Non canto i cavalier, l’armi, gli onori,
come un dì fece il grande Ludovico.
Le guerre infami, i sanguinanti allori;
di tutto questo non mi importa un fico.
Ma i lavoranti, l’ape, i campi, i fiori;
le cose grandi solamente, dico.
(Morbello Vergari)
Probabile portatrice di geni etruschi.......vediamo se la passione è contagiosa
e sono graditi pure interventi, puntualizzazioni e domande e mi raccomando di non essere troppo duri con me per eventuali strafalcioni...sono solo una dilettante!
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IL BLOG DI RIEVOCAZIONE ETRUSCA
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Gli strumenti (e di conseguenza anche il ritmo, l'armonia, le disposizioni melodiche) sono manifestamente gli stessi che troviamo nel mondo musicale dei Greci: una identità che non sorprende, se si tien conto degli stretti rapporti di dipendenza che legano le città etrusche alla civiltà ellenica per tanti altri aspetti.
Fra gli strumenti a corda, rappresentati o ricordati, sono la cetra, la lira, il barbiton; fra gli strumenti a fiato, il doppio flauto (tibiae) e la tromba diritta (salpinx, tuba) o ricurva (cornu); fra quelli a percussione, i crotali delle danzatrici. Il duo del suonatore di cetra (o lira, o barbiton) e del suonatore di doppio flauto costituisce, come in Grecia, un accoppiamento normale: lo vediamo rappresentato con particolare frequenza nelle scene di banchetto o di danza delle pitture funerarie. Eppure, nell'ambito di una comune civiltà musicale l'Etruria deve aver avuto, così nei generi come nella pratica, certe sue particolari tendenze e tradizioni. Non può trascurarsi l'insistenza con la quale gli scrittori antichi parlano dell'impiego del doppio flauto presso gli Etruschi, quasi di uno strumento nazionale derivato dalla Lidia e poi trasmesso dagli Etruschi ai Romani: il flautista o auleta si chiamava a Roma, con nome derivato dall'etrusco, subulo. In verità l'auletica è un genere largamente diffuso in Grecia, ma attribuito originariamente ai Frigi ed ai Lidi: esso risponde ad un gusto musicale per il patetico e per l' orgiastico.
Anche in questo caso, come in altre manifestazioni della civiltà artistica, gli Etruschi avrebbero accolto dalla complessa esperienza ellenica certi elementi più vicini alla loro sensibilità, orientandosi specialmente verso le forme elaborate nelle città greco-orientali dell'Asia Minore. Logicamente dobbiamo supporre che la musica etrusca preferisse quei «modi» che i teorici greci definivano lidio, ipolidio, frigio e ipofrigio, con i relativi sistemi tonali, in contrapposizione con la grave e solenne musica dorica. D'altro canto la tradizione greca, antica e concorde (Eschilo, Eumen., 567 sgg.; Sofocle, Aiace, 17; Euripide, Fen., 1377 sgg., ecc.), attribuisce agli Etruschi la tromba: salpinx. Pur non significando che questo antico strumento sia stato inventato realmente in Etruria, ciò vuol dire che esso era caratteristico delle costumanze militari e forse anche religiose etrusche, ed eventualmente fabbricato ed esportato da botteghe di bronzisti etruschi (ma i monumenti figurati rappresentano di preferenza la tromba ricurva, il corno, o diritta con la sua estremità ricurva come il lituo). In ogni caso il favore accordato agli strumenti a fiato corrisponde ad un notevole sviluppo delle pratiche musicali distaccate dal canto.
La musica non soltanto si collega con la danza e con la mimica nelle grandi celebrazioni religiose e nelle manifestazioni sceniche, ma sovente accompagna singoli momenti del rito ed azioni della vita pubblica e privata, come le gare sportive, la caccia, la preparazione dei banchetti e persino la fustigazione degli schiavi. Questo rapporto della musica piuttosto con il gesto che con la parola trova il suo parallelo nelle forme peculiari degli spettacoli scenici etruschi, che avevano, per quanto sappiamo (Livio, VII, 2, 4 sgg.), carattere di mimo ed erano rappresentati da attori-danzatori mascherati (histriones o ludiones), talvolta anche con allusioni buffonesche e satiriche. Ciò non esclude la possibilità di vere azioni drammatiche dialogate, certamente favorite, a partire dal IV secolo, dall'influsso delle forme del teatro greco (come attestano i frequenti modellini di maschere comiche trovati nelle tombe etrusche).
