Creato da Praj il 30/11/2005
Riflessioni, meditazioni... la via dell'accettazione come percorso interiore alla scoperta dell'Essenza - ovvero l'originale spiritualità non duale di Claudio Prajnaram

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Messaggi di Febbraio 2009

RIDIVENTARE CREATIVI

Post n°589 pubblicato il 28 Febbraio 2009 da Praj
 

Quando si è bambini si gioca disinteressatamente, si passa parecchio tempo a inventare situazioni, siamo traboccanti di vitalità. Se però nostra crescita è stata ostacolata in maniera pesante saremo più avanti probabilmente adulti nevrotici, gente spenta, privata delle radici. Molto spesso il bambino che abbiamo dentro perde strada facendo il suo talento originario. Occorrerà perciò rieducarlo gradualmente per ricondurlo al recupero dello spirito creativo.
Un individuo che è troppo condizionato dal passato non può essere creativo o, se lo è, lo è in modo nevrotico. Ogni uomo è predisposto a essere creativo, non lo sono solo i musicisti, pittori, poeti...
La creatività viene alimentata da quell'energia sessuale poi alimenta anche altre e innumerevoli attività umane, comprese le opere artistiche. Per cui c'è una relazione tra i blocchi emotivi che ci portiamo appresso, il modo in cui respiriamo, la naturale accettazione della sessualità e la propensione ad essere creativi. Non basta essere attivi, fare cose disparate per essere creativi.
A volte lo siamo quando la nostra ispirazione si concretizza facendoci dipingere, comporre, scrivere...
Altre volte lo siamo mentre quando balliamo, esprimendo creatività nel momento, anche se poi non resta nulla della nostra danza. La creatività dunque non si realizza solo nella produrre di un’opera che si concretizza... ma quando siamo ispirati in una attività, in un fare espressivo.
Comunque può succedere che pur facendo delle opere costruttive si sia necessariamente creativi.
Alcune attività professionali e di servizio se svolte soltanto meccanicamente e finalizzate al mero guadagno, non lasciano molto spazio alla creatività nonostante comportino impegno e lavoro.
Diversamente succede quando si prende in cura e amore un giardino, quando si coltiva con pazienza e attenzione un orto.
E' grande la soddisfazione che si ricava da questi atti creativi quando si osserva sbocciare i fiori, crescere gli ortaggi: c'è
la sensazione di partecipare al rinnovarsi e trasformarsi dell’esistenza.
Lo stesso artigiano è creativo quando fa nascere dalle sue mani oggetti decorati, opere ben eseguite.
Questo al contrario di molti lavori e attività che sono caratterizzati dalla routine, dalla monotona ripetitività che, seppur di impegno o responsabilità, non vengono però sentiti come espressioni gioiose e costruttive. In pratica, non creative.
Non riescono ad accendere il nostro entusiasmo creativo; non ci fanno sentire di essere protagonisti di una realtà in continuo cambiamento.

La creatività, inoltre, si esprime anche
quando aiutiamo un altro a diventare se stesso. Creare, per esempio, non consiste soltanto nel generare un figlio, ma significa educarlo.
L’attitudine amorevole di una madre può essere creativa quando di un bambino farà un sano adolescente, quindi un futuro uomo. Qualcuno ha detto che l’essere umano oggi soffre e vive nel malessere perché non sa più danzare con la sua vita. Sono d'accordo: bisognerebbe imparare a farlo per rendere questo mondo più bello e accogliente. Essere creativi dunque è una forma d'amore per la vita, di compartecipazione positiva alla sua manifestazione.

 
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SE NON SUCCEDE IN ME E' IMPROBABILE CHE ACCADA ALTROVE

Post n°588 pubblicato il 26 Febbraio 2009 da Praj
 

Non posso essere amorevole e pacifico se non mi amo e non ho pace dentro di me.
Non posso raggiungere l'essenza profonda se fuggo da me stesso. Se lo faccio, mi distraggo e mi perdo per restare alla periferia del mio essere e dell’esistenza.
Un modo molto efficace che ho imparato per non fuggire, per avere il coraggio di affrontare la mancanza d'amore, l'inquietudine, il dolore... è lo stare faccia a faccia con me stesso che accade nella meditazione. Questo imparare ad entrare in uno stato meditativo mi serve poi ad affrontare la vita quotidiana senza paure né fughe. E un modo molto valido per liberarmi gradualmente dalle emozioni negative che mi accompagnano, quando non sono centrato nel nucleo interiore della mia natura.
La meditazione non consiste dunque solo l'esplorare la vacuità metafisica e il silenzio del non-manifesto. Significa piuttosto scoprire il non dualismo, l’assenza di conflitto nella percezione diretta delle dinamiche esistenziali. E' così che posso diventare un essere umano integro e posso crescere, espandermi, realizzarmi. In questo stato di fluidità e onestà posso sentire la forza vitale emergere in me nella sua pienezza. Sento sradicarsi gli antichi timori inconsci, i vecchi fantasmi dell’infanzia.
La spiritualità, per non essere una menzogna, una fantasticheria inutile, non deve comportare solo negazioni,  quale il voler reprimere l’ego, mortificare il corpo rinunciando al piacere, sublimare le emozioni.
Invece la forza dell'esistenza in me, in ognuno, si fortifica, esalta,  solo se la scopro alla sua
fonte.
Se trovo la via, se ho il coraggio di vivere, se imparo ad aprirmi, osserverò con stupore quanto i condizionamenti negativi che dominano la mia vita cominceranno a lasciarmi.
Essere aperto vuol dire anche aprirmi alla dimensione ricettiva, femminile. Non c’è espansione del cuore senza apertura. E aprirmi significa rendermi vulnerabile senza falsità, senza ipocrisie. Non posso sbarrare tutte le porte, interne e esterne, e nello stesso tempo aprirmi alla grazia Divina. E siccome la grazia Divina può raggiungermi anche attraverso le prove più crudeli, terribili, devo essere aperto, perché è sempre Dio che bussa alla porta del cuore, della coscienza. 
Sviluppare il principio dell’accoglimento, consiste nel non proteggermi, significa includere ogni esperienza, anche quando arriva in maniera insolita, imprevedibile. La condizione meditativa, lo stato di consapevolezza senza scelta, rappresenta dunque l’apertura alla forza vitale nella sua forma conflittuale che va dalle gioie più grandi alle più forti delusioni.
Vuol dire rivivere adesso le sofferenze che mi hanno bloccato, ferito... e dire sì anche a loro.
E’ scoprire semplicemente che ho vissuto, che sto vivendo, animato da quella energia infinita che non è la mia vita, ma la Vita, la manifestazione Divina.
Supero perciò la mia particolare esistenza, nella quale mi sento limitato, mi sento asfissiare, quali che siano i miei successi e programmi e scopro che sono l’espressione o una forma della energia cosmica. Quell'energia che anima ogni cosa dell'Universo. La Pace e l'Amore allora trovano umanamente dimora dentro di me, accompagnandosi ad un senso di gratitudine.

