Mr Nice Guy

Generalmente non parlo della mia vita lavorativa, perché in fin dei conti ritengo che sia una cosa abbastanza noiosa, da fare e da leggere. Tuttavia oggi è un’eccezione, perché la catena di eventi  di questi ultimi tre giorni, mi ha fatto riflettere su una teoria che la Lisa e la Mirty stanno cercando di farmi abbracciare. A sentir loro, la negatività chiama altra negatività. Insomma, che essere negativi, stringi stringi, porta sfiga. Al rientro dalla trasferta di venerdì sono arrivato pericolosamente vicino al “non è vero, ma ci credo”.

Tutto è cominciato mercoledì scorso, quando sono andato a Udine a tenere un corso mai fatto prima, che il mio capo e il mio superiore (nonché giovane ex-allievo) si ostinavano a definire “una passeggiata”. Già lì ero abbastanza negativo, perché si trattava di un corso iperspecialistico, talmente una passeggiata che ero l’unico in tutto l’ufficio a poterlo realizzare. Comunque, dopo aver studiato l’impossibile per 2 settimane, sono riuscito in un’impresa quasi incredibile: spiegare come funzionava un impianto al tizio che l’ha costruito e a quello che lo fa funzionare.

Una persona saggia, anche di fronte alla prospettiva di altri 4 incontri nelle 4 settimane successive, si sarebbe giustamente data un po’ di pacche sulle spalle e si sarebbe sentita soddisfatta di sé. Ed io, di rientro dalla trasferta, mi sentivo giustamente soddisfatto della mia impresa e abbastanza fiducioso. Peccato che niente ti rovini il piacere del rientro a casa, quanto il pensiero di dover fare un’altra trasferta il giorno dopo. Eh sì, perché come sapete, l’indomani sarei dovuto ripartire per andare in toscana. E lì è cominciata la vera negatività.

Giovedì mattina il mio titolare si è congratulato per il mio successo, quindi mi ha fatto presente che se devo perdere 2 settimane a studiare ogni volta che lui mi assegna un compito così facile, le cose non vanno per niente bene. E una. Poi, per qualche inspiegabile motivo, tutti gli alberghi nel raggio di 15 km dalla mia destinazione erano occupati, e l’unico libero era il terribile Hotel Masaccio, talmente famoso per la sua bruttura che giovedì sera ero l’unico ospite. E due.

Visto che stranamente il ristorante dell’albergo è chiuso per fallimento, giovedì sera vado a mangiare nel ristorante convenzionato. Mentre finisco un piatto di carne alla griglia, il mio collega toscano mi telefona e mi dice che in quel posto devo mangiare solamente la pizza, altrimenti poi sto male. Detto, fatto, e all’una di notte mi sveglio con un cinghialetto sullo stomaco, modello “effervescente brioschi”. Alle 4 e mezzo di notte il fantasma del cinghialetto torna a perseguitarmi con gli incubi, ed alle 7 quando mi alzo ho la faccia di uno zombi. E tre.

La giornata in azienda si svolge abbastanza bene, ma dopo pranzo mi piglia un attacco di gastrite che mi sembrava di aver bevuto una bottiglia di varechina. Probabilmente una persona saggia, dopo aver passato una nottataccia col cinghialetto Brioschi sullo stomaco, avrebbe ordinato una pasta in bianco, soprattutto se ti portano a mangiare nella trattoria del distributore di benzina. Io ero affamato,  non ci ho pensato, così mi sono tenuto un bruciore di stomaco micidiale fino alle 10 di sera. E quattro.

Con lo stomaco in fiamme, sono sul treno per venezia, quando giustamente Trenitalia ritiene che per coronare la giornata non ci sia niente di meglio che un bel ritardo di un’ora. Che sarebbe anche stato sopportabile, se il protagonista del libro di fantascienza che stavo leggendo non avesse trovato di meglio da fare, che farsi trombare la compagna ripetutamente, seppure a malincuore, “per il bene del genere umano”. Io colleziono Urania, li ho quasi tutti dal numero 1 al numero 1500 (il primo è del ’52), e vi assicuro che l’avrei buttato fuori dal finestrino se a) ci fosse stato un finestrino e b) non fosse stato un numero del 1983 edizione speciale. E cinque.

Ciliegina sulla torta, all’uscita dalla stazione di Mestre, con il borsello, il trolley e la borsa dei documenti, che sembravo un ambulante sulla spiaggia, si mette a piovere. Io non ho l’ombrello, e la macchina l’ho parcheggiata ad 1 km dalla stazione. E sei.

Ora, il punto è che giovedì mattina parto per berlino e vado 4 giorni a trovare un amico, il biglietto l’ho già pagato, e pure l’albergo. Alle 9 di sera, incazzato, stanco, con l’acido di stomaco, ad un km dalla macchina e sotto la pioggia, l’ultima cosa che mi andava era di ripartire, anzi, mi sarei voluto chiudere in casa e non uscire per 2 settimane. 

Allora ho cominciato a pensare a tutte le cose che potevano andare storte a berlino, che tra l’altro lì continua pure a nevicare, poi a tutte le cose che potevano andare storte a casa, compreso trovarla allagata o svaligiata, e infine a tutte le cose che potevano andare storte nel tragitto dalla stazione alla macchina. Cavolo, per quanto ne sapevo magari me l’avevano rubata o avevo perso le chiavi.

A quel punto mi sono venute in mente la Lisa, La Mirty e la loro teoria sulla negatività che chiama altra negatività. Se c’era anche soltanto un briciolo di verità in quella teoria, ero praticamente fottuto. Ma di brutto, anche.  Quindi ho fatto l’unica cosa sensata che una persona razionale può fare in quel momento: non correre rischi inutili. Come la migliore delle Pollyanna, mi sono sforzato con tutto me stesso di trovare almeno un pensiero positivo. Qualunque cosa, o mi aspettava la catastrofe. Mi sono impegnato, ed alla fine ho pensato “beh, almeno piove poco”. Che non sarà un granchè, ma è pur sempre qualcosa. Magari sopravvivo.

Pollyanna del cazzo.