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ENRICO FERMI: LA SCIENZA E IL POTERE

Post n°1378 pubblicato il 14 Gennaio 2012 da MANUGIA95
 

 

Altre volte nella storia gli uomini di scienza - da Archimede a Leonardo, fino a Fritz Haber - avevano prestato il proprio sapere alla causa bellica, ma il progetto Manhattan rappresentò un salto di qualità: non solo per le dimensioni colossali dell'impresa (oltre 5000 persone vi presero parte), ma per il travisamento collettivo del senso etico, per l'entusiasmo irresponsabile con il quale si riempirono lavagne e lavagne di calcoli come se la progettazione di un ordigno nucleare rientrasse nella normale routine di lavoro scientifico. Le foto che ritraggono questi scienziati giovani e famosi - Fermi, Oppenheimer, Segrè, Hans Bethe, Victor F. Weisskopf, Carl David Anderson - tranquilli e sorridenti davanti al laboratorio di Los Alamos o in gita domenicale sulle montagne del New Mexico, con gli occhiali da sole e l'aria del turista che si gode un meritato riposo [C, p. 71; S, p. 209], sono la testimonianza tragica della ragione scientifica svuotata di ogni principio etico. Così come tragiche, e sconvolgenti, sono le parole con le quali Fermi, in una lettera ad Amaldi del 28 agosto 1945 [A, pp. 158-160] - poche settimane dopo le stragi di Hiroshima e Nagasaki - commenta il suo lavoro a Los Alamos: "…è stato un lavoro di notevole interesse scientifico e l'aver contribuito a troncare una guerra che minacciava di tirar avanti per mesi o per anni è stato indubbiamente motivo di una certa soddisfazione".

La fissione. Il 10 dicembre 1938 Fermi ricevette il premio Nobel per la fisica "per aver dimostrato l'esistenza di nuovi elementi radioattivi generati dall'irraggiamento mediante neutroni, e per la scoperta, legata alla precedente, delle reazioni nucleari provocate dai neutroni lenti". Nel discorso di accettazione del Nobel Fermi accennò alla presunta scoperta di nuovi elementi con numero atomico superiore a quello dell'uranio, "che a Roma … sono di solito chiamati rispettivamente ausonio ed esperio" (la presunta scoperta risale al 34-35; all'epoca la proposta di battezzare uno dei nuovi elementi "littorio" fu liquidata da Corbino con una battuta: la vita media delle sostanze era troppo breve per associarle al regime). In realtà nessun elemento nuovo era stato scoperto dal gruppo di via Panisperna: Fermi, "il papa" si sbagliava, e aveva anche scelto male il momento per rendere pubblica la sua supposizione. Nell'autunno di quello stesso anno [1938], infatti, Otto Hahan e Fritz Strassmann, a Berlino, avevano intrapreso un'analisi radiochimica molto accurata degli elementi prodotti irradiando l'uranio con neutroni: tra questi elementi vennero identificati il bario e il lantanio, entrambi con numeri atomici molto inferiori a quello dell'uranio.

Il risultato di Hahan e Strassmann (che Fermi apprese nel gennaio del 1939, quando si trova alla Columbia University) sembrava davvero sorprendente. Eppure la spiegazione era estremamente semplice, come intuirono quasi subito Lise Meitner (ebrea viennese, rifugiatasi a Stoccolma per sfuggire alle persecuzioni razziali naziste - una grande figura, troppo spesso dimenticata, della fisica del '900) e suo nipote Otto Frisch (rifugiatosi a Copenaghen): il nucleo dell'atomo di uranio, assorbendo un neutrone, si scinde in due nuclei aventi peso atomico circa uguale, compreso tra 38 e 58.

Della giustezza di questa interpretazione si convince anche Niels Bohr - uno dei padri della meccanica quantistica - che, in collaborazione con lo stesso Frisch, pubblica una lettera su Nature (11 febbraio 1939), nella quale viene usato per la prima volta il termine "fissione".

I fisici di tutto il mondo si impegnano a chiarire gli aspetti teorici e sperimentali del nuovo fenomeno . Nel solo anno 1939 vengono pubblicati oltre cento articoli tecnici sulla fissione. In brevissimo tempo si scopre che la fissione dell'uranio è accompagnata dall'emissione di neutroni, che a loro volta possono provocare nuove fissioni (gli esperimenti sono dovuti a Fermi e Anderson alla Columbia, Walter Zinn e Leo Szilard anch'essi alla Columbia e Joliot a Parigi). Nasce così l'idea della possibilità di reazioni a catena, capaci di generare enormi quantità di energia. Subito si realizza che questa energia, se opportunamente controllata, può essere impiegata per costruire armi atomiche. Il fisico George Uhlenbeck racconta che Fermi, nel 1939, quando erano entrambi alla Columbia University, si voltò verso di lui e gli disse: "Ma ti rendi conto, George, che una piccola bomba a fissione potrebbe distruggere quasi tutto quello che vediamo qua fuori?"

