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Messaggi del 01/01/2014

Globalizzazione

Post n°1411 pubblicato il 01 Gennaio 2014 da MANUGIA95

Globalizzazione


Quante volte abbiamo sentito e utilizzato la parola globalizzazione? Un'infinità di volte! Ma, nonostante questo termine racchiuda in sé l'essenza del mondo in cui viviamo, il suo vero significato sembra essere sempre "sfuggente". Da un punto di vista linguistico, globalizzazione è un calco dall'inglese (che a sua volta suona come neologismo coniato su base romanza!), laddove globalization deriva da to globalize, cioè rendere globale. 

Giochi di parole a parte, globalizzare e globalizzazione sono termini di uso comune che, però, nascondono tutte le contraddizioni di un mondo in cui confini e barriere, soprattutto quelle economiche, diventano sempre più labili. 

Uno degli eventi storici che più hanno contribuito alla creazione di un mondo "globalizzato" è stato il crollo del Muro di Berlino. Il 6 novembre 1989, infatti, est e ovest hanno ristabilito un contatto diretto, ponendo fine a 50 di guerra fredda. Dopo la seconda guerra mondiale, la cosiddetta cortina di ferro rappresentò la linea di confine, oltre la quale i cittadini dell'uno e dell'altro schieramento non potevano andare. Allo stesso modo, la diffusione delle idee, della musica, della cultura, e di conseguenza la comunicazione tra gli abitanti della terra era fortemente limitata. 

Così come era limitata la circolazione delle merci. L'apertura degli ex paesi comunisti al libero mercato, infatti, ha accelerato il processo di globalizzazione. L'economia degli anni '90 è stata caratterizzata dalla crescita di domanda proveniente proprio da quei paesi che per anni erano stati tagliati fuori dal sistema capitalista. Un percorso che, nel Vecchio Continente, ha portato l'allargamento ad est dei paesi aderenti all'Unione Europea

I primi a parlare di globalizzazione furono gli economisti che, a partire dal 1981, utilizzarono il termine per indicare la crescita di scambi economici in ambito mondiale. In poche parole, la produzione economica, così come il volume di affari di una determinata azienda (per meglio dire, di una multinazionale) non si sarebbe limitata ad un singolo paese, ma all'intero pianeta. Così si può dire che una della caratteristiche principali della globalizzazione è delocalizzazione, cioè lo spostamento della produzione da un paese all'altro, dove il mercato del lavoro risulta più competitivo, rappresentando, al tempo stesso, un bene e un male per i paesi in via di sviluppo. 

Il nuovo sistema di libero scambio ha attirato proprio nei paesi più poveri, dove la manodopera ha un costo bassissimo, un'ingente somma di fondi di investimento, come nel caso della Cina, dell'India, o di altre nazioni in via di sviluppo. Al tempo stesso, potremmo dire, in un'ottica critica, che un sistema del genere trae profitto dallo sfruttamento della povertà altrui. 

Passo fondamentale per la realizzazione di un mercato globale è stata la creazione dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization, WTO), nata nel 1995 dalle ceneri dell'Accordo Generale sulle Tariffe ed il Commercio (General Agreement on Tariffs and Trade, GATT) firmato da 23 paesi nel 1947. Lo sviluppo delle nuove tecnologie, poi, ha fatto il resto. Il boom di internet, grazie alla larga espansione di connessioni veloci, ha permesso di entrare in contatto con realtà sconosciute fino a pochi anni fa, ha avvicinato gli angoli più disparati del globo, ma ha soprattutto permesso la nascita di nuove forme di comunicazione, di informazione e di intrattenimento. 

Così, dall'economia il fenomeno della globalizzazione ha raggiunto anche la cultura e la società nel suo insieme. Complice, internet, appunto, ma anche i massicci fenomeni migratori degli ultimi decenni. In tal senso, alcuni considerano la globalizzazione come sinonimo di occidentalizzazione, cioè appiattimento delle realtà locali in favore di una massiccia diffusione dei modelli americani ed europei. 

