Creato da zoeal il 05/02/2008

RASNA

semplice passione

Messaggi di Ottobre 2008

BUON COMPLEANNO!!!

Post n°124 pubblicato il 29 Ottobre 2008 da zoeal

ALL'AMORE MIO!

 
 
 

Post N° 123

Post n°123 pubblicato il 28 Ottobre 2008 da zoeal

Curiamo la piaga purulenta
APPELLO PRO VITTIME DELLA “PEDO-FOLLIA”, dal blog www.massimilianofrassi.splinder.com
 
In seguito alle polemiche nate dopo l’ennesima manifestazione pro Pino La Monica, educatore indagato per abusi e detenzione di materiale pedopornografico e chiamato in causa da una decina di vittime, abbiamo deciso di scender in campo anche noi e manifestare apertamene tutto il nostro dissenso.
Questo blog è da sempre la voce delle vittime e per le vittime della pedofilia combatte una guerra sempre più senza esclusione di colpi.
Da parte nostra, degnamente (per ora) non manifesteremo fuori dal tribunale (lasciando ai Giudici la possibilità di operare con la massima tranquillità).
Ma decidiamo di scendere in campo e di MANIFESTARE apertamente tutta la nostra solidarietà alle uniche vere vittime. Quelle a cui noi crediamo ed i cui diritti qua, e non solo qua, non vengono calpestati:
le bambine molestate!!!!!!!!!!
A loro, alle loro famiglie, tutto il nostro incondizionato appoggio.
Questo blog ha fatto cose importantissime. E per certi esseri, scomode. Giorni fa ascoltando un’intervista a Roberto Saviano ho sentito lo scrittore dire “non sono io scomodo, lo sono i miei lettori….è loro che la camorra teme”.
Bene, dato che le stesse parole valgono anche per chi vi scrive queste parole, dimostrate la vostra “scomodità” scrivendo qua la vostra solidarietà per le vittime.
Inoltre copiate e diffondete nei vostri blog, nelle vostre mailing list, in qualsiasi modo, questo post.
Dalla parte dei bambini! Sempre!
Per aderire lascia un tuo messaggio di solidarietà via fax (0364 880593) oppure nel blog:
http://massimilianofrassi.splinder.com/post/18812234#comment
ragazzi è importantissimo firmare la petizione e far girare questo appello
 

 
 
 

Post N° 122

Post n°122 pubblicato il 23 Ottobre 2008 da zoeal
 

EVVIVA IL BELLO DI CAMPIGLIA CHE TUTTE VOGLIONO MA NESSUNO SE LO PIGLIA

 

Racconta lo storico latino Valerio Massimo (I secolo D.C.), che abitava in quel di Roma un giovane etrusco, il quale di cognome faceva Spurinna, ed era così bello ma così bello, che tutte le donne della capitale lo volevano nei loro letti. Il povero Spurinna, aveva sempre la casa sotto assedio, non poteva uscire a farsi una passeggiata che era subissato di avances e richieste sessuali da parte delle popolane come dalle ricche matrone romane ed era pure terrorizzato dalle minacce di morte quotidiane che riceveva dai mariti gelosi e inviperiti perché le loro mogli non li degnavano più di considerazione. Inoltre il giovane era onesto e fedele alla sua donna ed era quindi infastidito da cotante attenzioni sessuali, tanto che, esasperato, un giorno, prese una lama e si sfregiò il bel viso cosicchè, imbruttito dalla cicatrice, finalmente potè vivere una vita normale.

 

E CHE SARA’ STATO MAI STO SPURINNA…IL PIU’ BEL FICO DEL BIGONZO?

 

E voi uomini che leggete, cosa avreste fatto al suo posto, sareste stati infastiditi oppure ne avreste approfittato?

 

Oppure magari assomigliava a questi tipi qua…………………..eheheheh

 

 

IO SONO NEUTRALE PERCHE' L'OMO MIO E' IL PIU' BELLO DI TUTTI...TIE'!