 
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LA SOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL'ESSERE QUI E ADESSO

Post n°587 pubblicato il 24 Febbraio 2009 da Praj
 

Ciò che conta essenzialmente è ciò che è qui e adesso. Non c’è null'altro che questo. Non c’è niente da comprendere. E’ questo che si riflette come leggerezza, che sembra nascere quando gli eventi sono in accordo alle mie idee e che sembra scomparire quando le situazioni non corrispondono al mio modo di vedere, a ciò è giusto per me.
E' bene che arrivi il momento in cui smetto di considerami onnipotente e onnisciente e di volere risolvere i problemi mondani o i miei, perché sono i medesimi, allorché capisco che in entrambi i casi si tratta di oziose fantasticherie. La smetto con l'assurda pretesa di controllo di ciò che è incontrollabile.
Concretamente invece, posso regalarmi dei momenti durante il giorno, come quando sono fermo ad un incrocio con l'auto, per qualche istante in cui esco dal tempo psicologico, dove lascio andare la credenza di essere una persona, di avere famiglia, un impiego, una ideologia e mi offro a quello che c’è.
Può essere il sentire un mal di schiena, un rumore assordante, un odore gradevole, quello che c’è nel momento, senza volerci ricavare niente. Ciò è l’essenziale, la bellezza senza definizione, il puro godimento senza scopo. Questa accoglienza si infonderà piano piano nella mia vita, fino al giorno in cui vorrò quello che c’è, perché ciò che c’è, è quello che deve esserci. Sarò arreso al ciò che è, finalmente.
La manifestazione di questa leggerezza può essere terrificante se necessario.
Ma è leggerezza, verità.
Quando il leone sbrana la gazzella, quando la grandine rovina il giardino, quanto il treno è in ritardo... è la stessa leggerezza, se ci si pone senza un'idea precostituita, senza aspettative.
Ma se ho una idea, un pregiudizio, una aspettativa allora, scegliendo, per esempio di stare dalla parte del leone o della gazzella, la faccenda diventa drammatica o meravigliosa.
Questo senso di leggerezza accade invece solo se non ho un’idealità che riguarda il modo in cui deve essere il mondo, se non ho la vanità di voler migliorare la creazione, lo svolgersi del reale. Non è indifferenza, ma sottomissione alle leggi universali che trascendono il mio relativo punto di vista, il mio circoscritto bisogno.
Questo però non impedisce al mio organismo di muoversi, di contemplare... è nella natura della vita esercitare il movimento, l'osservazione. Però non esiste che io sappia meglio di Dio ciò che deve essere. Non c’è meglio o peggio, tranne se vivo in modo idealistico, fantasticando. Altrimenti, anni dopo, penserò, filosofeggiando, ancora sul perché della povera gazzella sbranata dal leone, sulla ingiustizia di uno tsunami... e su una miriade di cose che mi sembrano ingiuste.
Se sarò capace di lasciarmi andare alla libera espressione delle imperscrutabili leggi e forme della manifestazione, non avrò più pretese e non sarò più affaticato da queste.
Abbandonando ogni pretesa sulle cose, sulle situazioni, sugli altri, sulla leggi di natura... scoprirò la leggerezza dell'essere... qui e adesso.

 
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NE' OTTIMISTI NE' PESSIMISTI

Post n°586 pubblicato il 23 Febbraio 2009 da Praj
 

C'è chi pensa sia meglio vivere da ottimisti, pur rischiando di avere torto  
e chi pensa sia meglio vivere da pessimisti credendo di avere ragione.

Per me invece è meglio vivere né da ottimisti né da pessimisti, ma semplicemente vivere sinceri con se stessi, in equilibrio e consapevoli, ispirati dal momento sempre  nuovo. 

