Creato da Mr.Nice.Guy il 07/07/2008

Mr Nice Guy

Trovati un bravo ragazzo!

Messaggi di Dicembre 2013

Il dilemma dei promessi sposi

Post n°263 pubblicato il 20 Dicembre 2013 da Mr.Nice.Guy
 
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Quando si parla di promessi sposi, inevitabilmente il pensiero corre verso quel mattone indigeribile scritto, riveduto e corretto dal Manzoni nazionale. Non quello della “merde d’artiste”, quello del Milleottocento. Eppure, in molti ignorano che i promessi sposi propriamente detti, sono quelli che si sono scambiati le promesse di matrimonio. Insomma, i fidanzati. E che pure loro, come Renzo e Lucia, hanno le loro belle gatte da pelare.

Per quanto riguarda l'italia e i cattolici in genere, matrimonio e fidanzamento come li conosciamo adesso derivano direttamente dal diritto romano. “Chiedere la mano di una donna” è un modo di dire che ha almeno 2500 anni, e l’anello di fidanzamento è ciò che rimane della procedura di con cui il marito acquistava la “manus” della sposa. Fatto l’acquisto, si restava in attesa del  matrimonio, che il rito cristiano ha preso pari pari dalla cerimonia pagana, solo col prete a posto dell’aruspice. Ma uguale, con tanto di fiori bianchi, testimoni, e attraversamento della porta di casa in braccio al marito. Del resto, il matrimonio cristiano l’hanno inventato a Roma, mica a Timbuctù.

In ogni caso, senza andarla a pescare tanto lontano, il concetto del matrimonio nell’era più o meno civile prevede un passaggio concettuale. In sostanza, si passa dall’unione di fatto a quella di diritto. Prima sfoderavi la clava, facevi piazza pulita degli avversari, e andavi a spupazzarti la tua bella in una comoda e confortevole caverna. E guai a chi rompeva le scatole. Col passare del tempo, la clava non si è dimostrata più sufficiente, e si è dovuti passare alle vie legali. Perchè la clava risolve tanti problemi, ma quando ci sono i soldi di mezzo, o anche semplicemente la stalla o le capre, bisogna passare dall’avvocato tanto oggi quanto allora.

Tuttavia, spesso ci si dimentica che al giorno d’oggi il passaggio da fidanzati a sposati non è per niente istantaneo. Se una volta, fatto l’acquisto della manus, poi si partiva direttamente coi preparativi per le cerimonie e tempo un mesetto si era ufficialmente sposati, adesso le tempistiche si sono allungate parecchio. Prima c’è la fase della frequentazione, poi quella della “storia seria”, poi ci si fidanza, e dopo un certo periodo da fidanzati, si comincia a pensare ai preparativi per le nozze. Tutti questi passaggi, generalmente si misurano in anni, non in mesi. E quella è la fregatura.

Non è che ti fidanzi e in quattro e quattr’otto sei sposato. No, devi passare almeno un paio d’anni da fidanzato ufficiale, e rischiare di farti le paranoie. In quel tempo, se poco poco cominciano a sorgere delle difficoltà, ti ritrovi a guardare la relazione da tutti i punti di vista possibili ed immaginabili. A rivoltarla come un calzino, cercando di trovarci i difetti, perchè è di matrimonio che si sta parlando. Roba grossa. Una cosa che dovresti fare una volta nella vita, non tre o quattro.

Nel momento in cui uno dei due formula la domanda “ma sarà veramente la persona giusta?” finisce l’idillio, e cominciano i problemi. Che prendono il nome di “dubbio” e di “paura”. Perchè solo gli idioti non hanno né dubbi né paure. E quello è il dilemma dei promessi sposi. Una metà della coppia pensa a bomboniere, invitati e tovaglioli coordinati con i fiori, e l’altra metà è tormentata dal dubbio e se la fa sotto dalla paura.