 
 
 

Post N° 121

Post n°121 pubblicato il 22 Ottobre 2008 da zoeal
 

 
 
 

Post N° 120

Post n°120 pubblicato il 21 Ottobre 2008 da zoeal
 

Sabato scorso sono andata a trovare questa signora....è alta 150 cm, ha un pò la faccia di bronzo ma sa tutto di cultura ed è un pozzo di scienza,abita ad Arezzo per ora, in cui è ritornata dopo un lungo soggiorno in quel di Firenze, dove ha potuto vedere tutti gli intrighi della corte dei Medici, si veste elegantemente e ora è senza un braccio, poverina, perchè quello che vedete è stato messo in un vecchio restauro, ma i tecnici adesso dicono che è stato posizionato male, per cui, dopo averla ripulita, lucidata, riassemblata con un procedimento da far invidia ad una beauty farm....l'hanno esposta bella come il sole in quel d'Arezzo, ma purtroppo monca, anche se questo non toglie nulla, devo dire alla sua bellezza!

UN PO' DI STORIA

la Minerva, dea della saggezza, delle arti e della cultura ma anche delle arti manuali e della guerra, in etrusco Menrva o Menerva,

fu rinvenuta nel 1541 nell’area della chiesa di San Lorenzo ad Arezzo dove in passato sorgeva una sontuosa villa romana, e  fu acquistata dal Granduca Cosimo I il quale la espose a partire dal 1558 nel suo scrittoio di Palazzo Vecchio.

Il lungo restauro della statua ha permesso di capire che non si tratta di un monumento di età imperiale romana, ma di un originale di III secolo a.C.: realizzato in un’officina italica, forse etrusca, con la tecnica della fusione diretta, essa si ispira al modello di IV secolo dello scultore Prassitele.

La mostra si articola in tre sezioni:

  • nella prima viene presentata la Minerva di Arezzo, affiancata da numerose repliche
  • nella seconda vengono illustrati i dati archeologici relativi all’area dell’antico rinvenimento, ovvero il “monticello” di San Lorenzo, dove sorgeva una lussuosa domus di età romana
  • nella terza viene presentato il complesso lavoro di restauro eseguito sull’opera.

NON SONO RIUSCITA A TROVARE UNA FOTO CON LA STATUA RESTAURATA E TIRATA A LUCIDO, MA COMUNQUE LA MOSTRA AD AREZZO DURA FINO AL 6 GENNAIO, PER CUI SE VOLETE ANDARE AD AMMIRARLA SIETE SEMPRE IN TEMPO!

 
 
 

Post N° 119

Post n°119 pubblicato il 17 Ottobre 2008 da zoeal
 

Per ricominciare a sorridere un pò......

SIGNORE E SIGNORI...ECCO A VOI, L'IMPAREGGIBILE, L'IRRAGGIUNGIBILE, L'INCOMMENSURABILE, L'IMPERTURBABILE, L'IMPRESCRITTIBILE (?) INSOMMA L'IMP, IDEATORE DI VOYAGER..............ROBERTO GIACOBBOOOOOOOOOOOOOOOO!

eccolo che ci informa della sua scoperta più recente.....

ed ecco cosa pensa di lui un noto personaggio alieno... "mmmmmmm...ancora lui....che palle...via via, accendi i motori alla massima potenza....."

ma se proprio lo amate fatevi un salto QUI

 
 
 

Post N° 118

Post n°118 pubblicato il 14 Ottobre 2008 da zoeal

Avez vous le mòt?

Origini e sviluppo della lingua etrusca

Sottotitolo: ma quanto erano giraccoloni!