 
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NEMMENO L'ACCETTAZIONE M'APPARTIENE

Post n°585 pubblicato il 20 Febbraio 2009 da Praj
 

L’immaginare che un giorno troverò conforto, sperare che qualcuno o qualcosa mi sorreggerà, che un evento o una filosofia mi renderà felice per sempre, sono le basi del conflitto, del disagio, del malessere…
Questi scompensi, disequilibri vengono proprio dall’incomprensione del fatto che non posso essere diverso da ciò che sono e che non ho margini reali per l’auto determinazione.
Non essere ciò che sono è impossibile, perché qualunque cosa o situazione che promana dal Tutto si manifesta come una necessità assoluta, come una forza, un’esigenza ineluttabile.
Non ho dunque alcuna scelta, devo attuare la convergenza d'indirizzi e spinte che s'individuano in me.
Questo vale per me come per ognuno, evidentemente.
Il mio destino è questa danza che si mette in azione e che mi sincronizza con la manifestazione diversa che mi sta intorno, la quale va esprimendosi nell'infinità dei fenomeni, momento dopo momento, ovunque.
Partendo dunque da questa primaria sensazione esistenziale nasce il disagio, il quale scaturisce appunto dalla contrapposizione generata dal credermi un qualcuno in grado di fare quello che liberamente vuole e la danza oceanica dell’energia Cosmica che  invece mi “costringe” altrimenti, a passi "obbligati".
Questa mia voglia di danzante indipendenza sorge dal desiderare, funzione intrinseca dell'ego. 
Seppure non c’è alcun desiderio manifesto, in realtà il desiderio è sempre presente.
E’ l’effetto del percepirmi separato, potenzialmente libero. 
 
Sebbene possa  trovare questo determinismo inaccettabile perché sembra neghi la mia irrinunciabile identità e possibilità di scelta, per il Tutto ciò è irrilevante. Questo perché è solo nel Tutto che si trova il compimento della completa espressione dell’assoluta Libertà.
La presunta parte dipende necessariamente dal Tutto: quindi non ha mai potere reale in sé.
Allora non c’è niente da accettare.
Perché anche come ego sono, nei fatti, semplicemente forma del Tutto-Uno.
Quando tuttavia io sono il Ciò che è, dis-identificato, e non ho nessuna considerazione di ciò che sono, o non sono, quando non c’è secondo, io divengo l’accettazione stessa, perché non rimane nulla da accettare.
Non ho perciò niente da aggiungere con una accettazione personale. In questa comprensione, essa diviene chiaramente superflua.
Ogni accettazione secondaria va e viene, non è che un ombra effimera dell’accettazione essenziale.
Per cui se anche volessi sviluppare una modalità di gestione dell’accettazione creerei solo una sorta sovrapposizione mentale inutile.
Nonostante possa credere di poter accettare in quanto persona, in realtà non è mai la mia accettazione che accade. E’ sempre l’accadere impersonale del ciò che è, l’aldilà di un me che non c’è.

 
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In equilibrio fra le oscillazioni

Post n°584 pubblicato il 18 Febbraio 2009 da Praj
 

Tempo fa credevo che gli accadimenti che mi succedevano fossero dovuti ad un continuo avvicendarsi di cause ed effetti sui quali potevo avere la possibilità di scelta. Dunque pensavo fosse giusto scegliere solo ciò che ritenevo il bene e che rifiutassi il suo opposto.
Non riuscivo a vedere che in tutto quello che accadeva era sempre presente l'alternarsi di eventi opposti. Potevo per esempio ritirarmi e dimorare in un spazio di solitudine e sentirmi appagato. Oppure potevo lasciarmi coinvolgere dai richiami del piacere dei sensi e poi rimanerne deluso o frustrato. Non avevo mai la comprensione adeguata per rendermi conto che in me c'erano oscillazioni costanti, come quelle di un pendolo. Continuavo a pensarmi in una sola maniera parziale, unilaterale: mi consideravo sostanzialmente giusto, umanamente buono, bravo, comprensivo... 
Era però come se cercassi, assurdamente, di costringere il pendolo a fissarsi da una parte sola. Ero perciò sbilanciato perché escludevo l'altra parte di me meno presentabile.
Il rimedio a questa forzatura è stata la consapevolezza, che consiste nello sperimentare la vita senza che la mente opponga resistenze di sorta a ciò che siamo. Solo così ho potuto comprendere meglio il miracolo di contenere in me le contraddizioni e il paradosso degli opposti.
Ho accettato perciò di vivermi anche altro: il contrario di ciò che reputavo d'essere. Solo con questa inclusione e integrazione delle polarità ho potuto essere realmente libero di scegliere le mie esperienze, perché non mi opponevo più al fatto di avere in me anche quello che era diverso da ciò per il quale avevo optato di rappresentarmi.
L'energia a questo punto poteva fluire in modo più armonioso. Ero più autentico, onesto.
Questo spirito di accettazione mi ha permesso altresì di affrontare con consapevolezza qualsiasi aspetto o situazione, per quanto spiacevole fosse. Mi ha permesso di rendermi conto che tutti quegli eventi o aspetti minacciosi e terribili che mi preoccupavano erano sempre esistiti nel mondo e dentro di me. Che non potevano mai scomparire, perché appartenevano alla mia umanità, all'umanità del mondo.
Realizzavo, constatandolo nel quotidiano, invece che erano state le mie reazioni meccaniche di paura, di insicurezza, di ansia a lasciarmi. Ero in un equilibrio dinamico.
Avevo dunque imparato ad evitare o ad attraversare, a non restare più invischiato nelle emozioni disturbanti, negative. La lotta interiore si era dissolta. Le tensioni andavano sempre più attenuandosi.
Avevo capito come modificare i miei stati d'animo e le mie esperienze, mediante la comprensione della mia relazione col mio stato di consapevolezza.
La saggezza, frutto maturo della consapevolezza, è dunque per me il più alto stato dell'essere perché capace di contenere, disposto ad accogliere, in sè tutto quello che non è comprensione, che non è amore.
Ecco perché andrebbe ricercata, ognuno a modo suo, durante questa grande avventura esistenziale. Trovarla è una grande benedizione.

