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Messaggi del 19/03/2023

Se Cesare si perde nella pioggia.

Post n°2496 pubblicato il 19 Marzo 2023 da fedechiara
 

Chi vivrà vedrà (trullalà). 19 marzo 2022
Cesare Pavese, l'uomo 'perduto nella pioggia / che aspettava da sei ore / il suo amore ballerina' incappò in un incidente di percorso nel suo bello scrivere i racconti fulminanti e che inducono alla riflessione sul senso del 'restare umani'.
Gli capitò di scrivere dei morti di guerra partigiana e di infilare una inusuale frase di pietà per i morti fascisti in divisa senza soffermarsi a distinguere puntigliosamente e a pronunciare la reprimenda di rito di quegli anni di fiera post Resistenza sullo scranno fatale del vincitore e incessanti note di Bella Ciao.
Non lo avesse mai scritto. Apriti cielo! Cesare come hai potuto! L'intellighentsia comunista, allora dominante in casa Einaudi e nelle redazioni dei maggiori giornali, gli strinse un cordone attorno al collo e lo isolò politicamente e civilmente. Il morto fascista è un morto maledetto e da seppellire in terra sconsacrata o da lasciare insepolto e preda di avvoltoi. Antigone non abita più qui.
E' quanto accade in questi nostri giorni di guerra dichiarata contro la maledetta Russia. Guerra dichiarata ma non combattuta, bensì affidate le armi - che produciamo in gran copia e porteremo la spesa per la Difesa al 2 per cento del pil - ai prodi resistenti ucraini.
Nella speranza che la guerra la vincano fino all'ultimo uomo ferito e faticosamente in piedi e le città in macerie perché 'ne va della Nato' e della cintura d'assedio che abbiamo stretto, stolidamente e compulsivamente, attorno al 'nemico' russo.
Osanna all'Ucraina che resiste ed è nazione sorella e luminosa democrazia occidentale invasa dal maledetto russo, olè!
E nei tiggi si dà lacrimosa conta dei morti ucraini, con l'ovvio, speciale riguardo ai 'civili' - e la conta dei soldati morti russi, invece, la si dà con il tono ultimativo e sprezzante e malcelato del 'ben gli sta' e 'morte all'invasore'. E, naturalmente, si gonfia in cronaca il numero dei nemici uccisi e dei carri bruciati e gli aerei abbattuti perché il 'nemico' va retoricamente sconfitto, battuto, vinto - sempre e ad onta di ogni evidenza contraria e stima prudenziale.
Ed è tragedia comune, invece, quella della somma dei morti di qua e di là del fronte di guerra. Tragedia di lingue di Babele parlate a vanvera e incomprensibilmente nel Donbass e Lugansk per anni ed anni ed altri morti a migliaia negletti e maledetti.
Morti di nessuno e di nessuna intesa possibile. A la guerre comme à la guerre. Avanti Savoia.
Le presenti logiche di guerra e di retorica bellica in cui siamo entrati in quanto 'paesi Nato' non offrono, oggi, spazio di rinsavimenti e di inviti alla moderazione e alle trattative di pace.
Oggi è il tempo delle resistenze ad oltranza e delle mistificazioni anche palesi e di 'taci, il nemico ti ascolta' - e ci vuole il tempo che ci vuole e la giusta somma dei morti necessaria perché 'scoppi la pace' improvvisamente, domani, chissà.
E, quando l'emozione bellica declinerà, forse, chissà, è perché è scoppiata, da qualche parte, una bomboletta termo nucleare di assaggio e test di resistenza del fronte nemico e un paio di portaerei nel Mediterraneo sono colate a picco, grazie al nuovo missile russo che non si fa a tempo ad intercettare.
E, intanto, le buone economie occidentali collassano, le bollette dell'energia domestica stratosferizzano e polverizzano i risparmi delle famiglie, i termostati si chiudono (viva la primavera), i profughi di guerra sciamano e intaseranno gli ospedali del prossimo autunno perché non vaccinati, ma niente. Proposte di pace a zero.
La Nato non recede dalla sua cintura d'assedio al 'nemico' russo e l'opzione nucleare è sul tavolo.
E l'umanità, Bellezza. Il mitico 'stay human' dei sinistri oggi resistenti ad oltranza a Kiev e dintorni (ma andate avanti voi...) e sia morte ed onta sempiterna al 'nemico' russo, olè!
Per le trattative di pace si vedrà, sono una opzione, ma ci prendiamo tutto il tempo necessario. A guerra termonucleare conclusa si faranno i conti e stipuleremo i trattati.
Chi vivrà vedrà, trullalà.
Nessuna descrizione della foto disponibile.