Per quanto riguarda le origini della lingua etrusca poco si sa, è certo che, a partire dal 949 a.C, data in cui lo storico Tito Livio, fa partire la colonizzazione italica da parte degli Etruschi, in men che non si dica, la loro lingua si diffuse da subito nei territori mano a mano da essi occupati. A partire dall’Italia centrale, primo avamposto, fino alla Pianura Padana e al Meridione. Sviluppo ulteriore si ebbe a partire dall’VIII secolo a.C., da quando cioè fu adottato dai nostri eroi l’alfabeto greco e cominciarono quindi a sbizzarrirsi con la scrittura, tanto che gli ultimi testi etruschi, di cui si ha memoria, risalgono al periodo Augusteo. Purtroppo però, le epurazioni latine ed i secoli li hanno distrutti e di loro, ci rimangono solo alcune epigrafi rituali e funebri. Popolo di grandi commercianti, si spinsero oltre i confini peninsulari, tanto che iscrizioni in etrusco sono state trovate in Austria; questo loro spirito di esplorazione rese possibile il contatto con i popoli del nord Europa ai quali trasmisero, forse come necessario mezzo di comunicazione, il loro alfabeto, tanto che studi recenti hanno dimostrato la somiglianza tra le iscrizioni etrusche e le Rune, considerate come elaborazione germanica proprio dell’antico alfabeto etrusco, come dimostrano ritrovamenti fatti in Svezia, Norvegia, Irlanda ma anche Romania. L’utilizzo stesso dei due punti per la separazione delle parole rimanda ancora all’ambito etrusco. Non a caso le tracce degli etruschi sulla antica rotta dell’ambra si riscontrano nel nome della mitica isola di Tule (forse l’Islanda), che deriva chiaramente dall’etrusco tul- (plur. tular) e che significa “confine/i”. La stessa origine di Roma, sorta appunto ai confini dell’Etruria meridionale, è rintracciabile nell’arcaico vocabolo Latino di origine Etrusca ‘Ruma‘ (mammella), riferibile probabilmente alla grande ansa formata dal Tevere di fronte all’isola Tiberina.La presenza di iscrizioni funerarie  scritte con l’alfabeto e nella lingua degli Etruschi ma in realtà appartenenti ad individui di etnia latina, osca, umbra o venetica, è da individuare nel fatto che l’opera di alfabetizzazione di Romani, Latini, Osci, Falisci, Umbri e Venetici venne effettuata dagli Etruschi, la cui lingua aveva nell’Italia di quei secoli l’autorità di unica lingua scritta e di lingua di cultura; il fatto è confermato dall’abitudine romana di educare i giovani aristocratici in Etruria come ci racconta Tito Livio o sull’usanza di avere a Roma da parte di famiglie patrizie, precettori Etruschi o Greci per i loro figli.Anche alcuni toponimi dell’Italia antica, ben oltre le aree del predominio politico degli Etruschi, appaiono come la traduzione in lingua etrusca di quelli originari; ad es. il nome della città di Aesernia, nel Sannio, attuale Isernia, sembra connesso all’etrusco aiser «dèi» ed è interpretabile quindi come “consacrata agli dèi”.  Anche l’esempio di Bergamo (Bergomum, Bergamum, Pergamum), costruita sulla cima di una ripida collina in Lombardia, è da confrontare col latino. pergamum «altura, edificio elevato, roccaforte, cittadella», e col greco pûrgamon «raccoforte, cittadella» (toponimo presente a Troia, Creta, Macedonia, Misia e Lidia); E’ molto probabile che questo vocabolo sia stato importato dall’Asia Minore in Italia dagli Etruschi, come lascia intendere l’antroponimo etrusco Percumsna-Pergomsna, interpretabile come «nativo di Bergamo, Bergamasco.»Quando poi la lingua latina prese il sopravvento, un buon numero di vocaboli etruschi ormai, erano entrati nel lessico comune; di questi alcuni erano destinati ad un illustre e fortunato avvenire: atrium, favissa, fullo, histrio, lanista, mantissa, miles, mundus, persona, populus, radius, satelles, subulo, virginis, ecc.Ma del dialetto etrusco non rimane proprio niente ai giorni nostri?Ma certo che si:  per alcuni studiosi, che hanno confrontato scritti latini in cui si prendeva in giro la pronuncia etrusca e le stesse modalità di costruzione della frase,(per esempio la mancanza nel gergo etrusco della "c" dolce e della stessa consonante con suono "k" in mezzo alle parole) con la gorgia toscana, considerata un relitto fonetico risalente ad una tendenza di origine etrusca; più in particolare rimane maggiormente presente l’area fonetica nella quale viene aspirata la –c- (tipo: fiho “fico”, la hasa “la casa”), un po’ meno presente quella in cui viene aspirata la –t- (tipo: ditho “dito”, statho “stato”)- e qui i Fiorentini ne sanno qualcosa in più rispetto ai Grossetani- mentre più ridotta è l’area dell’aspirazione di –p- (tipo: cuphola “cupola”, lupho “lupo”), e se sentite parlare un Senese, di quest’ultimo caso ve ne rendete subito conto.

