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Quando si parla di me, tenete sempre presente che si parla del classico, prevedibilissimo bravo ragazzo.
E come degno esponente di questo genere, sono stato educato con un senso della famiglia particolarmente sviluppato. Se ci aggiungiamo che la mia è particolarmente tradizionalista, risulta facile capire come mai tenda a stabilire rapporti di tipo familiare con tutte le persone che mi stanno intorno. Tutte le persone che frequento, prima o poi si vedono affibbiare un qualche grado di parentela putativa.
Ecco perché, quando parlo del mio lavoro, lo chiamo “la mia famiglia adottiva”.
Vorrei dire che al lavoro mi trasformo e divento un’altra persona, clark kent e superman, batman e bruce wayne, peter parker e spiderman, ma, ahimè, non è vero. Al lavoro sono esattamente la stessa persona che sono a casa.
L’unica differenza è che la mia famiglia naturale vede il mio lato svaccato e pantofolaio, mentre la mia famiglia adottiva mi conosce in giacca e cravatta, precisino e sempre di corsa. Che può sembrare una gran differenza, ma lo è solo nella confezione. Il prodotto non cambia.
Personaggi della mia famiglia adottiva sono il Capo, la Zia, il Barba e l’Ariano.
Il Capo è un po’ la figura paterna dello studio, quello che ci insegna il lavoro, che è sempre di corsa, che ci molla i lavori noiosi che non ha voglia di fare e che ogni tanto ci da una pacca sulla spalla. Ci vuole bene, e anche lui è indeciso se trattarci come dipendenti, come amici o come figli sfaccendati a cui stare appresso.
La Zia è la nostra segretaria amministrativa. Per lei siamo proprio dei figli, ed è l’unica che ha il potere e l’autorità per rimproverare il Capo. Che sta zitto e incassa. Se non ci fosse la Zia, lo studio andrebbe in malora in un paio di settimane. Dello studio sa tutto, da dove sono le matite, passando per le pratiche per arrivare alle note spese. Se un giorno qualcuno di noi dovesse chiederle “sai mica dove ho messo i calzini?”, sono sicuro che risponderebbe “prova a guardare nel secondo cassetto a sinistra”.
Il Barba e l’Ariano sono i due membri junior dello studio, uno moro, barbuto, saputo e comunista, l’altro biondo, occhi azzurri, umile e praticamente un nazista. Formalmente sono i miei colleghi, anche se in maniera informale li definiamo “i ragazzi”. Con loro ho un rapporto un po’ particolare, in qualità di senior sono una specie di vice capo, e anche loro sono indecisi se trattarmi da collega, da amico o da superiore. Nel dubbio, si fa un po’ confusione di ruoli e si torna sullo stesso piano solo alla pausa sigaretta.
E con questo, ecco i comprimari della mia vita. Chiaramente ci sono le guest stars, come in ogni brava sit-com che si rispetti, ma per ora, quelli dei titoli di testa ci sono tutti.
CHI È IL MISTER
Mr Nice Guy: espressione inglese per indicare il "classico bravo ragazzo".
Il mio punto di vista è quello di una persona assolutamente normale. Sono il classico bravo ragazzo. Se ci fosse una definizione di bravo ragazzo medio, nel dizionario, beh, ci sarebbe la mia foto di fianco. Ma nella mia esperienza, essere un bravo ragazzo non ha vantaggi di sorta. Solo sfighe.
E questo è il mio punto di partenza.
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