Purtroppo, quando una coppia arriva a questo punto, ci vogliono in alternativa una gran maturità, una grande incoscienza, o veramente un gran culo. Chi scrive, l’argomento lo conosce. Io, il dilemma dei promessi sposi, ce l’ho già avuto e sapete tutti come è andata a finire. Prima di rendermi conto che è tutto dubbio e paura, ci sono dovuto passare più volte. Tre, per la precisione.

E quando mi sono reso conto di questa cosa, non ho potuto fare a meno di pensare agli antichi romani, e come certe cose, a quei tempi, fossero più semplici. Andavi da uno, gli chiedevi la mano della figlia, e se la figlia era d’accordo, con un po’ d’oro e qualche capra in un mese eri sposato. Un sano spirito pratico, insomma, senza tante storie inutili. Che per carità, sarà stato meno romantico, più affrettato e tutto quello che volete. mica dico di no.

Però funzionava, cacchio.

 

 
 
 

Un'altra camera, un altro tavolo

Post n°262 pubblicato il 19 Dicembre 2013 da Mr.Nice.Guy
 
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Quando passi la vita in giro per l’italia, le cose tendono a cambiare di prospettiva. Smetti di pensare a dove dovresti essere, e cominci a concentrarti a dove sei in quel momento. Si modificano i punti di riferimento, e i luoghi cominciano ad assomigliarsi un po’ tutti. E quando torni a casa, soprattutto se di case ne hai cambiate parecchie, è come se fossi ancora in giro.

Certe volte mi sembra che gli unici punti fermi della mia vita, siano le camere d’albergo e i tavoli del ristorante. Con il lavoro che faccio, sempre in trasferta da qualche parte, se c’è una cosa che ho visto in abbondanza sono letti d’albergo, e menù di ristoranti. Così tanti, che ogni tanto ho come la sensazione che l’unica cosa che non cambia in quello che mi sta intorno, sia proprio il loro continuo scorrere davanti ai miei occhi.

Quando passi abbastanza tempo al ristorante, puoi vedere tutta l’umanità che ti passa davanti. Il tavolo di manager e il tavolo di impiegati, quello di dirigenti e quello di operai. Puoi vedere la coppia di innamorati e la coppia in crisi, la famigliola felice e le mamme da sole coi bambini piccoli, la doppia coppia con l’amica al rimorchio, e le persone da sole, attaccate a cellulari sempre più grandi. Quelle che sono lì fisicamente, ma con la testa sono da un’altra parte.

Vedi gente che lavora, gente che si diverte, gente che vorrebbe essere altrove, e gente che non vorrebbe essere da nessun’altra parte. Tutti sono concentrati sulla loro piccola fettina di mondo, appoggiata sul tavolo e racchiusa dalle sedie, solo vagamente consapevoli del mondo che li circonda. Seduto al tavolo del ristorante ho visto passare tante vite e tante storie, tutte diverse. Eppure spesso mi sembra che l’unica cosa costante della mia vita sia proprio questo flusso di luoghi e di persone, che si susseguono fino a diventare uno sfondo sfuocato, e così, sempre uguale.

Ogni tanto mi rendo conto che tutto questo mio girovagare è possibile esclusivamente perchè non ho una famiglia a casa che mi aspetta. Essere in giro per l’italia di martedì, di sabato o di domenica vuol dire che qualsiasi impegno sociale o familiare viene sacrificato in funzione del lavoro, e quindi è una benedizione che non ci sia nessuno a sentire la mia mancanza. Però, qualche volta mi chiedo se non vedrei le cose diversamente, sapendo che il mio posto è altrove, e non in una camera d’albergo o al tavolo di un ristorante.

Mentre me ne sto seduto da solo, a guardare le vite degli altri che passano sullo sfondo, mi domando come sarebbe diversa la mia vita se invece di guardare oltre il mio tavolo, fossi anch’io concentrato sulla mia fettina di mondo. Lì fisicamente, ma con la testa da un’altra parte. Magari sprofondato in un cellulare enorme, collegato a facebook, a scrivere qualcosa a chi mi aspetta a casa, rassicurando tutti che sì, sto bene, e che sarò presto di ritorno.