Queste straordinarie scoperte non rimangono confinate a una ristretta cerchia di specialisti. Anche il grande pubblico è messo al corrente degli sviluppi della fisica nucleare. La New York Herald Tribune del 12 febbraio 1939 titola: "Nel regno della scienza: lo sviluppo pratico dell'energia atomica è solo questione di tempo"; il Washington Post del 29 aprile: "I fisici stanno discutendo se gli esperimenti [con il ciclotrone] faranno saltare in aria due miglia di territorio".

Il progetto Manhattan. Sull'Europa incombe ormai lo spettro della guerra. Nell'estate del 1939 Leo Szilard ed Eugene Wigner (entrambi profughi ungheresi) convincono Einstein (che ha sempre manifestato idee pacifiste) a indirizzare una lettera (datata 2 agosto 1939) al presidente F.D. Roosevelt per richiamare l'attenzione del governo americano sul pericolo che avrebbe minacciato l'umanità se i nazisti fossero riusciti a costruire un ordigno nucleare [E, pp. 599-600]. Einstein, in particolare, insiste sull'opportunità di "stabilire un collegamento permanente tra il governo e il gruppo di fisici che, in America, lavorano alla reazione a catena".

In realtà, la macchina governativa fu piuttosto lenta a recepire il pressante invito di Einstein, condiviso dalla maggioranza dei fisici che avevano trovato rifugio negli Stati Uniti. Questo ritardo si spiega in parte per il naturale scetticismo dei militari, piuttosto riluttanti ad accogliere gli avvertimenti di scienziati stranieri che ipotizzavano la possibilità di costruire armi di nuova concezione basate su scoperte molto recenti della fisica nucleare; d'altra parte, occorre anche ricordare che le ricerche militari erano in massima parte indirizzate al perfezionamento del radar. Soltanto alla fine del 1941, alla vigilia di Pearl Harbor, la Casa Bianca decise di stanziare fondi rilevanti per la realizzazione di un ordigno nucleare. Il progetto Manhattan prese il via nell'estate del 1942: il generale Groves scelse il fisico Robert Oppenheimer (non a caso americano di nascita) a dirigere e coordinare il gruppo di scienziati che iniziarono a lavorare nel laboratorio segreto di Los Alamos, nel New Mexico. È impressionante scorrere la lista dei fisici che saranno impegnati in questa gigantesca impresa collettiva: Bohr, Chadwick, Bethe, Fermi, Teller, Feynmann (uno dei più giovani), Anderson, Wigner, Rabi, nonché i vecchi amici e collaboratori di Fermi, Emilio Segrè e Bruno Rossi. Von Neumann - un outsider tra i fisici teorici e sperimentali - partecipa attivamente, senza prendere fissa dimora a Los Alamos, contribuendo alla risoluzione di molti problemi matematici. E non bisogna dimenticare il ruolo strategico svolto dalle grandi companies industriali, quali Du Pont, Eastman, Union Carbide, Monsanto.

La pila atomica. La prima reazione a catena è ottenuta a Chicago, dal gruppo di Fermi, nell'autunno del 1942. Naturalmente, senza questo passo preliminare non sarebbe stato possibile costruire la bomba atomica.

Il problema principale da risolvere è il seguente: neutroni che vengono prodotto dalla fissione dei nucleo di uranio 235 sono troppo veloci per dare origine ad altre fissioni e vanno quindi rallentati da un moderatore. Questo moderatore deve essere una sostanza che non assorba i neutroni. L'acqua pesante costituirebbe un ottimo moderatore, ma negli Stati Uniti non ve ne è grande disponibilità; Fermi, in collaborazione con Anderson, Zinn, inizia dunque a studiare le proprietà della grafite. Dopo i primi esperimenti alla Columbia University, Fermi si trasferisce a Chicago: nell'ottobre del '42 inizia la costruzione del primo reattore, la "pila atomica" (ufficialmente, il direttore del progetto non è Fermi, cittadino di un paese nemico, bensì Arthur Compton). La "pila" è un mastodontico apparato alto 9 metri, sistemato in un locale sotto le gradinate dello stadio della Chicago University. Nella struttura sono inserite numerose barre di cadmio (una sostanza che assorbe neutroni), che vengono rimosse per attivare la reazione e reinserite per smorzarla: questo procedimento di controllo è manuale e, potenzialmente, molto pericoloso.