D’altro canto quel buontempone di Catullo, che ne aveva una per tutti, non la fece passare liscia a tale Arrio, nato e cresciuto a Roma, ma colpevole di avere origini etrusche e di essere vissuto in una famiglia in cui si parlava ancora l’etrusco, e così immortalò la sua pronuncia nel “Carme n.84”:

“Arrio, quando voleva dire commoda e insidiae,
pronunciava hommoda e hinsidiae,
e si illudeva di aver fatto colpo
quanto più aveva aspirato la i di hinsidiae.
Credo che così parlasse sua madre, così lo zio materno, che era stato schiavo,
così il nonno e la nonna materni.
Quando Arrio fu inviato nella Siria, le orecchie di tutti, più non furono infastidite:
ascoltavano quelle stesse parole pronunciate senza aspirazione e senza sforzo,
e non le temevano più per l'avvenire,
quand'ecco giunge un'orripilante notizia:
i flutti del mar Ionio, dopo che Arrio li aveva attraversati,
non erano più lenii, ma Hionii.”

 (il primo alfabeto- in blu- è etrusco, l'altro è alfabeto runico)

 

 

 
 
 

GODIAMOCI IL SILENZIO....

Post n°117 pubblicato il 13 Ottobre 2008 da zoeal

 
 
 

Post N° 116

Post n°116 pubblicato il 08 Ottobre 2008 da zoeal
 

"Qui rise l’Etrusco, un giorno, coricato, cogli occhi a fior di terra, guardando la marina..." (V. Cardarelli)

Beffardo, ironico, enigmatico. Penso che tutti si siano chiesti il perché di tali raffigurazioni di sorrisi sui volti Etruschi. Il classico “sorriso etrusco” compare nelle raffigurazioni e nelle creazioni artistiche in terracotta o pietra, soprattutto nell’epoca più antica, quella orientaleggiante, quando la moda dell’epoca imponeva abbigliamento e trucco che si rifaceva agli Egizi e alle civiltà che popolavano l’attuale medio oriente. Così, sono arrivati fino a noi, statue e sarcofaghi in cui  il de cuius era raffigurato con dei begli occhi a mandorla e che bello scherzo che ci hanno giocato i nostri predecessori, visto che per secoli molti hanno pensato che quelle fossero le vere fattezze dei loro volti ! E invece era solo l’effetto del kajal. Ma quel sorriso?  Triangolare come i loro volti dal mento sfuggente (ma non erano così, in questo modo forse avrebbero voluto essere per apparire più belli e rimanere tali per l’eternità), un po’ melanconico, un po’ bugiardo. Quel sorriso che è sparito nei secoli successivi, quando Etruschi e Latini cominciarono ad essere un tutt’uno fino al momento in cui diventarono tutti cittadini di Roma. Le raffigurazioni sepolcrali si fanno allora più realistiche riproducendo perfettamente le vere fattezze del defunto con tutti i suoi pregi ma anche con tutti i suoi difetti; sono di questo periodo i bellissimi sarcofaghi conservati nel museo di Tarquinia che ci danno sfoggio dell’opulenza di una civiltà ormai decaduta, tristemente adagiata sugli antichi allori così come i ricchi etruschi sono raffiguati adagiati sulle loro grasse pance. A tale proposito è noto il cosiddetto "sarcofago dell'obeso"