La danza ci è nota soprattutto dalle figurazioni funerarie del VI e del V secolo. Sembra di regola eseguita da ballerini professionali: danzatrici singole accompagnate da un suonatore di doppio flauto; danzatori a coppia; ma soprattutto cori di uomini e donne procedenti in fila distaccati e con movimenti individuali, guidati da musici (suonatori di cetra o lira e flautisti) forse in funzione di corifei. I musici partecipano ai passi della danza. Qualche volta si colgono nell'atto di ballare anche personaggi della classe gentilizia alla quale apparteneva la famiglia del defunto. I movimenti saltellanti delle gambe e i gesti accentuati e presumibilmente rapidi delle braccia e della testa rivelano un genere di danza fortemente scandito, agitato se non addirittura orgiastico, che si ispira presumibilmente alla greca sikinnis di origine dionisiaca. Ma i documenti limitati nel tempo e nell'ambito dell'arte funeraria non sono sufficienti a provare che questo genere sia stato il solo coltivato in Etruria. Esso, comunque, si accorda con i «modi» musicali che abbiamo supposto dominanti nel mondo etrusco.
fonte THUI
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"CHIMAIRA" di Valerio Massimo Manfredi (giallo-storico)
"MITI, SEGNI E SIMBOLI ETRUSCHI" di Giovanni Feo (Etruschi, da dove venivano e a quali leggende sono collegati)
"GEOGRAFIA SACRA" di Giovanni Feo (la "magia" e l'"astronomia" dalla preistoria agli Etruschi)
"UNA GIORNATA NELL'ANTICA ROMA" di Alberto Angela (immaginiamo di fare un viaggio nel tempo e di ritrovarsi nella Roma del I secolo dopo Cristo)
"IL SEGRETO DEI GEROGLIFICI" di Christian Jacq (guida semplice e simpatica sull'interpretazione dei geroglifici egizi)
" IL FARAONE DELLE SABBIE" di Valerio Massimo Manfredi, azione e suspence ambientate nel clima dei conflitti attuali che affliggono il Medio Oriente.
"L'ULTIMA LEGIONE":di Valerio Massimo Manfredi, una vicenda avvincente ambientata nel periodo del declino dell'Impero Romano, tra leggenda e realtà, si legge tutto d'un fiato
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POETA ESTEMPORANEO
In ricordo di Morbello Vergari, ultimo poeta Etrusco
Il reperto archeologico
Riuniti insieme, un gruppo di signori
stavano discutendo di un oggetto
un giorno appartenuto ai padri etruschi.
Il dottor Tizio disse ai suoi colleghi:
-La mia giovane eta', non mi consente
di pronunciarmi il primo e francamente
ammetto che non ci capisco molto.
Il dottor Caio esprime il suo parere
dicendo-Per me, questo è un utensile
che usavano gli etruschi,
per servire vivande sulla mensa
D'altro parere il professor Sempronio
e in questo modo dice il suo giudizio:
Questo per me, è un vaso da ornamento
che serviva su un mobile di lusso
a contenere fiori profumati.
Infine il professor Tal dei Tali:
Con questo afferma usavano gli antichi
nelle grandi e solenni cerimonie
offrire a gli dei superi d'Olimpo
e il loro sacerdote in pompa magna,
libava e alzava questo vaso al cielo;
quindi spruzzava santamente l'ara,
del vin pregiato in esso contenuto.
-Giusto-dicono tutti gli altri in coro-
la Sua tesi convince, professore.
Due etruschi ch'iabitaroni in quei luoghi
in permesso quassu' dai Campi Elisi.
Si fermarono ad osservar la scena.
-Tarcone-Aule chiese-cosa fanno
quelle persone riunite insieme?
-Non so',non saprei dirti veramente;
non riesco a comprendere il dialetto,ma
quel che sembra un tantinello strano
è, che stan discutendo con passione,
tenendo un nostro orinalaccio in mano.