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Mafia

Post n°1119 pubblicato il 28 Luglio 2009 da MANUGIA95

Si ritorna a parlare di mafia dopo un lungo periodo in cui l'argomento era stato chiuso in un silenzio che può sembrare omertoso.

Sarà forse stato il 17° anniversario della morte di Paolo Borsellino o sarà forse stata la mancanza di altri argomenti ma finalmente sui quotidiani, anche se sempre in piccolo e velocemente, si riprende il filo del discorso dopo la strage del 19 luglio 1992. Anche in questo caso, il Tg1 ha pensato bene di non parlarne perché in questo tg non si parla di gossip. Allora facciamo noi un po' di gossip alla luce di quello che sta succedendo ultimamente anche se dobbiamo partire da qualche anno fa.

Dopo la strage nella quale perse la vita Paolo Borsellino, si iniziò a parlare di un coinvolgimento delle istituzioni, di poteri forti e di trattative che la mafia aveva intentato con lo stato affinché le stragi avessero fine. Erano molti gli indizi che spingevano chi indagava a pensare in questo modo e molte sono le domande che non hanno tutt'oggi una risposta.

Cosa aveva effettivamente scoperto Borsellino? Perché nonostante avesse tentato di parlare sulle sue scoperte, la procura di Caltanissetta che indagava sulla strage di Capaci, non lo interrogò? Perché venne lasciato solo da coloro che dovevano proteggerlo? Perché disse: “Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”? Che fine fece l'agenda rossa che portava sempre con se e sulla quale annotava tutto e che poi sparì sul luogo della strage?

Quello che si sa di questa trattativa è che i due ufficiali dei carabinieri Mario Mori e Giuseppe de Donno incontrarono più volte Vito Ciancimino, ex-sindaco mafioso di Palermo. Il figlio di Vito, Massimo, sostiene che suo padre chiese delle “garanzie politiche” al colonnello Mario Mori e di questa trattativa doveva essere informato Violante che all'epoca era presidente della commissione antimafia. Violante ha confermato pochi giorni fa di aver ricevuto all'epoca la richiesta di colloquio da parte di Vito Ciancimino che però rifiutò. Mori invece sostenne sempre che nei colloqui con Vito Ciancimino mai si parlò di “garanzie politiche” e quindi del famoso “papello”.

Un altro punto mette in disaccordo la versione Mori rispetto a quella di Massimo Ciancimino in quanto il primo sostiene che si incontrò con Vito solo dopo la strage di via D'Amelio mentre il secondo sostiene che l'incontro avvenne prima e quindi metterebbe chiaramente in luce la trattativa rivolta a fermare le stragi in cambio di favori politici.

Un ulteriore indizio che alimenta l'ipotesi della trattativa tra mafia e stato è l'arresto di Riina. Dopo l'arresto il covo del latitante era, almeno sulla carta, sotto controllo per fare in modo che nessun documento all'interno sparisse. In pratica 5 ore dopo l'arresto vennero smontate le telecamere che controllavano la villa in via Bernini e il covo venne lasciato libero affinchè i mafiosi portassero via tutti i documenti che non dovevano essere trovati. Quando finalmente venne fatta la perquisizione ufficiale non si trovò nulla. Mori si scusò dicendo che fu una dimenticanza.

Mori è ora accusato anche di non aver voluto arrestare Bernando Provenzano, latitante per 32 anni. Il processo ha un super testimone, Michele Riccio, che venne a conoscenza del luogo dove si sarebbe tenuto un incontro tra Provenzano e il boss Luigi Ilardo che all'epoca faceva il doppio gioco. Riccio riferì la notizia a Mori che rimase indifferente e non autorizzò il blitz.

Qui inizia la seconda trattativa, quella che vede coinvolta la mafia e Marcello dell'Utri, fondatore di Forza Italia condannato a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa ma in attesa della sentenza d'appello.

A questa trattativa si è arrivati grazie alle dichiarazioni che il pentito Ilardo fece a Riccio e venne poi riconfermata dal biglietto che casualmente fu rinvenuto durante la perquisizione a casa di Vito Ciancimino e di cui ne abbiamo già parlato.

Ecco cosa disse Ilardo a Riccio: "In Caltanissetta, i 'palermitani' avevano indetto una riunione", in cui si era deciso che "tutti gli appartenenti alle varie organizzazioni mafiose del territorio nazionale avrebbero dovuto votare Forza Italia. I vertici avevano stabilito un contatto con un esponente insospettabile di alto livello nell'entourage di Berlusconi. Questi, in cambio del loro appoggio, aveva garantito normative di legge a favore degli inquisiti appartenenti alle varie 'famiglie' mafiose, nonché future coperture per lo sviluppo dei loro interessi economici quali appalti, finanziamenti statali..." Infatti senza i voti della Sicilia Berlusconi mai avrebbe vinto le elezioni del 1994. Addirittura ci sono i fondati sospetti, come scrive Deaglio a "Repubblica", che Berlusconi abbia costruito il suo patrimonio grazie ai finanziamenti di Cosa Nostra e che nel 1994 scese in politica perchè convinto appunto da Cosa Nostra a contrastare un possibile governo di sinistra.

Anche Riina qualche giorno fa si è messo a parlare ed è interessante capire a chi erano effettivamente dirette le frasi che ha voluto venissero rese pubbliche dal suo avvocato. Secondo il procuratore aggiunto di Palermo Ingroia, Riina voleva mandare un messaggio a chi sta fuori dal carcere visto che se avesse voluto parlare con l'autorità giudiziaria conosceva i canali da prendere.

L'ultima notizia viene da Dell'Utri, uno dei protagonisti, che tenta di uscire dal PdL grazie al PdS, Partito del Sud, figlio di una sua geniale trovata. Ovviamente Berlusconi non può fare a meno del postino di fiducia e dei voti in gioco quindi si da alle promesse, il suo piatto forte.

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