Non canto i cavalier, l’armi, gli onori,
come un dì fece il grande Ludovico.
Le guerre infami, i sanguinanti allori;
di tutto questo non mi importa un fico.
Ma i lavoranti, l’ape, i campi, i fiori;
le cose grandi solamente, dico.
(Morbello Vergari)
Probabile portatrice di geni etruschi.......vediamo se la passione è contagiosa
e sono graditi pure interventi, puntualizzazioni e domande e mi raccomando di non essere troppo duri con me per eventuali strafalcioni...sono solo una dilettante!
molte immagini sono state prese da internet, se i proprietari non fossero d'accordo lo facciano presente e saranno tempestivamente rimosse
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IL BLOG DI RIEVOCAZIONE ETRUSCA
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« DALL'ERMITAGE CON FURORE | Messaggio #116 » |
Su segnalazione della cybernauta, sorella di stirpe, TiuVeio, che ringrazio, vi informo anche di un'altra mostra sugli Etruschi (stiamo diventando di moda eh? alla riscossaaaaaa) ecco le coordinate: "Etruschi E ADESSO UN PO' DI "APOLLO DI VEIO" er piacione etrusco La statua di Apollo da Veio, in terracotta policroma, è uno dei capolavori dell’arte etrusca, della fine del VI secolo a.C., celebre nel mondo. Il tempio.
Le antiche metropoli del Lazio"
Palazzo delle Esposizioni - Roma 16 ottobre 2008 - 6 gennaio 2009
Insieme ad altre statue, tutte a grandezza superiore o pari al vero, ornava la trave di colmo del tempio veiente in località Portonaccio, nel santuario dedicato a Minerva, uno dei più importanti d’Etruria. Alloggiate su alte basi a zoccolo, variamente dipinte, le statue in numero forse di dodici, molte delle quali giunte a noi solo frammentariamente, si ergevano in funzione di acroteri a circa dodici metri di altezza. Anche se realizzate isolatamente illustravano, in sequenza di due o tre, eventi mitici greci, almeno in parte collegati con il dio Apollo. La statua, di cui si è ora iniziato il restauro, formava con quella di Eracle (Ercole) un gruppo raffigurante il mito, piuttosto raro anche in Grecia, della contesa tra il dio e l’eroe per la cerva cerinite, dalle corna d’oro, sacra ad Artemide (sorella di Apollo).
Apollo, vestito di una tunica e di un corto mantello, avanza verso sinistra con il braccio destro proteso e piegato (il sinistro scendeva verso il basso, forse impugnando con la mano l’arco); Eracle, con la cerva legata tra le gambe, è proteso verso destra, piegato in avanti per brandire la clava mostrando il torace in una curva violenta.
Collegata al gruppo doveva essere anche la statua di Hermes (Mercurio) di cui restano la splendida testa e forse parte del corpo: il dio, come messaggero di Zeus, interviene per sedare i contendenti.
Il gruppo è concepito per un’unica visione laterale, corrispondente al lato del tempio ove correva la strada di accesso al santuario. La salda volumetria delle figure unita alle sottili dissimetrie riscontrabili sia nell’Apollo (cassa toracica, volto) sia nel torso dell’Eracle indicano che il coroplasta aveva piena conoscenza delle deformazioni ottiche in scultura che dovevano essere visibili da grande distanza e con forti angolature. Si spiegano così la creazione di volumi grandiosi e l’insistenza nell’incidere in profondità e nel rilevare senza risparmio i dettagli, in modo da ricostruire corretta la necessaria unità visiva della composizione.
La formazione del maestro che plasmò le statue è certamente ionica. Di grande talento, è identificabile con il “Veiente esperto di coroplastica” cui Tarquinio il Superbo commissionò la quadriga acroteriale del tempio di Giove Capitolino. Si tratta certamente del massimo rappresentante della celebre bottega di cloroplasti veienti fondata da Vulca, il maestro chiamato a Roma da Tarquinio Prisco verso il 580 a.C. per eseguire il simulacro dello stesso Giove Capitolino.
Il tempio di Portonaccio è stato per quanto sappiamo il primo tempio del tipo tuscanico, codificato in età augustea da Vitruvio, eretto in Etruria (circa 510 a.C.), e anche il primo tempio, assieme al tempio B di Pyrgi (l’attuale Santa Severa), decorato secondo i canoni della c.d. seconda fase della coroplastica architettonica etrusco-laziale. La ricostruzione si basa sul riconoscimento del “modulo” adottato nella progettazione, pari a tre piedi attici di m. 0,2965 (m.0,89), coincidente con l’altezza del podio, l’imoscapo delle colonne e lo spessore di base dell’elevato dei muri. Secondo tale proposta il tempio avrebbe avuto una pianta quadrata di 60 piedi di lato, suddivisa in un pronao con due colonne in facciata tra ante, profondo 24 piedi e in un blocco retrostante di tre celle affiancate, profonde 30 piedi. Le colonne, alte 21 piedi, erano di tufo stuccato, così come i muri, rivestiti all’interno del pronao da più ordini di pitture su lastre fittili, mentre tutta la copertura era in legno, schermato da terrecotte policrome. Queste, contrassegnate per la posa in opera con un raffinato sistema di sigle sillabiche, erano integrate da riporti bronzei e da una generosa profusione di inserti plastici, per lo più modellati a mano, a cominciare dalla superba serie di grandi antefisse.