 
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ESSERE INTERI, ESSERE VERI

Post n°583 pubblicato il 16 Febbraio 2009 da Praj
 

Quando vengo pervaso da uno stato di fluida accettazione, da una ampia apertura emotiva, tutto ciò si traduce in un processo di espansione. Quando questo non è un semplice transito da un condizionamento, da un limite, ad un’altro, apparentemente meno opprimente o creduto superiore, mi rendo disponibile ad una nuova consapevolezza.
Questa è un risvegliarsi della Coscienza. Quando si realizza, non determina un come mi debbo comportare nel vivere quotidiano. Perché quando c’è integrità nel mio animo e la consapevolezza mi illumina, non ho alcun dovere di essere o non essere un certo modo.
Questo significa che ho la capacità di assumere in me stesso e di comprendere tutto ciò che è diverso da qualsiasi mio concetto limitato che invece prima proiettavo all’esterno.

Significa sapere che quando do importanza ad un fattore che considero positivo, sto creandone nello stesso momento uno negativo che gli si contrappone.
Significa capire che quando faccio della erudizione un ideale, avrò a che fare con l’ignoranza che le si oppone. Significa anche che quando perseguo un ideale ideologico, un modello di virtù, mi costringo a convivere con il peccato o il senso di colpa che inevitabilmente mi accompagneranno.
Quindi dovrò accettare la responsabilità di avere contribuito a formare questa situazione nella quale mi sono imprigionato psicologicamente e mio malgrado.
Quello che vado negando, pur avendolo costruito da me stesso, sfugge necessariamente al mio controllo. Ma, che la cosa la voglia o no, mi costringe ad occuparmene, a darle attenzione.

Così non posso fare a meno di vivere in un mondo d’ignoranza e di peccato, di paure e sensi di colpa, che io stesso ho elevato a valore per contrapposizione.
Solo quando non oppongo alcuna resistenza alle negatività e non mi chiudo di fronte a queste, non sono costretto a gestirle. Solo quando vedo la bruttezza che è sempre dentro di me, sono libero di creare bellezza. Solo quando mi rendo conto della stupidità, della ottusità, che porto dentro di me, sono libero di accogliere l’intelligenza, la creatività, l’amore.  Solo quando mi accetto integralmente per come sono, divento libero di essere me stesso, sono spontaneo e non sono più interessato a giudicare.
Anzi, ora posso veramente accettare l'altro, perchè accetto me stesso.

 
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Vivere senza riserve la realtà di fatto, così com'è, presenti nel momento in cui accade

Post n°582 pubblicato il 13 Febbraio 2009 da Praj

Arriva sempre il momento di una riflessione che ci può indicare la svolta di fronte al nostro modo di affrontare le problematiche che ci complicano l'esistenza.
Allora guardiamo come viviamo la nostra quotidianità. Si potrebbe dire che non facciamo altro che fuggire dalla realtà dei fatti, e proprio per questo soffriamo e ci creiamo ogni genere di disagio. Da ciò nasce il tentativo di trovare conforto o consolazione nella ricerca spirituale o nella adesione ad una credenza religiosa, ideologica, filosofica. Incredibilmente non siamo capaci di comprendere che non potremo mai sottrarci alla realtà delle cose che stiamo vivendo nel momento presente. Nonostante gli innumerevoli ed estenuanti tentativi di sottrarci alle svariate situazioni che sono in atto, noi non ce la faremo. Paure, gioie, dolori, noia, entusiasmi... ci accompagneranno sempre. Non c'è via d'uscita perché è nella natura della realtà contenere gli opposti. Non ci resta che confrontarci con questa realtà: capire profondamente che è inevitabile avere a che fare con queste espressioni contraddittorie della vita. Dobbiamo accettarle perché necessarie.
La vita stessa, per manifestarsi, implica le polarità, le opposizioni in connessione fra loro, continuamente. Dobbiamo prenderne atto definitivamente. Non ci possono essere solo le polarità che ci piacciono, che troviamo gradevoli. Dobbiamo accogliere tutto e il contrario di tutto.
Prendere solo un aspetto e volere scartarne l'altro che sta all'opposto ci porta necessariamente al conflitto, alla sofferenza, alla frustrazione. Non si può invocare un “come dovrebbero essere le cose” piuttosto che accettare come sono. Questa attitudine al volere solo ciò che ci aggrada è il viatico che conduce alla infelicità. Questo va compreso fino in fondo. E' inutile resistere al gioco degli opposti esistenziale.
Perciò è sensato e saggio, a mio modesto parere, lasciare essere ogni momento che la vita ci offre... meglio se con gratitudine.
Basta accoglierlo, osservarlo senza alcuna riserva, non cercare di negarlo, lasciarlo fluire...
E' sicuramente destinato a passare. E' la natura di ogni fenomeno.
La Vita stessa è un divenire interminabile di momenti che cambiano. Ciò che non può cambiare mai è la Pura Consapevolezza che li osserva scorrere.
Allora il punto è accettare con serenità l'ordinarietà del vivere quotidiano... questo è il passaggio più difficile per il ricercatore spirituale ambizioso e speranzoso. L'ego bisognoso di conquiste lo aborre.
Ciò che non si vuole abbandonare è l'acquisita identità del ricercatore che si ostina a volere altro da ciò che è. Questi non riesce mai a rilassarsi in profondità. Spera sempre in un qualcosa... domani, chissà?
Non c'è niente da rifiutare nel ciò che è; c'è solo da dargli il benvenuto, dirgli un grande "Sì", comunque sia, anche quando si esprime con il "no" momentaneo. Allora vediamo che il conflitto si spegne, s'indebolisce, perché ogni cosa va seguendo il suo corso... comprese le occasionali insofferenze, gli strani momenti... che ci accadono.
E' ciò, piaccia o non piaccia all'ego, è la vita che merita sempre di essere vissuta.