Oppure la bellissima immagine di "Larthia Seianti" conservata al museo di Firenze:

Ma non sorridono più, o almeno non sorridono come prima.  Ma sono i loro vecchi sorrisi quelli che sono rimasti tra la loro gente perchè se si sa osservare, si ritrovano ancora nei pochi veri Toscani, caustici, dissacratori, ironici bugiardi, fieri combattenti contro gli “scherzi della vita”.

IN EFFETTI, I PROTAGONISTI DEL "SARCOFAGO DEGLI SPOSI" (prima foto) SEMBRANO PIU' UN RITRATTO DI UNA COPPIA IN VACANZA PIUTTOSTO DI UNA CHE SI ACCINGE A RAGGIUNGERE L'ALTRA VITA! 

 
 
 

Post N° 115

Post n°115 pubblicato il 06 Ottobre 2008 da zoeal
 

Su segnalazione della cybernauta, sorella di stirpe, TiuVeio, che ringrazio, vi informo anche di un'altra mostra sugli Etruschi (stiamo diventando di moda eh? alla riscossaaaaaa) ecco le coordinate:

"Etruschi
Le antiche metropoli del Lazio"
Palazzo delle Esposizioni - Roma 16 ottobre 2008 - 6 gennaio 2009

E ADESSO UN PO' DI "APOLLO DI VEIO" er piacione etrusco

La statua di Apollo da Veio, in terracotta policroma, è uno dei capolavori dell’arte etrusca, della fine del VI secolo a.C., celebre nel mondo.
Insieme ad altre statue, tutte a grandezza superiore o pari al vero, ornava la trave di colmo del tempio veiente in località Portonaccio, nel santuario dedicato a Minerva, uno dei più importanti d’Etruria. Alloggiate su alte basi a zoccolo, variamente dipinte, le statue in numero forse di dodici, molte delle quali giunte a noi solo frammentariamente, si ergevano in funzione di acroteri a circa dodici metri di altezza. Anche se realizzate isolatamente illustravano, in sequenza di due o tre, eventi mitici greci, almeno in parte collegati con il dio Apollo. La statua, di cui si è ora iniziato il restauro, formava con quella di Eracle (Ercole) un gruppo raffigurante il mito, piuttosto raro anche in Grecia, della contesa tra il dio e l’eroe per la cerva cerinite, dalle corna d’oro, sacra ad Artemide (sorella di Apollo).
Apollo, vestito di una tunica e di un corto mantello, avanza verso sinistra con il braccio destro proteso e piegato (il sinistro scendeva verso il basso, forse impugnando con la mano l’arco); Eracle, con la cerva legata tra le gambe, è proteso verso destra, piegato in avanti per brandire la clava mostrando il torace in una curva violenta.
Collegata al gruppo doveva essere anche la statua di Hermes (Mercurio) di cui restano la splendida testa e forse parte del corpo: il dio, come messaggero di Zeus, interviene per sedare i contendenti.
Il gruppo è concepito per un’unica visione laterale, corrispondente al lato del tempio ove correva la strada di accesso al santuario. La salda volumetria delle figure unita alle sottili dissimetrie riscontrabili sia nell’Apollo (cassa toracica, volto) sia nel torso dell’Eracle indicano che il coroplasta aveva piena conoscenza delle deformazioni ottiche in scultura che dovevano essere visibili da grande distanza e con forti angolature. Si spiegano così la creazione di volumi grandiosi e l’insistenza nell’incidere in profondità e nel rilevare senza risparmio i dettagli, in modo da ricostruire corretta la necessaria unità visiva della composizione.
La formazione del maestro che plasmò le statue è certamente ionica. Di grande talento, è identificabile con il “Veiente esperto di coroplastica” cui Tarquinio il Superbo commissionò la quadriga acroteriale del tempio di Giove Capitolino. Si tratta certamente del massimo rappresentante della celebre bottega di cloroplasti veienti fondata da Vulca, il maestro chiamato a Roma da Tarquinio Prisco verso il 580 a.C. per eseguire il simulacro dello stesso Giove Capitolino.