A partire dai primi anni del nuovo millennio, per molti la globalizzazione ha rappresentato il simbolo del male assoluto. I cosiddetti movimenti no global, gruppi di contestazione per lo più composti da organizzazioni non governative o associazioni con background politici eterogenei, sono nati sul finire degli anni '90. I movimenti hanno formato (e continuano a farlo, anche se il fenomeno sembra essersi ridotto) una massa critica ad un fenomeno così dilagante e di difficile comprensione come la globalizzazione, legato, soprattutto nel suo aspetto economico-finanziario, alle politiche neoliberiste dei paesi più ricchi. 

La prima manifestazione no-global si tenne a Seattle nel 1999, in occasione della Conferenza dei Ministri appartenenti all'Organizzazione Mondiale del Commercio. Ma uno dei momenti più difficili nella contrapposizione tra movimenti no-global e autorità fu il G8 di Genova del luglio 2001. Durante gli scontri di quei giorni perse la vita Carlo Giuliani, ucciso da un colpo di pistola sparato da un poliziotto, in una delle fasi più concitate degli scontri. La repressione da parte delle forze dell'ordine è ancora tutt'ora oggetto di discussione, e i fatti avvenuto nella scuola Diaz (dove corpi speciali della polizia irruppero nella notte tra il 20 e il 21 luglio 2001) e quelli della caserma Bolzaneto sono al vaglio delle autorità giudiziarie. 

Nell'era della globalizzazione, però, la cosa che sembra essere cambiata di più è l'accesso all'informazione. 114 milioni di americani navigano quotidianamente in internet, 121 in Europa, mentre in India sono circa 49 milioni, per una media di 25 milioni al giorno. In Cina, nel 2006, si sono connessi alla rete 137 milioni di persone, con un incremento del 23% rispetto all'anno prima. Cifre da capogiro, soprattutto in paesi emergenti come quelli asiatici. La situazione della Terra di Mezzo, però, è un po' diversa. In Cina, molti siti, come BBC o Wikipedia, sono bloccati (pare saranno resi accessibili in occasione delle Olimpiadi 2008 per far fronte alle necessità di cronisti e media che copriranno l'evento). La censura su internet in Cina è tale che qualche anno fa, molti utenti del web non poterono accedere al loro account di posta "hotmail", perché il governo aveva bloccato l'accesso a tutti i siti che contenevano la parola "hot". 

Il tentativo di dare una definizione di globalizzazione, però, oltre ad essere inevitabilmente parziale, rischia di rimanere incompiuto se non si tengono in considerazione due elementi fondamentali del nostro tempo: terrorismo ed ecologia. In un mondo post-11 settembre, la percezione della sicurezza, soprattutto nei paesi occidentali, è notevolmente cambiata. Il terrorismo internazionale è diventato, in breve tempo, il vero pericolo di un mondo globalizzato. 

Definizioni come "terrore globale", o "lotta globale al terrorismo" (la prima utilizzata per definire al-Qaeda, l'organizzazione terroristica di matrice islamica, la seconda per indicare la politica militare dell'amministrazione Bush) sono diventate ormai comuni. Il nuovo millennio si è aperto con l'attacco alle Torri Gemelle, in cui il sistema statunitense ha mostrato tutta la sua vulnerabilità. Oggetto dell'attentato, infatti, fu il World Trade Center di New York, il più importante centro finanziario al mondo, dove operavano le maggiori multinazionali dell'intero globo. 

Allo stesso tempo, si può dire che l'11 settembre sia stato "possibile" solo in virtù dei moderni mezzi di comunicazione, e della frequenza, ormai altissima, con cui le persone sono solite spostarsi da un lato all'altro del pianeta. Anche se rimane una semplificazione, basta pensare che, secondo il governo di Washington, il famigerato principe saudita Osama Bin Laden ha organizzato l'attacco al cuore dell'America, mentre era nascosto in qualche grotta sperduta negli altopiani afgani. 

