La porticina di accesso presenta un arco a sesto acuto bordato da un rilievo in pietra. Esternamente l'ingresso della scala era sormontato da un'architrave che è stata distrutta in tempi recenti.

 

 
 
 

Significato di "Cuguttu"

Post n°14 pubblicato il 10 Gennaio 2011 da lapietraia_07

CHE COSA SIGNIFICA "CUGUTTU"?

Il termine "cugutu" è una parola della lingua sarda. Nel vocabolario sardo-italiano di Giovanni Spano alla voce "cugutu" si precisa che è un termine logudorese e si rimanda a cuguddu, che significa "cappuccio".

Un'ipotesi potrebbe essere quella che ricollega la parola Cugutu al cappuccio e quindi ai Cappuccini. Però ancora non ho elementi per fare questo collegamento in quanto i Cappuccini avevano il loro convento a San Giovanni mentre Cuguttu indicava un vastissimo territorio che va dalla spiaggia a Fertilia.

Il Padre Passionista Adriano Spina nel suo libro "I conventi ad Alghero tra il 1600  e il 1870" (Alghero 2002, pag. 10) cita un documento che si trova a Roma al Ministero delle Finanze dove si legge: "Orto Burruni di 2 ettari, confinante con la strada Cuguttu o Cappuccini"

Il documento risale alla seconda metà del secolo XIX quando, a seguito delle Leggi 29 maggio 1855 e 26 luglio 1866, la Chiesa dovette cedere i suoi beni allo Stato. Questo accostamento Cuguttu-Cappuccini è molto interessante e spiegherebbe l'origine del toponimo. I Cappuccini si trasferirono a San Giovanni nella prima metà del 1700. Sarebbe interessante sapere se la strada 127/bis divenuta poi Via Don Minzoni si chiamava allora strada di Cuguttu.

L'insegnante Anna Manconi ricorda che molti anni fa ad Ittiri c'era un curioso modo di dire. Quando qualcuno chiedeva:
- Inùe ses andende? (Traduzione: Dove stai andando?)
Se l'interrogato non aveva voglia di rispondere, replicava:
- A Cuguttu, a bogare abba a coinzòlos. ( Traduzione: A Cuguttu, a togliere l'acqua con i canestri).
Questa risposta significava in realtà:- Non sono fatti tuoi!
Siccome la zona di Cuguttu comprendeva anche le spiagge del Lido e di Maria Pia, non è chiaro se l'acqua di cui si tratta sia l'acqua del mare o quella dei numerosi pozzi della zona. Quest'ultima ipotesi è forse la più attendibile.

Per completare l'informazione aggiungo che il modo di dire "Bogare s'abba a coinzòlos" era molto diffuso ad Ittiri e in altri paesi vicini, e veniva anche riferito a persone che non svolgevano attività utili.

Nel caso specifico viene nominato Cuguttu, altre volte si diceva "a su puttu" (traduzione "al pozzo"), oppure non si aggiungeva altro.
L'insegnante Angelina Livesu mi ha riferito che a Villanova Monteleone c'era una frase che riguardava Cuguttu. Si diceva infatti, con intenzioni non certo benevole:
- Accu ti ch'etten a Cuguttu! (traduzione: Che ti gettino a Cuguttu)
E si diceva anche:
- Accu ti ch'etten in su bagnu penale de Cuguttu! (traduzione: Che ti gettino nel bagno penale di Cuguttu!)

E ad Alghero si usava dire:
- Que te txaquin al bany de Cuguttu!" (leggi: Che ta ciàchin al ban de Cuguttu! - traduzione: Che ti mettano nel bagno di Cuguttu!)
Chi me lo ha riferito ha precisato di averlo sentito spesso da bambina (1940 circa) ma ha aggiunto di non averne mai capito il riferimento. Molti non avevano più conoscenza della colonia penale, ma era rimasto il modo di dire.

 
 
 

L'AZIENDA AGRICOLA DI MARIA PIA

Post n°15 pubblicato il 10 Gennaio 2011 da lapietraia_07
 

Dal 1864 il territorio di Cuguttu fu bonificato e lavorato dai detenuti. Erano stati costruiti numerosi edifici: la Centrale che era il caseggiato principale, le stalle per il bestiame e altri locali di lavoro.  Pare che, tra l'altro, a Cuguttu si coltivasse tabacco e sembra che la pineta di Maria Pia sia opera dei carcerati.

Tutto ciò finì nel 1933. Vediamo perché. 