 
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L'autoesame

Post n°581 pubblicato il 12 Febbraio 2009 da Praj
 

... pensare, nel senso di concettualizzare, non è la vera natura dell’uomo.
La comprensione vede che la natura della mente è concettuale.
Lottare contro l’ ”io”, è appunto ciò che l’ “io”, la mente, vuole. Non si può lottare contro la mente..
Non si può sopprimere l’io. Lottare, opporsi, controllare… sono azioni impossibili.
Si deve applicare un’azione passiva, femminile: cedere alle cose, vederle come sono.
Laddove la natura della mente è di gettarsi su una cosa e poi subito su un’altra.
Invece di lottare, scopri chi vuole conoscere, chi lo sta facendo, chi ne ha bisogno.
All’inizio è necessario porsi questa domanda, ma lo scopo non è trovare una risposta.
A volere una risposta è sempre la mente che solleva un problema e cerca di risolverlo; è la mente che razionalizza, la mente che gira sempre all’interno del suo stesso coinvolgimento.
Scopo dell’autoesame è spezzare il coinvolgimento: chi vuole conoscere?
E’ una sorta di bastonata mentale. In realtà è solo l’intelletto che continua a creare problemi. E così viene troncato.
E’ processo che va tenuto sempre attivo, senza smettere le tue normali attività.
Tra l’altro non puoi, perché devi guadagnarti da vivere.
E’ un processo che si potrebbe definire “negativo”, è la comprensione che non c’è nessuno che pone le domande. Basta un primo barlume di comprensione per troncare, almeno a un primo livello, il coinvolgimento.
Approfondendosi la comprensione, un pensiero viene reciso sempre più rapidamente, sempre più vicino al momento stesso della sua nascita.
Finchè, quando la comprensione è perfetta, il sorgere del pensiero e la sua recisione verticale, senza coinvolgimento orizzontale, diventa un evento spontaneo. Ci vuole un po’ di tempo.
Intanto, continua a porti la domanda o lascia semplicemente che la comprensione recida verticalmente il coinvolgimento orizzontale ogni volta che si presenta, riconoscendo che non è in tuo potere.
Riconoscere di non avere potere sulle cose è l’inizio della comprensione.
Questa comprensione è il testimoniare che recide verticalmente il coinvolgimento orizzontale.
E’ stupefacente con quanta rapidità si instauri questa comprensione, come diventi presto un modo di essere.
Il punto fondamentale del testimoniare è l’assenza di “io”.
Il testimoniare è verticale, in una dimensione totalmente diversa: perciò non ci può essere un “io” che testimonia. Nel testimoniare non ci sono pensieri come: ”Non avrei dovuto farmi coinvolgere”, non ci sono raffronti o paragoni. L’assenza di giudizi e paragoni è il criterio della vera testimonianza. I pensieri, semplicemente testimoniati, sono recisi per il semplice motivo che non scattano confronti, giudizi o scelte.

dal libro: "La Coscienza parla" di Ramesh Balsekar - Ed. Ubaldini

 
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Quando è amore, il ricevere è già nel dare

Post n°580 pubblicato il 11 Febbraio 2009 da Praj
 
Tag: Amore

Quando andiamo mendicando amore, forse è il segno che precedentemente lo abbiamo lesinato agli altri.
Quando siamo in questa condizione, dovremmo onestamente riconoscerlo, invece di incolpare il mondo per questa triste e penosa situazione. Se non siamo ricettivi, disponibili ad accoglierlo, o lo condizioniamo ai nostri desideri egoistici, esso non ci può raggiungere. Non dovremmo cercarlo come compensazione per i vuoti interiori che abbiamo: perché con questo spirito lo respingiamo. Spesso, noi non vogliamo vivere il mistero e la magia l'amore, ma soltanto non sentirci soli, avere una compagnia fisica, una relazione confortante o una passione eccitante...
L'amore che non si può perdere in realtà appartiene ad una dimensione diversa dal pretendere, dal volere... dai fondamenti dell'amore egoistico.
Soltanto quando non abbiamo più l'attitudine all'amore possessivo, l'amore vero si fà individuare, ci offre l'occasione d'esperienza profonda. Questa opportunità è sempre a portata di mano: proprio perché si può amare da subito e senza condizioni, a prescindere dai tornaconti che potrebbero avere.
Questo è il segreto: più amiamo, più saremo ricambiati.
Su questa base di Fiducia, l'appagamento interiore è certo, perché l'intrinseca natura dell'amore è condivisione. E quando ci doniamo disinteressatamente siamo, di fatto, in amore.
L'amore dunque è uno stato dell'essere, che sgorga da una fonte interna, che va ritrovato in noi stessi per poi essere manifestato e condiviso per non inaridirsi e sfiorire.
La legge cosmica dell'Amore fa sì che ci venga sempre restituito sostanzialmente l'amore che abbiamo offerto. Il nostro cuore, se è aperto, viene naturalmente attratto dal campo d'energia amorevoli, per cui basta che dia che immediatamente riceve.
Il miracolo, il paradosso dell'amore, è che la gratificazione del ricevere è già nel dare.