Una delle tante sfide del nostro tempo sembra essere proprio quella legata alla salute del nostro pianeta. La crescita economica che ha riguardato l'occidente negli ultimi 50 anni ha avuto conseguenze disastrose sull'ecologia. La maggioranza degli studiosi concordano nel considerare il cosiddetto "effetto serra" il risultato delle massicce emissioni di anidride carbonica nell'atmosfera, causate dalla combustione di carburante. 
Secondo gli studi più recenti, la temperatura del pianeta è aumentata di 0,74 gradi, e 11 delle 12 estati più calde mai registrate si sono avute dal 1995 in poi. In passato, questi temi sembravano essere oggetto di discussione esclusivamente nei paesi ricchi, capaci di inquinare anche per quelli più poveri. 

La crescita, però, dei due colossi asiatici come Cina e India è un dato che allarma sempre più gli ecologisti. Il conseguente innalzamento degli standard di vita, infatti, coincide con una maggiore richiesta di energia e, inevitabilmente, con più inquinamento. La somma degli abitanti di entrambi i paesi oscilla attorno ai 2 miliardi e 300 milioni, più di un terzo dell'intero pianeta. E i numeri parlano chiaro: se allo stato attuale il paese che inquina di più sono gli Stati Uniti, nel 2020 sarà la Cina.

[Nell'immagine: Il globo circondato dalle miriadi di connessioni web]

Pacifismo globale

Parallelamente, in occasione della guerra (anche questa al terrore) in Iraq, nello stesso giorno, il 15 febbraio 2003, milioni di persone marciarono in tutto il mondo per manifestare il loro dissenso. In passato la guerra in Vietnam aveva portato migliaia di persone a manifestare in strada, ma, in questo caso, per la prima volta, le manifestazioni si tennero anche in paesi non direttamente coinvolti nel conflitto. A riprova che ormai il processo di globalizzazione non riguarda soltanto la sfera economica e politica, ma di fronte a certi temi la risposta popolare (peraltro inascoltata) è capace di valicare i confini dei cinque continenti.

 
 
 

CECENIA LA DITTATURA TIRATA A LUCIDO....

Post n°1410 pubblicato il 01 Gennaio 2014 da MANUGIA95
 

Grattacieli e ristoranti di lusso Cecenia, la dittatura tirata a lucido"Grozny la sudicia» non esiste più, ma l’inferno è dietro la facciata"



GROZNY (Cecenia)Anna Politkovskaya venne uccisa nel suo condominio di Mosca il 7 ottobre del 2006. Nel computer aveva pronto un altro articolo contro Ramzan Kadyrov, l’uomo che oggi è presidente della Cecenia. Da sette anni la giornalista scriveva di questa piccola repubblica della Federazione russa come di un buco nero della coscienza, dove stupri, torture e massacri erano norma per soldati e miliziani. «Un posto — sosteneva — dove alcuni possono fare quel che vogliono e gli altri devono accettarlo. La Russia continua a permettere che esista un angolo del Paese dove i diritti civili non esistono. È una scelta molto rischiosa» («Un piccolo angolo d’inferno», Rizzoli 2008). Quattro anni sono passati dalla sua morte. La Cecenia è ancora quel «posto»?

La repubblica non è più ufficialmente «zona di operazioni anti terroristiche» dall’aprile del 2009. Di «Grozny la sudicia», di «Grozny moderna Stalingrado », non c’è più traccia. La facciata è lucida, brillante. Sulla piazza che fu del palazzo presidenziale sovietico, il 33enne Kadyrov ha costruito la più grande moschea d’Europa, poi ha diviso in due l’ex «Leninsky Prospekt», la strada principale: fino alla moschea l’ha intitolata a «Putin», suo mentore, da lì in poi l’ha chiamata «Ahmad Kadyrov », suo padre. Imprese turche e coreane costruiscono grattacieli, di cui poi il giovane presidente, a nome della Fondazione Ahmad Kadyrov, regala alcuni appartamenti. La stessa cosa succede nel resto delle cittadine della pianura, da Gudermes ad Argun. I ristoranti di lusso che servono su tovaglie immacolate bollito e pastasciutta (il piatto nazionale) sono deserti, ma a Grozny sono aperte anche abbordabili pizzerie, gli italiani «Corleone» e «Sicilia», un cinese e persino un ambizioso sushi. I marciapiedi sono puliti, il monumento ai poliziotti «kadyroviani» caduti nella lotta al terrorismo spolverato ogni giorno.