Altre volte penso invece che se non hai niente, non ti manca niente, e che quindi l’unico modo per continuare questa vita, sia viverla in questo modo. Senza nessuno che ti aspetta o da cui ritornare, e con una casa che certe volte sembra solo una gran camera d’albergo. Più grande, più comoda, più confortevole. Con un divano spazioso, un bagno tutto tuo, una cucina per prepararti le cose che ti piacciono, e un tavolo per mangiare in tranquillità. Anche se da solo. Magari, se non hai dove andare, non corri il rischio di perderti.

O forse non importa dove sei, dove stai andando, o quando tornerai a casa. Forse l’importante è chi c’è al tuo fianco. Magari, per sentirsi a casa, basta che ci sia un punto fermo da qualche parte, qualcosa a cui aggrapparsi quando intorno ti scorre un flusso continuo di luoghi e di persone, che rischia di trascinarti via da un momento all’altro. Chi lo sa.

Forse è vero che uno, la casa, se la porta dentro.

 

 
 
 

La sindrome aviopenica

Post n°261 pubblicato il 18 Dicembre 2013 da Mr.Nice.Guy
 
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È opinione comune che le donne libere da relazioni sentimentali da più di un anno, cadano vittime di una patologia comportamentale dai tratti ben definiti. I sintomi comuni sono irritabilità, malumore, shopping compulsivo, astinenza da cioccolato, e un generale risentimento verso il genere maschile. Tale comportamento viene comunemente definito come “condizione fallopriva”, o per gli amanti dei termini medici, “sindrome aviopenica”.

Le definizioni gergali per questa sindrome si sprecano decisamente. Si passa da quelle metriche, dicendo che una donna è a corto di centimetri, a quelle alimentari, cristallizzate da una massima immortale che recita “le donne sono come il burro, se non le sbatti bene, diventano acide”. Tutte queste definizioni hanno in comune il riferimento ad una carenza di attenzioni maschili, individuata specificamente nell’assenza di regolari rapporti sessuali. O anche occasionali, se è per quello. Rapporti sessuali in genere, insomma.

La causa della patologia sembra risiedere nell’assenza di una stimolazione fornita delle parti anatomiche corrispondenti ed opportunamente predisposte, in dotazione esclusiva al genere maschile. Questa mancanza di stimolazione causa tutta una serie di difficoltà ormonali e neurologiche, fra le quali si annoverano disturbi dell’umore, difficoltà ad addormentarsi, aumento dei livelli di stress, nonché una variazione delle funzioni vitali altresì nota come “inacidimento”.

Nello specifico, viene a mancare l’azione combinata di due stimoli generati dai rapporti sessuali, che privano la donna dei loro benefici effetti. Il primo è che l’azione ritmica a livello pelvico permette di rilassare contratture e irrigidimenti alla schiena causati dallo stress. Senza contare che i movimenti della testa effettuati durante pratiche orali, sono chiaramente un toccasana per la cervicale. Il secondo, è il senso di rilassamento conseguente ad un’efficiente e prolungata stimolazione delle parti interessate.

In assenza di questi benefici, una donna afflitta da dolori alla schiena e incapace di rilassarsi, sviluppa un inacidimento precoce. Per contrastarne i sintomi, molte donne provano a sopperire all’assenza di materia prima maschile tramite l’attività fisica in palestra, incrementando inoltre la vita sociale in compagnia delle amiche. Probabilmente, nella convinzione che la stanchezza fisica e l’interazione con esponenti dello stesso genere, possano sostituire altre carenze misurabili in termini di quantità e frequenza. Purtroppo, senza risultati. Così, in poco tempo si cade vittime della sindrome aviopenica.