 
 
 

Tatiana e la sinfonia in 't'.

Post n°2495 pubblicato il 19 Marzo 2023 da fedechiara
 

Creativi buontemponi - 19 marzo 2014

Non so chi sia il 'creativo' a cui è stata commissionata la 'pubblicità progresso' che afferma l'importanza di votare alle europee, ma se lo conoscessi gli chiederei perché mai ha scelto il dialetto veneto di quella madre che ricorda al figlio che 'xe importante le elessioni europee, perché ti pol votar 'e petissioni' - e presentare la propria candidatura, ca va sans dire. Come se si trattasse della ricerca di un impiego e di una facile opportunità da cogliere 'in Europa', - la nostra super madre che ci obbliga a 'fare i compiti in casa' ed essere più ordinati nei conti e negli sforamenti deficit/pil e più efficienti nella spending review.
E invece, per candidarti, devi fare la gavetta in un partito indigeno rampante e aggressivo e che abbia una buona possibilità di 'superare il quorum' europeo - e devi competere con giovanotti e signorine aggressivi/e e preparati/e che aspettano da anni il loro turno e il loro momento di gloria, - se ne faccia una ragione quella madre e il suo figlio veneto che la pubblicità progresso presenta come due contadini un filo beoti e finalmente risvegliati da un sonno di secolari sudditanze e sogni malati di secessioni e 'indipendenze' lombardo-venete.
Il dialetto veneto si porta dietro, da sempre, la maledizione delle sue sonorità strascicate e mollicce che ne hanno fatto un logo della bonomia beota del gondoliere che esclama: 'I me gà sugà el canal!' o quell'altro slogan da latte alle ginocchia: 'Mi 'a so veneto e ti?' - che, appena pronunciato da un venetista-indipendentista verace, ti viene la voglia di rinnegare i tuoi natali e le forzate appartenenze storiche tre volte al dì prima che il gallo canti.
Non che il genovese sia meno ridevole e bonariamente beota, per carità, o il torinese, nell'uso che ne fanno i suoi comici, ma vi ravviso echi e rimbalzi di ironia e staffilate satiriche che al veneto mancano - fatti salvi certuni cantautori recenti che hanno firmato canzoni di vigorosa protesta politica e civile, mi dicono e ne prendo atto. Però la predilezione basica del 'Marieta monta in gondoea' è sempre in agguato e torna nel reggae accattivante di quel gruppo che lamenta: '(…) ti ta morti Tatiana, ti ta tatua ea teta.' Una sorta di vigorosa 'sinfonia in 't', avrebbe chiosato il mio professore di esegesi poetica delle medie.
Io, però, appartengo alla scuola e corrente di pensiero di quei valorosi che vollero fosse 'fatta l'Italia' e, una volta fatta, lamentavano che fosse più difficile 'fare gli italiani' dipoi. La maledizione delle piccole patrie e del dialetto che si succhia col latte materno che nessuna proclamazione nazionalistica e nessuna Grande guerra e i confini sulle Alpi strappati agli Imperi riesce ad estirpare, figurarsi le recenti e indigeste superfetazioni europee.
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