Il tempio.
Il tempio di Portonaccio è stato per quanto sappiamo il primo tempio del tipo tuscanico, codificato in età augustea da Vitruvio, eretto in Etruria (circa 510 a.C.), e anche il primo tempio, assieme al tempio B di Pyrgi (l’attuale Santa Severa), decorato secondo i canoni della c.d. seconda fase della coroplastica architettonica etrusco-laziale. La ricostruzione si basa sul riconoscimento del “modulo” adottato nella progettazione, pari a tre piedi attici di m. 0,2965 (m.0,89), coincidente con l’altezza del podio, l’imoscapo delle colonne e lo spessore di base dell’elevato dei muri. Secondo tale proposta il tempio avrebbe avuto una pianta quadrata di 60 piedi di lato, suddivisa in un pronao con due colonne in facciata tra ante, profondo 24 piedi e in un blocco retrostante di tre celle affiancate, profonde 30 piedi. Le colonne, alte 21 piedi, erano di tufo stuccato, così come i muri, rivestiti all’interno del pronao da più ordini di pitture su lastre fittili, mentre tutta la copertura era in legno, schermato da terrecotte policrome. Queste, contrassegnate per la posa in opera con un raffinato sistema di sigle sillabiche, erano integrate da riporti bronzei e da una generosa profusione di inserti plastici, per lo più modellati a mano, a cominciare dalla superba serie di grandi antefisse.

La città di Veio
La città, eterna rivale di Roma sin dall'età di Romolo per il controllo della riva destra del Tevere, sorgeva su un vasto altopiano lambito dal Valchetta -l'antico Crémera- e dal Fosso della Mola, e collegato a sud all'altura di Piazza d'Armi, sede dell'acropoli. Sui rilievi circostanti l’altopiano si estendevano ad anello le necropoli, che si svilupparono con migliaia di sepolcri sin dall’inizio dell’età villanoviana (IX sec. a.C.) per tutto il VII e il VI sec. a.C. Nella Tomba delle Anatre, degli anni tra il 680 e il 650 a.C., è documentata la più antica tomba dipinta di tutta l’Etruria.
Della città, esplorata solo in parte, si conoscono, oltre ad alcuni tratti della cinta muraria (V sec. a.C.), i più importanti luoghi di culto: il santuario dell’Apollo in località Portonaccio, celebre anche nell’antichità; l’edificio templare di età arcaica sull’acropoli e altre aree sacre come quelle di Giunone Regina e quelle in località Campetti, documentate soprattutto da immensi scarichi di materiali votivi. Alla fine del VII sec. a.C. risale l’impianto urbanistico dell’acropoli con assi stradali quasi ortogonali, uno dei più antichi d’Etruria. Peculiari sono anche alcune opere idrauliche come la lunga galleria di Ponte Sodo lungo il Crèmera.
Fu la prima delle città etrusche a cadere sotto il dominio di Roma nel 396 a.C. dopo l’assedio di Furio Camillo. Numerose sono le testimonianze della presenza romana tra IV e III sec. a.C., in particolare nel territorio che si popola di una fitta rete di piccole proprietà contadine.
Dopo la creazione del municipium veiens da parte di Augusto, la città vive nel I sec. d.C. l’ultimo periodo di prosperità, documentato da edifici prestigiosi, come quello da cui provengono le dodici colonne ioniche scoperte all’inizio del secolo scorso e rimontate sulla facciata di palazzo Wedekind a Piazza Colonna a Roma
.