La Politkovskaya non ha visto nulla di tutto questo, non ha potuto neppure sperimentare i nuovi alberghi di Grozny. Cosa avrebbe detto dell’Arena City, ad esempio? Venticinque stanze con idromassaggio e preservativi nel comodino, è tra i migliori. Capita che la sala del ristorante venga chiusa per garantire la privacy di vip locali come il deputato alla Duma di Mosca Adam Dilimkanov, cugino di Kadyrov, arrivato all’Arena City su una Porche Cayenne bianca opaca con altre dieci jeep blindate per la sua scorta armata. L’onorevole Dilimkanov è ricercato dall’Interpol per l’omicidio in Austria di un «kadyroviano » ribelle.
Le mamme spingono le carrozzine all’ombra di tabelloni in cui Kadyrov abbraccia bambini, soccorre mutilati e vecchi, stringe la mano a Putin, «ricorda e ama», come recitano gli striscioni, il padre ucciso. Pare un salto indietro ai tempi staliniani del culto della personalità. E non è l’unico parallelo con gli anni del Terrore comunista. Per Grozny circolano auto senza targa, dai vetri neri, piene di armati con le maschere sul volto. Sono squadre speciali «anti terrorismo », di fatto i padroni della vita di chiunque. In ogni momento possono fermarsi e rapire chi vogliono nella più assoluta impunità. I giudici nominati da Mosca rifiutano di avviare le indagini, i poliziotti comuni non accettano la denuncia e minacciano chi insiste a lamentarsi. È il terrore che quasi più nessuno è rimasto a raccontare. Il responsabile dell’ufficio ceceno di Memorial, la più celebre organizzazione per i diritti umani russa, è tra loro. Dokku Itsloyev è ormai il solo nell’ufficio ad aver conosciuto la Politkovskaya. 

La sua collega di Memorial, Natalia Estemirova, amica ed erede spirituale della giornalista, è stata uccisa a Grozny nel luglio del 2009. I due capi dell’ufficio che l’hanno preceduto sono scappati per le minacce ricevute: Lidia Yusupova a Mosca, Shakhman Akbulatov in Francia. Anche all’Ong «Salviamo la generazione», citata tante volte nei libri della Politkovskaya, sono in pochi a ricordarla. I suoi amici, Zarema Sadulaeva, presidente, e suo marito, sono stati trucidati in città l’estate scorsa.

Dokku Itsloyev ha gli occhi appannati e la voce calma. Non si è mai mosso da Urus Martan, alle porte di Grozny. Ha visto e denunciato tutto: le due guerre, le retate, le violenze, le bombe, gli omicidi e ora il terrore kadyroviano. La bandiera blu dell’Unione europea che si è appeso dietro la scrivania sembra il suo unico scudo quando dice cose come queste: «La Cecenia vive di arbitrio e corruzione. Se il presidente è di buon umore, ferma la sua colonna di auto, scende e distribuisce rotoli da mille dollari. Il suo compleanno, quello della madre, della moglie e della prima figlia sono feste nazionali. In quei giorni la strada per Zentori, il villaggio dove è nato e dove si è costruito uno zoo privato con leoni e tigri, è intasata di questuanti. Arrivati alla sbarra che chiude il paese ricevono buste piene di denaro. Non possono essere soldi personali perché Kadyrov dichiara un reddito di 130mila euro l’anno. Ma neppure dello Stato perché sarebbe illegale distribuirli così senza criterio».
«Le spie sono dappertutto» scriveva Politkovskaya e l’unico scopo dei ceceni «è sopravvivere anche a prezzo della vita altrui». È ancora così. A Grozny si parla esclusivamente bene del presidente. In pubblico. Perché qui non esiste legge se non quella di Kadyrov. La gente «viene presa», si dice qui, e, quando va bene, ricompare il mattino dopo torturata in qualche stazione di polizia. Altrimenti c’è solo il cadavere. Pochi, sempre meno, hanno il coraggio di denunciare per la certezza di fare la stessa fine e perché, comunque, i magistrati si rifiuterebbero di aprire i procedimenti.