La città di Veio
La città, eterna rivale di Roma sin dall'età di Romolo per il controllo della riva destra del Tevere, sorgeva su un vasto altopiano lambito dal Valchetta -l'antico Crémera- e dal Fosso della Mola, e collegato a sud all'altura di Piazza d'Armi, sede dell'acropoli. Sui rilievi circostanti l’altopiano si estendevano ad anello le necropoli, che si svilupparono con migliaia di sepolcri sin dall’inizio dell’età villanoviana (IX sec. a.C.) per tutto il VII e il VI sec. a.C. Nella Tomba delle Anatre, degli anni tra il 680 e il 650 a.C., è documentata la più antica tomba dipinta di tutta l’Etruria.
Della città, esplorata solo in parte, si conoscono, oltre ad alcuni tratti della cinta muraria (V sec. a.C.), i più importanti luoghi di culto: il santuario dell’Apollo in località Portonaccio, celebre anche nell’antichità; l’edificio templare di età arcaica sull’acropoli e altre aree sacre come quelle di Giunone Regina e quelle in località Campetti, documentate soprattutto da immensi scarichi di materiali votivi. Alla fine del VII sec. a.C. risale l’impianto urbanistico dell’acropoli con assi stradali quasi ortogonali, uno dei più antichi d’Etruria. Peculiari sono anche alcune opere idrauliche come la lunga galleria di Ponte Sodo lungo il Crèmera.
Fu la prima delle città etrusche a cadere sotto il dominio di Roma nel 396 a.C. dopo l’assedio di Furio Camillo. Numerose sono le testimonianze della presenza romana tra IV e III sec. a.C., in particolare nel territorio che si popola di una fitta rete di piccole proprietà contadine.
Dopo la creazione del municipium veiens da parte di Augusto, la città vive nel I sec. d.C. l’ultimo periodo di prosperità, documentato da edifici prestigiosi, come quello da cui provengono le dodici colonne ioniche scoperte all’inizio del secolo scorso e rimontate sulla facciata di palazzo Wedekind a Piazza Colonna a Roma.
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GIOCO LETTERARIO
Ho partecipato al gioco letterario promosso da Writer
clicca su IL FOLLE se vuoi leggere il mio racconto
ho scritto anche:
e per la serie RACCONTI BREVI:
DEUXIPPO (prima parte)
DEUXIPPO (seconda parte)
DEUXIPPO (terza parte)
DEUXIPPO (ultima parte)
L'INFAME (prima parte)
L'INFAME (ultima parte)
E SFOTTIAMIOLI UN PO' STI RUMACH!
MAGIA DEL PHOTOPAINT
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LA LETTURA NOBILITA LA MENTE
"CHIMAIRA" di Valerio Massimo Manfredi (giallo-storico)
"MITI, SEGNI E SIMBOLI ETRUSCHI" di Giovanni Feo (Etruschi, da dove venivano e a quali leggende sono collegati)
"GEOGRAFIA SACRA" di Giovanni Feo (la "magia" e l'"astronomia" dalla preistoria agli Etruschi)
"UNA GIORNATA NELL'ANTICA ROMA" di Alberto Angela (immaginiamo di fare un viaggio nel tempo e di ritrovarsi nella Roma del I secolo dopo Cristo)
"IL SEGRETO DEI GEROGLIFICI" di Christian Jacq (guida semplice e simpatica sull'interpretazione dei geroglifici egizi)
" IL FARAONE DELLE SABBIE" di Valerio Massimo Manfredi, azione e suspence ambientate nel clima dei conflitti attuali che affliggono il Medio Oriente.
"L'ULTIMA LEGIONE":di Valerio Massimo Manfredi, una vicenda avvincente ambientata nel periodo del declino dell'Impero Romano, tra leggenda e realtà, si legge tutto d'un fiato
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POETA ESTEMPORANEO
In ricordo di Morbello Vergari, ultimo poeta Etrusco
Il reperto archeologico
Riuniti insieme, un gruppo di signori
stavano discutendo di un oggetto
un giorno appartenuto ai padri etruschi.
Il dottor Tizio disse ai suoi colleghi:
-La mia giovane eta', non mi consente
di pronunciarmi il primo e francamente
ammetto che non ci capisco molto.
Il dottor Caio esprime il suo parere
dicendo-Per me, questo è un utensile
che usavano gli etruschi,
per servire vivande sulla mensa
D'altro parere il professor Sempronio
e in questo modo dice il suo giudizio:
Questo per me, è un vaso da ornamento
che serviva su un mobile di lusso
a contenere fiori profumati.
Infine il professor Tal dei Tali:
Con questo afferma usavano gli antichi
nelle grandi e solenni cerimonie
offrire a gli dei superi d'Olimpo
e il loro sacerdote in pompa magna,
libava e alzava questo vaso al cielo;
quindi spruzzava santamente l'ara,
del vin pregiato in esso contenuto.
-Giusto-dicono tutti gli altri in coro-
la Sua tesi convince, professore.
Due etruschi ch'iabitaroni in quei luoghi
in permesso quassu' dai Campi Elisi.
Si fermarono ad osservar la scena.
-Tarcone-Aule chiese-cosa fanno
quelle persone riunite insieme?
-Non so',non saprei dirti veramente;
non riesco a comprendere il dialetto,ma
quel che sembra un tantinello strano
è, che stan discutendo con passione,
tenendo un nostro orinalaccio in mano.