 
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Sulla paura del vivere e del morire

Post n°579 pubblicato il 10 Febbraio 2009 da Praj
 

Abbiamo separato la vita dalla morte, e l'intervallo tra la vita e la morte è paura. Quell'intervallo, quel tempo, è creato dalla paura. Vivere è la nostra tortura quotidiana, la nostra quotidiana offesa, dolore e confusione, con un occasionale aprirsi di uno spiraglio su mari incantati. Questo è ciò che chiamiamo vivere, e abbiamo paura della morte, che è la fine di questa miseria. Preferiamo esser fedeli a quello che conosciamo piuttosto che fronteggiare l'ignoto – e quello che conosciamo è la nostra casa, i nostri mobili, la nostra famiglia, il nostro carattere, il nostro lavoro, la nostro conoscenza, la nostra fama, la nostra solitudine, i nostri dei – quella piccola cosa che si muove incessantemente entro il proprio perimetro col proprio limitato modello di esistenza amareggiata.
Crediamo che vivere sia qualcosa che appartiene al presente e che morire sia qualcosa che ci aspetta ben lontano. Ma non ci siamo mai chiesti se questa lotta per la vita quotidiana è in realtà una vita. Vogliamo sapere la verità sulla reincarnazione, vogliamo provare la sopravvivenza dell'anima, diamo ascolto alle affermazioni delle chiromanti, e alle conclusioni delle ricerche psichiche, ma non ci chiediamo mai, mai, come vivere – vivere con felicità, con incanto, con bellezza ogni giorno. Abbiamo accettato la vita com'è con la sua agonia e disperazione e ci siamo abituati, e pensiamo alla morte come a qualcosa da evitare con molta cura. Ma la morte è straordinariamente simile alla vita quando sappiamo come vivere. Non si può vivere senza morire. Un paradosso intellettuale. Per vivere completamente, interamente ogni giorno come se ci fosse una nuova bellezza, ci deve essere la morte per qualsiasi cosa che appartenga all'ieri, altrimenti vivete in modo meccanico, e una mente meccanica non può mai sapere che cosa sia l'amore e cosa sia la libertà.
Molti di noi hanno paura di morire perché non sanno che cosa voglia dire vivere. Non sappiamo come vivere quindi non sappiamo come morire. Finché avremo paura della vita avremo paura anche della morte. L'uomo che non ha paura della vita non ha paura di essere totalmente insicuro poiché comprende che intimamente, psicologicamente, non esiste sicurezza. Quando non esiste sicurezza c'è un movimento senza fine e allora vita e morte sono la stessa cosa. L' uomo che vive senza conflitto, che vive con la bellezza e con l'amore, non ha paura della morte poiché amare è morire.
Se morite a tutto ciò che conoscete, inclusa la vostra famiglia, i vostri ricordi, qualsiasi cosa abbiate provato, allora la morte è una purificazione, un processo di ringiovanimento; allora la morte genera innocenza, e solo chi è innocente è appassionato, non la gente che crede o vuole scoprire quello che succede dopo la morte.
Per scoprire realmente cosa succede quando morite, bisogna che moriate. Questo non è uno scherzo. Dovete morire – non fisicamente, ma psicologicamente, nel vostro intimo, morire a tutto ciò che avete avuto caro o che vi ha causato dolore. Morire vuol dire avere una mente completamente vuota di se stessa, vuota dei suoi quotidiani desideri, piaceri, angosce. La morte è un rinnovamento, un mutamento in cui il pensiero non interviene, poiché il pensiero è vecchio; quando c'è morte c'è qualcosa di completamente un nuovo. La libertà dal conosciuto è morte, e allora vivete.


Dal libro: "Libertà dal Conosciuto"  di J. Krishnamurti - Ubaldini Editore

 
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Testamento biologico - Appendice

Post n°578 pubblicato il 09 Febbraio 2009 da Praj
 

Preferirei morire un giorno, se fossi irrimediabilmente malato e sofferente, lasciando serenamente un corpo sostanzialmente spento, piuttosto che morirne, sopravvivendo, centomila da macchina.
Per me, non è la vita di per sè che è sacra, ma lo è la Luce dello Spirito
che l'illumina.  Questa Luce risplende sia sulla vita che sulla morte, ed è oltre e al di sopra di entrambe.  
La Nostra essenza, per me, è questa Luce.                     
Il corpo è un tempio solo quando c'è la consapevolezza di abitarlo. Altrimenti è, a mio avviso, un semplice involucro  costituito di materia organica.
Comunque, non vorrei mai che questa scelta valesse per chi non la condivide; ma auspicherei che chi non è d'accordo non me la impedisse in nome di valori che non mi appartengono, che sono pur sempre relativi. 

 
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Breve testamento spiritual-biologico

Post n°577 pubblicato il 07 Febbraio 2009 da Praj
 

Se il 'mio' corpo un giorno non mi rispondesse più, se i sensi fossero disconnessi dalla 'mia' consapevolezza, lasciatelo morire, lasciatelo andare.                                                               
Non accanitevi a volere tenere in vita questo apparato biologico-mentale, questo organismo umano, che ormai non mi serve e non serve a nessuno.
O forse serve solo a gratificare l'altrui egocentrismo, ammantato di carità non richiesta; o fors'anche serve per rimuovere la paura della morte che scuote coloro che non sono preparati all'evento.
Non preoccupatevi di colui che lo abitava o, che 'prigioniero', lo starà ancora abitando, ormai privo di scelta umana.
Lasciatelo ritornare a vivificare la terra in altre forme. Non accanitevi a voler dimostrare che siete superiori alla morte, che siete capaci di prolungare una vita vegetativa. Lasciatelo andare... Non sono interessato a nessuna ideologia che vincola lo spirito alla macchina biologica ormai distrutta, devastata... anche se il vostro fare è in buona fede.
Dio mi ha donato un corpo per vivere delle esperienze... e accetto il suo misterioso e impescrutabile disegno che non posso comprendere. In Lui non sono mai nato, mai morirò. 
Egli sa come dare e come togliere... e sono fiduciosamente arreso all'insondabile destino che mi spetta.
Sia fatta la Sua Volontà, dunque, non quella delle menti identificate con il corpo, con la la mera materia e non con lo Spirito che l'anima.