L'AZIENDA AGRICOLA "MARIA PIA"

 Con la legge 30 novembre 1933 n. 1719 il Governo (ricordiamo che siamo in periodo fascista) istituì l'Ente Ferrarese di Colonizzazione con il compito di trasferire in Sardegna il più gran numero possibile di contadini ferraresi per venire incontro alla loro necessità di trovare nuove terre da coltivare.
Per l'insediamento furono individuati i terreni già trasformati dalle colonie penali all'aperto di Castiadas, di Isili e di Cuguttu.
In realtà poi ad Isili e Castiadas non vi fu alcun intervento, mentre sui 197 ettari di Cuguttu arrivarono ben presto otto famiglie ferraresi.
Nacque così nel 1934 l'Azienda Agricola di Maria Pia.
Il caseggiato della Centrale dell'ex colonia penale divenne una cantina dove si produceva il vino, e le stalle furono sopraelevate al fine di costruire gli alloggi per alcuni coloni.
Nel terreno si coltivavano piane foraggiere, tabacco e piante da orto. Nella laguna operavano pescatori provenienti da Oristano che producevano botariga.

Maurice Le Lannau, nel suo libro "Pastori e contadini in Sardegna" (1941) fa una breve descrizione di alcuni lavori. Sentiamo che cosa dice.
"Si è proceduto alla bonifica dello stagno litoraneo del Calich nel quale si versa il Rio Filibertu, e di cui sono stati migliorati gli sbocchi a mare. Nel resto della zona ci sono, sulle parti argillose della pianura, alcune paludi intermittenti... Un canale di drenaggio, che viene scavato seguendo l'asse della pianura, basterà a prosciugarle definitivamente."

 Ma sentiamo ancora che cosa dice Le Lannau quando analizza i risultati delle bonifiche sarde:
"Agronomi sardi hanno già sottolineato il fallimento di questa speranza. I calcoli di M. Sattin (Sassari 1936) ... rendono conto di questo passivo di 3450 lire annue (del 1936, quando un quotidiano costava 30 centesimi) per ogni ettaro di terreno trasformato nella bonifica della Nurra."
In effetti i risultati economici furono inferiori alle aspettative. Se poi si aggiunge la secolare piaga della malaria, si possono individuare in parte le motivazioni che indussero alcune famiglie ferraresi ad abbandonare le case coloniche della bonifica per altra destinazione.
Nel 1943 l'Ente Ferrarese diventò Ente Sardo di Colonizzazione e coloni sardi occuparono le case lasciate dai ferraresi.

Per vedere la pianta della zona bonificata occorre accedere al blogspot:

http://la-pietraia.blogspot.com

 

Negli anni ottanta la centrale dell'ex Colonia Penale fu sede dell'emittente televisiva Tele Riviera del Corallo, ed attualmente è occupata abusivamente da alcune famiglie.
Aggiornamento 2004
Dopo il rifacimento della strada che costeggia il Calich, che è stata intitolata al pugile algherese campione del mondo Tore Burruni, sono stati intrapresi lavori di ristrutturazione del caseggiato della Centrale liberato dalle famiglie.

Dopo la ristrutturazione il caseggiato è diventato una struttura ricettiva per turisti, Villa Maria Pia. 

 
 
 

L'E.T.F.A.S.

Post n°16 pubblicato il 11 Gennaio 2011 da lapietraia_07

L'E.T.F.A.S.

 

Nel maggio 1951 fu creato l'ETFAS, Ente di Trasformazione Fondiaria ed Agraria in Sardegna  che doveva provvedere ad espropriare,  bonificare, trasformare e infine assegnare i terreni ai contadini. L'E.T.F.A.S.  rimase operativo fino al 1984 quando divenne E.R.S.A.T., Ente Regionale di Sviluppo e Assistenza Tecnica in agricoltura.

L'ETFAS, dietro pagamento, restituì i terreni di Cuguttu al Comune. L'amministrazione comunale vi individuò la zona dove far nascere un nuovo nucleo residenziale dato che la città era interessata da un forte movimento immigratorio che richiedeva altre aree edificabili. Nacque così negli anni sessanta il quartiere della Pietraia; furono costruite le prime case popolari del rione e quelle in cooperativa di Maria Pia.
Attualmente la zona di Maria Pia, oltre l'Ospedale Marino, è ancora quasi totalmente libera da costruzioni nella parte che guarda verso il mare, e la sua destinazione più naturale data la sua posizione, è di ospitare strutture ricettive turistiche.
Vi si trova il Palazzo dei Congressi realizzato alla fine degli anni ottanta su iniziativa di Martino Lorettu ma alla sua costruzione non è seguita la attuazione del piano previsto.

L'ETFAS si occupò della zona di Cuguttu che, grazie alle campagne antimalariche, condotte in Sardegna tra il 1946 e il 1950 dai tecnici della Fondazione Rockefeller, non era più afflitto dalla piaga delle febbri malariche.