I sintomi di questa patologia sono evidenti a tutti. Tanto per fare un esempio, l’altro giorno gironzolavo in rete, e mi sono imbattuto nelle pagine di qualche femminista militante. Lì ho trovato affermazioni tipo “l’uomo è un male necessario” oppure “gli uomini sono degli irrisolti cronici, succubi delle madri”, ma la frase che mi ha colpito di più, parlava proprio della libertà. Diceva che una donna che torna finalmente libera, non può più rinunciare a se stessa, soltanto per cadere nuovamente vittima del peso di una relazione.

E questo è il grosso problema della sindrome aviopenica. Si tratta di una condizione generata dalla carenza delle opportune attenzioni maschili, che ha come conseguenza diretta quella di rendere assolutamente fallo-repellenti tutte le sfortunate che ne sono afflitte. In pratica, è una patologia che allontana tutti i possibili strumenti di cura, compromettendo seriamente le possibilità di guarigione.

Del resto, chi la vuole una stronza inacidita?

 
 
 

Le studentesse escort

Post n°260 pubblicato il 17 Dicembre 2013 da Mr.Nice.Guy
 
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Quando si parla di prostituzione, si può fare una specie di graduatoria, dal livello più basso a quello più alto. Insomma, la prostituzione non è tutta uguale, si parte dalle “sex workers” che esercitano a bordo strada, e si risale la graduatoria fino ad arrivare alle escort di lusso. Ma c’è una categoria che viene sempre esclusa da questi ragionamenti: le studentesse.

Senza entrare nel merito della legalità di tutta la faccenda, e tralasciando gli aspetti morali della questione, si può dire che la prostituzione è soggetta alle dinamiche di mercato esattamente come qualsiasi altra attività commerciale. A farci caso, le operatrici del sesso sono un po’ come i ristoranti, ce n’è per tutti i gusti e per tutte le tasche. Ognuno con una propria specialità, caratterizzato da un certo tipo di servizio e all’interno di una determinata fascia di prezzo.

Del resto, si tratta pur sempre di soddisfare degli appetiti, e come la ristorazione, anche i servizi di sesso a pagamento devono soddisfare le esigenze di una clientela molto eterogenea. Come c’è il  baracchino che vende i panini bisunti con la salsiccia alle 2 di notte, ci sono i ristoranti di lusso con le stelle Michelin, che a pagare il conto ci si lascia mezzo stipendio. In alcuni posti si va per mangiare di corsa e a poco prezzo, in altri per passare la serata nel lusso, serviti e riveriti, col cameriere che riempie il bicchiere in piedi dietro la sedia.

E come per la ristorazione, ci sono anche le signorine che esercitano in modo saltuario, non ufficiale. Un po’ come lo chef a domicilio. C’è il catering,  e quello è professionale, e c’è lo chef a domicilio, una persona che nella vita fa altro, ma che di tanto in tanto, a chiamata, va a casa di qualcuno a preparare una cena. E se le “call girl” e le squillo sono come il catering, lo chef a domicilio è come le studentesse universitarie. Ragazze che nella vita studiano, ma che per arrotondare e concedersi qualche lusso, non esitano a darla via a pagamento.

Chiaramente, ristorante diverso, offerta diversa. Se la escort di lusso offre conversazione brillante, look mozzafiato e sesso da pornostar, la studentessa fornisce una compagnia meno professionale, ma che ha numerosi estimatori. Chi si rivolge alle escort universitarie ricerca la cosiddetta “girlfriend experience”, ossia quello che si può tradurre come “effetto fidanzata”. E per la serie che al Mister le donne raccontano di tutto, questa cosa me l’hanno riferita le dirette interessate.

Tanto per menzionarne una, l’altra sera stavo riaccompagnando a casa una collega molto giovane, e si stava chiacchierando allegramente. Non so come siamo finiti in argomento, ma ad un certo punto quella mi racconta che non più tardi dell’anno prima, di fronte all’offerta di uno spasimante molto insistente, si è concessa in cambio di qualche regalo e di una piccola somma di denaro.