gadgets. A Los Alamos furono costruite tre bombe - la parola in codice era gadgets - realizzate secondo due progetti, diversi sia per il materiale fissile impiegato (in un caso l'uranio 235, nell'altro il plutonio 239), sia per il metodo di detonazione. La prima bomba al plutonio fu fatta esplodere il 16 luglio 1945 nella località Jornada del Muerto, vicino ad Alamogordo, nel deserto del New Mexico. Cinque chili circa di plutonio produssero un'esplosione equivalente a 20000 tonnellate di tritolo: la torre cui era sospeso il gadget fu vaporizzata, la sabbia del deserto si vetrificò, si aprì un cratere profondo oltre 100 metri. Appena tre settimane dopo questo test riuscito oltre le aspettative (i calcoli dei fisici prevedevano una minore potenza distruttiva), il 6 agosto 1945, un bombardiere B-29 sganciava su Hiroshima la bomba all'uranio (non ancora testata): almeno 200000 persone morirono per le conseguenze dell'esplosione. Tre giorni più tardi, il 9 agosto, la bomba al plutonio fu lanciata su Nagasaki: circa 140000 persone morirono per gli effetti dell'esplosione e della radioattività nei cinque anni successivi.

Le scelte dei fisici. Già qualche tempo prima del test di Alamogordo, l'11 giugno 1945, sul tavolo del neoeletto presidente Truman era giunto un documento firmato dal fisico tedesco James Franck (nato ad Amburgo nell'1882, premio Nobel nel 1926 e rifugiatosi negli Stati Uniti dal 1933), insieme con altri colleghi tutti impegnati nel progetto Manhattan (tra i quali, Leo Szilard, lo stesso che aveva convinto Einstein a scrivere a Roosevelt). Il Franck report, con grande lucidità e preveggenza, ammoniva il governo americano sulle terribili conseguenze dell'uso bellico dell'energia atomica, prefigurando, tra l'altro, uno scenario futuro di corsa agli armamenti, che avrebbe finito per minacciare l'umanità intera. Per mettere fine alla guerra (la Germania aveva già capitolato il 7 maggio) si suggeriva di effettuare un'esplosione dimostrativa che avrebbe convinto il Giappone alla resa. Ma questi avvertimenti furono vanificati dal papere espresso dallo "Scientific Panel of the Interim Committee on Nuclear Power", composto da Oppenheimer, Compton, Lawrence e Fermi, che raccomandavano l'uso immediato della bomba per risolvere il conflitto (il documento dello Scientific Panel si chiude con una dichiarazione pilatesca: "We have, however, no claim to special competence in solving the political, social, and military problems which are presented by the advent of atomic power"). Altre petizioni, prima dell'irrimediabile, furono rivolte a Truman: una sottoscritte da Leo Szilard e da altri 69 scienziati che lavoravano al progetto Manhattan, altre firmate dagli scienziati del laboratorio di Oak Ridge (Tennessee) e dal gruppo di Chicago. Per quanto la decisione finale di sganciare la bomba fu presa, come ovvio, dai militari, è innegabile la corresponsabilità diretta dei costituenti dello Scientific Panel, tra i quali - come abbiamo detto - vi era Fermi.

Le reazioni dopo la carneficina di Hiroshima e Nagasaki sono ugualmente significative. Abbiamo già ricordato le parole di Fermi in una lettera ad Amaldi dell'agosto '45: "…è stato un lavoro di notevole interesse scientifico e l'aver contribuito a troncare una guerra che minacciava di tirar avanti per mesi o per anni è stato indubbiamente motivo di una certa soddisfazione". Non diversamente, si esprime Segrè nella sua autobiografia: "…Io certamente mi rallegrai per il successo che aveva coronato anni di duro lavoro e fui sollevato dalla fine della guerra". Si deve senza dubbio ricordare che entrambi i genitori di Segrè erano morti nei campi di concentramento nazisti, come anche i genitori di Laura Capon, la moglie di Fermi. Ma la tranquilla sicurezza delle dichiarazioni dei due grandi fisici italiani, nelle quali non si insinua nemmeno l'ombra di un dubbio, è sconvolgente.

Radicalmente opposto, come abbiamo visto, fu il comportamento di Szilard, che si adoperò attivamente affinché la bomba non esplodesse su obiettivi civili. Bruno Rossi confesserà che, subito dopo il test di Alamogordo, il sentimento di aver partecipato a un'impresa di importanza storica "veniva presto sopraffatto da un senso di colpa e da una terribile ansietà per le conseguenze del nostro lavoro". Anche Hans Bethe divenne un fervente oppositore dell'uso delle armi atomiche. Va detto che Fermi, dopo la guerra, cambiò la propria posizione: insieme con I. Rabi e Oppenheimer si dichiarò contrario alla costruzione della bomba all'idrogeno (in favore della quale era invece il "falco" Edward Teller).

