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« Ai nuovi italiani | Lo stalliere del re. » |
una vita in tre canzoni
A volte, per i motivi più strani, ci si ferma un attimo a ripensare alla propria vita, a ripercorrerne a ritroso le tappe salienti con il rischio, non remoto, di arrivare a bilanci prematuri e conclusioni non indolori.
Raccontarsi non è mai semplice; meno ancora lo è se non ci si conosce personalmente, proprio come con voi, mia sparuta compagine di amici lettori.
Forse, in questi casi, per brevità e per lasciarne il compito ad altre ben più brillanti penne, ci può aiutare una colonna sonora: scagli la prima pietra chi non ha mai associato un periodo della propria esistenza ad una canzonetta…
A sedici anni la mie giornate scorrevano gradevolmente fra chiacchiere, feste ed una scuola che amavo, ricambiata da buoni voti e qualche riconoscimento. La mia famiglia, genere “Mulino Bianco” per capirci, mi coccolava e proteggeva. Nessuna preoccupazione per il futuro: la disoccupazione dalle nostre parti latitava (altri tempi, altri governi…), la mia tenacia avrebbe fatto il resto.
Ed io? A me il paesino stava terribilmente stretto, i successi scolastici erano la trascurabile normalità e avrei svuotato armadi e cassetti per un bacio, per un amore, per qualcuno che semplicemente mi dicesse: andiamo…
Chiedendo aiuto a Guccini, “Autogrill” sembra scritta per me, se non nella storia, almeno per le sensazioni del protagonista.
A trenta avevo un lavoro fisso, uno di quelli che fanno impazzire di gioia le mamme di sempre, un amore distratto e un capo burbero ed accentratore.
Al capo non piacevano le mie gonne, le mie idee, soprattutto il fatto che amassi “allargarmi” con iniziative personali.
Un giorno capii che, perchè le apprezzasse, bastava semplicemente fargli intendere che quelle idee erano le sue e che comunque restava il regista di tutto; di fatto dirigevo l’ufficio lasciandogli credere che era lui a farlo.
L’amore distratto volava via senza particolari rimpianti, mi tuffavo nelle mie attività di volontariato, frequentavo la sede di un partito.
In chi mi immedesimavo? Probabilmente nel “Cirano” gucciniano.
Il vecchio capo adorava rispondere “no”; a prescindere.
Un giorno ne dice uno di troppo, a qualcuno che dai banchi di Montecitorio promette ritorsioni.
Avete mai visto un politico mantenere promesse? Beh, io si, almeno in questo caso.
Il nuovo capo ama le mie gonne e dire “si”; a prescindere.
E’ giovane ed elegante anche se di tanto in tanto, piccola comprensibilissima eccezione, è stato visto con qualcosa di verde addosso…
Il nuovo capo non ama le mie idee, i miei centimetri ben superiori ai suoi, il tempo dedicato ad una categoria (disabili motori) che va a votare, ma, alla fine, quanti vuoi che siano? Il suo tempo è ormai tutto per altre e ben più solvibili categorie, più o meno i suoi “grandi elettori”.
Da qualche settimana la mia stanza è desolatamente vuota, le mie competenze si assottigliano sempre di più, le pratiche vengono deviate verso altri porti ritenuti più sicuri. Anni di lavoro mi guardano da scaffali inutilmente stracolmi; solo il telefono trasforma in voci solidarietà tanto gradite quanto improduttive.
In televisione trasmettono le immagini di un altro capo mentre annota su un foglio otto nomi e il termine “traditori”. E’ il volto del potere, così simile a se stesso ad ogni latitudine.
Cerco a lungo un testo diverso per concludere questo post; ce la metto tutta ma mi viene in mente solo “Lettera” e ancora una volta, sicuramente meglio di me, il Poeta saprà illustrarvi questo momento della mia vita alle soglie dei quaranta.
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Inviato da: carloguggias
il 09/01/2022 alle 02:02
Inviato da: svetlana90
il 10/01/2018 alle 23:44
Inviato da: panglos
il 24/09/2014 alle 07:52
Inviato da: panglos
il 09/09/2014 alle 09:48
Inviato da: panglos
il 09/09/2014 alle 09:48