Lo spasimante le aveva offerto una cifra considerevole per le sue grazie, ma lei aveva accettato per molto meno. Essendo la sua prima volta a pagamento, non si sentiva sicura del servizio che avrebbe offerto, e quindi non voleva nemmeno approfittare.  Le volte successive, si è accontentata di qualche regalo, come una bella borsa, qualche giocattolo tecnologico e alcuni  piccoli sfizi. Tutte cose che fanno contente le ragazze giovani che vanno all’università. Insomma, anche onesta, a modo suo.

Quando uno sente queste storie, si immagina retroscena di povertà o situazioni di bisogno. Invece, questa mia collega è una ragazza normalissima, magari non una cima, ma di ottima famiglia, intelligente e di buon gusto. Mai avuto un problema finanziario, nessun dramma familiare o passato traumatico, nessuna storia di abusi e violenze. Soltanto una ragazza che di fronte ad uno spasimante insistente, che si è offerto di pagare per i suoi servizi, ha accettato valutando costi e benefici.

Per quanto mi riguarda,  non ho nulla contro la prostituzione, è il mestiere più antico del mondo, in altri paesi europei è legale e le signorine pagano le tasse e beneficiano dei servizi di previdenza sociale. Esattamente come qualsiasi altro lavoratore. Senza contare che molte donne la danno via gratis con molto più impegno e dedizione di qualsiasi professionista, e al massimo devi offrirgli la cena. Eppure, nel sentire questa ragazza di poco più di vent’anni, che adesso è fidanzata e sogna di farsi una famiglia, mi sono scoperto a riflettere sulla questione.

Dopo aver tanto rimuginato, una domanda mi è rimasta in mente, senza risposta. Chi  è da considerasi più zoccola, una che lo fa per lavoro, una che lo fa per passione, o una che lo fa per togliersi qualche sfizio? Voglio dire, a pagamento oppure no, sempre di zoccole stiamo parlando. Purtroppo, non sono riuscito ad arrivare a una conclusione. Ma mentre riflettevo, non riuscivo a togliermi dalla testa un vecchio detto popolare:

“una lavata, un’asciugata, e non sembra neanche adoperata.”

 

 
 
 

Il provolone (reprise)

Post n°259 pubblicato il 16 Dicembre 2013 da Mr.Nice.Guy
 
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Ormai mi sono rassegnato al fatto di inviare inconsciamente segnali ambigui. I gay mi abbordano regolarmente, gli etero pensano che voglio rimorchiarli, e molte donne mi considerano il classico provolone. L’altro giorno un paio di ragazze, compagne di corso, me l’hanno proprio detto in faccia. E la cosa, non mi stupisce nemmeno più.

Sul fatto che ci sia qualcosa nel mio aspetto e nel mio modo di fare che può confondere chi mi sta intorno, ormai è un dato appurato. Per quanto riguarda l’essere abbordato dai gay, non so quante volte mi è toccato spiegare che no, con mio grande rammarico, preferisco le tette. Poi ogni volta che chiedo ad un etero di uscire insieme, quello pensa che io sia gay. Infine, tutte le donne con cui faccio conoscenza, si convincono che ci sto provando anche con loro.

Insomma, a quanto pare do decisamente l’impressione di una persona sessualmente disponibile con tutti, e questo è un problema. Le mie intenzioni sono altre, ma quando una persona si fa un’idea, non c’è verso di fargliela cambiare. Tanto per dirne una, ho il sospetto che i miei amici gay ancora non siano convinti che sì, sono proprio etero. Sono sicuro che in molti mi guardano con aria di compatimento, quella che si riserva alla checca repressa che ancora non ha accettato la sua vera natura.

Per quanto riguarda gli uomini etero, anche lì è una rogna. Voglio dire, trovi un tizio simpatico, con cui puoi fare due chiacchiere senza parlare di gnocca o di pallone, e allora ti viene voglia di uscirci a bere una birra in compagnia. Ma se quello pensa che sei gay e che ci stai provando, la birra la puoi vedere col binocolo. Ho visto più sguardi imbarazzati dai miei inviti, di quanti potessi immaginare in tutta una vita. E una volta che si convincono che sei gay, puoi farti vedere in compagnia di tutte le donne che ti pare, tanto con te, da soli, non ci escono. Figurati poi invitarli a casa per vedere un film o giocare a Guitar Hero.