Franco Rasetti. "Rasetti fu l'unico che si rifiutò di collaborare al progetto della bomba a fissione per ragioni morali" [A, pp. 36-37]. Rifugiatosi in Canada, aveva impiantato un laboratorio per svolgere ricerche prima in fisica nucleare e successivamente sui raggi cosmici. Contattato per entrare a far parte di un gruppo di fisici britannici che sarebbero poi stati assorbiti nel progetto Manhattan, declinò l'offerta: "ci sono poche decisioni mai prese nel corso della mia vita - scrive Rasetti - per le quali ho avuto un minor rimpianto. Ero convinto che nulla di buono avrebbe potuto scaturire da nuovi e più mostruosi mezzi di distruzione, e gli eventi successivi hanno confermato in pieno i miei sospetti. Per quanto perverse fossero le potenze dell'Asse, era evidente che l'altro fronte stava sprofondando a un livello morale (o immorale) simile nella condotta della guerra, come testimonia il massacro di 200000 civili giapponesi a Hiroshima e Nagasaki". Del tutto "disgustato per le ultime applicazioni della fisica", Rasetti decise di abbandonare la fisica e dedicarsi a ricerche di biologia e geologia (e divenne un grande specialista, pubblicando memorie di paleontologia e una grande monografia sulla flora alpina). La condotta di Rasetti fu quasi messa in ridicolo da molti suoi colleghi: Amaldi in una lettera a Fermi del 5 luglio 1945 parla di "un particolare processo di isolamento psichico del nostro amico" e sollecita Fermi ad intervenire per costringerlo a dimettersi dalla cattedra di spettroscopia che ancora occupava a Roma ("non vediamo la ragione di avere un professore di spettroscopia che abita a circa 6000 miglia cercando trilobiti"). Eppure Rasetti aveva le sue buone ragioni: come scrive in una lettera a Enrico Persico "tra gli spettacoli più disgustosi di questi tempi ce ne sono pochi che uguagliano quello dei fisici che lavorano nei laboratori sotto stretta sorveglianza dei militari per preparare mezzi più violenti di distruzione per la prossima guerra". 
  
  
  
 

Epilogo

Non solo in tempo di guerra, il comportamento degli scienziati dovrebbe essere conforme a rigorosi principî etici, che non hanno lo scopo di ostacolare la ricerca, ma di impedire che le conoscenze raggiunte vengono messe incondizionatamente al servizio del potere politico, militare o industriale. Affinché una nuova scoperta scientifica riesca a trovare applicazioni tecnologiche, è infatti quasi sempre necessario che gli scienziati impegnati nella ricerca di base prestino la loro cooperazione attiva agli ingegneri e ai tecnici che devono procedere alla realizzazione pratica del progetto. In altre parole, per bloccare la sinergia tra scienza, interessi politici e lobbies industriali basterebbe la consapevole non-collaborazione degli scienziati. Questo vale non solo per le armi nucleari (ormai un problema del passato: ormai chiunque abbia la tecnologia adatta può costruire una bomba atomica), ma per tutta la ricerca militare (comprese le armi batteriologiche), per la ricerca medica e farmaceutica, per le ricerche nel settore delle telecomunicazioni. Chi obietta che la scienza deve svilupparsi svincolata da qualsiasi restrizione - anche di carattere etico - dimentica che proprio nel perseguire l'alleanza con il potere, negli ultimi decenni, la scienza ha perso gran parte della propria autonomia, essendo venuta meno una delle condizioni essenziali: la libera circolazione delle idee e dei risultati, per il bavaglio sempre più spesso imposto alle innovazioni dal segreto militare o dal segreto industriale. 
  
 

Indicazioni bibliografiche essenziali

[A] E. Amaldi, Da via Panisperna all'America, Editori Riuniti, Roma 1997.

[C] D. Cooper, Fermi and the revolutions of modern physics, Oxford University Press, 1999.

[CGS] F. Cordella, A. De Gregorio, F. Sebastiani, Enrico Fermi. Gli anni italiani, Editori Riuniti, Roma 2001.

[E]. A. Einstein, Opere scelte, a cura di Enrico Bellone, Bollati Boringhieri, Torino 1988.

[N] P. Ndiaye, Du nylon et des bombes. Du Pont de Nemours, le marché et l'État américain, 1900-1970, Belin, Paris 2001.

[P] A. Pais, Il danese tranquillo. Niels Bohr, un fisico e il suo tempo, Bollati Boringhieri, Torino 1993.

[Po] B. Pontecorvo, Fermi e la fisica moderna, Editori Riuniti, Roma 1972.

[R] E. Recami, Il caso Majorana, Di Renzo, Roma 2000.

[Ro] M. Rouché, Oppenheimer e la bomba atomica, Editori Riuniti, Roma 1966.

[S] E. Segrè, Personaggi e scoperte della fisica contemporanea, Mondadori, Milano 2000.

[St] F. Stern, Einstein's German World, Princeton University Press, 2000. 

 


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