 
 
 

La sconfitta della malaria

Post n°17 pubblicato il 11 Gennaio 2011 da lapietraia_07
 
Tag: DDT
Foto di lapietraia_07

 

La data dell'irrorazione del DDT veniva impressa sullo stipite della porta di casa

LA SCONFITTA DELLA MALARIA

Nel 1950, per la prima volta dopo tempo immemorabile, in Sardegna non venne registrato nessun nuovo caso di malaria. La malattia era stata finalmente debellata dall'intervento dell'Ente Regionale per la lotta Antianofelica (ERLAAS, istituito dal Governo il 12 aprile 1946), finanziato dalla Fondazione Rockfeller. Questo fu certamente un evento di straordinaria importanza per tutta l'Isola.
Anche la zona di Cuguttu divenne così più adatta agli insediamenti.


Ed ora vorrei inserire un mio ricordo personale.
La lotta alle zanzare non interessò soltanto i terreni paludosi ma comportò anche l'irrorazione di insetticida in tutte le abitazioni delle città. L'operazione, della quale si trovano delibere nei documenti dell'archivio storico, aveva anche lo scopo di combattere le mosche.

 

Almeno una volta all'anno arrivavano a casa degli uomini muniti di un irroratore e di un capace contenitore metallico. La popolazione, che era informata degli effetti nocivi della sostanza usata, cercava di rifiutare. Ma l'intervento era obbligatorio e non ci si poteva sottrarre. Gli incaricati entravano, spruzzavano un liquido lattiginoso che emanava un odore molto forte nelle stanze e talvolta, dietro insistenti richieste, risparmiavano la cucina. Prima di andar via stampigliavano sullo stipite del portone d'ingresso la sigla "DDT", seguita dalla data del giorno.


Gli interventi si sono protratti per gran parte degli anni cinquanta. Nei campi il DDT veniva irrorato per mezzo di elicotteri e il massiccio intervento produsse anche altri effetti.
Più tardi ci si accorse che, oltre alle zanzare, in Sardegna erano state distrutte anche 3 500 specie di insetti che poi ritornarono nell'Isola in vari modi, attraverso importazioni di merci o altro. I tumori aumentarono del 5% ma non si può dire che l'unica causa fu il DDT.
Fu questo dunque il prezzo che si dovette pagare per eliminare un male millenario che tanto ha condizionato la vita dei Sardi.

Per vedere l'immagine occorre collegarsi con il blogspot:

http://la-pietraia.blogspot.com

 
 
 

Maria Pia di Savoia

Post n°18 pubblicato il 11 Gennaio 2011 da lapietraia_07
 

MARIA PIA DI SAVOIA

Nella famiglia Savoia ci sono state due principesse con questo nome negli ultimi due secoli.
La prima Maria Pia era figlia del re d'Italia Vittorio Emanuele II. Nacque nel 1847 e a 15 anni, nel 1862, sposò il re del Portogallo Luigi I. Egli morì nel 1889 all'età di 51 anni, e gli successe suo figlio Carlos I.
Ma in seguito nel paese scoppiò una rivoluzione repubblicana e nel 1908 Carlos fu ucciso.
Gli successe suo figlio Manuel II che regnò fino al 1910, quando fu costretto ad andare in esilio a Londra.
Nello stesso anno anche Maria Pia abbandonò il Portogallo e si rifugiò in Italia. Nel 1911, a 64 anni di età, morì a Stupinigi, residenza dei Savoia presso Torino.

La seconda principessa Maria Pia, prima figlia di Maria Josè del Belgio e di Umberto II,  nacque il 24 settembre 1934, quattro anni dopo il matrimonio avvenuto l'8 gennaio 1930.

 

Molto legato alla Sardegna, Umberto II la visitò una prima volta con i suoi genitori nel 1929. Nel 1934 tornò in veste ufficiale e come principe di Piemonte inaugurò l'azienda agraria di Cuguttu (Alghero), primo nucleo del futuro progetto di bonifica integrale della Nurra algherese: l'azienda venne intitolata a Maria Pia, sua primogenita.

http://www.sardegnacultura.it/documenti/7_81_20071203171045.pdf

Può essere legittima la curiosità di chi si chiede come mai questo territorio abbia il nome di una principessa di casa Savoia.
In effetti numerose strutture pubbliche e diverse strade algheresi sono intitolate a re e regine sabaudi.
Ne ricorderemo alcune: la vecchia caserma dei carabinieri era intitolata ad Umberto I, il vecchio Ospizio Marino dei Bastioni era denominato "Regina Margherita". Negli anni 30 si è trasferito nella zona di Cuguttu, denominata in seguito "Maria Pia".  Alcune strade importanti della città ricordano i Savoia: via Carlo Alberto, via Principe Umberto, via Vittorio Emanuele, via Regina Elena (attuale via Fratelli Kennedy), via Regina Margherita (attuale via Gramsci). Negli anni settanta i nomi delle due regine sono stati cancellati in favore di Kennedy e Gramsci. Da notare come abbiano cambiato nome soltanto le vie dedicate alle regine, mentre si sono mantenute tutte le denominazioni che ricordano re e principi.