Infine, c’è il problema delle donne. Certo, ogni tanto corteggio scherzosamente qualcuna, ma lo faccio consapevolmente. Il problema, è che a quanto pare si sentono corteggiate anche quando non faccio nulla. Dico sempre che ho più amiche che amici, perchè le donne accettano sempre gli inviti. Il problema, è che pensano che ci sto provando, ed è per quello che accettano! E la cosa drammatica, è che tu magari volevi semplicemente andare a prendere l’aperitivo e far due chiacchiere, mentre loro hanno altre aspettative. Così ti trovi una che si è messa tutta in ghingheri, e dopo l’aperitivo si aspetta cena e dopocena. Vaglielo poi a spiegare, quando ti si appiccica addosso stile nastro da pacchi, che ha capito male…

Ma come dicevo all’inizio, questa cosa non mi stupisce nemmeno più. Mi coglie di sorpresa ogni volta che succede, ma non mi stupisce. Così, quando l’altro giorno quelle due compagne di corso mi hanno dato del provolone, ho chiesto spiegazioni. Insomma, era un’occasione da non perdere, avevano tirato fuori l’argomento, ed era un’opportunità perfetta per capire il perchè di questo strano fenomeno. Magari non mi avrebbero spiegato lo strano comportamento degli uomini gay o etero, ma sicuramente per la faccenda donne, qualcosa l’avrei capita.

A quanto pare, i motivi sono due. Il primo è che rido, scherzo, sorrido sempre e sono esuberante. E qui, mi si è accesa subito la lucina di “gaio”, che spiegherebbe la questione gay. Il secondo, è che ho l’abitudine di toccare la gente, abbracciare, dare pacche o buffetti, e in generale amo il contatto fisico con le persone con cui sto parlando. E questo, potrebbe fornire un indizio sul perchè gli uomini pensano che ci sto provando con loro. Il che, ci riporta alla questione donne, e alla relativa aria da provolone.

In pratica, quando sei una persona allegra, espansiva e dici un sacco di vaccate senza ritegno, quelle pensano che stai facendo “il simpatico”, e quindi vuol dire che ci stai provando. Se poi hai l’abitudine di toccare il tuo interlocutore mentre ci parli, il sospetto diventa certezza. Così, ti bollano automaticamente come provolone. Ma la cosa, a quanto pare non le infastidisce più di tanto, soprattutto se sei un bel giovanotto. La dimostrazione pratica l’ho avuta un paio d’ore dopo: una delle due, mi ha chiesto il numero di telefono.

Ah, le donne…

 

 
 
 

CHI È IL MISTER

Mr Nice Guy: espressione inglese per indicare il "classico bravo ragazzo".

Il mio punto di vista è quello di una persona assolutamente normale. Sono il classico bravo ragazzo. Se ci fosse una definizione di bravo ragazzo medio, nel dizionario, beh, ci sarebbe la mia foto di fianco. Ma nella mia esperienza, essere un bravo ragazzo non ha vantaggi di sorta. Solo sfighe.
E questo è il mio punto di partenza.

 

 

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Inviato da venus.veronensis il 30/10/08 @ 12:39 via WEB
Scendi tra noi umani qualche volta.

Inviato da marematite il 21/10/08 @ 10:45 via WEB
ma vaffanculo...

Inviato da  mr.controcorrente il 18/09/08 @ 13:15 via WEB
... e, aggiungo, da perfetto cattolico quale sei, dovresti sapere che uno dei 7 peccati capitali è la SUPERBIA.

Inviato da vargoli il 01/09/08 @ 16:31 via WEB
Beh, sai, forse hai trovato solo stronze egoiste perché, come si dice, "similes cum similibus congregantur".
 
 

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