 
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La necessaria verifica nell'esperienza

Post n°576 pubblicato il 06 Febbraio 2009 da Praj

"Tu presumi che la Sua Volontà è altro rispetto alla realtà della Sua Creazione, qualcosa di diverso dalla realtà della tua condizione.
In realtà, la Sua Volontà è sempre stata fatta, poichè Egli è l’unico e solo potere che anima le stelle e gli oceani, tu, io e tutte le anime.
Egli pensa nella tua mente, sente nel tuo cuore e muove il tuo corpo come richiede.
Egli vuole essere te, come animare ogni dettaglio della tua vita.
Egli ti programma con l’illusione del libero arbitrio per creare la separazione e la sofferenza che deve contrastare la riunione e l’abbandono.
Godo anch’io di questi scambi, godo anch’io la libertà dall’illusorio agente individuale e dell’unità in Dio che è illuminazione.
Vuoi raggiungermi qui?."
...

"La potenza trasformativa dell’Advaita* è quella che fornisce una base razionale all’abbandono alla vita, in quanto Dio. L’Advaita sa che la consapevolezza è tutto quello che c’è; quindi sei già quello che stai cercando.
Senza un sufficiente approfondimento nella meditazione, comunque, l’approccio intellettuale dell’Advaita è suscettibile a convinzioni non verificate nell’assoluta verità, un tranello che trattengono i cercatori inconsapevoli in una concettuale illusione di libertà.
Se l’Advaita è applicata ad un abbandonarsi momento per momento alla vita, in quanto gioco della divina Consapevolezza, accade una rapida crescita.
Se ciò è creduto senza una verifica esperienziale, l’Advaita diventa una trappola per l’ego spirituale e d’intralcio verso una reale crescita in consapevolezza."  
(Maitreya Ishwara)

L'autore di queste parole, Maitreya Ishwara, Maestro contemporaneo di Advaita, sottolinea altresì un punto basilare, che un ricercatore non dovrebbe mai dimenticare: la necessaria verifica dell'esperienza nel vivere quotidiano.

* Advaita: Non dualità. Coscienza dell'Uno senza secondo. Insegnamento non duale che, se  realizzato, conduce alla Comprensione, al Risveglio coscienziale.

 
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La spontaneità non è semplice istintualità, automatismo...

Post n°575 pubblicato il 05 Febbraio 2009 da Praj
 

Quando si può dire che qualcuno è più o meno spontaneo?
Cos'è  che fa la differenza fra due azioni e
 una che appare spontanea, istintuale e una che sembra condizionata?
Si crede che la spontaneità sia solo un agire senza pensare, un comportamento non titubante,  l'esprimere un impulso emotivo senza remore.
Per me invece è qualsiasi azione o sentimento che sorge dal senso di non essere l'ente personale che compie l'azione, che esprime il sentimento, che concepisce il pensiero.
Secondo me è nella misura in cui si sente veramente di non essere quest'agente personale che si è più o meno spontanei.
Dunque, se lo si sente totalmente, si è totalmente spontanei.
Al contrario, chi non è consapevole di ciò, anche se sembra spontaneo, è relativamente automatico. La questione quindi consiste non nella mera naturalezza dell'atto ma nella consapevolezza che lo sostiene.
L'automaticità, per quanto genuina possa sembrare, è sostanzialmente sempre meccanica, inconsapevole. L'autentica spontaneità, invece, è illuminata dal sentire consapevole che non siamo noi a fare, ma piuttosto che siamo agiti da una Forza e Intelligenza superiore di cui noi possiamo solo essere strumento cosciente sovrapersonale e presenza testimoniante.

 
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Come praticare il presente

Post n°574 pubblicato il 04 Febbraio 2009 da Praj
 

Utilizzate pienamente i vostri sensi, siate dove vi trovate.
Guardatevi intorno, limitandovi a guardare senza interpretare.
Osservate la luce, le forme, i colori, la consistenza.
Prendete consapevolezza della presenza silenziosa di ogni cosa,
dello spazio che consente a ogni cosa di essere.
Ascoltate i suoni, senza giudicarli.
Ascoltate il silenzio dietro i suoni.
Toccate qualcosa, qualunque cosa, e percepitene e riconoscetene l’Essere.
Osservate il ritmo della vostra respirazione;
percepite l’aria che entra ed esce, percepite l’energia vitale dentro il vostro corpo.
Consentite a ogni cosa di essere,dentro di voi e al di fuori .
Permettete l’ "essere così" di tutte le cose.
Entrate in profondità nell’Adesso.
State lasciando alle spalle il mondo privo di vita dell’astrazione mentale, del tempo.
State uscendo dalla mente folle che vi svuota di energia vitale.

dal libro: "Come mettere in pratica il potere di adesso"  di Eckhart Tolle (Armenia Ed.)