 

 
 
 

GIOCO LETTERARIO

Ho partecipato al gioco letterario promosso da Writer

INCIPIT

 clicca su IL FOLLE se vuoi leggere il mio racconto

ho scritto anche:

 LA FINE E L'INIZIO

e per la serie RACCONTI BREVI:

HIRUMINA IL PERUGINO

DEUXIPPO (prima parte)

DEUXIPPO (seconda parte)

DEUXIPPO (terza parte)

DEUXIPPO (ultima parte)

L'INFAME (prima parte)

L'INFAME (ultima parte)


 

E SFOTTIAMIOLI UN PO' STI RUMACH!

 

MAGIA DEL PHOTOPAINT

 

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ENIGMATICO APOLLO DI VEIO:IL SORRISO CHE AMMALIA

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LA LETTURA NOBILITA LA MENTE

"CHIMAIRA" di Valerio Massimo Manfredi (giallo-storico)

"MITI, SEGNI E SIMBOLI ETRUSCHI" di Giovanni Feo (Etruschi, da dove venivano e a quali leggende sono collegati)

"GEOGRAFIA SACRA" di Giovanni Feo (la "magia" e l'"astronomia" dalla preistoria agli Etruschi)

"UNA GIORNATA NELL'ANTICA ROMA" di Alberto Angela (immaginiamo di fare un viaggio nel tempo e di ritrovarsi nella Roma del I secolo dopo Cristo)

"IL SEGRETO DEI GEROGLIFICI" di Christian Jacq (guida semplice e simpatica sull'interpretazione dei geroglifici egizi)

" IL FARAONE DELLE SABBIE" di Valerio Massimo Manfredi, azione e suspence ambientate nel clima dei conflitti attuali che affliggono il Medio Oriente.

"L'ULTIMA LEGIONE":di Valerio Massimo Manfredi, una vicenda avvincente ambientata nel periodo del declino dell'Impero Romano, tra leggenda e realtà, si legge tutto d'un fiato

 

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POETA ESTEMPORANEO

In ricordo di Morbello Vergari, ultimo poeta Etrusco

Il reperto archeologico

Riuniti insieme, un gruppo di signori

stavano discutendo di un oggetto

un giorno appartenuto ai padri etruschi.

Il dottor Tizio disse ai suoi colleghi:

-La mia giovane eta', non mi consente

di pronunciarmi il primo e francamente

ammetto che non ci capisco molto.

Il dottor Caio esprime il suo parere

dicendo-Per me, questo è un utensile

che usavano gli etruschi,

per servire vivande sulla mensa

D'altro parere il professor Sempronio

e in questo modo dice il suo giudizio:

Questo per me, è un vaso da ornamento

che serviva su un mobile di lusso

a contenere fiori profumati.

Infine il professor Tal dei Tali:

Con questo afferma usavano gli antichi

nelle grandi e solenni cerimonie

offrire a gli dei superi d'Olimpo

e il loro sacerdote in pompa magna,

libava e alzava questo vaso al cielo;

quindi spruzzava santamente l'ara,

del vin pregiato in esso contenuto.

-Giusto-dicono tutti gli altri in coro-

la Sua tesi convince, professore.

Due etruschi ch'iabitaroni in quei luoghi

in permesso quassu' dai Campi Elisi.

Si fermarono ad osservar la scena.

-Tarcone-Aule chiese-cosa fanno

quelle persone riunite insieme?

-Non so',non saprei dirti veramente;

non riesco a comprendere il dialetto,ma

quel che sembra un tantinello strano

è, che stan discutendo con passione,

tenendo un nostro orinalaccio in mano.

 

 
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