 

Ospedale CivileIngresso del vecchio ospedale civile sui Bastioni

Il vecchio Ospizio Marino "Margherita di Savoia" che, trasferitosi a Cuguttu negli anni 30,  ha ospitato alcuni reparti dell'attiguo Ospedale Civile che a sua volta è stato chiuso nel 1968. Le foto sono del 10 maggio 2006. Subito dopo sono iniziati i lavori di restauro che dovrebbero trasformarlo in Facoltà di Architettura. I lavori sono in via di conclusione (febbraio 2011)

Maggiori notizie sulla struttura si trovano nel blog: http://vecchiospedaledialghero.blogspot.com


I Savoia visitarono diverse volte la nostra città. Di alcune visite ci dà notizia Alberto della Marmora.
Nel 1829 giunse Carlo Alberto, Principe di Carignano che due anni dopo divenne re di Sardegna.
Nel 1841 vi arrivò con suo figlio Vittorio Emanuele e nel 1845 vi ritornò ancora con il suo secondogenito, il Duca di Genova.
L'ultima visita di un sovrano italiano risale al maggio 1946, quando Umberto II era diventato re d'Italia da pochi giorni.
Il 2 giugno 1946 ci fu il referendum per la scelta tra la monarchia e la repubblica. In città la monarchia ebbe 5.962 voti contro i 2.419 voti ottenuti dalla repubblica.

 

Bibliografia 

Alberto della Marmora - Itinerario dell'Isola di Sardegna - vol. II pag. 406 - Edizione anastatica sui tipi di A. Alagna - Cagliari 1868
Beppe Sechi Copello - Storia di Alghero e del suo territorio - Tomo 2° - 1984 - pag. 236,237.
Francesco Piras - Mariapia - numero di Luglio 1988.

 

 
 
 

Terreni da pascolo

Post n°19 pubblicato il 11 Gennaio 2011 da lapietraia_07

Ecco di seguito la descrizione di due abitanti del rione.

"La mia casa è stata iniziata nel 1993 e terminata nel 1994. Ci siamo trasferiti nella nuova casa nel 1994, a novembre.
La via in cui abito porta direttamente al mare, perciò è molto trafficata da veicoli e pedoni.
Di fronte al palazzo in cui abito sono stati costruiti, poco tempo dopo, dei grandi edifici con dei magazzini che sono utilizzati per fare dei negozi di generi alimentari.
Tra queste case c'è un piccolo terreno che è ciò che rimane delle vecchie campagne.
Anche la mia abitazione è stata costruita dove prima c'era un orto che apparteneva al mio bisnonno. Sulla strada, oltre il marciapiede, ci sono ancora degli alberi di mandorlo e di melograno che lui aveva piantato per segnare il confine tra il suo orto e quello del vicino. Un tempo, la strada dove sorge la mia casa, non arrivava in Via Lido ma si fermava all'incrocio col Viale Sardegna; dodici anni fa (Anno 1988) è stata prolungata e asfaltata."

"Prima era tutto campagna con qualche casa per i pastori. Alcuni pezzi di terra erano coltivati, altri venivano usati come pascolo per il bestiame e altri ancora erano abbandonati. Piano piano iniziarono a costruire alcune case ed edifici, tra cui la nostra parrocchia di San Giuseppe. Costruirono l'ospedale, la stazione ferroviaria, e man mano altre abitazioni e le scuole. Diventò anno dopo anno sempre più grande e sempre più apprezzato, perché prima era considerato un rione molto popolare. Ai nostri giorni è diventato un grande quartiere, con tantissimi palazzi, ricercati soprattutto dai turisti e io sono fiero di abitare alla Pietraia."

Fino agli anni cinquanta ed oltre, il Comune di Alghero dava in affitto i terreni de "La Pietraia" per utilizzarli come pascolo. Ogni anno rinnovava il contratto di affitto.
Una delibera della giunta municipale del 12 ottobre 1953 concede in affitto ad un pastore i terreni comunali di Calabona, Vigna Derosas, Porto Conte, LA PIETRAIA, S. Giovanni Lido, Canalone, per £ 114.000. Il contratto ha la validità di un anno agrario, dal 1° ottobre 1953 al 30 settembre 1954. È specificato che si affitta alle "solite condizioni".

 
 
 
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