 
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La porta e la montagna

Post n°573 pubblicato il 03 Febbraio 2009 da Praj
 

La conclusione della ricerca spirituale afferma “Tu sei ciò che cerchi”. C'è da dire che a monte, all'inizio della ricerca, invece si presentano due opzioni principali sulle quali forse è interessante riflettere e, se vogliamo, confrontarci. E' la perenne diatriba fra i sostenitori della via diretta e quelli della la via graduale. Da un lato c'è chi indica e insegna a percorrere ardue arrampicate sugli irti pendii della ricerca spirituale: la mitica montagna sacra da scalare. Da qui tutta la retorica della crescita, delle tecniche, del progresso personale... Fortunatamente, da un altro lato, anche se minoritario, però c'è anche chi indica una semplice porta sempre aperta. Facile da attraversare. E' scontato che i molti preferiscano le difficoltà perché sembra più logico che per ottenere un qualcosa di così bello come il Risveglio della Coscienza si debba tribulare tanto, tantissimo. Altrimenti tutti lo avrebbero già ottenuto se fosse facile. E qui, purtroppo per loro, cominciano a complicarsi la vita.
Invece, alcuni folli, alcuni assurdamente fiduciosi, alcuni intuitivi oltre misura, hanno la forza di fidarsi di coloro che indicano la porta e invitano ad attraversarla con coraggio e fiducia. Questi temerari hanno l'ardire di ascoltare quelli, rari, che hanno scalato già la montagna e poi si sono trovati di fronte alla stessa porta... l'unica Soglia reale.
E' ovvio che con un passaggio così semplice l'ego non potrà mai rivendicare né meriti né onori. Quindi sceglie il difficile, perchè immagina che questo investimento avrà un maggior ritorno. L'orgoglio di avercela fatta, di essere speciale. Immaginazione che non può che rimaner delusa.
Comunque sia, riguardo all'aspirazione del cercare se stessi, ce n'è per tutti: per gli arrampicatori, per gli opportunisti, per i pronti... al salto quantico.
Io preferisco rivolgermi ai pronti... perché agli altri c'è già chi ci pensa, chi se ne occupa: sono organismi e organizzazioni di ogni  tipo  disposti ed interessati ad accompagnarci. 
Dunque non ci deve essere timore per chi, eventualmente, potrebbe restare deluso dalla semplicità delle cose, dalla semplicità e ovvietà della scoperta liberatoria.
Al riguardo perciò  non c'è d'aver paura dei malintesi, degli equivoci... perché comunque sia alla fine, qualunque strada si sia intrapresa, c'è sempre quella porta sullo sconosciuto da varcare. La porta senza porta.
Porta dietro alla quale c'è uno specchio che ci rifletterà e ci farà comprendere: Tu sei ciò che cerchi! Lo sei già, lo sei sempre stato. Tutto qui. Allora scoppia la Risata cosmica.
Nel caso però non dovesse succedere e che la cosa dovesse sembrare banale per l'ego ambizioso e non convinto, il cercatore "pentito" avrà sempre modo di tornare indietro e trovare la montagna sacra che lo aspetta per essere scalata. Per me, invece, vorrà semplicemente dire che non era pronto a comprendere.
E' tuttavia implicito che la Via diretta è la più semplice in un senso, ma la più difficile in un altro. Non è per tutti, anzi, direi che è per pochi. E' folgorante e smonta l'ego definitivamente e all'istante. Quindi, a mio avviso, non si dovrebbe negare l'indicazione della porta  a quell'uno su mille e di dargli la possibilità di varcare immediatamente la soglia, solo perché le moltitudini si aspettano che sia tremendamente difficile. 
Il messaggio "esoterico "Tu sei ciò che cerchi" è solo per quell'uno su mille, anche se è udibile, leggibile per tutti. Non sostengo una via particolare... per me vanno bene tutte le proposte, tutte le esperienze, tutte le Vie... soltanto che a me viene naturale indicare la Via diretta a chi si ritiene in grado di provare a servirsene. Il tutto fatto senza tornaconti di alcun genere. Altrimenti, ognuno può sempre proseguire o riprendere sempre il percorso che vuole o sente più idoneo al "suo" vissuto. Ritengo peraltro sottinteso che, quando mi riferisco a coloro che definisco "pronti", sto in qualche modo giocando tra il serio e il faceto. Io ci ho messo tanti anni a capire che la porta era aperta e appunto per questo offro questa indicazione ai cercatori nei quali mi riconosco. Cerco utopisticamente di risparmiare loro fatica, anche se so che non mi ascolteranno... perchè debbono guadagnarsela con il sudore della fronte.
Questo è il sublime paradosso.

 
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Indicazione focale

Post n°572 pubblicato il 02 Febbraio 2009 da Praj

Quello che sto indicando da tempo é probabilmente..."qualcosa che la mente può aver tralasciato.
Niente di nuovo, niente che tu possa ottenere o aggiungere a te stesso. Non è indicare le buone azioni che hai compiuto nella vita per sottolineare che persona meravigliosa devi essere. È indicare qualcosa di così semplice, di così ovvio, che, una volta indicato e visto, ci si chiede come mai possa esserci sfuggito. Com'è possibile che la mente abbia dato per scontato qualcosa di così ovvio? Come mai la mente ha gettato via con tanta leggerezza un gioiello prezioso in cambio dei suoi riflessi? Puoi essere andato in cerca dell'autorealizzazione, dell'illuminazione, della mente di Buddha, di Dio o di qualche altro obiettivo equivalente. Puoi aver cercato per molti anni o aver appena iniziato la ricerca. Che tu stia percorrendo un sentiero da tempo, o che tu stia facendo solo i primi passi, non fa differenza... questo libro ti invita a guardare lo spazio che è stato trascurato, a vedere ciò che è ovvio e a porre fine a quella ricerca... proprio adesso." ...

"A quanto pare, finchè ci saranno aspettative nella mente, essa sara’ impegnata a realizzarle, invece di essere aperta a cio’ che viene indicato.
La mente pensante giudichera’ l’insegnante, il testo scritto, e l’apparenza per decidere se va bene o male in confronto alle aspettative."

John Greven, dal libro: Tu sei ciò che cerchi - Ed. La Parola

 
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