A Mosca aveva messo sull’avviso l’ex redattore de «La Stella Rossa», quotidiano dell’Armata e oggi direttore del giornale on line www.ej.ru Alexandr Golts: «Kadyrov ha quell’indipendenza che era stata rifiutata ai ceceni nel ’94. Il Cremlino non si intromette mai nei suoi affari, neppure quando i nemici di Kadyrov vengono eliminati a colpi di pistola sotto le mura del Cremlino». Figurarsi per le strade di Grozny.

A pochi metri dal palazzone dove la Estemirova ospitava la Politkovskaya, c’è il ristorante preferito da un avvocato ceceno, un altro dei pochi amici di Anna rimasti. «Niente nome, per favore, ormai è troppo pericoloso. Mi sono rassegnato anche a non accettare più cause contro i "kadyroviani"». L’avvocato ha esaminato gli ultimi cento processi a terroristi islamici o indipendentisti. «Si ripete sempre lo stesso copione: il ragazzo va in montagna ad addestrarsi con la guerriglia per due-tre settimane, poi gli dicono di tornarsene a casa e attendere ordini. Dopo un mesetto scatta un’operazione speciale nella quale il neoterrorista viene sequestrato, torturato o ucciso. Ora, siccome i campi descritti sono sempre gli stessi tre (Vedenò, Arshti e Roshni-Chiu) perché la polizia non va a prendere gli addestratori? La mia risposta è che quelli non sono veri guerriglieri, ma agenti che fabbricano colpevoli per ricevere i soldi di Mosca della guerra al terrorismo».

Non c’è chiarezza sul fiume di denaro che la Federazione russa versa per mantenere la «calma» nella riottosa Cecenia. Il presidente Kadyrov parla di un «piano di ricostruzione finanziato da Mosca da 600 milioni di euro l’anno». Ma stipendi di poliziotti, insegnanti, medici, funzionari pubblici, nonché infrastrutture ed energia sono totalmente a carico di Mosca. Il conto finale dovrebbe oscillare tra gli 8 e i 12 miliardi di euro l’anno cui vanno aggiunti centinaia di milioni ottenuti pompando petrolio di contrabbando o con la «tassa per la pace» ottenuta dalle comunità cecene all’estero. «Non so quali siano i metodi—ammette Itsloyev —, ma devono essere convincenti. Circola sui telefonini un video sull’enorme caveau della Fondazione Kadyrov in cui i dollari arrivano a metà parete. Pare sia umido e le guardie stendano le banconote al sole per eliminare la muffa».
Sono tanti i modi con cui un politico può diventare oligarca oggi in Russia. Kadyrov li sta sperimentando a uno a uno. Dopo petrolio e guerra al terrorismo sta scoprendo commercio e turismo. L’aeroporto di Grozny è appena salito al rango di scalo internazionale, ma non per portare pellegrini alla Mecca o capitali negli Emirati Arabi. L’obbiettivo è avere da Mosca il diritto alla dogana, così da qui potranno partire e arrivare merci di ogni genere con il solo controllo dei «kadyroviani». Sulla spinta delle Olimpiadi Invernali di Sochi del 2014, poi, Kadyrov progetta una stazione sciistica. «Saremo la Svizzera dell’Asia» assicura. «Una scelta molto rischiosa» scriveva Politkovskaya. A quattro anni dalla morte sembra aver avuto ragione. «Ramzan Kadyrov — dice a Mosca Pavel Felghenhauer, analista militare —è per il Cremlino quel che un re goto era per l’Impero romano: un aiuto oggi, ma un pericolo domani. Kadyrov ha denaro e potere autonomi. Il suo esercito è fatto 20-30mila uomini, 3 o 4 volte più numerosi dei guerriglieri che hanno cacciato Mosca nel 1996 da Grozny. È gente spietata, decisa a tutto. Sanno che se perdessero il potere verrebbero uccisi dalle vendette cecene o arrestati dalla Russia. In caso di rottura dell’alleanza personale tra Kadyrov e Putin non avrebbero altra scelta che combattere e sarebbe una guerra decisamente più difficile di quelle che abbiamo già visto».

Andrea Nicastro 


 
 
 
 
 

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